Diverso è il modo che hanno le persone di guardare al futuro, criterio che è tipico dell'ottimismo e della speranza, atteggiamenti collegati ma distinti.
Ottimisti e pessimisti si differenziano per come valutano l'impatto che i fatti della vita hanno su di loro e per come affrontano i problemi. Gli ottimisti hanno aspettative positive anche quando la situazione è dura da vivere. I pessimisti si aspettano solo cose negative.
Come guardare la vita
Vari studi hanno mostrato come i pessimisti si arrendano più facilmente di fronte alle difficoltà e si ammalino più facilmente. Mentre le persone ottimiste rispondono meglio nelle stesse situazioni, godono di uno stato di salute migliore e quindi vivono più a lungo.
Da quanto si è detto appaiono immediatamente evidenti i vantaggi dell'essere ottimisti. A dire il vero c'è anche chi sottolinea come un certo grado di pessimismo possa equilibrare un ottimismo superficiale e illusorio, poco preparato ad accettare gli imprevisti della vita.
Martin Seligman – autore di libri come Imparare l'ottimismo e La costruzione della felicità – sostiene che alla base di queste due modalità di guardare la vita ci siano due elementi: da un lato la percezione di poter esercitare un controllo sugli eventi, dall'altro il modo con cui interpretiamo ciò che ci accade. Le persone pessimiste si sentono impotenti perché sono convinte che qualsiasi cosa facciano non servirà a raggiungere ciò che vogliono. Quelle ottimiste, invece, credono di poter modificare gli eventi così da raggiungere gli obiettivi desiderati.
Ottimisti o pessimisti non si nasce, ma si diventa. Come l'impotenza e il pessimismo possono essere appresi, così lo possono essere la convinzione di essere capaci di esercitare un certo controllo delle situazioni e di essere più ottimisti. La convinzione di essere impotenti o meno, di essere capaci di controllare ciò che ci accade, si costruisce lungo il ciclo della vita e viene influenzata dal modo in cui ciascuno di noi si spiega gli eventi negativi o positivi che vive. Ma in questo, ognuno di noi è influenzato anche dall'ambiente familiare, sociale e culturale.
L’ottimismo flessibile
Oggi si tende a parlare di ottimismo flessibile che tiene conto dei limiti ma anche delle possibili realizzazioni all'interno di questi vincoli. «L'obiettivo», scrive Silvia Bonino nel libro Mille fili mi legano a te, nel quale fonde insieme conoscenze psicologiche con l'esperienza personale di una malattia cronica, «non è quello di raggiungere un ottimismo ebete e superficiale, che è illusione e autoinganno su di sé e sul mondo. L'obiettivo è un ottimismo flessibile, aperto alla realtà e alle sue sfide, capace di rispondere in modo creativo alle difficoltà, di non chiudersi al cambiamento ma di aprirsi alla ricerca di nuovi adattamenti anche nelle situazioni più difficili».
L'adattamento alla malattia deve essere flessibile perché è chiamato a realizzare un equilibrio soddisfacente, stabile e dinamico insieme, tra la persona, il suo ambiente e i cambiamenti che possono avvenire nella stessa malattia. «In questa prospettiva la felicità non è una passiva condizione di beatitudine, ma il risultato di una crescita e di un'attiva ricerca di adattamento, che ha a che fare più con la saggezza interiore che con le condizioni esterne di vita. Allo stesso modo, la speranza non è sciocco e infondato ottimismo, ma apertura creativa verso il futuro e le sue sfide, superamento del proprio egocentrico punto di vista e di un determinismo che pretende di poter tutto conoscere e tutto prevedere.
Una speranza, in altre parole, che nasce dalla critica delle proprie valutazioni, che non considera le previsioni negative sul futuro come certe e sicure, che lascia spazio all'incertezza e alla probabilità, che si apre alla fiducia nelle proprie risorse e nell'aiuto degli altri, al cambiamento e alla ricerca di nuovi adattamenti».
Scoprire, costruire cammini
Dal punto di vista psicologico, la speranza viene oggi descritta come la capacità di ridefinire la propria vita e di proiettarla nel futuro facendo i conti con la realtà presente. È un atteggiamento che implica l'abilità a scoprire o costruire cammini per raggiungere gli obiettivi desiderati, la percezione che questi obiettivi possono essere raggiunti e la capacità di motivare se stessi a percorrere questi cammini e sentirsi soggetti responsabili.
Una buona speranza viene nutrita sia dalle risorse interne che dall'aiuto esterno, in una relazione di cooperazione tra persone che condividono valori e progetti, dentro una comunità che sostiene il cammino per raggiungerli.
Luciano Sandrin
(da Missione Salute, n. 6, 2015, p. 66)