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Venerdì, 15 Febbraio 2008 01:08

Islam, la riforma possibile (Giuseppe Scattolin)

Se un islam moderato risultasse impossibile, anche la convivenza pacifica nel nostro villaggio globale sarebbe in grave rischio. Chi sono quindi, se ci sono, questi musulmani moderati? Come distinguerli dagli irenisti ipocriti?

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Domenica, 10 Febbraio 2008 21:00

Imâm (Maria Domenica Ferrari)

IMÂM

di Maria Domenica Ferrari




Parola dalle molteplici implicazioni politiche e religiose, una delle più fraintese in Occidente.

Alla voce imâm nel mio dizionario leggo: capofila, imam, esempio, califfo, comandante (dell'esercito), guida (per i viaggiatori), cammello che marcia in testa agli altri, regola, strumento di precisione, squadra, filo a piombo, regolatore, compito, posizione di colui che prega Dio nella direzione della Mecca, decreto di Dio.

Il significato principale della radice ’mm è: stare davanti a, dirigere, assumere la direzione della preghiera.

Imâm è perciò la parola che designa colui presiede la preghiera, compito che può svolgere qualsiasi musulmano pubere, anche schiavo.

Nei primi tempi era Muhammad a presiedere la preghiera. Alla sua morte i suoi successori vennero chiamati imâm, nel senso di guide della Comunità, khalîfa o ‘amîr al-mu‘minîn amministratore dei credenti, espressione molto usata nei primi secoli.

Khalîfa deriva dalla radice kh l f che indica il venire dopo nel tempo, il succedere.

Si hanno perciò due diversi ambiti: imâm si riferisce alla distribuzione spaziale dei fedeli, mentre khaliîfa indica una successione temporale.

Con il passare del tempo, in Occidente soprattutto, con califfo si tende ad indicare il potere temporale, mentre imâm viene sentito più vicino ad aspetti religiosi.

All'origine vi è in ogni caso un'unicità tra le funzioni di guida religiosa e di guida politica-amministrativa sia a livello di Comunità universale, sia a livello di moschea locale.

Nei primi secoli, in effetti, gli amministratori delle province erano nominati dal califfo con anche il mandato per la preghiera.

Con il passare del tempo la direzione della preghiera fu affidata ad un incaricato funzionario della moschea, pagato o dall'erario e dalle fondazioni pie.

In seguito a ciò ogni moschea ebbe un proprio imâm, anzi si potevano avere più imâm a rotazione, uno per ogni scuola giuridica.

A imâm venivano nominati esperti di scienze religiose (‘ulamâ) che potevano essere giudici, muftî.

La prerogativa religiosa deriva dall'essere un esperto di scienze religiose non dall'essere imâm.

Alla morte di Muhammad, che non aveva lasciato indicazioni, una parte della Comunità considerava che ‘Ali, il cugino genero del profeta, avesse diritto alla successione per vincoli di sangue.

Questi musulmani erano detti il partito di ‘Ali Shî‘at al-‘Alî,, gli sciiti.

L'imâm sciita ha una conoscenza superiore, il suo insegnamento ha valore decisivo ed ha prerogative quali l'infallibilità e la conoscenza delle cose invisibili, e si differenzia dal profeta perché rispetto a lui non trasmette una scrittura divina.

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Domenica, 06 Gennaio 2008 00:40

Hallaj, mistico sufi (Gaëtane de Lansalut)

Per questo predicatore musulmano la vita non è che godimento precario delle vanità e la vera felicità si trova nella preghiera e nell’ascesi. Sufi anzi tempo, Hallaj fu condannato a morte per la sua interpretazione troppo libera del Corano e la relazione fusionale con un “Dio-Verità”.

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Venerdì, 30 Novembre 2007 23:26

La culla del qawwali (Djénane Kareh Tager)

Dal XIV secolo la tomba del grande sufi Nizamuddine raduna musulmani e indù in un fervore che non viene meno. Canti qawwali e preghiere si mescolano per onorare la memoria del maestro.

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Giovedì, 22 Novembre 2007 23:51

Fatwâ (Maria Domenica Ferrari)

Fatwâ

di Maria Domenica Ferrari

La fatwâ è un parere giuridico non vincolante in merito a questioni civili o religiose. Per molti aspetti ricorda l'istituzione romana dello jus respondendi.

Una fatwâ può essere chiesta da un singolo musulmano a titolo privato, da un giudice (qâdî), da un’istituzione. Chi svolge tale compito si chiama muftî.

Un muftî si limita a dare indicazioni su di un comportamento, molto spesso pratico, dal punto di vista della correttezza rispetto alla shari‘â. Non sentenzia su di un fatto compiuto.

Da mettere in rilievo è il fatto che una fatwâ è una semplice opinione, lo stesso richiedente può rivolgersi a vari mufî e se questi esprimono pareri diversi, conformarsi a quello che più lo soddisfi.

La futyâ (l’atto di emettere fatwâ) permise, e permette, se ben utilizzata di proporre nuove interpretazioni, dell'apparente immodificabile shari‘â.

Le fatwâ dei grandi muftî potevano essere riportate nei libri di diritto.

Una fatwâ ha forza di legge solo se un giudice si conforma ad essa.

Accanto a muftî non ufficiali, tali perché accettati come autorevoli da una comunità, fin dalle origini dell'Islam sono esistiti muftî designati e utilizzati dal potere esecutivo. Grande sviluppo di tale carica si ebbe soprattutto con gli Ottomani, quando il muftî di Costantinopoli divenne la più importante carica amministrativa religiosa sunnita, indipendente dal sovrano.

Un esempio di fatwâ, emessa nella zona di Gerusalemme nel secolo scorso, riguarda uno shaykh beduino che aveva ripudiato la moglie non intenzionalmente. Nella richiesta lo shaykh spiegava i motivi che avevano causato questo ripudio involontario: il fratello voleva sposare una donna che lui non approvava, ed aveva promesso solennemente che se il fratello si fosse sposato contro la sua volontà, e questa donna fosse entrata in casa sua, lui avrebbe sciolto il proprio matrimonio.

Il giudice applicando la legge della scuola giuridica hanafita, si pronunciò per lo scioglimento del matrimonio poiché gli hanafiti non danno importanza all’intenzionalità in tali decisioni. Lo shaykh che non voleva ripudiare la moglie, si trovò in una situazione per la quale la legge musulmana prevede che la donna prima debba sposarsi con un altro uomo, divorziare da lui e solo allora può risposarsi con il primo marito. Lo shaykh scontento di tale decisione si rivolse allora ad un muftî della scuola shafi‘ita, che invece prevede l’elemento dell’intenzionalità nella formula del ripudio ed ottenne una fatwâ che considerava ancora valido il suo matrimonio.

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La controversia fra i mutaziliti e gli hanbaliti

Il Corano è creato o increato?

di Rochdy Alili *

Bagdad, sec. IX. I mutaziliti ritengono che il Corano è creato da Dio, dunque c’è un inizio nella sua storia e si può interpretare, mentre gli hanbaliti affermano che esso è eterno, increato, preesistente e da prendere alla lettera.

La controversia del “Corano creato” ancora oggi agita le coscienze perché agli uni sembra legato a un periodo di inquisizione e agli altri come un’occasione perduta per l’islam di accedere fin da quel tempo a una concezione “moderna” della Rivelazione divina. Essa fu lanciata dal califfo al-Mamun (813-833), che era giunto al potere nel tempo in cui, nella lontana Europa del Nord, Carlo Magno terminava il suo regno. Questo califfo, della dinastia abbaside, installata in Irak nel 750 e fondatrice di Bagdad, tentò lungo tutto il suo regno di stabilire una legittimità religiosa al califfato.

Dopo la morte del Profeta, i sovrani dell’impero musulmano raramente ne avevano disposto e il califfo, capo di una forza militare e di un apparato amministrativo, era sempre più contestato dalle opposizioni religiose. La più minacciosa era quella degli sciiti, che non riconoscevano come califfi altri che i discendenti del Profeta, progenie di Fatima, la figlia, e di Ali, suo genero. La più insidiosa era quella degli ambienti tradizionalisti, attaccati alla lettera del Corano, propagatori di tradizioni profetiche e assai influenti nel popolo, perché erano difensori dell’egualitarismo dell’islam di fronte a tutti i poteri.

Un secolo prima di al-Mamun, il suo trisavolo, Muhammad b. Ali, organizzò una propaganda utilizzando questi malcontenti e la fedeltà di molti musulmani alla famiglia del Profeta. Non era un discendente di Maometto, ma del suo zio, al-Abbas, e non mancò di approfittare di una ambiguità fra le sue rivendicazioni e quelle degli sciiti. Alcuni decenni dopo questa opera di propaganda, un solido esercito formato da Iraniani e da discendenti di tribù arabe esiliate nella provincia del Korasan, nell’Iran orientale e in Asia centrale, costituito da emissari di questi nuovi pretendenti, riuscì a conquistare il potere per i figli di Muhammad b. Ali, i primi califfi abbasidi, fra cui al-Mansur, il fondatore di Bagdad e bisnonno di al-Mamun.

Stabilire una legittimità

Molto presto si chiarì la confusione fra gli abbasidi e gli sciiti e i nuovi sovrani dovettero subire l’opposizione da parte di questi ultimi, mentre i tradizionalisti mantenevano il loro consueto sospetto nei confronti del califfato. Il potere abbaside si basava dunque sempre esclusivamente su una forza militare, quella dell’esercito del Korasan. Perciò al-Mamun pensò bene, un mezzo secolo dopo l’inizio della dinastia, di appoggiare su solide basi la sua legittimità religiosa. Aveva accanto a sé dei letterati che davano alla ragione un’importanza capitale nel loro approccio ai temi dalla teologia musulmana. Erano i mutaziliti, chiamati così perché si erano messi a parte (i’tazala) dalle controversie del secolo precedente. Su Dio professavano una dottrina rigorosa che faceva di Dio un’essenza unica alla quale nulla poteva associarsi, neppure la sua Parola. Il Corano dunque era per loro una creazione, e non un’essenza divina come dicevano i tradizionalisti. Credevano anche alla libertà dell’uomo e alla sua responsabilità di fronte a Dio, tenuto egli stesso dalla ragione a retribuire, secondo i criteri della giustizia, le azioni della sua creatura.

Non è detto che al-Mamun condividesse tutti questi dogmi, ma alcuni dei mutaziliti lo sostennero nella sua scelta, come erede, di un discendente del ramo più prestigioso dello sciismo, Ali al-Rida. Ma, ahimé, Ali al-Rida morì ben presto. Una diecina di anni dopo, il califfo, che conservava una simpatia per lo sciismo e rimaneva dominato dalla superiorità dei mutaziliti, intraprese una lotta contro i dottori tradizionalisti che avevano acquisito presso il popolo il monopolio dell'interpretazione di un testo sacralizzato dal quale traevano grande influenza. Egli impose il dogma del “Corano creato” alle persone sulle quali aveva un'autorità religiosa: i funzionari, i giudici e i “testimoni professionali”, incaricati di attestare gli atti giuridici. I tradizionalisti resistettero, guidati da Ibn Hanbal, un insegnante che acquistò prestigio con questa fiera opposizione al califfo.

Ciò che divideva fondamentalmente i mutaziliti dai tradizionalisti, presto chiamati “hanbaliti”, era la concezione dell'onnipotenza divina. I primi, costituiti da una élite intellettuale spesso sprezzante, vedevano Dio come una essenza assoluta, inaccessibile e inconoscibile, ma tenuta, dalla ragione e dalla giustizia, a lasciare libero l'uomo e a giudicarlo secondo i criteri di una rigorosa equità. Gli hanbaliti, sostenuti dalle classi popolari, pensavano che gli atti dell'uomo erano predeterminati da Dio, che giudicava la sua creatura in quanto Onnipotente, senza essere costretto dalle concezioni umane di giustizia, ma con la più assoluta misericordia, se lo giudicava bene. Quanto all'unicità di Dio, essa non era lesa dal fatto che il Corano, non creato ma creatore di discernimento, partecipasse dell'essenza divina. Non era neppure lesa dal fatto che Dio apparisse, in questo Corano, dotato di attributi umani. Questa Parola increata era un modo, per l'essenza divina, di rendersi accessibile all'uomo e di manifestargli la sua misericordia. Occorreva dunque crederla e seguirla in tutto ciò che diceva e non pensare che i deboli concetti della ragione umana potessero servire a concepire Dio e a comprendere la vie del Divino.

Vittoria dell'ortodossia

Dopo vari anni al-Mamun si risolse a costringere con vigore i tradizionalisti. Dalla frontiera dell'Impero bizantino dove era in guerra, comandò al prefetto di polizia di Bagdad di arrestare Ibn Hanbal e altri fautori e di imporre dovunque il dogma del Corano creato. Era l'inizio della mihna o inquisizione, che cominciò a perseguitare i tradizionalisti sotto l'autorità del gran cadi mutazilita Ibn Abi Duad. Nel frattempo morì al-Mamun. Suo fratello al-Mutasim (833-842), e poi al-Wathiq (842-847), continuarono la sua politica. Infine, di fronte allo scontento popolare, il califfo al-Mutawakkil (847-861) condannò il mutazilismo, destituì Ibn Abi Duad, rese a Ibn Hanbal la libertà di insegnare, perseguitò gli sciiti, umiliò cristiani ed ebrei. Il califfo perdette anche il sostegno militare poiché dei mercenari turchi indocili, recrutati da al-Mutasim, avevano sostituito l'esercito ormai logoro del Korasan. Così, con questi hanbaliti poco preoccupati di riflessione teologica razionale e con questi pretoriani turchi, si affermavano i promotori dell'ortodossia che si sarebbe imposta nell'islam nei secoli futuri.

(in Le monde des religions, n. 10, pp. 48-49)

* Storico e sociologo, è l’autore di articoli e opere consacrati all’islam, fra i quali Qu’est ce que l’islam (La Découverte) e L’islam à l’usage de ma fille (Le Seuil). Suo ultimo libro: L’Eclosion de l’islam (Dervy).
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Venerdì, 28 Luglio 2006 23:03

Šarî‘a (Maria Domenica Ferrari)

Šarî‘a
di Maria Domenica Ferrari



Se domandate a un musulmano che cos'è la šarî‘a vi dirà che l'insieme delle norme date da Dio per guidare il musulmano in ogni aspetto della sua vita; inoltre per l'Islam la differenza tra sacro e profano si colloca in campo giuridico e ciò determina l'importanza del diritto. Per molti la šarî‘a, anche occidentali, indica un blocco granitico, immutabile, di norme fissate una volta per tutte 14 secoli fa.

Dal punto di vista linguistico la parola šarî‘a ha come significato principale la religione e la legge religiosa. La radice da cui deriva š r ‘ da origine a parole che indicano l'inizio, l'avvio, il dirigersi. Nei lessici tradizionali troviamo che nelle aree pastorali e tra i Beduini il verbo šara‘a indicava l'abbeveraggio degli animali in pozze d'acqua permanenti. Un secondo campo sematico indicava lo stiramento, l'allungamento, šir‘a è una corda come quella dell'arco o del liuto. Šarî‘a è perciò la strada, la via, il cammino (che porta ad abbeverarsi) e il cammino per eccellenza è quello che porta alla salvezza eterna.

“Poi ti demmo una legge ( šarî‘a) per la Nostra Casa: seguila dunque" (1) questo è il solo passo coranico in cui viene usata come sostantivo.

Nelle parlate del Medio Oriente si usa per la totalità della religione šarî‘a al-Mûsâ, šarî‘a al-Masîh sono la religione/la legge di Mosè e del Messia. Nelle comunità ebraiche di lingua araba la parola più usata per tradurre Torah è šarî‘a; l'uso per tradurre norme, regole è evidente soprattutto per quanto riguarda alcuni versetti del Levitico, talvolta è impiegata anche per misvah. Un uso simile si trova negli scrittori cristiani, šarî‘a indica le norme apportate da un profeta.

La parola šarî‘a nella letteratura religiosa islamica designa le norme, la legge, un sistema di leggi o il messaggio di un profeta. Dio è il soggetto del verbo šara‘a , Muhammad è lo šâri‘ (legislatore) per eccellenza e la spiegazione della legge è uno degli attributi profetici.

La šarî‘a indica perciò le leggi, le normative derivate principalmente dal Corano e dagli hadîth che regolano la vita dei musulmani. Accanto alle due fonti tramandate, vi sono il consenso della comunità e il ragionamento del singolo che può essere limitato alla semplice deduzione, all'analogia o estendersi al ragionamento.

Su queste fonti interviene lo studioso di diritto (fuqahâ) per dare origine alla giurisprudenza musulmana il fiqh.

I versetti coranici che riguardano aspetti legali sono una minoranza e la maggior parte di questi versetti si occupano di diritto di famiglia e di eredità.

La šarî‘a che regola la vita di un musulmano è di conseguenza una elaborazione fortemente temporale e secolare. Già la seconda fonte, la Sunna, cioè i comportamenti, le parole di Muhammad nel corso della sua vita, è sprovvista di sacralità, Muhammad è un profeta, esempio da imitare, ma essere umano.

Questa legge rivelata da Dio per condurre gli uomini nel corso della loro vita alla ricompensa finale si divide in

ibâdât che regolano i rapporti tra Dio e gli uomini

mu‘ âmalât che regolano i rapporti tra gli uomini.

Le ‘ibâdât sono eterne ed immutabili e sono i cinque pilastri della religione: la testimonianza di fede, la preghiera, il digiuno, l'elemosina legale ed il pellegrinaggio.

Le mu‘ âmalât riguardano tutti i restanti aspetti della vita sociale, economica, politica e si possono adattare ai tempi e ai luoghi, naturalmente rispettando lo spirito della šarî‘a, sono perciò modificabili e hanno dato vita a varie esperienze storiche di Islam.

Nel primo periodo, dopo la morte di Muhammad, la Comunità Islamica di fronte all'emergere di nuove istanze e all'espansione territoriale constatò che il solo Corano era insufficente, e iniziò a far riferimento alla tradizione, non più quella degli antenati come era in uso in ambiente tribale, ma a quella del profeta. Anche la tradizione è nel suo insieme soggetta a cambiamenti rispetto ai tempi, ai luoghi, e talvolta può scavalcare il Corano come nel caso della lapidazione degli adulteri, voluta dal secondo califfo ‘Umar, rispetto alla fustigazione coranica.

Con al-Šâfi‘î (m. 820) il fondatore del diritto musulmano, si fissarono i requisiti per l'accettazione degli hadîth, questo perché gli hadîth assunsero autorità assoluta. Nel corso di poco più di due secoli dalla morte di Muhammad gli interpreti del diritto si erano raggruppati in scuole giuridiche, ognuna con una metodologia propria sui principi di applicazione della legge. Di queste scuole quattro assunsero il valore di scuole canoniche di diritto e sono gunte fino ad oggi: la malîkita, la šâfi‘îta, la hanâfita e la hanbalita. I sunniti che rappresentano circa il 90% dei musulmani seguono una di queste 4 scuole, gli sciiti seguono la scuola ja‘farita che si differenzia dalle altre 4 solo in alcuni punti di secondaria importanza.

I movimenti fondamentalisti contemporanei sono convinti che la soluzione dei problemi in cui si dibattano le società musulmane è l’applicazione della šarî‘a, considerata da loro fissata fin dagli inizi e immutabile nel corso del tempo e dei luoghi. Per questi islamismi che si rifanno alla scuola giuridica più rigorosa, quella hanbalita, la sola šarî‘a valida è quella seguita all’epoca di Muhammad e dei primi quattro califfi, e rifiutano tutti gli sviluppi dello status della persona e le legislazioni degli stati musulmani che si rifanno alle legislazioni occidentali nei settori del commercio, della proprietà, della procedura penale, ignorando che la šarî‘a non è mai stata applicata integralmente e che anche nelle epoche di maggior splendore ai tribunali religiosi si affiancavano quelli amministrativi che si occupavano appunto di transazioni commerciali, di codice penale, di polizia.

1) Corano, XLV, 18

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Venerdì, 07 Luglio 2006 21:14

Caricature e insulti (Giuseppe Scattolin)

Se vogliamo creare la base per una globalizzazione umana di convivenza fra culture e religioni diverse, dobbiamo tutti impegnarci seriamente in un ingente - e costante - lavoro di coraggiosa autocritica e di rispettosa critica.

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Mercoledì, 24 Maggio 2006 02:17

Tracce femminili nell'Islam (Adel Jabbar)

Nel riflettere sulla condizione della donna nei paesi musulmani, tema oggi molto discusso, è importante saper esplorare i vissuti reali, dentro i quali le donne cercano di interpretare ed elaborare realtà e situazioni, consapevoli dei limiti che vengono loro posti, delle convenzioni e dei retaggi culturali che spesso le ostacolano, lì come del resto anche altrove.

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La Malaysia si propone al mondo come modello di paese musulmano progressista; una delle personalità più note del paese è una donna che da venti anni lotta per i diritti delle donne con l'organizzazione Sister in Islam.

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