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È necessario un reale superamento dell'estremismo islamico, che non può essere fatto di semplici parole, ma prendendo in seria considerazione tutte le sue componenti, cominciando da una rilettura critica della storia islamica in vista di una prospettiva nuova.

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Anche l'islam storico (alla pari di altre religioni, tra cui il cristianesimo) ha conosciuto la "strumentalizzazione" della religione da parte della politica. Ma questo è l'islam "politico", che fa a pugni con la coscienza moderna dei diritti della persona umana.

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L'affaire delle vignette satiriche
di Maria Domenica Ferrari

“La reazione di certi musulmani si situa al di là del surrealismo” inizia in questo modo un articolo dell'ex mufti di Marsiglia Sohieb Bencheick.

Questo breve scritto è una specie di collage di articoli e interventi su blog che darà voce alla maggioranza silenziosa di tutti quei musulmani che in questi giorni si sentono offesi non tanto per le caricature, ma, da una parte per il monopolio mediatico esercitato dagli integralisti e dall'altra dai media occidentali che ne diventano i portavoce.

Alla fine di settembre 2005 un giornale danese ha pubblicato una serie di vignette che avevano come soggetto Muhammad. Dopo le proteste, prima di alcuni paesi musulmani e, poi, della Lega Araba l'affare scoppia alla fine di gennaio quando l'Unione Internazionale degli Ulema, al Cairo, chiede ai musulmani di boicottare i prodotti danesi e norvegesi. Sull'onda delle crescenti manifestazioni di piazza (spontanee?) a fine gennaio le vignette compaiono prima su un giornale norvegese e in seguito su vari giornali europei.

La cosa strana è che il giornale danese abbia giustificato la scelta di pubblicare queste vignette come reazione al fatto che tutti si siano rifiutati di fare disegni per un libro sulla vita di Muhammad. Eppure esistono manoscritti con bellissimi disegni raffiguranti episodi della vita di Muhammad, sono stati fatti film, è il suo viso che viene celato o con un velo, o perché visto di spalle e nessuno ha mai protestato. Che rappresentare Muhammad sia proibito dalla religione islamica lo sostiene solo una piccola parte: gli wahhabiti. Per la maggior parte di essi le vignette, non solo blasfeme, ne si sente offesa, non sono di buon gusto e del tutto innocue, eccetto quella con Muhammad con una bomba sul turbante, che equipara in questo modo musulmano a terrorista.

Lo stesso profeta è stato oggetto di ingiurie ed umiliazioni, tanto penose da indurlo ad emigrare a Medina e ai politeisti di Mecca che lo definivano un impostore rispondeva: “Dio sarà giudice tra noi il giorno del Giudizio”.

Se i cattolici del mondo reagissero nello stesso modo quando sui giornali compaiono caricature sulla Chiesa e scendessero in piazza a milioni bruciando le ambasciate voi li giudichereste dei pazzi. Perché questo non viene fatto quando, come in questo caso, sono una manciata di integralisti musulmani? Perché gli ambienti progressisti giustificano questi musulmani e dicono di non offenderli, di non essere blasfemi?

Gli integralisti impongono alla stessa manggioranza dei musulmani la loro ristretta visione dell'islam, chi non si comporta come loro è accusato di kufr (infedeltà), è contro l'islam, l'unico vero islam è il loro.

E tutti gli altri, compresi gli agnostici e gli atei originari dei paesi musulmani, non hanno la possibilità di far sentire la loro voce, ignorati dai media.

Certo è che questi musulmani che manifestano sono molto ignoranti, ignorano che nel Corano è scritto di trascendere le polemiche e di rispondere ai provocatori con la parola pace.

Come può una religione sicura di sé, solida, fuggire alle critiche, vacilllare innanzi a futili provocazioni?

E' grazie alla libertà d'espressione che l'islam si può esprimere liberamente nei paesi democratici. Nessuno impedisce in Europa ai musulmani di esprimersi liberamente.

Non sono i musulmani a domandare le scuse, sono gli integralisti. Fino a quando in Europa si lasceranno parlare gli integralisti a nome di tutti i musulmani, quando verrà dato alle forze progressiste il posto di interlocutore per iniziare a risolvere quei problemi sociali di lavoro, di integrazione, di riconoscenza sociale su cui fondano il loro proselitismo gli integralisti?

Dov'erano le gerarchie musulmane, le persone che oggi manifestano quando in Algeria uomini, donne e bambini erano sgozzati da gruppi islamisti? Chi infanga la religione islamica e il suo Profeta sono i disegnatori danesi o i gruppi estremisti?

Perché gli stessi giornali europei che oggi sono solidali con il giornale danese non si sono mai pronunciati in favore dei giornalisti algerini che hanno pagato con la loro vita il diritto alla libertà d'espressione?

In realtà il politico viene camuffato da conflitto religioso da entrambe le parti: l'Islam contro Occidente - Cristianesimo contro Islam ovvero il Bene contro il Male.

Per dirla con le parole dell'altro Bencheick, Ghaleb “Non è che scontro delle inculture e degli ignoranti".

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Martedì, 06 Dicembre 2005 00:55

Il paradiso e le Huri (Maria Domenica Ferrari)

Il paradiso e le Huri
di Maria Domenica Ferrari



E quei della destra, oh quei della destra!- E quei della sinistra, oh quei della sinistra! - E i precursori, i Precursori! - Saranno a Dio i più vicini - in deliziosi Giardini - Molti là vi saran degli antichi - pochi vi saran dei moderni - su troni ornati d'oro e di gemme - adagiati, gli uni agli altri di fronte, - e fra loro garzoni d'eterna gioventù trascorreranno - con coppe e bricchi e calici freschi limpidissimi - da' quali non avranno emicrania né offuscamento di mente - e frutti a piacere- e a volontà carni delicate d'uccelli - e fanciulle da' grandi occhi neri- a somiglianza di perle nascoste nel guscio, - in ricompensa di ciò che avranno operato.- E non udranno colà discorsi frivoli o eccitanti al peccato - ma solo una parola: <Pace, Pace!> - Quei della destra! Oh quei della destra! - s'aggireranno fra piante di loto senza spine - e acacie copiose di rami - e ombra ampia - e acqua scorrente - e frutti molti - mai interrotti e mai proibiti, - e alti giacigli. - e le fanciulle le creammo a nuovo - e ne facemmo vergini - amanti coetanee - per quei della destra.” (1)

Janna Giardino è la parola per antonomasia che indica il luogo nell'Aldilà riservato agli eletti.

La maggior parte delle sure che parlano del Paradiso sono quelle del periodo meccano e la descrizione è incentrata su aspetti concreti: stoffe preziose, gioielli, profumi, banchetti. Gli eletti godranno di tutto ciò con le proprie mogli e figli, in armonia, senza dolori e afflizioni, nei pressi del trono di Dio “Volti in quel giorno saranno splendenti - al loro Signore miranti" (2) .

Negli hadîth viene enfatizzata la tendenza letterale che insiste sulla realtà dei piacere sensuali; alcuni sono ritenuti autentici (sahîh) altri dubbi (da‘îf) secondo il criterio musulmano che si basa sulle linee di trasmissione degli stessi.

I più pensano che l'ubicazione del Paradiso sia sotto il Trono di Dio. I vari livelli sono collegati da porte e ognuno di essi è di solito diviso in cento gradi. Muhammad sarà il primo ad entrare e i poveri precederanno i ricchi, gli angeli li accoglieranno con una melodia araba (l'arabo è la sola lingua del Paradiso). I dotti hanno discusso sull'ubicazione dell'Eden di Adamo c'è chi sostiene che sia uno dei sette paradisi, per altri è un giardino terrestre. La maggior parte dei commentatori divide il Paradiso in:

 1) dimora della Maestà,
 2) della Pace,
 3) il giardino dell'Eden,
 4) del Rifugio,
 5) dell'Immortalità,
 6) dell'Firdaws,
 7) delle Delizie,

 altri testi pongono il Firdwas al vertice, e altri ancora l'Eden.

In Paradiso sarà sempre primavera, un giorno in esso corrisponde a cento sulla terra; è fatto di muschio, oro e argento, i palazzi sono d'oro e pietre preziose. Quattro fiumi sgorgano da montagne di muschio, nelle vallate crescono piante dai frutti meravigliosi. Vi sono cavalli e cammelli. Tutti gli eletti hanno la statura di Adamo e gli anni di Gesù. Nell'aria si ode una melodia meravigliosa, quella più bella di tutte, è la voce di Dio

Nel Corano la parola hûr (3) indica le giovani fanciulle vergine promesse ai credenti. La radice di questa parola è collegata all'idea di “bianchezza” in particolare ai grandi occhi della gazzella e al contrasto tra il bianco dell'occhio e il nero della pupilla, hawrâ’ è una donna dai grandi occhi neri e dalla pelle molto chiara.

Quasi tutti i versetti che parlano di hûrî sono del periodo meccano, quando è particolarmente sentitoda Muhammad il tema del Giudizio Universale.

I versetti coranici ci dicono che non sono mai state toccate né dagli uomini né dai jinn, la sostanza da cui sono state create per alcuni è lo zafferano, per altri sono di zafferano, muschio, canfora e ambra. I loro muscoli sono delicati e i loro tendini paiono fatti di fili di seta. Sui loro seni sono iscritti due nomi: da una parte quello Dio, sull'altro quello del proprio marito. Vivono in castelli con 70 letti, hanno 33 anni come i loro mariti, la loro verginità viene rinnovata eternamente, il loro corpo è sempre puro, non hanno mestruazioni, bisogni umani.

Le donne che in vita sono state virtuose in Paradiso si ricongiungeranno al proprio marito e lì continueranno la loro vita insieme. Se una donna in vita ha avuto più mariti ne sceglierà uno, mentre gli uomini poligami avranno diritto a tutte le mogli legittime. I commentatori però non dicono nulla sulla sorte di quelle donne che andranno in Paradiso, ma che in vita non sono state sposate.

Su questa base coranica la tradizione ha aggiunto dettagli dando alle hûrî un carattere molto sensuale. Non tutti gli esegeti hanno accettato questa idea prettamente materialista, al-Baydâwî (4) dice che non si possono fare raffronti tra il godimento del cibo, delle hûrî, la condizione umana terrena è altra rispetto a quella del Paradiso, certo è che la mentalità popolare musulmana è permeata da questi concetti. E' solo in un hadîth che si parla delle 70 vergini che attendono tutti gli eletti, non solo i martiri.

Dal punto di vista delle scuole religiose abbiamo tre attitudine fondamentali.

a) Per i mutaziliti (5) i passaggi antropomorfi relativi a Dio e ai suoi atti devono essere interpretati metaforicamente, al contrario i piaceri del Paradiso sono reali, ma vanno escluse le esagerazioni. Negano la visione di Dio in Paradiso e pensano che sarà creato al momento della Resurrezione.

b) I primi ashariti (6) accettano l'antropomorfismo del testo coranico, la visione oculare di Dio come “la luna nel cielo”. Il Paradiso esiste da sempre, i piaceri sono reali, ma di una natura che non è comprensibile dalla condizione umana in base al principio del “bilâ kayf”, (senza come).

c) Gli ultimi ashariti, forse influenzati dalla filosofia, adottano l'interpretazione metaforica della descrizione del Paradiso e più che sui piaceri sensuali mettono l'accento sulla presenza divina che impregna le anime degli eletti.

Per i filosofi la vita futura inizia con la morte individuale, Ibn Sînâ (7) e Ibn Rušd (8) nelle loro opere non negano la realtà della Resurrezione, ma il racconto coranico è stato fatto per gli “uomini semplici” che non possono comprendere simboli e allegorie. Per gli uomini saggi il Paradiso è il luogo in cui saranno uniti tramite una sostanza intellegibile all'Intelletto Universale. I primi sufi pur prendendo alla lettera il testo coranico focalizzano la loro attenzione alla felicità della visione di Dio. Col passare del tempo, gli aspetti sensuali verranno rimossi per lasciare spazio al senso spirituale come nell'opera di Ibn ‘Arabî (9). Se pur guardati con sospetto dagli ‘ulamâ, le idee dei filosofi e dei sufi grazie, soprattutto, al diffondersi delle confraternite ebbero un'influenza reale sulle popolazioni musulmane.

Con al-Ghazâlî (10) si giunse alla sintesi più importante fra queste varie correnti. Al-Ghazâlî afferma la realtà della visione di Dio, i piaceri del Paradiso sono incomprensibili dalla mente umana per questo vengono descritti in termini terreni. Afferma la realtà della resurrezione dei corpi negata dai filosofi.

In epoca contemporanea i manuali popolari di teologia contengono pochi accenni al Paradiso, quello di al-Bâjûrî segue la linea ašarita della realtà letterale senza “chiedere come”, ammettendo però in alcuni casi una doppia lettura.

Con Muhammad ‘Abdul, riformista egiziano del diciannovesimo secolo, se da un lato si riafferma il senso letterale del testo, e il “bilâ kayf” è ripreso nel caso delle hûrî, muove però anche delle critica alle fonti tradizionali accettando solo gli hadîth con più linee di trasmissione.

Per Rashîd Ridâ (11) i piaceri spirituali promessi sono superiori a quelli sensuali, le iperbole delle descrizioni si devono alla lingua araba, ogni eletto avrà oltre alla moglie terrena una sola hûrî. La visione di Dio non è un fatto basilare della fede musulmana.

Note


(1) Corano, LVI 8-38.

(2) Corano, LXXV 22-23.

(3) Nelle lingue occidentali la parola entrata in uso è quella persiana singolare hûrî.

(4) Giurista, teologo, grammatico , morto alla fine del 1200, l'opera più conosciuta è un commentario al Corano diffusissimo nel mondo arabo.
(5) Seguaci di una delle più importanti scuole teologiche musulmane nata a Basra all'inizio dell'VIII secolo, sono considerati i “razionalisti” dell'Islam , “la ragione come criterio della Legge” è il loro principio.

(6) Scuola teologica dei seguaci dei Abû 'l-Hasan al-Aš‘arî nato a Basra nel 873 -4 morto a Bagdad nel 935-6. A partire dal XIV secolo diviene sinonimo di “ortodossia” religiosa che permane per certi aspetti tuttora.

(7) Avicenna.
(8) Averroé.
(9) Uno dei più grandi sufi nato a Murcia il 27-8-1165 morto a Damasco il 16-11-1240.
(10) Uno dei più grandi pensatori musulmani,: teologo, giurista, mistico, riformatore religioso., nato a Tus 1058 morto a Naysapur 1111.
(11) Uno dei più importanti autori musulmani (1865-1935) legato soprattutto al giornale da lui fondato nel 1898 al-Manâre diretto fino allla morte.

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Mercoledì, 02 Novembre 2005 00:36

Oltre la paura (Giuseppe Scattolin)

Magdi Allam condanna un certo "pacifismo irresponsabile", che, sotto la nobile parola "pace", propone un disarmo unilaterale di fronte alle manovre di propaganda e di conquista tipiche di questi movimenti islamici militanti ed estremisti.

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Il martirio nell'Islam
prima parte
di Maria Domenica Ferrari

Nel Corano la parola šahîd (1) è impiegata con il significato di testimone in senso legale. Per i commentatori musulmani in alcuni versetti, però, šahîd si deve interpretare nel senso di martire (2).

Gli islamologi Wensinck e Goldziher pensano invece che il sovrapporsi dei sensi sia post-coranico e si debba a un prestito dal siriaco. Tra i cristiani della Siria si era infatti stabilito una connessione linguistica tra l'atto di testimonianza ed il martirio. Per i musulmani questa equivalenza non è però così evidente. Nel Corano non c'è legame tra l'idea di morte sul “sentiero di Dio” e l'atto di testimonianza e questo per le condizioni storiche in cui si sviluppò l'islam: i primi martiri furono i morti in combattimento. I dotti musulmani si trovarono così di fronte al problema di giustificare in che modo il martire fosse divenuto anche testimone. Dalle soluzione adottate sembra che in realtà non sapessero perché le due idee si unirono.

Come detto, i primi martiri sono i morti nelle battaglie e la devozione popolare ricorda in particolare questi compagni di Muhammad che si lanciavano in combattimento con coraggio mentre la tradizione letteraria riporta le loro gesta e li abbellisce.

Ai martiri vengono risparmiate le sofferenze della morte, andranno direttamente in Paradiso senza passare per il Giorno del Giudizio e sederanno presso il trono di Dio. Il Paradiso promesso dal Corano viene così descritto: “ma coloro che credono e operano il bene li faremo entrare in giardini alle cui ombre scorrono i fiumi dove resteranno in eterno, sempre, e avranno ivi spose purissime, e li faremo entrare in ombrosa ombra.” (IV; 57).

I martiri sono divisi in due gruppi che si differenziano per lo speciale rito di sepoltura, riservato al primo “i martiri di questo mondo e dell'altro” cioè i “martiri in battaglia” e al secondo gruppo coloro che sono martiri solo nell'altro mondo.

Il corpo del martire del primo gruppo, per la maggioranza dei giuristi, non deve essere lavato, come previsto dal rito della sepoltura e viene sepolto con i vestiti che indossava al momento della morte, ma non con le armi.

Sul fatto di pregare sui martiri vi è divisione; alcune fonti dicono che Muhammad l'abbia fatto in occasione della battaglia di Uhud, altre lo smentiscono. La preghiera non è necessaria poiché in virtù del martirio viene purificato dai peccati.

Con il la fine dell'espansione territoriale l'idea di martirio ebbe uno sviluppo interno alla Comunità musulmana. L'ideale del martirio marcò i Kharigiti (3), che si definivano i “venditori” in quanto vendevano la propria vita terrena in cambio del Paradiso. Non combattevano contro gli infedeli, ma per un ideale di giustizia e purezza e il martirio era lo scopo perseguito.

I conflitti interni alla Comunità musulmana sono la base su cui si appoggia la formazione del pensiero sciita del martirio. A Karbalâ’ nel 680 Husayn, figlio di ‘Ali e nipote di Muhammad, fu ucciso con il suo seguito, tra cui donne e bambini, per ordine del califfo ommaiade Yazîd. Nel pensiero religioso sciita la morte di Husayn assumerà il significato di morte redentrice di valenza cosmica. La rievocazione del fatto è l'avvenimento principale del calendario religioso degli sciiti, ma i dotti, se da un lato lo venerano, dall'altro si sono ben guardati da farne un modello d'imitazione.

L'influenza del sufismo, che privilegia la spiritualità rispetto agli atti esterni e il quietismo musulmano che si contrappone all'islam militante di gruppi ribelli come quello kharigita, accentuano l'allargarsi del concetto di martirio raggiungibile da tutti i devoti musulmani.

Il martirio è alla portata tutti coloro che coscientemente vivono gli obblighi del buon musulmano, e la morte diviene un elemento secondario.

La categoria dei martiri con il passare del tempo si allargò sempre più includendo morti di vario genere:

a) i morti per morte violenta o prematura: comprende chi muore mentre sta servendo Dio, chi è ucciso per il proprio credo, chi muore per incidente o malattia, incluse le donne morte per il parto, chi muore per un'amore non corrisposto, rimanendo casto e chi muore lontano da casa emigrato a causa di persecuzione.

b) i morti di morte naturale come coloro che stanno compiendo il pellegrinaggio, chi sta pregando, chi durante la vita si è comportato virtuosamente.

c) coloro che si impegnano nel “grande jihâd", quello all'interno di se stessi.Un famoso hadîth dice che l'inchiostro dei dotti ha maggior peso del sangue dei martiri.

Tra i sufi abbiamo uno sviluppo indipendente del martirio che culmina con al-Hallâj (m. 922) crocifisso con l'accusa di essere blasfemo per aver affermato l'unione mistica con Dio con la celebre frase: “Ana 'l -haqq” Io ( Dio) sono la Verità.

In seguito al colonialismo l'idea di martirio da pio ideale si trasforma e riacquista le caratteristiche di lotta militante. Contro il quietismo medioevale e i moderni riformisti si colloca Hasan al-Banna (1906-1949) il fondatore dei Fratelli Musulmani per cui non solo il jihâh è un dovere individuale, ma invita ogni musulmano a prepararsi all'idea di martirio. Questa ricerca del martirio ricorda quella dei Kharigiti condannati dai dotti musulmani. I recenti atti di suicidi con bombe sono germogli di questa idea militante.

Nella Sciia moderna si è assistito a un processo simile: il martire cede la sua vita per un'ideale più importante e duraturo. L'ayatollah al-Taliqanî ( 1910-1979) citando il poeta sufi al-Rûmî dice che il martirio è parte di una catena di sacrificio che rende perfetto l'imperfetto.

Note

(1) Nell'arabo odierno šahîd indica il martire, šâhid invece è il testimone giuridico. (2) III, 140 “.....e noi alterniamo fortuna e sfortuna fra gli uomini, perché Dio possa riconoscer coloro che credono e trasceglierne Martiri; ma Dio non ama gli iniqui”. Altri traduttori hanno scelto invece testimoni. (3) Sono coloro che non accettarono l'arbitrato tra ‘Ali e il governatore della Siria Mu‘âwiya, contestarono l'istituzione di un tribunale umano per questioni divine ed uscirono dalla comunità (Kharaja in arabo). La maggior parte di questi primi musulmani dissidenti erano lettori di Corano.



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Credo che sia essenziale dare agli immigrati, e soprattutto ai giovani, la possibilità di vivere in mezzo alla gente del posto e di condividere la quotidianità; è la miglior maniera di costruire insieme un progetto comune e una comune cittadinanza.

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Mercoledì, 27 Luglio 2005 02:23

Il suicidio (Maria Domenica Ferrari)

Il suicidio
di Maria Domenica Ferrari


Dio è il creatore, la vita è un suo dono e nessuno ha il diritto di interromperla. Il suicidio è proibito nell'islam”.

Nel Corano non ci sono passaggi che proibiscono formalmente il suicidio e i versetti che spesso sono citati a tale riguardo (IV 29; II 85) in realtà esprimono un senso di reciprocità (1).

La parola araba usata: intihâr significa uccidersi sgozzandosi; col tempo si è estesa a tutti i tipi di suicidio e con questo senso è usato in arabo moderno, turco e persiano.

Gli hadîth riportano la condanna di Muhammad: il suicida sarà escluso dal Paradiso e all'Inferno avrà come castigo la ripetizione del suo gesto (2). Muhammad inoltre avrebbe rifiutato di pronunciare le orazioni funebri per un suicida.

Per questo motivo dal punto di vista giuridico i dotti musulmani dovettero esprimersi in caso di suicidio sull'ammissibilità delle preghiere funebri, e l'opinione più caritatevole fu quella che prevalse.

Il suicidio è considerato un peccato grave, talvolta è sentito più dell'omicidio.

I problemi coniugali sono poco presenti come motivo di suicidio, non si sa se per mancaza di informazioni o per il clima sociale. Vero è che un suicidio nella vita di tutti i giorni era ed è camuffato per non farlo apparire tale.

Dall'analisi delle fonti storiche a disposizione pare che il numero sia stato scarso.

Nei paesi musulmani, tranne Giordania e Turchia, non vengono riportati nelle statistiche i dati relativi al numero dei suicidi.

La sensazione, però, è che nell'ultimo decennio il numero sia aumentato tra i musulmani che vivono in paesi non-musulmani come Gran Bretagna e Nord America.

La riprobazione che accompagna questo gesto, tuttavia, non fa del suicidio un argomento proibito, nelle fonti storiche e in letteratura è presente.

L'intenzione di suicidarsi può essere usata come arma psicologica come dal celebre sûfî Abû al-yasan al-Nûri per costrigere Dio a confermare la sua santità con un piccolo miracolo, il fatto provocò la forte riprovazione di al-Junayd (3).

In senso figurato è molto usato per indicare comportamenti volontari che espongono al pericolo come nel caso di una guerra o di digiuno. Sotto forma di metafora indica uno sforzo straordinario.

Talvolta sono citati i suicidi dell'epoca pre-islamica più celebri come re Saul, Giuda Iscariota, Cleopatra. Il costume indiano del sacrificio delle vedove è visto come una propensione di questo popolo.

I casi di non-musulmani che per rimanere fedeli alle proprie opinioni scelgono il suicidio sono riportati tra il disgusto e l'ammirazione.

Nelle opere di adab (4) è la “giusta” conclusione di una storia d'amore non corrisposta o illecita. Nel romanzo Vìs u-Râmîn (5) per l'eroina è naturale giungere al suicidio.

Il sostrato filosofico-popolare ellenico aiutò l'accettazione dell'idea che la morte è preferibile a una vita senza amore o insopportabile, opinione inconcepibile per i dotti musulmani.

Nella seconda parte dell'articolo verrà trattato il concetto di martirio nell'Islam e il rapporto tra martirio e suicidio.

Note

(1) Bausani, traduce “ non uccidersi” ma mette in nota che dal contesto sarebbe più esatto tradurre “non uccidetevi tra voi”. I commentatori musulmani accettano entrambe. La traduzione francese di D. Masson sceglie la seconda e non parla della prima possibilità.

(2) Bukhârî Sahih, hadîth 2245-2246

(3) Celebri sûfî al-Nûri (m. 907) Junayd (m.910) fu maestro di Hallâg; quasi tutte le confraternite lo includono nella loro catena di origine.

(4) Genere letterario adab è una parola che indica buone maniere, raffinatezza di pensiero, buon gusto. Testi tipici sono i manuali destinati all'educazione dei giovani di ceto elevato.

(5)
Primo poema cortese della letteratura persiana di circa 9000 versi scritto da Gurgâni (m. 1055 circa), godette di ampia popolarità influenzando l'epica cavalleresca giorgiana. Assomiglia al romanzo Tristano e Isotta.

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Quello che segue vuol essere un breve elenco di donne musulmane (arabe e non arabe) che si distinguono per il loro impegno personale o per responsabilità di governo nella difesa e promozione della condizione femminile.

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Che cosa significa essere un musulmano nel 2005 in una società laica? Islam e modernità sono incompatibili?

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