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Sabato, 15 Gennaio 2005 13:52

Icone mariane russe

Nel corso della consultazione è possibile ascoltare i brani elencati di seguito

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Sabato, 15 Gennaio 2005 12:44

Inno Akathistos alla Madre di Dio

INNO AKATHISTOS

traduzione di P. Ermanno M. Toniolo OSM
Ed. Centro di Cultura Mariana, Roma

Ascolta l'inno

 

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Ode 7

Nel meraviglioso fondersi dei suoni

si sente il Tuo richiamo.

Tu ci guidi alle soglie del paradiso futuro e dei cori degli angeli

nell'armonia di voci,

nell'altezza delle bellezze musicali,

nello splendore delle creazioni artistiche.

Tutta la vera bellezza trasporta con potente richiamo l'animo verso di Te,

e la spinge estatica a cantare: Alleluia!

Ikos

Con il soffio del Tuo Santo Spirito

Tu illumini la mente di artisti, poeti, scienziati.

Con la forza della Somma Coscienza

intuiscono profeticamente le Tue leggi,

che rivelano l'abisso della Tua sapienza creatrice.

Le loro opere parlano senza volerlo di Te.

Come sei grande in ciò che hai creato,

come sei grande nell'uomo.

Gloria a Te che hai mostrato una forza senza eguali nelle leggi dell'universo

Gloria a Te, tutta la natura è colma delle leggi del Tuo essere;

Gloria a Te per tutto ciò che hai rivelato nella Tua misericordia;

Gloria a Te per tutto ciò che hai nascosto nella Tua saggezza;

Gloria a Te per la genialità della mente umana;

Gloria a Te per la forza vivificante del lavoro

Gloria a Te per le lingue di fuoco dell'ispirazione.

Gloria a Te, o Dio, nei secoli.

 

Ode 8

Come sei vicino nei giorni della malattia;

Tu stesso visiti i malati,

Tu stesso Ti chini sul letto di chi soffre

e il cuore Ti parla.

Nel momento del dolore e della sofferenza

illumini l'anima di pace,

invii un aiuto inaspettato.

Tu sei il consolatore

Tu sei l'amore che veglia e salva,

a Te cantiamo il canto: Alleluia!

Ikos

Quando, da piccolo, Ti ho invocato per la prima volta consapevolmente,

Tu hai ascoltato la mia preghiera

e hai colmato il mio cuore di pace benedetta.

Allora ho capito che Tu sei buono

e beati quelli che ricorrono a Te.

Ho cominciato a invocarti notte e giorno,

e anche adesso Ti chiamo:

Gloria a Te che colmi di beni il mio desiderio;

Gloria a Te che vegli su di me giorno e notte;

Gloria a Te che curi le afflizioni e il vuoto con lo scorrere salutare del tempo;

Gloria a Te, in cui non c'è perdita irreparabile, Tu doni a tutti la vita eterna;

Gloria a Te che hai reso immortale tutto ciò che è buono e alto, che hai promesso l'incontro desiderato con i nostri morti;

Gloria a Te, o Dio, nei secoli.


  
 

Ode 9

Perché nei giorni di festa

tutta la natura sorride misteriosamente?

Perché allora nel cuore si spande una levità divina

che non ha paragoni sulla terra,

e anche l'aria del santuario e della chiesa diventa luminosa?

E il soffio della Tua grazia,

il riflesso dello splendore del Tabor:

allora il cielo e la terra cantano la lode: Alleluia!

Ikos

Quando Tu mi ispiravi a servire i fratelli

e colmavi di umiltà il mio animo,

uno dei Tuoi infiniti raggi ha penetrato il mio cuore,

e il cuore è diventato luminoso, come ferro arroventato nel fuoco.

Ho visto il Tuo volto misterioso, irraggiungibile.

Gloria a Te che hai trasfigurato la nostra vita con le opere di bene;

Gloria a Te che hai impresso un'ineffabile dolcezza in ogni Tuo comandamento;

Gloria a Te che ti manifesti là dove si spande l'effluvio della misericordia;

Gloria a Te che ci mandi insuccessi e afflizioni perché impariamo a comprendere il dolore degli altri;

Gloria a Te che hai posto una grande ricompensa nel valore del bene;

Gloria a Te che accogli lo slancio del cuore;

Gloria a Te che hai posto più in alto l'amore di tutto ciò che è nei cieli e in terra;

Gloria a Te, o Dio, nei secoli.

Ode 10

Non si può ricostruire

ciò che è ridotto in polvere,

ma tu rigeneri la coscienza incenerita.

Tu rendi l'antica bellezza

all'anima che l'aveva perduta senza speranza.

Con Te non esiste l'irreparabile.

Tu sei amore,

Tu creatore e rigeneratore.

Ti lodiamo cantando: Alleluia!

Ikos

Dio mio considera la caduta dell'orgoglioso angelo del mattino,

salvami con la forza della Tua grazia,

non permettere che mi allontani da Te,

non permettere che io dubiti di Te.

Affina il mio orecchio,

che per ogni minuto della mia vita

io possa ascoltare la Tua misteriosa voce,

che possa invocarti,

Tu che sei presente in tutte le cose:

Gloria a Te per le circostanze che la Tua provvidenza mi dispone;

Gloria a Te per le indicazioni della voce del cuore;

Gloria a Te per le rivelazioni nel sonno e da sveglio;

Gloria a Te che distruggi le nostre inutili fantasticherie;

Gloria a Te che con le sofferenze ci sollevi dall'ebbrezza delle passioni;

Gloria a Te che ci salvi umiliando l'orgoglio del cuore;

Gloria a Te, o Dio, nei secoli.

Ode 11

Attraverso la gelida catena dei secoli

sento il calore del Tuo divino respiro,

sento il sangue che pulsa.

Tu sei ormai prossimo:

parte del tempo si è già dissolta.

Vedo

la Tua Croce:

io ne sono stato la causa.

L'anima mia è prostrata nella polvere davanti alla Croce:

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«Bisognerà imparate di nuovo a respirare pienamente con due polmoni, quello occidentale e quello orientale ». (Giovanni Paolo II)

Protoierej Grigorij Petrov:

Inno akatistos di ringraziamento

Sia lode a Dio per tutto

L'akatistos è una forma di preghiera popolare dei cristiani bizantini; è un inno di lode entrato nell'uso liturgico e abitualmente officiato nelle chiese. Il primo akatistos conosciuto fu scritto nell'VIII secolo ed è una lode alla Vergine Maria, ma almeno altri 30 akatistoi su vari temi sono d'uso corrente nelle chiese in Russia.
L'inno akatistos è composto da 12 odi, ciascuna delle quali è suddivisa in 2 parti: la prima conclusa da un «Alleluia», mentre la seconda, più lunga, termina con una litania. L'akatistos può essere cantato o salmodiato da un sacerdote mentre il coro ripete l'Alleluia e l'invocazione finale delle litanie. Quest'ultima invocazione costituisce il ritornello dell'inno. Pur essendo generalmente un canto di lode, l'akatistos può terminare, come in questo che presentiamo, con una supplica.

Il presente inno di ringraziamento è stato scritto prima di morire nel lager da Grigorij Petrov.
Il titolo, «Sia lode a Dio per tutto», è la nota frase pronunciata da Giovanni Crisostomo morente di stenti sulla via dell'esilio. A secoli di distanza un altro «testimone» della fede cristiana prima della morte esprime il proprio sentimento di ringraziamento a Dio per tutto, «per ogni sospiro della mia tristezza» come «per ogni istante di gioia». Sono degne di nota in questo inno la sensibilità poetica e la profondità dell'ispirazione.

Ode 1

Incorruttibile Re dei secoli,

con la potenza del Tuo disegno di salvezza

reggi nella destra tutte le strade della vita umana.

Ti ringraziamo per tutti i Tuoi benefici

manifesti e nascosti,

per la vita terrena e per le gioie celesti del Regno futuro.

Accorda, anche in futuro, la Tua misericordia

a noi che cantiamo:

Gloria a Te, Dio, nei secoli.

Ikos

Sono nato bimbo debole e indifeso

ma il Tuo angelo ha disteso le ali sulla mia culla,

le sue ali di luce per proteggermi.

Da allora il Tuo amore illumina il mio cammino,

mi guida mirabile verso la luce dell'eternità.

Dalla mia nascita fino ad oggi

I doni munifici della Tua provvidenza mi sono gloriosamente manifesti.

Ti ringrazio con tutti quelli che hanno imparato a conoscerti e Ti invoco:

Gloria a Te che mi hai chiamato alla vita,

Gloria a Te che mi hai fatto conoscere la bellezza dell'universo,

Gloria a Te che hai aperto cielo e terra davanti a me come un libro di sapienza eterna

Gloria alla Tua eternità in questo mondo che passa

Gloria a Te per la Tua misericordia manifesta o nascosta,

Gloria a Te per ogni sospiro della mia tristezza

Gloria a Te per ogni passo della vita, per ogni istante di gioia,

Gloria a Te, o Dio, nei secoli.


 

Ode 2

Signore, come è bello essere Tuo ospite:

brezza odorosa;

montagne protese verso il cielo;

acque come specchi senza limite

che riflettono l'oro dei raggi e la leggerezza delle nubi.

Tutta la natura mormora misteriosa, colma di tenerezza;

uccelli e bestie della foresta portano il segno del Tuo amore.

Sia benedetta la nostra madre terra e la sua bellezza effimera,

che risveglia la nostalgia della letizia eterna,

là dove nella bellezza incorruttibile risuona: Alleluia!

Ikos

Mi hai introdotto in questa vita

come in un paradiso incantato.

Abbiamo visto il cielo come un calice di blu intenso

dove nell'azzurro cantano gli uccelli.

Abbiamo ascoltato il mormorio pacificante del bosco

e la musica melodiosa delle acque.

Abbiamo gustato frutti saporiti e profumati e il miele odoroso.

Si vive bene con Te sulla terra;

è una gioia essere Tuo ospite.

Gloria a Te per la festa della vita;

Gloria a Te per il profumo dei mughetti e delle rose;

Gloria a Te per la gustosa varietà delle bacche e dei frutti;

Gloria a Te per lo scintillio argenteo della rugiada mattutina;

Gloria a Te per il sorriso di un risveglio luminoso;

Gloria a Te per la vita sempre nuova che annuncia la vita del cielo.

Gloria a Te, o Dio, nei secoli.


 

Ode 3

È lo Spirito Santo che ci fa gustare ogni fiore,

il profumo soave che emana,

la delicatezza del colore,

la bellezza dell'Altissimo nel piccolo.

Gloria e onore a Dio datore di vita:

distende i prati come un tappeto di fiori,

corona i campi con l'oro delle spighe e l'azzurro dei fiordalisi

e dona all'anima la gioia di contemplare.

Rallegratevi e cantate a Lui: Alleluia!

Ikos

Come sei splendido nel tempo della primavera,

quando ogni creatura risorge

e in mille tonalità gioiosamente Ti invoca:

Tu sei la fonte della vita, il vincitore della morte.

Al chiarore della luna e al canto dell'usignolo

si stendono valli e monti

nei loro abiti nuziali bianchi come la neve:

tutta la terra è Tua promessa sposa,

attende lo sposo incorruttibile.

Se vesti così l'erba del campo

come trasfigurerai noi nel secolo avvenire dopo la resurrezione!

Come splenderanno i nostri corpi, come brilleranno le nostre anime!

Gloria a Te che fai emergere dall'oscurità della terra la varietà dei colori, dei sapori e dei profumi;

Gloria a Te per la cordialità e tenerezza di tutta la natura;

Gloria a Te per le mille creature che stanno attorno a noi;

Gloria a Te per la profondità del Tuo intelletto di cui il mondo intero porta l'impronta;

Gloria a Te: bacio devotamente le tracce del Tuo passaggio invisibile;

Gloria a Te che hai acceso davanti a noi la chiara luce della vita eterna;

Gloria a Te per la speranza della bellezza sublime e incorruttibile dell'immortalità;

Gloria a Te, o Dio, nei secoli.



 

Ode 4

Come riempi di dolcezza coloro che pensano a Te,

come è vivificante la Tua santa parola.

Parlare con Te è più gradevole dell'unguento,

più dolce dei favi di miele.

Pregarti eleva lo spirito e rincuora l'anima.

Il cuore è percorso da un fremito,

la natura e la vita si mostrano maestose e sagge.

Dove non sei regna il vuoto.

Quando sei presente l'anima è nell'abbondanza,

il suo canto risuona come un torrente di vita: Alleluia!

Ikos

Quando tramonta il sole,

quando regna la pace del sonno eterno

e il silenzio del giorno che si spegne,

vedo la Tua dimora negli splendidi palazzi di raggi filtrati fra le nubi.

Fuoco e porpora, oro e azzurro

parlano profeticamente dell'ineffabile bellezza della Tua dimora

e ci chiamano maestosamente:

andiamo verso il Padre.

Gloria a Te nell'ora silenziosa della sera;

Gloria a Te che hai riversato sul mondo una grande pace;

Gloria a Te per l'ultimo raggio del sole al suo tramonto;

Gloria a Te per il riposo del sonno benefico;

Gloria a Te per la Tua bontà nelle tenebre, quando tutto il mondo è lontano;

Gloria a Te per le preghiere commosse dell'animo trepidante;

Gloria a Te per la promessa del risveglio nella gloria dell'ultimo giorno senza sera;

Gloria a Te, o Dio, nei secoli.

Ode 5

Non fanno paura le tempeste della vita

se nel cuore splende la lampada del Tuo fuoco.

Intorno uragano e tenebre

terrore e l'ululato del vento,

ma nel cuore luce, pace e silenzio

nella presenza di Cristo.

E il cuore canta: Alleluia!

Ikos

Vedo il Tuo cielo splendente di stelle.

Come sei ricco, sfolgorante di luce!

L'eternità mi guarda

con i raggi degli astri lontani.

Io sono piccolo e misero

ma il Signore mi è accanto,

la Sua destra amorevole mi custodisce dovunque.

Gloria a Te che vigili su di me senza tregua;

Gloria a Te per gli incontri che mi disponi con gli uomini;

Gloria a Te per l'affetto dei genitori, per la fedeltà degli amici;

Gloria a Te per la mitezza degli animali che mi servono;

Gloria a Te per gli istanti luminosi della vita;

Gloria a Te per la limpida gioia del cuore;

Gloria a Te per la gioia di vivere, di muovermi e di contemplarti;

Gloria a Te, o Dio, nei secoli.


Ode 6

Come sei grande e vicino nel moto possente della tempesta,

come si manifesta la potenza della Tua destra nell'arco accecante della folgore,

com'è meravigliosa la Tua grandezza.

La voce del Signore si stende sui campi,

parla nello stormire dei boschi.

La voce del Signore è nel tuono e nella pioggia,

la voce del Signore su tutte le acque.

Lode a Te nel fragore delle montagne incendiate.

Tu scuoti la terra come un vestito,

Tu innalzi fino al cielo le onde del mare.

Lode a Te che umili l'orgoglio dell'uomo

e fai prorompere da lui il grido di penitenza: Alleluia!

Ikos

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Sabato, 15 Gennaio 2005 11:09

Vita e fondamenti - Spunti preliminari.

Vita e fondamenta

Spunti preliminari





Ti suggerisco di far precedere, il suddetto programma, da contatti con le fonti qui di seguito indicate; ti possono essere di aiuto, perciò tieni presente che:

Per meditare è necessario muoversi all’interno della propria vita di fede e contemplare le meraviglie che Dio opera, perciò ti suggeriamo di visitare con cura:

-La solitudine contemplativa, vedi: www.regnatvivus.it area “esperienze formative”, rubrica “meditazione” .

Se seguirai le indicazioni e ti porrai fiduciosamente nella mano di Dio sperimenterai quello che i mistici chiamano “il gusto di Dio”; ovviamente ti preghiamo di non immaginare sensazioni straordinarie.

Per meditare è anche indispensabile raggiungere il senso della presenza di Dio. Visita perciò:

- La preghiera contemplativa, vedi: www.regnatvivus.it area “esperienze formative”, rubrica “la preghiera” .

Sii paziente e segui le indicazioni che hai visto, esse ti aiuteranno a crescere nella percezione della presenza di Dio che è il centro della tua fede.

Per meditare dovrai imparare ad assimilare ciò che hai visto, letto, udito. Perciò fare esperienza di deserto sarà per te un momento arricchente, anche se sarà un momento di prova. Visita perciò:

- Il deserto, vedi: www.regnatvivus.it area “esperienze formative”, “percorsi spirituali”

nonché:

- La lettura della Bibbia in solitudine, vedi: www.regnatvivus.it area “esperienze formative”, rubrica “la Bibbia”  che aiuterà la tua ricerca.

Ed infine se applicherai tutto te stesso alla Parola e poi applicherai tutta la Parola a te, questa crescerà in te, man mano che leggerai farà si che le “idee di Dio” ti penetrino, e così il contenuto della fede, che mediterai, ti porterà a lasciar plasmare: il tuo essere, il tuo pensare ed il tuo agire.

Visita perciò:

- La lectio divina, vedi: www.dimensionesperanza.it area “esperienze formative”, rubrica “lectio divina”
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Sabato, 01 Gennaio 2005 17:56

Sei tesine sul dialogo e Maria (Renzo Bertalot)

Le difficoltà maggiori si riscontrano nell'uso dei titoli attribuiti a Maria. La sensibilità teologica del protestantesimo ha letto nella letteratura cattolica eccessivi "abusi" che hanno stimolato la devozione popolare in base a "parallelismi" troppo marcati tra cristologia e mariologia.

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Anglicani.
Incontro con l'arcivescovo di Canterbury
"Non accade niente
 di interessante nella Chiesa
se non per opera di Gesù"
di Gianni Valente


Quando non aveva ancora due anni, Rowan Williams prese la meningite e fu sul punto di morire. I dottori dissero che quel bambino fragile per sopravvivere avrebbe dovuto trascorrere per quanto possibile una vita tranquilla. Niente a che vedere col duro lavoro che gli è toccato in sorte, da quando nel 2002 è stato eletto centoquattresimo arcivescovo di Canterbury e primate di una Comunione anglicana attraversata come non mai da dissidi dottrinali e da presagi di declino. Eppure il 54enne gallese, che 30giorni ha intervistato durante il convegno su Thomas Merton organizzato dalla Comunità di Bose dall'8 al 10 ottobre, non ha l’aria della persona angosciata. Oggi che anche tanti ecclesiastici si agitano per riaffermare e difendere il peso e lo spazio dei valori religiosi nella società postmoderna, lui ha ben presente che camminare con Gesù "comporta il rischio di non avere da dire niente che il potere possa ascoltare, il rischio di diventare una nullità nello schema di qualcuno". E cita i primi cristiani, i quali sapevano bene che "appartenere al Dio di Gesù è altra cosa rispetto ad essere un cittadino, qualcuno con chiari diritti e uno status pubblicamente riconosciuti".

Lei è diventato arcivescovo di Canterbury da quasi due anni, e sono stati anni turbolenti all'interno della Comunione anglicana. Sono noti i suoi studi sul cristianesimo del IV secolo e sulla crisi ariana. L'hanno aiutata a valutare la condizione presente del cristianesimo nel mondo?

ROWAN WILLIAMS: Qualche volta forse abbiamo costruito un'immagine troppo abbellita delle epoche passate, come se tutto andasse bene nella vita della Chiesa. Invece se si studia la storia, ti accorgi che a volte per interi decenni la Chiesa era profondamente divisa. Ma questo non vuol dire che anche in quei periodi non ci fossero verità da scoprire. Lo studio del IV secolo che ho condotto per tanti anni mi ha aiutato a vedere che le persone possono rimanere sante pur in mezzo al vortice degli eventi in tempi tribolati. E che non puoi pensare di dedurre da che parte sta la verità contando le teste. Perché in quella crisi sant'Atanasio era rimasto quasi solo a custodire la vera fede davanti all'arianesimo. In alcune situazioni occorre aspettare con pazienza. Atanasio era molto vicino alla vita monastica dei suoi tempi. E questo per me è un indizio che coloro che affidano la propria vita alla vocazione monastica hanno spesso la vista più lunga.

Anche dei primi vescovi in terra britannica lei ha esaltato la virtù della pazienza...

WILLIAMS: Il vescovo Restitutus nel 314 aveva preso parte al Concilio di Arles. Negli ultimi anni doveva essere fiducioso nel futuro della sua Chiesa, perché le cose parevano andare bene. La persecuzione era finita, l'imperatore era amico. Se fosse vissuto cento anni dopo, avrebbe visto la fine di quella iniziale civilizzazione cristiana, quando i pirati barbari travolsero tutto. Quando arrivò Mellitus, inviato da Gregorio Magno, non sembra che ci fossero più tracce di presenza cristiana. Dovette rimanere parecchio tempo in Francia, in attesa di tempi migliori, che permettessero di ricominciare. Per questo ho detto che i vescovi di Londra hanno sempre dovuto essere tenaci e pazienti...

Il nostro appare come un tempo di prova per il cristianesimo. Eppure sembra un tempo religioso e spirituale. Come spiega questo paradosso?

WILLIAMS. Uno dei tratti salienti della nostra cultura è che siamo individualisti e con un'attitudine consumistica nei confronti delle cose. Anche nella religione non si cerca quello che è vero, che è reale, ma ciò che mi offre benessere, che si può usare per sentirsi a posto. Un sentimento spirituale che tranquillizzi il resto della propria vita. Non un annuncio che irrompa nella vita come una novità, cambiando le cose. In vaste parti dell'Occidente, poi, le persone hanno il rigetto verso l'appartenenza a organizzazioni collettive. Se la Chiesa ha una crisi della propria membershtp, i partiti politici stanno anche peggio...



Il cristianesimo appare come un passato che non riguarda la vita, o addirittura come un peso. Le Chiese reagiscono cercando di riaffermare il proprio peso nella società. E moltiplicano gli interventi pubblici. Su ogni argomento.

WILLIAMS. Quando ascolto domande come questa, mi sento subito imputato. Dall'arcivescovo tutti si aspettano che parli in pubblico su tante cose. È una cosa che adesso mi tocca fare, e non è facile. Quando mi capita di incontrare dei giovani, si vede bene che quello che può attirarli alla fede non sono certo i pronunciamenti dei capi della Chiesa. Quando ero vescovo in Galles mi davo molto da fare per i giovani della diocesi, e per molti anni abbiamo avuto un eccellente ministero pastorale rivolto a loro, che consisteva principalmente nell'intrattenerli e farli divertire. Poi è arrivato un nuovo cappellano, ha organizzato subito un ritiro di preghiera con i giovani della diocesi per la Settimana santa. E in quell'occasione un ragazzo che era venuto da agnostico alla fine ha chiesto di essere battezzato. Da quel semplice fatto ho intuito che vedere gli occhi di altri che guardano al Signore è la sola cosa che fa prendere sul serio la Chiesa. Se la Chiesa qualche volta ha cose utili da dire sulla cultura e la politica beh, si può fare, e va bene. Ma la storia non finisce lì...

Cosa è la Chiesa per lei?

WILIIAMS: Ho scritto di recente sulla cristianità degli inizi, e ciò che secondo me descrive la Chiesa nei primi secoli è che è una comunità che vive seguendo un altro Re. A pensarci bene, nei tempi moderni diamo molto peso alle convinzioni teoriche delle persone, a quello che hanno nella loro testa, ma non pensiamo mai all'appartenenza reale a Cristo, dentro una comunità. La Chiesa non esiste per decisione mia o di un qualsiasi numero di persone, ma per l'azione di Dio. Noi, le nostre opinioni, le nostre prospettive, non dettiamo legge su ciò che la Chiesa è al presente. L'esperienza di tale assenza di controllo è in sé stessa salutare. Mentre a volte le Chiese sembrano agitate per questo, per l'incontrollabilità, di Gesù Cristo, per il fatto che Lui non è prigioniero dei nostri pensieri. Adesso c'è bisogno di questo riconoscimento, più che in altri momenti. Il riconoscere che siamo nella Chiesa come degli invitati, perché siamo stati chiamati. Altrimenti la Chiesa sarebbe soltanto una Litigiosa società umana.

E i litigi di certo non mancano.

WILLIAMS: Il fatto è che la Chiesa non è la comunità di persone che vanno d'accordo con noi e condividono le stesse idee. Sono persone che non scegliamo noi. Che magari non ci piacciono. Ma che sono scelte e cambiate da Gesù stesso. Non accade niente di interessante nella Chiesa se non per opera di Lui, che può redimere i nostri disastri umani. Che ha promesso di rimanere coi suoi ogni giorno, fino alla fine del mondo. E ha detto di guardare e chiedere aiuto ai piccoli, ai poveri, ai bambini.

Mi ha colpito la frase di un suo discorso, in cui lei ha detto che "l'ortodossia fluisce, sgorga dalla gratitudine, e non il contrario". Cosa intendeva dire?

WILLIAMS: Il pensiero dei primi cristiani, anche a livello teologico dottrinale, sorse dal fatto che loro vedevano di essere condotti da Gesù in una nuova vita. Le prime parole del cristianesimo sono state quelle usate per rendere gloria a Dio. La dottrina teologica è sorta riflettendo su questo. Se manca questa iniziale gratitudine e riconoscenza per il semplice fatto di Gesù, non si risolvono certo i nostri problemi solo insistendo sulla disciplina.

D'altra parte, circolano anche teologie per cui l'incarnazione di Cristo garantirebbe a priori la salvezza a tutto il genere umano e a tutto il mondo, in maniera meccanica. Concorda con queste tesi?

WILLIAMS: Il disaccordo che provo nei confronti di alcune correnti della teologia americana della creazione è sul fatto che tutto è già deciso, non lasciano spazio neanche alla possibilità che l'uomo possa dire no. Non conosco il cuore degli altri ma conosco il mio, e so che sono capace di creare disastri. Il mio professore all'Università mi ripeteva sempre che nessuna teologia può stare in piedi senza tenere in conto la possibilità del fallimento.

È noto che lei si appassiona alle vite dei santi. Quali santi le sono più cari?

WILLIAMS: Amo soprattutto santa Teresa e san Giovanni della Croce. Ho sempre avuto una predilezione per la spiritualità carmelitana. Ho letto Teresa a quindici anni. Non l'ho capita, ma sentivo che mi piaceva. Poi ho letto anche Edith Stein. Riguardo alle Chiese d'Oriente, mi sono affezionato a san Serafino di Sarov. Lo scorso anno in Russia ho potuto visitare la sua tomba.


Lei cita spesso anche sant'Agostino.

WILLIAMS: Agostino ha creato la disciplina dell'autoanalisi, dell'autocomprensione, mostrando come siamo modellati dalla nostra memoria. Oggi, nell'era postmoderna, siamo indotti a passare da sensazione a sensazione, bruciamo esperienza dopo esperienza, e non c è più storia. Mentre lui ci fa vedere che è la storia che fa la persona. Anche nel rapporto con la realtà civile, Agostino ci ha insegnato che dobbiamo cercare il bene della città in cui viviamo, del luogo in cui siamo, lavorando per la giustizia, senza identificare mai il successo di tale società con il regno di Dio. Coinvolgimento, e allo stesso tempo distacco. Come ho detto prima, noi siamo di un altro Re. Insomma, a volte dico che Agostino può anche essere considerato il fondatore della psicoanalisi e della politica moderna...

É nota anche la sua passione per la liturgia.

WILLIAMS: La liturgia ci ricorda sempre che andiamo verso il giudizio. Che le nostre vite sono poste dentro un nuovo contesto, dove noi entriamo come ospiti. Una liturgia che fosse solo la proiezione delle mie idee sarebbe qualcosa di effimero. Della liturgia che si celebra alla Comunità di Bose, ad esempio, mi piace che non è frettolosa, si prende il tempo che serve, è piena di riferimenti biblici, ed è semplice.

In tutta sincerità, come giudica il primato petrino?

WILLIAMS: Mi è chiaro che fin dall'inizio c'è stato uno speciale carisma, un servizio speciale esercitato dal vescovo di Roma per tutta la Chiesa. Ma dal momento in cui questo è diventato qualcosa di legale e rigidamente definito dal punto di vista teologico, come risulta nelle definizioni del Concilio Vaticano I, mi riesce difficile non avere riserve. Ad esempio, riguardo all'infallibilità come carisma spirituale individuale. Come scriveva il teologo anglicano Austin Farrer, l'infallibilità non dovrebbe essere considerata come una "licenza di stampare fatti". Da quando questo Papa nell'enciclica Ut unum sint ha invitato a discutere di questo tema, tutti noi, anglicani, cattolici e altri, abbiamo una buona occasione per valutare criticamente ciascuno la propria storia. Noi anglicani sperimentiamo come può essere difficile vivere in una Chiesa senza un centro chiaro di autorità. Io non voglio essere un papa. Ma ho presente il problema. So quanto è importante nelle Chiese avere una vera responsabilità l'uno verso l'altro. Nella Chiesa d'Occidente questa esigenza di un'autorità centrale storicamente si è focalizzata nel papato...

Ma si tratta solo di una costruzione storica? Il ruolo della Chiesa di Roma non sorge dal martirio degli apostoli Pietro e Paolo?

WILLIAMS: Quando io e mia moglie siamo venuti a Roma, scendendo alla tomba di Pietro siamo rimasti veramente commossi. La testimonianza apostolica di Pietro, riportata in tutto il Vangelo, si compie lì, nel suo martirio. E quando si parla di ministero petrino, si parla di questo, io penso che sia questo. Hans Urs von Balthasar, un teologo a cui sono affezionato, scrisse sul ministero petrino al tempo di Paolo VI, quando Paolo VI era criticato e attaccato da tutte le parti. E lui scrisse: ecco, adesso io vedo bene cosa è realmente il ministero petrino.

Nelle convulsioni del presente, in Occidente aumentano gli allarmi nei confronti dell'islam, che starebbe portando un sistematico attacco alla civiltà occidentale e alle sue radici cristiane. Come giudica queste interpretazioni dell'attuale momento storico?

WILLIAMS: Uno degli impegni che mi sono assunto come arcivescovo è stato quello di continuare il dialogo islamo-cristiano ad alto livello iniziato già dal mio predecessore. Alcune settimane fa sono andato in Egitto, e all'Università islamica di Al-Azhar ho parlato sulla dottrina della Trinità. In quel Paese, ad esempio, c'è una stretta collaborazione tra le nostre comunità e le comunità islamiche. Io non vedo come prospettiva obbligata quella dello scontro di civiltà. La civilizzazione cristiana deve qualcosa al mondo islamico, cosi come la civiltà islamica deve molto alla cristianità. Ebrei, cristiani e musulmani hanno una lunga storia comune. Più riconosciamo questa storia di convivenza, meglio è per il futuro. Non è neanche vero che tutto il Medio Oriente è islamico. Le antiche Chiese d'Oriente sono lì dai tempi della predicazione apostolica. Prima della guerra in Iraq ho fatto interventi pubblici e ho anche parlato privatamente con membri del nostro governo per segnalare il pericolo che sarebbe venuto, a causa della guerra, ai cristiani del Medio Oriente, che finiranno per pagare il risentimento crescente verso il mondo occidentale.

A pagare nel vortice di violenza che avvolge il mondo sono spesso i bambini. Lei ne ha parlato spesso...

WILLIAMS: Ritengo che uno dei peggiori nuovi mali degli ultimi due decenni, propriamente satanico, è l'attacco ai bambini. Quelli di Beslan, quelli iracheni o egiziani. Quelli palestinesi e quelli israeliani. O gli innocenti bambini soldato in Africa. È una connessione difficile da fare, ma anche la scelta dell'aborto la prendiamo così alla leggera... Non c'è più speranza e fiducia nel futuro dei bambini, e in queste vicende ciò si vede come in uno specchio.

(da 30giorni, n. 10, anno XXII - 2004)

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Lo statuto della donna
intervista a Ghaleb Bencheikh




Ghaleb Bencheikh el-Hocine, nato in Francia di origine algerina, dopo la laurea in fisica si è dedicato agli studi di filosofia e teologia. Il padre Abbas è stato rettore della moschea di Parigi e il fratello Soheib è il gran mufti della moschea di Marsiglia. Vicepresidente della conferenza mondiale delle religioni per la pace, animatore della trasmissione televisiva dedicata alla religione islamica, in onda la domenica mattina su France 2. In Italia è stato pubblicato Che cos'è l'Islam

Il progetto della riforma del Codice della famiglia in Algeria ha scatenato un forte confronto politico. Mentre i partigiani del progetto si difendono, i partiti islamici attaccano affermando che contraddice i testi sacri dell'islam. Ma possiamo trovare nel Corano delle prescrizioni corrispontenti a un Codice della famiglia, o a uno statuto della donna?

G. Bencheikh- Gli islamisti sono i partigiani della “ideologizzazione” della religione islamica. Vogliono farne un progetto sociale, politico, il che, in sé, è una innovazione recente nella storia dell'islam; databile, grosso modo, agli anni venti con l’affare dei Fratelli musulmani.

E' sorta come contro-riforma in relazione alla famosa nahda, la nahda è stata il rinnovamento, la rinascita a cavallo del XIX e XX sec. Dunque, ecco l'idea dell'islamismo come progetto politico, assoggettamento, statalizzazione, manipolazione della tradizione islamica, per fini sociali e politici. Non c'è nel Corano un codice ben stabilito, che sia così chiaro, esplicito come quello  a cui si riferiscono questi islamici. Perché l'idea che noi abbiamo del progresso, della modernità, della civilizzazione, è  che appartiene agli uomini di legiferare nelle questioni della città. E' vero che per i credenti musulmani, Dio parla nel Corano. Ma tutto questo è molto complicato. Per definizione se Dio è onnipotente, onnisciente, se tutto può, tutto fa, la sua parola è inesauribile. In compenso, il Corano è contingente, finito, si articola nella storia, è trasmesso all'interno di una cultura. Questo vuol dire che c'è una maniera di lasciare posto all'interpretazione degli uomini. Perciò, alcuni passaggi del Corano che sarebbero duri contro le donne, non sono da considerare ai nostri giorni che una giurisprudenza- d'origine divina per chi crede- per  un certo momento della storia, per una società particolare, nel caso la società tribale della penisola arabica del VII sec. Voler dare un valore atemporale, normativo, universale a quello che è contingente e finito, e articolato nella storia, è un grave errore. Questi passaggi del Corano che, presi tali quali, sono duri contro la donna, non si possono integrare nella grande opera sociale di questo inizio secolo. Semplicemente bisogna dire che sono caduti in disuso. La loro incidenza sociale è caduca. Ciò a cui fanno allusione è obsoleto. Ai nostri giorni, per esempio, non si può domandare seriamente che in caso di testimonianza ci debbano essere due donne per un uomo. E' un attacco gravissimo alla dignità della donna.

Nonostante ciò le autorità algerine affermano a viva voce che il codice della famiglia deve rispettare la šarî‘a..

Nel 1984, quando il Codice della famiglia è stato adottato, la pusallimità, l’apatia, la vigliaccheria del legislatore, cedendo alle sirene islamiche che tuonavano, a fatto si che si sia stati più realisti del re. In questo codice ci sono cose che la stessa šarî‘a -parola che non vuol dire altro che legge di ispirazione religiosa-, nella sua forma più rigida, non ha previsto. Un esempio: quando una donna divorzia, questa šarî‘a prevede che lei abbia la custodia dei figli, che resti a casa. Ora il Codice di famiglia non le ha concesso ne la custodia dei figli, ne l'abitazione, ciò è iniquo. Recentemente si è ritornato su questi casi gravi, ma a mio parere si è ancora molto al di qua di ciò che bisognerebbe dire e fare per avere semplicemente un Codice civile, per le questioni matrimoniali, che rispetti la dignità umana della componente femminile, come di quella della componente maschile.

Cosa risponde a chi, pretendendo di basarsi sui testi sacri e la tradizione islamica, dice che la donna non è uguale all'uomo? O che “deve obbedire all'uomo”?

Obbedire a cosa e per cosa? Perché vorremmo che all'interno della coppia ci fosse una relazione dominante- dominato, uno che ordini e qualcuno che deve obbedire? Non ha senso! Ed è pure in contraddizione con la Costituzione algerina che prevede che una cittadina possa postulare alla magistratura suprema. Allora come potremmo volere che il più alto magistrato del paese, il capo dell'esercito, colui che incarna la nazione e lo Stato, debba obbedire, nelle considerazioni private e famigliari, a uno dei suoi amministrati? Non è serio. Per quanto concerne i testi sui quali ci si fonda, a livello ontologico, dell'uguaglianza innata, vera, non c'è differenza tra uomo e donna. Non c'è nel Corano che la donna è nata dalla costola dell'uomo, non c'è che lei è la tentata e la tentatrice a sua volta, non c'è una teologia che fa della donna la causa di tutti i nostri peccati, di tutti i nostri mali. In compenso, a livello statutario, ci sono dei passaggi che affermano, ahimè! una preminenza dell'uomo rispetto alla donna in certi casi: la testimonianza, a cui mi riferivo poco fa, la poligamia, l'eredità, e questa storia del velo. Ma anche là, bisognerebbe saperli relativizzare al loro contesto, spiegare perché sono stati rivelati a quell’ epoca. Sono questi passaggi che ai giorni nostri i giureconsulti maschilisti, sessisti, fallocrati, misogeni, hanno preso a pretesto per giustificare la soggezione della donna. Ma questo modo di piegare il religioso per delle considerazioni, psicologiche, personali, politiche, sociali non ha fondamento legittimo a livello di esegesi, di interpretazione.

Prendiamo l'eredità. E' vero si dice che alla donna va la metà di ciò che spetta all'uomo. Ma e il “ma” è di peso, in primo luogo lei prima non ereditava: il fatto di darle una parte di eredità, è riconoscerla come soggetto, autrice del suo destino, mentre prima faceva parte del patrimonio allegato, del bene trasmissibile. Certo non ha che la metà dell'eredità, ma non è tenuta, religiosamente,a sovvenire ai bisogni della famiglia; all'epoca era il marito che ne aveva il dovere. Ai nostri giorni la situazione è cambiata, l'uomo e la donna sovvengono insieme ai bisogni della casa. Di colpo le ragioni che facevano si che si desse la metà dell'eredità alla donna non sono più valide. Perciò neanche le conseguenze non devono più essere valide

Lei richiama i credenti al dovere permanente d'interpretazione dei testi...

Il Corano dice effettivamente che bisogna esercitare la ragione, l'intelligenza. C'è di meglio. Nel Corano un passaggio dice “ E le loro faccende sono oggetto di consultazione tra di loro”. Perciò fa parte delle nostre faccende, di noi musulmani, all'inizio del XXI secolo. In Algeria, è già gravissimo aver messo nella Costituzione che l'islam è la religione dello Stato. Lo Stato non deve avere religione per principio. Lo Stato è il garante del libero esercizio dei culti. Se vogliamo essere moderni, dobbiamo dotarci di istituzioni moderne, rispettare tutte le tradizioni religiose e lasciare la gestione del culto islamico a un organismo autonomo, indipendente. Ai nostri giorni, si dovrebbe dire che non c'è nessuna ragione in materia di considerazione matrimoniale, o di successione, o di Codice civile, di riferirsi al Corano. Tanto più che il Corano a dato luogo nel corso della storia a multi interpretazioni. Non vedo perché oggi se ne deve previleggiare una rispetto a un'altra. E come per caso si privilegia la più drastica.

L'opposizione degli islamici alla riforma del Codice della famiglia si focalizza soprattutto sulla soppressione della tutela della donna per il matrimonio, che considerano come “una protezione”. Cosa ne pensa?

E’ una stupidaggine. Ciò ha origine dall’idea che la donna è una minore a vita. Considerarla una protezione è confinare la donna in un ruolo inferiore, e in uno statuto che non è degno della sua condizione di essere umano. È vero, in questo modo la giovane donna ancora vergine, aveva bisogno del parere del padre, che era un po’suo tutore, essendo le società ciò che erano all’epoca. Ma non è una obbligazione religiosa rigida, una prescrizione coranica. La sola questione che vale è sapere se è maggiorenne oppure no. Se lei ha raggiunto la maggiore età, non ha più bisogno di nessuna tutela, fosse quella di suo padre, per sposarsi, viaggiare, ecc.Bisogna uscire dall’archaismo.

Gli islamici tengono in massima considerazione il mantenimento della poligamia, a motivo, ancora, che è stabilita dal Corano.

Il Corano non ha mai detto agli uomini: voi avete diritto di avere quattro mogli. Non è un diritto, è una virtualità in un contesto ben particolare. È detto :”Se temete di non essere equi con gli orfani, sposate allora di fra le donne che vi piacciono, due o tre o quattro, e se temete di non essere giusti con loro, una sola, o le ancelle in vostro possesso,questo sarà più atto a non farvi deviare (1)". "Dio non ha posto due cuori nel petto dell’uomo. Voi non potete essere equi con le vostre spose, anche se ciò fosse il vostro più ardente desideri (1).” Ecco i testi che parlano di questa famosa poligamia. Tre osservazioni. Uno, è in un quadro molto particolare, la presa in carico di vedove e orfani. Due, in una società tribale, dove la poligamia era anarchica, senza limiti, rispetto al numero delle donne di Salomone o di Davide, portarle a quattro, per l’epoca, era un progresso spettacolare. Tre, ai nostri giorni, è la monogamia stretta che deve prevalere; non si può seriamente continuare a tergiversare domandandosi se la poligamia deve essere assoggettata al consenso della prima sposa (2). Abbiamo a che fare con uomini maschilisti, sessisti, fallocrati, misogini che vogliono soddisfare i loro bisogni libidinosi fondandosi sul Corano. Non c’è altro da dire. Un a nazione democratica, moderna, che crede nel progresso, abolisce cose del genere. Non si deve volerla limitare per legge- che deve essere una legge relativa al diritto positivo-, teorizzare sulla poligamia.

Cosa ne pensa della proibizione, ugualmente stipulata nel Codice di famiglia, del matrimonio di una donna o di un uomo musulmano con un uomo o una donna non musulmani?

Da sempre si autorizza l’uomo musulmano a sposare una ebrea o una cristiana, una credente adepta di un’altra religione, non un’atea. Ma l’inverso non è possibile: una donna non sposa nessuno che non sia musulmano. Perché? L’argomento avanzato era: in una società patrilineare, (cioè dove i valori metafisici erano sempre trasmessi dal padre, e virolocale, cioè dove la donna si trasferiva nella casa del marito), i musulmani riconoscevano l’insegnamento di Mosè, di Gesù, ma non l’inverso. Quindi si ragionava dicendo: la donna verrà soffocata per la sua religione, perché gli ebrei e i cristiani non riconoscono la profezia di Muhammad; ciò sottindente che essi avrebbero proibito il libero esercizio del suo culto. E per la patrilinearità, i bambini che nasceranno saranno perduti, rispetto alla Umma, la comunità musulmana.

Ai nostri giorni, questi argomenti sono caduti in disuso. Uno stato laico moderno, farà si che l’ebreo, il cristiano, l’ateo o il musulmano non abbia più motivo di predominio sulla coscienza della propria moglie. È lo Stato che deve le garantire il libero esercizio del suo culto. Quale che sia suo marito, la sua islamicità e la sua fede sono garantite. Non possiamo neanche dire che la sua islamicità è in pericolo per il fatto che ha sposato un non musulmano, perché questo non potrà interferire nel modo di vivere la sua spiritualità. E poi bisogna uscire da questa idea contabile della Umma, ne perdiamo qualcuno qui, ne acquistiamo qualcuno là. No, le questioni di salvezza, di religione, di spiritualità, impegnano prima di tutto la coscienza umana nell’intimo di ciascuno, non sono una questione di numero. Infine per una donna vivere con un marito non musulmano nell’armonia, nel rispetto, nell’amore, è molto più apportatore e gratificante, che sposare un musulmano che la picchia e l’opprime.

A sentire gli attacchi contro la riforma del codice, si ha l’impressione di una profonda paura nei confronti della donna..

Senza adulazione, sono tra quelli che pensano che il XXI sec. sarà femminile o non sarà. Sono tra quelli che credono che se avessimo dato alle donne la gestione degli affari del mondo, si avrebbero avute meno violenze, meno guerre. Sono tra quelli dispiaciuti che la civilizzazione sia sempre stata maschile; la donna, dopo essere uscita dal gineceo greco, è stata via via, menade, baccante, odalisca, gheisha, egira, tutto ciò che si vuole, ma mai definita intrinsecamente. Le relazioni uomo-donna devono essere fondate sull’armonia, sull’attrazione fisica, sull’amore, sulla misericordia, sulla complicità, sul fatto di vivere insieme, simultaneamente, una bella avventura; non sulla paura, sulla negazione dell’altro, la soggezione o l’asservimento dell’altro. Cercare di vivere insieme in armonia, e in perfetta uguaglianza ontologica, di diritto, di rispetto, con solo criterio determinante la dignità umana, sia nell’uomo che nella donna.

Anche la questione del velo è sintomatica di questa paura. Per gli islamici, in Algeria come in Francia, sarebbe un’altra protezione della donna. Cosa risponde in proposito?

Anche là si tratta di scempiaggine. La donna non ha bisogno di un tessuto per essere protetta. Ciò che la protegge è prima di tutto la sua istruzione, la sua educazione, la sua cultura,  la sua acquisizione del sapere, il suo senso dell’onore, la sua virtù, il suo pudore. Si il Corano ha menzionato il velo , non è una novità. La donna ebrea si rasa il cranio e mette una parrucca: i capelli sono considerati un attributo erotico. La lettera di S. Paolo ai Corinzi dice: “Se una donna non è velata, è come si fosse rasata, e dato che non è preferibile essere rasata, è preferibile essere velata (3)”. Ciò si poteva spiegare all’epoca. Si dimentica anche che il califfo Umar, potentissimo e piissimo, a cui gli islamici si rifanno sempre, picchiò una donna musulmana, detta di bassa estrazione, quando volle velarsi. Non iniziamo a combattere per mezzo di versetti coranici, ma c’è ne uno ,versetto 60 della sura 24, la sura della Luce, che dice in sostanza: “ ..e che non sperano più di sposarsi, non è peccato per loro se depongono le loro vesti , senza però mostrare le loro parti belle”. Ciò regola il problema delle nostri madri e delle nostre nonne, anche se dietro questo passaggio c’è un’idea maschilista.

Per quanto riguarda le ragazze appena puberi, che imbacucchiamo in un tessuto variegato che le imbruttisce, è una catastrofe, un non senso, e le conseguenze psicologiche che lasceranno sono gravissime. Perché?

Durante un dibattito contro Tariq Ramadan, all’Unesco, dissi:” Se lei dice che bisogna salvaguardare la donna, nascondendole i capelli per non far fantasticare i ragazzi, bisognerebbe piuttosto educare i ragazzi che fantasticano su di essi, che incolpare la ragazza di essere giovane”. Noi siamo in questa situazione semplicemente perché non abbiamo avuto un “ momento Freud” da noi. Non abbiamo avuto il dibattito sulle relazioni uomo-donna, pudore-impudicizia, ecc.

Ci dimentichiamo che a Samarcanda, Tashkent, Bukara, o, ancora meglio, a Cordova, a Seviglia, la licenza era percepita da parte dei musulmani: gli ebrei, i cristiani vedevano le musulmane come giovani piuttosto dissolute, mentre l’ostentazione del pudore, il bigottismo erano più dalla parte, a quei tempi, degli ebrei e dei cristiani, che avevano una relazione con il corpo, i rapporti carnali, esclusivamente ristretta alla procreazione. Questo non era il caso, e in principio non lo è neppure oggi , della visione islamica.

Ai  nostri giorni , è l’inverso, sfortunatamente. Semplicemente perché abbiamo accusato un enorme ritardo in tutti i campi, compreso quello dei rapporti uomo-donna. L’equivalente, ai nostri giorni, del versetto coranico che chiede alle donne di portare su di esse il velo, di non scalpitare al fine di non attirare lo sguardo degli uomini, è il raccomandare alle credenti di vestirsi in maniera pudica, e questo sia da una parte che dall’altra.

(Intervista realizzata da Karima Goulmamine. Da L'Humanité - edizione del 12 novembre 2004. Traduzione dal francese a cura di Maria Domenica Ferrari)

Note

(1) Corano IV 3; IV 129.

(2) il progetto di riforma del Codice algerino prevede di sottomettere la poligamia all’accordo della prima moglie e del giudice.

(3) Corinzi 11,5-6 I versetti dicono “ Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è come se fosse rasata. Se dunque una donna non vuole mettere il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si metta il velo.”

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La mansueta follia della croce
contro il male del fondamentalismo
di Giancarlo Bruni





Il fenomeno "fondamentalismo" pone dei problemi di vocabolario, di geografia e di storia che ne impediscono una definizione e un uso univoci. Senza entrare nel merito di una questione attualissima, e in termini non esaustivi e sicuramente criticabili, possiamo caratterizzare il "fondamentalismo" come una delle visioni organiche del mondo a partire da puntuali "fondamenti".

In sintesi, i propri "Libri" fondativi e identificativi accostati in maniera acritica e considerati in maniera apodittica testi da cui si deduce immediatamente e direttamente la legge di Dio, legge-verità che deve plasmare la convivenza umana, con conseguenze di chiusura, di resistenza e di ostilità nei confronti di quanti non si riconoscono o si oppongono all'applicazione socio-politica di tale prospettiva. Questo spiega, a partire dagli inizi del secolo scorso, l'opposizione dei fondamentalisti cristiani di matrice protestante del Nord America nei confronti della modernità e del cosiddetto cristianesimo liberale perché aperto al dialogo ecumenico e interreligioso e a una variegata gamma di interpretazioni o ermeneutiche bibliche.

Un fondamentalismo questo, di matrice protestante di lingua anglosassone, con taluni ed evidenti punti di convergenza con l"'integralismo" cattolico degli stessi inizi del secolo scorso, divergente dal primo per l'importanza data al magistero come istituzione mediatrice della volontà di Dio e dell'approccio al Libro. A ben vedere ancora una volta è in gioco il problema del rapporto fede-storia, Chiesa-mondo. Ma è nell'oggi che il problema è esploso in tutta la sua crudezza diventando questione mondiale. Si contendono, infatti, in uno scontro senza riserve di violenza, la piazza del mondo più fondamentalismi, più visioni totalizzanti che si presentano esclusive ed escludenti.

È la cronaca che abitiamo: «Questa è una crociata contro il Male assoluto, Dio non è neutrale davanti al Bene e al Male: Dio è con l'America». Parole dl George W. Bush in risposta all'attacco delle Torri gemelle, a sua volta giustificato dal Dio del Corano.

Ciò che mi preme sottolineare, al di là delle reali e inconfessate ragioni sottese a questo guerreggiare inteso come scontro di civiltà, è che i riferimenti religiosi a suo sostegno non vanno sottovalutati e la provocazione va accolta: Dio dove sei? Con chi stai? Sei davvero il fondamento di questa tragica deriva umana?

Domande che pongo anche al fondamentalismo islamico: il fondamento della propria religiosità è necessariamente violento? E che pongo ovviamente all'uso del nome di Dio e del ricorso alla civiltà cristiana che viene fatto nel cristianesimo stesso in questo tempo per molti versi apocalittico e manicheo.

In verità, nessuna religione può essere identificata con il suo estremo fondamentalista, tuttavia il fondamentalismo dai molti volti ha costretto e costringe ogni religione e le Chiese cristiane a ridiscendere nella propria profondità e a riconsiderare il proprio "fondamento".


Perché, come ha scritto David Turoldo, «sbagliarsi su Dio è un dramma, è la cosa peggiore che posa capitarci, perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, sull’uomo, su noi stessi. Sbagliamo la vita». E per le Chiese non si dà altro «fondamento che Cristo» (1 Cor 3,11), la via alla verità di Dio (Gv 14,6) in quanto sua Icona (Col 1,15), sua Parola (Gv 1,1.14) e sua Esegesi (Gv 1,18), per tutti e da tutti visibile e intellegibile in maniera decisiva e inequivocabile sulla Croce (Gv 19,20.37), e per tutti e da tutti udibile nei detti sull'amore del nemico del Discorso della montagna. Il "fondamento" che è Cristo, un Vivente e non un Libro, un parlante nello Spirito che libera dal fermarsi alla lettera che uccide per pervenire alla parola che dà vita (2Cor 3,6), parola mai esaurita e mai conclusa dalle sue legittime e molteplici interpretazioni, non autorizza «fondamentalismo» alcuno. Al contrario, si pone come amore incondizionato e in forma unilaterale per ogni creatura sotto il sole, sempre dalla parte delle vittime e sempre bacio al carnefice e a quanti lo strumentalizzano, perché Dio non vuole la loro morte, ma che si convertano e vivano (cfr. Ez 33,11).

La domanda per le Chiese, pertanto, è una sola: come abitare la terra nel tempo del male fondamentalista? Che fare? «Dentro lo spessore del male introdurre la follia della compassione... Ho la responsabilità di far diminuire il male con la giustizia e la carità. Questa è la compassione... la poetica dell'agape» (Paul Ricoeur). E questo esserci come scandalo e follia è il linguaggio del Dio di Cristo verso ogni fondamentalista, un messaggio a cui le Chiese devono convertirsi a segno di un "fondamento" che guarda con amore e agisce con amore nei confronti di qualsiasi diversità, compreso il proprio assassino, il proprio oppressore, a qualsiasi religione, etnia e cultura appartenga.

Non si dà altra via di salvezza, come testimonia il Testamento spirituale di frère Christian, uno dei monaci trappisti uccisi in Algeria: «Venuto il momento, vorrei avere quell'attimo di lucidità che mi permette di sollecitare il perdono di Dio ...e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito, ...amico che non avrai saputo quel che facevi... E ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso... Insc’Allah, ad-Dio», al Dio che ha deposto al cuore di ogni religione e coscienza come suo fondamento vero la lingua materna comune della cura dell'altro.

(da Jesus n. 9, settembre 2004)


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Intervista ad Amos Oz
Una risata contro i fanatici

di Alessandra Garusi





«Per favore, fate tutto quello che potete per aiutare entrambe le parti, perché tutti e due - israeliani e palestinesi - sono in procinto di prendere la più tormentata decisione della loro storia... Non dovete più scegliere fra essere pro Israele o pro Palestina. Dovete essere per la pace». Con questo appello agli opinionisti, all'Europa e a tutto il mondo esterno, si chiude “Contro il fanatismo” (Feltrinelli), l’ultimo libro del grande scrittore israeliano Amos Oz. Appassionato, umano, persino religioso nel senso più profondo del termine, egli propone una sua personale ricetta per vincere questo male che attanaglia ormai l'intero pianeta: il senso dell'umorismo.

Lei ha scritto: «In vita non ho mai conosciuto un fanatico dotato di senso dell'umorismo». Quando e come ha scoperto che la capacità di ridere di sé era il miglior antidoto contro il fanatismo?
«Penso che chiunque sia cresciuto a Gerusalemme e non sia diventato del tutto fanatico, debba avere un innato senso dell’ironia. Presumo, quindi, di aver avuto in corpo questo antidoto dalla primissima infanzia».

L'ironia è qualcosa che si può insegnare?
«No. Temo purtroppo che ciò non si possa fare. Tuttavia, spero che un giorno sia possibile creare un farmaco che la gente possa ingerire... Ritengo che l'ironia e le altre forme di umorismo, soprattutto la capacità di non prendersi troppo sul serio, siano non solo l'unico vero rimedio contro il fanatismo, ma anche la chiave di ogni relazione umana. Se credo in un Messia, lo faccio con questa certezza: Lui verrà sulla Terra ridendo e insegnandoci a fare altrettanto di noi stessi».

Recentemente lei ha detto di sé: «Sono un gran fautore del compromesso». Che cosa significa questo nella quotidianità?
«Significa cercare di incontrare le altre persone a metà strada. Significa che se mia moglie oggi vuole andare al cinema e io preferisco sedermi al tavolino di un caffè, cercherò di tenere il mio programma per il giorno dopo e quello di mia moglie per l'immediato; o ci infileremo in un bar dopo la proiezione, accontentando entrambi. È l'arte quotidiana del vivere assieme a un'altra persona».

Un caso pratico. Il partito laburista di Shimon Peres ha dichiarato la propria disponibilità a entrare nel nuovo Governo d'unità nazionale e, dunque, ad appoggiare il piano di ritiro da Gaza del primo ministro Ariel Sharon. Lei concorda con questa linea?
«Risponderò a questa domanda con un'altra domanda. Dipende: se alcune delle richieste avanzate dal partito laburista (o, ancor meglio, tutte) verranno accolte dal premier, allora l'ingresso si rivelerà opportuno; in caso contrario, sarà deleterio. In altre parole, mi chiedo: Sharon è disposto ad arrivare a metà strada per incontrare la controparte, oppure no?».

Che diritto ha un romanziere o uno scrittore di esprimere opinioni? O piuttosto “deve” farlo?
«Ho sempre considerato il mio lavoro come una sorta di sistema anti-incendio di un albergo o di un ristorante. Ogni volta che il mio naso intercetta l'odore del linguaggio disumanizzante, se sento che è mio dovere urlare, lo faccio. Perché io lavoro con le parole... E quando la gente - ovunque essa si trovi - sperimenta l'alienazione, la paralisi, so che è arrivato per me il momento di alzare la voce. Disumanizzare il linguaggio è infatti una sindrome che denota una disumanizzazione della politica».

Se non avesse fatto lo scrittore, cosa avrebbe fatto?
«Nella mia infanzia sognavo di diventare un pompiere... Se un giorno non potrò più scrivere romanzi, diventerò un "pompiere politico" capace di gettare acqua sul fuoco ovunque ci sia uno scontro».

Torniamo al suo libro. A suo avviso è possibile "guarire" un fanatico, e come?
«In alcuni casi si è riusciti a farlo. E questo grazie a un gruppo di persone che lo ha circondato risvegliando in lui (o in lei) un senso dell'umorismo dormiente, mai esercitato prima. In altre circostanze, il fanatico è "guarito" dopo essersi reso conto della limitatezza della vita umana, e in particolare della propria. Talvolta, quando uno si guarda attentamente allo specchio, vede tutto questo. Non sempre avviene».

A proposito del "come", può darci un consiglio?
«Leggere dei romanzi, delle poesie, può essere una buona medicina. Perché questo ci permette di entrare dentro altre culture, tradizioni, religioni. Ci infiliamo allora in altre scarpe e assumiamo altri punti di vista. È attraverso la letteratura in generale che scopriamo di avere tutti gli stessi segreti».

Dopo l'uccisione del primo ministro Yitzhak Rabin (novembre 1995), lei ha visto emergere qualcun altro, una figura di pari carisma sulla scena politica israeliana?
«No. Questo è un grande mistero, destinato a rimanere tale. Non sapremo mai chi diventerà un vero leader, prima che ciò avvenga. Cioè non è possibile oggi fare dei nomi, dire: "Sei il miglior candidato o la miglior candidata alla poltrona di primo ministro". Nemmeno il diretto interessato sa di esserlo. Se qualcuno mi avesse detto che Charles De Gaulle avrebbe smantellato il colonialismo francese, o che Winston Churchill avrebbe posto fine all'impero britannico, o che Michael Gorbaciov avrebbe distrutto il lavoro di Lenin e di Stalin, dieci anni prima che questi fatti accadessero, non ci avrei creduto. Quindi, c'è un elemento di mistero e di sorpresa».

Nel caso di Yitzhak Rabin, pensa che sia diventato un uomo di pace proprio perché ex uomo di guerra?
«Può darsi. Ma, come ho detto, resta un mistero. Conoscevo abbastanza bene Rabin, l'ho visto cambiare davanti ai miei occhi: la sua politica, il suo credo, le sue idee. Non è cosa da poco, soprattutto per un uomo sui 60 anni (forse lo è meno per una donna, meno arrogante e meno certa di avere la verità in tasca). Eppure, lui lo ha fatto. Ha colto di sorpresa non solo me, ma anche se stesso. Perché lui e non un altro generale, che pure aveva marciato sui campi di battaglia? Ripeto: è un mistero. Il cambiamento umano è un tale enigma... Sono sicuro che lei è stata in un ristorante. Avrà visto uno ordinare un piatto di pesce, poi richiamare il cameriere e dirgli: "Sa che cosa? Preferirei un pollo". Dio solo sa che cosa c'è dietro quel cambiamento. E le ho portato un esempio banale. Dunque, questo resta un arcano: che cosa sta all'origine del mutamento? Che cosa fa di una persona normale un grande leader? Non lo so».

Nel suo ultimo libro, Contro il fanatismo, lei afferma che «la speranza è il miglior antidoto contro il fanatismo». Chi oggi può realmente dare speranza in Israele e in Palestina?
«Chiunque abbia una visione positiva della realtà. E, di questo genere di persone, ce ne sono moltissime. Milioni, da entrambe le parti. Hanno uno sguardo pragmatico sull'esistenza e sulle cose; sanno che è possibile, per israeliani e palestinesi, vivere fianco a fianco; conoscono già la risposta che i politici vanno cercando da decenni».

Se un giorno la pace dovesse mettere radici in Medio Oriente, lei ritiene che avrebbe un effetto positivo anche su altre zone di conflitto?
«Spero davvero di poter vedere con i miei occhi la pace realizzarsi fra Israele e Palestina. E sono sicuro che contribuirà a un abbassamento di tensione in tutto il Medio Oriente, forse anche altrove. Certo, non metterà fine a tutte le guerre che oggi affliggono il mondo, ma sarà un segnale forte».

Qual è il suo sogno?
«Ho moltissimi sogni, molte fantasie. Ho più sogni che tempo per realizzarli in un'unica esistenza... Alcuni inconfessabili. Quello che ho per l'immediato futuro, è che i popoli e le nazioni comincino davvero ad ascoltarsi reciprocamente, e non facciano solo finta di farlo».

(da Jesus, n. 9, settembre 2004)


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