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L’iniziativa del dialogo in Ucraina
di Vladimir Zelinskij




Purtroppo, le vie del dialogo non sempre sono facili. Ne è riprova la vicenda legata al testo che proponiamo qui di seguito. Il dialogo nasce da un autentico ascolto. Voler sentire dall'altro soltanto quello che rientra nei propri interessi non è una buona premessa. P. Vladimir non è stato per niente contento di come il giornale Avvenire ha utilizzato il suo articolo (pubblicato il 25 gennaio 2005 con il titolo "Da Kiev la nuova via del dialogo"): «M'ha utilizzato e  strumentalizzato. Il testo completo è diverso». Qui di seguito pubblichiamo il testo di P. Vladimir e il "suo" articolo pubblicato da Avvenire.


Una delle grandi scommesse delle elezioni presidenziali in Ucraina è la formazione della società civile. L’indipendenza nazionale, un sogno secolare per alcuni, un dramma per altri, avvenuta 13 anni fa, ha messo in fermentazione un popolo di 50 milioni di abitanti che dalla metà del XVII secolo ha vissuto nell’impero russo ed in seguito, ancora 70 anni sotto il piombo sovietico. Subito sono venute fuori le vecchie e le nuove opposizioni fra i nazionalisti e comunisti, l’Ovest, a volte accanitamente antirusso e l’Est russofono, fra gli ortodossi e i greco-cattolici, ma anche fra gli ortodossi stessi. Sembra che oggi non si possa trovare un paese nell’Europa orientale con delle divisioni così dolorose e delle cicatrici più profonde. Basta guardare la mappa religiosa: accanto alla Chiesa greco-cattolica con il suo centro a Lviv esistono almeno tre Chiese ortodosse dello stesso rito che non possono neanche parlare fra di loro, quella dipendente dal Patriarcato di Mosca (canonica), quella del Partiarcato di Kiev (il cui capo è scomunicato da Mosca), e la Chiesa autocefala, anch’essa non-canonica. Senza parlare della presenza della Chiesa Ortodossa Russa all’estero che non riconosce neanche l’esistenza dell’Ucraina indipendente e che sogna di tornare nella Russia della monarchia Romanov, più che dei giorni nostri...

Non esiste una ricetta miracolosa che possa riconciliare tutte queste ispirazioni, ideologie, nazionalismi, sogni, opposizioni. Esiste una proposta: integrazione del vecchio stampo, sotto l’occhio del padrone imperiale; e un’altra: la costruzione della società civile in cui forze irriconciliabili fra di loro potrebbero trovare il loro posto legale e riconoscere la legalità, almeno sul piano civile, dell’esistenza dell’altro. Solo da questo riconoscimento si può fare un grande passo verso la riconciliazione umana, cristiana, ecclesiale. Perché la riconciliazione è il nome autentico dell’ecumenismo...

Per ora siamo ancora lontani da questa maturità sociale, senza parlare di quella cristiana. La vita reale, però, non corrisponde mai al suo quadro dipinto da lontano. Nel tempo delle divisioni e delle lacerazioni si può trovare in Ucraina delle iniziative stupende di vero lavoro spirituale e culturale che riunisce le comunità più lontane le une dalle altre e che già oggi portano i loro frutti. Immaginiamo le importanti conferenze internazionali che si svolgono fra le mura della Laura delle Grotte di Kiev, nella culla stessa del cristianesimo russo (conosciuto per il suo spirito assai poco ecumenico), con la partecipazione dei cristiani e dei laici, degli ortodossi tradizionali e dei cattolici, degli uomini di cultura e di fede. Ma il fatto, forse, più positivo è che questi incontri si svolgono davanti agli studenti dell’Accademia teologica (quasi 3.000 studenti), cioè davanti ai futuri chierici della Chiesa Ortodossa in Ucraina, non nelle condizioni della semiclandestinità, ma con l’approvazione e la partecipazione attiva del capo della Chiesa canonica metropolita mons. Vladimir e con la partecipazione del metropolita di Minsk mons. Filaret.

Forse, lo spirito di questi incontri ha trovato la sua adeguata espressione nella figura di Serghei Averintzev, un ortodosso, membro dell’Accademia Pontificia (1937-2004), uno dei più grandi studiosi e pensatori russi della nostra epoca, uno dei più devoti cristiani che io abbia mai incontrato. Averinzev era l’incarnazione della pace fra forze che erano sempre in guerra (fredda, ma a volte anche calda) nella terra russo-ucraina: intellighenzia e Chiesa, Est e Ovest, l’anima patriottica e una straordinaria apertura alle altre culture e fedi che, forse, si può trovare solo tra i russi.

Questi incontri sono stati organizzati dal Centro Europeo delle ricerche umane che lavora all’interno dell’Accademia Pietro Moghila a Kiev e in qualche modo sono segnati da questa grande personalità della prima metà del XVII secolo. Moghila, metropolita di Kiev, autore del catechismo ortodosso (scritto da lui in greco e in latino) fondò nel 1615 la prima Università (che a quell’epoca era più importante nell’Europa Orientale dopo quella di Cracovia). Questa Università, diventata simbolo della più alta cultura ucraina, è esistita fino alla rivoluzione russa ed è stata chiusa dal potere comunista per essere più riaperta nel 1991. Oggi, l’Accademia S. Pietro Moghila, a differenza delle altre Università in Ucraina, non ha una vecchia nomenclatura e ciò ha fornito un’ottima occasione per creare lo spazio per un respiro nuovo.

La figura chiave di questa attività è il giovane professore di filosofia (che insegna a Kiev, a Parigi, a volte anche in Italia), Konstantin Sigov. Egli è l'organizzatore delle conferenze e degli incontri (La famiglia nella società post-atea, Le vie dell’educazione e i testimoni della verità, La personalità umana e la tradizione, ed altri ancora). La prossima conferenza del settembre 2005 avrà come titolo: “Il Messaggio, l’uomo, la storia” e sarà dedicata alla situazione del cristianesimo nell’epoca della globalizzazione, nel contesto del dialogo con il mondo contemporaneo - il dialogo che respira sempre con i due polmoni. In questi incontri hanno preso parte, oltre a teologi e a pensatori ortodossi provenienti dalla Russia, dall’Ucraina e dall’estero, come il vescovo Kallistos Ware da Oxford, p. Boris Boibrinskoy, p. Nicolas Lossky da Parigi (Istituto Saint-Serge), Nikita Struve (Parigi); ma anche cattolici, come il vescovo John Faris (New York), mons. Michel Van Paris, già l’abbate di Chevetogne (Belgio), mons. Bernard Dupire (Parigi), il Prof. Patrick de Laubier (Ginevra), il prof. Adriano Roccucci dalla Comunità di Sant’Egidio, il prof. Guglielmo Forni Rosa (Bologna), il prof. Jonathan Sutton (Londra) ed altri ancora. Bisogna menzionare che la costruzione dei ponti culturali era ispirata, oltre che dal Prof Sigov, anche dai suoi amici della Commissione per l’Unità cristiana mons. Pierre Duprey e Paola Fabrizi.

Dopo 10 anni di attività del Centro Europeo si può parlare di un successo eccezionale delle sue iniziative perché le cose che si sono perfettamente realizzate in Ucraina, sembrano oggi quasi utopistiche a Mosca. E’ davvero difficile trovarle in Russia ove, dopo il “boom” religioso degli inizi degli anni 90, il dialogo tra l’intellighenzia e la Chiesa è quasi interrotto; e dove tutte le comunità religiose vivono nel loro ghetto culturale. Manca uno spazio nel quale i rappresentanti delle diverse denominazioni possano condividere la propria esperienza, dove si incontrino non tanto le posizioni e le ideologie, ma prima di tutto le persone e le fedi.

Oltre alle regolari conferenze il Centro ha una propria casa editrice che si chiama “Duch e Litera” (Lo Spirito e la Lettera) e che pubblica in ucraino e in russo una cinquantina libri di teologia e di filosofia all’anno. Non conosco una casa editrice religiosa così importante neanche in Russia. Più di una metà delle pubblicazioni sono libri tradotti dalle lingue europee. L’anno scorso il card. Kasper è venuto appositamente a Kiev per la presentazione del suo libro “Gesù Cristo” in ucraino. Fra qualche mese deve uscire il libro del card. Etchegaray “Vero Dio, vero uomo”, anche in ucraino.

Ma le conferenze organizzate a Kiev e nelle altre città non bastano più. Dall’estate del 2004 in un piccolo villaggio a 30 chilometri da Kiev è stata organizzata la Scuola Teologica estiva che è durata due settimane con la partecipazione dei docenti venuti dagli Stati Uniti, dalla Francia, dalla Germania, su vari argomenti (liturgia, bibbia, diritto, ecc.). É prevista un'altra sessione con una partecipazione internazionale più ampia per la prossima estate. Ma le iniziative che portano lo stesso spirito della riconciliazione fra le persone, le culture, le fedi, le tradizioni crescono e adesso bussano alle porte dell’Europa Occidentale. C’è già il progetto di fare un incontro simile in Italia. Perché l’Italia dove oggi si trovano oggi decine e decine di migliaia di immigrati dall’Est Europeo (soprattutto dall’Ucraina) deve diventare il luogo dell’incontro delle culture e della riconciliazione.



Il testo pubblicato da Avvenire
Da Kiev la nuova via del dialogo
di Matteo Liut





Accanto a un antico monastero cattolici e ortodossi si incontrano per discutere sui temi più importanti della società odierna

Nel cuore di un Est europeo che vive sul filo delle divisioni è la fede cristiana a tracciare un percorso di ricomposizione nel segno del dialogo. E se Kiev di recente ha mostrato al mondo un volto lacerato, nasce proprio nella capitale ucraina il progetto di un futuro diverso. Ce ne parla padre Vladimir Zelinskij, teologo ortodosso e docente presso l'Università cattolica di Brescia.

Padre Zelinsky, qual è il volto religioso dell'Ucraina odierna?

«L'Ucraina presenta ancora cicatrici profonde e dolorose. Accanto alla Chiesa greco-cattolica con il suo centro a Lviv esistono almeno tre Chiese ortodosse dello stesso rito che non si riconoscono: quella dipendente dal Patriarcato di Mosca, quella del Patriarcato di Kiev e la Chiesa autocefala».

Un nodo difficile da districare.

«Non esiste una ricetta miracolosa per riconciliare tutte queste ispirazioni, ideologie, opposizioni. Se da una parte si predica l'integrazione vecchio stampo sotto lo sguardo del "grande fratello del Nord", dall'altra si auspica la costruzione di una società in cui le diverse identità trovino un riconoscimento giuridico. Almeno sul piano civile e legale».

E dal punto di vista religioso?

«I frutti più efficaci stanno nascendo a Kiev, grazie a un'iniziativa a carattere spirituale e culturale che riunisce soggetti molto lontani tra loro».

Di cosa si tratta?

«Di conferenze internazionali che si svolgono fra i muri della Laura delle Grotte di Kiev, nella culla stessa del cristianesimo russo, noto per il suo spirito poco ecumenico. Vi partecipano ortodossi e cattolici, religiosi, laici e uomini di cultura. Ma il fatto forse, più positivo è che questi incontri si svolgono davanti agli studenti dell'Accademia teologica: il futuro clero della Chiesa Ortodossa in Ucraina».

Quindi c'è l'approvazione ecclesiastica?

«Gli incontri vedono la partecipazione del capo della Chiesa canonica metropolita Vladimir e del metropolita di Minsk monsignor Filaret».

Da dove nasce questa iniziativa?

«Gli incontri sono stati organizzati dal Centro Europeo per le ricerche umanistiche, nell'Accademia "Pietro Moghila" a Kiev, un ateneo senza vecchia nomenclatura e quindi più aperto al dialogo. Lo spirito di questi appuntamenti ha trovato la sua espressione più alta nella figura di Serghei Averintzev, un ortodosso e membro dell'Accademia Pontificia (1937-2004), uno dei più grandi studiosi e pensatori russi della nostra epoca. Oggi la figura chiave di questa attività è il giovane professore di filosofia, che insegna a Kiev e a Parigi, Konstantin Sigov, appoggiato all'origine dai suoi amici della Commissione per l'Unità dei cristiani, monsignor Pierre Duprey e Paola Fabrizi».

Quali sono i temi affrontati in queste conferenze?

«Finora si è parlato di temi come la famiglia nella società post-atea, le vie dell'educazione e i testimoni della verità, la persona e le tradizioni. La prossima conferenza il prossimo settembre avrà come titolo: "Il Messaggio, l'uomo, la storia". Sarà dedicata alla situazione del cristianesimo all'epoca della globalizzazione».

Chi vi prende parte?

«Teologi e pensatori ortodossi dalla Russia, dall'Ucraina e dall'estero, come il vescovo Kallistos Ware da Oxford, padre Boris Boibrinskoy, padre Nicolas Lossky da Parigi (Istituto Saint-Serge), Nikita Struve (Parigi), ma anche cattolici come monsignor Michel van Paris, già abate di Chevetogne (Belgio), monsignor Bernard Dupire (Parigi), padre Patrick de Laubier (Ginevra), il professore Adriano Roccucci dalla Comunità di Sant'Egidio, il professore Guglielmo Forni Rosa (Bologna), il professor Jonathan Sutton (Londra)».

Un confronto che coinvolge anche l'Europa occidentale quindi.

«Certo. L'anno scorso il cardinale Walter Kasper è venuto a Kiev per la presentazione dell'edizione in ucraino del suo libro "Gesù Cristo". Fra qualche mese uscirà anche un libro del cardinale Etchegaray. E, vista la presenza di migliaia di emigrati dall'Est europeo, si pensa a incontri simili anche in Italia».



Pubblicato in Chiese Cristiane
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Sabato, 05 Febbraio 2005 20:37

Benedetto dai rabbini

Benedetto dai rabbini



Per una volta Giovanni Paolo II non ha impartito la benedizione, ma l'ha ricevuta: dai rabbini giunti da varie parti del mondo in occasione dell'incontro che il 18 gennaio 2005 si è tenuto in Vaticano.

La numerosa delegazione dei ebrei (160, fra cui una cinquantina di rabbini) proveniente da Usa, Francia, Inghilterra e Israele si incontrava per la celebrazione del quarantesimo anniversario della Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate (26 ottobre 1965).

Promulgato durante il Concilio, questo documento ha aperto la strada al dialogo e alla collaborazione con gli ebrei, ripudiando l'antisemitismo e l'accusa al popolo ebraico di responsabilità collettiva e perenne per la morte di Cristo.

Mentre il papa riceveva la solenne benedizione che la Torah riserva ai capi dei sacerdoti, il rabbino Jack Bemporad, direttore del Centro per la comprensione interreligiosa nel New Jersey, ha spiegato: «Volevamo dirgli grazie per tutto ciò che ha fatto per le relazioni tra ebrei e cristiani ». E ha citato i «suoi gesti rivoluzionari »: «la visita alla Sinagoga di Roma, il riconoscimento di Israele e l'allacciamento di rapporti diplomatici, la preghiera al Muro di Gerusalemme. E anche il mea culpa per il male di cui hanno sofferto gli ebrei ».

Spero che arrivi anche il momento in cui vi sia una Dichiarazione teologica cattolica sul posto dell'ebraismo nel cattolicesimo. E vorrei che lo stesso avvenisse tra di noi».

Pubblicato in Mondo Ebraico
Sabato, 05 Febbraio 2005 20:22

Camaldoli. XXV colloquio ebraico-cristiano

Camaldoli.
XXV colloquio ebraico-cristiano


Dal 5 all'8 dicembre 2004 si è tenuto presso il monastero di Camaldoli (AR) il XXV Colloquio ebraico-cristiano. Questi colloqui promuovono una comune rilettura della Scrittura.

Tema del convegno è stato: «E tutti saliranno al monte del Signore (Is 2,2)».

Nei quattro giorni di lavoro si sono susseguiti commenti, lezioni e testimonianze da parte di ebrei e di cristiani.

Un particolare rilievo è stato riservato alla valutazione del precedente Colloquio ebraico-cristiano tenuto a Gerusalemme  (31/10-5/11/2004) proprio per celebrare la ricorrenza dell'esperienza camaldolese del dialogo ebraico-cristiano.

Pubblicato in Mondo Ebraico
Sabato, 05 Febbraio 2005 20:14

Gli Evangelici verso l'unione

Germania.
Gli Evangelici verso l'unione


L'11 dicembre 2004 sono state resi noti gli ulteriori passi compiuti per una sempre maggiore integrazione e cooperazione tra l'Unione delle Chiese evangeliche luterane di Germania (VELKD), la Chiesa evangelica di Germania (EKD) e l'Unione delle Chiese evangeliche nella EKD (UEK).

Dopo due anni di incontri e discussioni, sembra ormai prossima la firma di un accordo che consenta la creazione di una struttura unica, con sede ad Hannover.

La nuova istituzione garantirà a ciascun membro l'autorità di deliberare sull'attività secondo le proprie costituzioni e confessioni.

Il raggiungimento di questo accordo preliminare apre le porte al dibattito negli organi direttivi e nei sinodi delle Chiese in modo da giungere alla firma definitiva, una volta raccolte osservazioni e proposte di modifica, entro il 2006, così da diventare effettivo l'accordo a partire dal 1° gennaio 2007.


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Sabato, 05 Febbraio 2005 15:01

L’assunzione di Maria (Renzo Bertalot)

Dobbiamo essere grati ai teologi di Dombes per aver pazientemente e accuratamente lavorato sulla figura di Maria prendendo in esame il contenzioso secolare che esaltava le contrapposizioni confessionali senza intravederne le convergenze.

Pubblicato in Chiese Cristiane
Giovedì, 03 Febbraio 2005 01:03

Il dialogo risorsa dei forti (Mario Marazziti)

Il dialogo risorsa dei forti
di Mario Marazziti

Si legge nei Racconti dei Chassidim che il rabbino Pinhas così spiegava la confusione di lingue dei popoli: "Prima della costruzione della torre tutti i popoli avevano una lingua sacra in comune, in più ciascuno aveva il proprio linguaggio... Ciò che Dio fece quando li punì, fu di toglier loro la lingua santa". Era la lingua della comunicazione tra i popoli. Il dialogo tra i credenti delle diverse comunità religiose è il lavoro per riscoprire questa lingua sacra, ed è un grande bisogno dei nostri tempi.

Era questa l'intuizione di Giovanni Paolo II quando ad Assisi, nel 1986, invitò i leader delle grandi religioni mondiali a pregare gli uni accanto agli altri per invocare dall'alto il "grande dono della pace". Era una intuizione che si era forgiata nel dolore della Seconda guerra mondiale, nell'orrore della Shoah, nella lotta non violenta, spirituale e morale al totalitarismo sovietico, nel Concilio Vaticano II. Una intuizione radicata nel profondo del XX secolo, che si è appena chiuso. Il tempo più secolarizzato della storia umana. Molti avevano anticipato la "fine del cristianesimo" e delle religioni. La fine del XX secolo, invece, si è chiusa sotto il segno della globalizzazione e delle religioni. E quello che Gilles Kepel ha chiamato "la rivincita di Dio".

Le grandi religioni mondiali sono tornate a essere un fattore rilevante sulla scena internazionale oltre che nella vita quotidiana. A volte sono state usate, come in passato, per sostenere conflitti. Ma sono anche diventate in maniera inedita un fattore di ricomposizione e di dialogo.

Con il Concilio Vaticano II si è infatti innescato un cambiamento radicale nel rapporto tra le grandi religioni monoteistiche, islam, ebraismo, cristianesimo, per iniziativa della Chiesa cattolica. Ne è seguita la stagione del disgelo e degli entusiasmi del dialogo, sia ecumenico che interreligioso, fino alla stagione del "disincanto".

La spinta dei meeting internazionali "Uomini e religioni" viene da lontano: l’ispirazione prossima è nella Giornata mondiale di preghiera per la pace, convocata da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986; ma ben prima si era mostrato un movimento all'interno dei differenti mondi delle religioni per una più intensa comprensione reciproca. Quasi cento anni prima, nel 1893, si era tenuto a Chicago - su iniziativa stavolta di un pastore presbiteriano e con l'appoggio della Chiesa cattolica nordamericana - il Word Parliament of Religions, con la partecipazione di sedici tradizioni religiose. L'iniziativa avrebbe dovuto continuare a Parigi nel 1900, ma si trasformò in un congresso di studiosi di storia delle religioni.

La seconda fase è segnata dall'incontro mondiale di dialogo di Assisi: che non è rimasto un unicum. Per iniziativa della Comunità di Sant’Egidio e la risposta di leader religiosi (e laici) in molte parti del mondo, ne è nato un movimento mondiale che ha attraversato molte capitali europee e ha creato e crea una consuetudine all'incontro proprio mentre sono scoppiati nuovi conflitti, dai Balcani al Medio Oriente, ai Grandi Laghi in Africa. E mentre si è diffusa un’ondata fondamentalista nelle principali espressioni religiose del pianeta, dall'islam all'induismo, a settori protestanti americani. Il dialogo tra le grandi religioni della terra è stato messo al centro, con la preghiera, da Giovanni Paolo II, in tempi di grave turbamento mondiale per il ritorno della guerra: i due incontri di Assisi successivi al 1986 e la Preghiera interreligiosa in piazza San Pietro alla vigilia del Grande Giubileo.

La convinzione della Comunità di Sant'Egidio, quando avvia gli incontri internazionali "Uomini e religioni" è che le religioni possono e debbono dare un contributo importante alla pace. La pace, nel XX secolo, è entrata nel bene e nel male nelle agende delle diverse tradizioni religiose, tutte attraversate dal problema della legittimazione dei grandi conflitti mondiali. Ma desolidarizzare solennemente le religioni dalla guerra appare un compito possibile, anzi necessario. È così che da Roma il dialogo riparte ma riparte soprattutto dal basso, coinvolgendo leader religiosi e mondi di base di riferimento. Oggi questa onda di dialogo tra uomini di religione e esponenti della cultura laica per affrontare con onestà, assieme, le grandi domande del nostro tempo, torna a Milano.

L'appuntamento è stato per il 5-7 settembre 2004. E il titolo è già una sfida: "Religioni e culture si incontrano: il coraggio di un nuovo umanesimo". Più di trecento leader delle grandi tradizioni religiose mondiali, cardinali, mufti, teologi, rabbini, grandi anime della tradizione buddhista e induista, credenti e testimoni laici si sono dati appuntamento su invito della Comunità di Sant'Egidio e dell'arcivescovo di Milano per resistere alla tentazione della contrapposizione, dello "scontro tra le civiltà" e per costruire i passi necessari per entrare nella globalizzazione con un po’ più di anima, meno in ordine sparso, convinti della grande necessità di reinventare la pace e la coabitazione in un mondo che è più complicato di ieri.

È un'onda lunga, quella che torna a Milano, l'unica città che ha ospitato più di un incontro interreligioso mondiale, oltre ad Assisi e a Roma, dove hanno preso inizio i meeting internazionali "Uomini e religioni". In mezzo è accaduto di tutto.

Era difficile immaginare il mondo in cui ci troviamo oggi quando questo pellegrinaggio di uomini e donne comuni e di grandi leader spirituali ha mosso i primi passi. Chi scrive ricorda la difficoltà, alla fine degli anni Ottanta, di avere nella stessa sala ebrei e musulmani, con i loro segni distintivi, all'inizio. La diffidenza poi superata - tra ebrei e cattolici nel 1989, cinquantesimo anniversario della Seconda guerra mondiale, quando il meeting si spostò a Varsavia, Cracovia e Auschwitz-Birkenau: per il contenzioso sull'apertura del Carmelo di Auschwitz nel recinto del luogo della memoria "sacro" agli ebrei.

Ricordo il cammino fatto: il primo pellegrinaggio, in quella occasione, di leader musulmani nel luogo dello sterminio di massa degli ebrei, un vero disgelo; l'invocazione perché i muri cadessero, prima della fine del Muro di Berlino, quando nessuno immaginava l'implosione dell'impero sovietico; i passi di dialogo per ricucire le ferite della Guerra dei Balcani tra la Chiesa ortodossa di Serbia e la Chiesa di Roma, allora sentita come avanguardia delle potenze occidentali in guerra per Bosnia e Sarajevo.

Molto è cambiato, in questi anni, da Milano (1993) a Milano (2004). Si è riaperto un dialogo profondo tra il patriarcato ortodosso di Romania e Giovanni Paolo II, dopo la grande Preghiera per la pace di Bucarest, che San'Egidio ha organizzato per la prima volta assieme a una Chiesa ortodossa. E oggi sono in via di soluzione i contenziosi legati alle grandi ferite lasciate dallo scontro tra ortodossi e uniati cattolici, acuiti da stalinismo e regime di Ceaucescu. Il canale di stima e di comunicazione con il grande mondo ortodosso russo, che non si è mai chiuso e che ha ripreso vigore nei meeting internazionali "Uomini e religioni" è un altro motivo di speranza, come pure gli esili, mai interrotti contatti con l'universo dei credenti cinesi. È stato commovente vedere davanti alla chiesa di San Domenico a Lisbona la richiesta di perdono del patriarca, il cardinale José da Cruz Policarpo, agli ebrei portoghesi proprio nel luogo che è stato il simbolo dell'inquisizione: curando una ferita durata quattro secoli. E è stato ed è decisivo vedere lo sforzo di incontro che dopo l'11 settembre 2001 è diventato ancora più necessario, per togliere aria, acqua e spazio agli estremisti che vorrebbero un mondo permanentemente in guerra e schiavo della paura e dell'odio, sotto la minaccia del terrorismo.

In questi anni molti i cambiamenti: all'interno del cammino di dialogo e nello scenario esterno. E le due cose si intrecciano. Non era facile, agli inizi, che ebrei e musulmani accettassero con facilità di essere nello stesso luogo, nello stesso paneli. All'inizio, discorsi paralleli. Poi, negli anni, un intero popolo di cercatori di pace dalle diverse tradizioni religiose è diventato protagonista del dialogo, di una ricerca comune, della necessità di tornare nel profondo delle proprie rispettive tradizioni religiose per trovare le ragioni del dialogo e della pace.

Difficile un bilancio. Paradossalmente, il successo maggiore è il fatto che il dialogo interreligioso è uscito dallo statuto dell'eccezionalità e, in certa misura, è diventato "ordinario". Che si è contagiato nelle chiese locali, tra le diverse comunità, anche quando ci sono, riemergenti, incomprensioni e paure. Difficile anche un bilancio dei momenti più importanti.

Le religioni - ha scritto Andrea Riccardi - possono essere benzina sui conflitti, ma possono essere anche acqua sui conflitti. Negli incontri "Uomini e religioni" le religioni hanno scelto in maniera impegnativa - in un tempo di rinascenti fondamentalismi - di non farsi utilizzare per fare meglio la guerra, e per costruire un'alternativa a un clash of civilization che sembra auspicato da più parti: dai maestri del terrore e da chi teme il dialogo.

È la sfida che viene raccolta a Milano in questo 2004. È un dialogo a più dimensioni. Dialogo tra cristiani: viste da lontano, nella prospettiva della globalizzazione, dei bisogni del pianeta, delle domande mute delle popolazioni civili che soffrono e di quanti chiedono un senso per la propria vita, le divisioni tra cristiani appaiono poco comprensibili, nella loro catena di piccole o grandi diffidenze e incomprensioni. È da salutare come una buona notizia e da circondare con affetto, per esempio, la presenza di tante Chiese ortodosse al meeting per la pace di Milano. Dialogo tra credenti delle grandi religioni mondiali: le tre religioni del Libro, ebrei, cristiani e musulmani e le grandi religioni asiatiche. L'antidoto alla tentazione dello scontro tra le civiltà sta qui, in questa scelta del dialogo come forza e della preghiera come arma. La preghiera come "forza debole" che cambia il mondo, mentre ci si conosce di più, ci si capisce di più, si camminerà processionalmente assieme fino alla Piazza del Duomo, il 7 settembre, in un'immagine - vera e non pubblicitaria - che è il contrario dell'11 settembre o delle immagini che vogliono stravolti i volti dell'Altro in quello del nemico.

Dialogo tra le culture, per evitare che il pianeta imbarbarisca come la nostra vita quotidiana, che le nostre case e i nostri quartieri o il nostro mondo diventino zone franche" recintate da alti fili spinati per difendersi dal "nemico": poveri, immigrati, sconosciuti, Sud del mondo, credenti di altre religioni.

"A che serve il dialogo?". C'è chi sostiene che è impossibile il dialogo senza svendere i pezzi pregiati della propria identità. Al contrario, il dialogo nasce dalla scelta di andare più in profondità nella propria identità, anche di cristiani, senza lasciarsi sopraffare dalla paura dell'altro perché incerti di sé stessi. Non è l'incontro degli ingenui. Il dialogo, infatti, non è mai la scelta dei deboli o degli spaventati. È una grande occasione per andare in profondità nella propria comprensione religiosa e, da lì, trovare nuove ragioni per comprendere l'altro, riempire fossati, svuotare le ragioni della diffidenza e della guerra in un tempo in cui terrore e conflitto sono diventati di casa. È un modo per fare entrare frammenti di futuro mentre il cielo sembra plumbeo e senza spiragli.

È il tempo in cui non smettere di guardare al futuro e alla convivenza da ricostruire. Al fondo, c'è una consapevolezza antica. Era ed è una sensibilità in profonda sintonia con una domanda che Igino Giordani si faceva già nel 1953, all'indomani del secondo conflitto mondiale: "A che serve la guerra?". Si rispondeva: "La guerra è un omicidio in grande, rivestito di una specie di culto sacro, come lo era il sacrificio dei primogeniti al dio Baal: e ciò a motivo del terrore che incute, della retorica onde si veste e degli interessi che implica. Essa sta all'umanità come la malattia alla salute, come il peccato all'anima".

A Milano sono risuonate le parole di un grande arcivescovo e Papa, Paolo VI, e la sua sapienza entrerà nelle corde profonde dell'Incontro internazionale. Esprimeva già, celebrando le Giornate mondiali della Pace, ogni 1° gennaio, il "Vangelo della Pace", come nel 1970: "Quando parliamo di pace, non vi proponiamo, o amici, un immobilismo mortificante ed egoista. La pace non si gode; si crea. La pace non è un livello ormai raggiunto, è un livello superiore, a cui sempre tutti e ciascuno dobbiamo aspirare. Non è un'ideologia soporifera... Non è nostro ufficio giudicare le vertenze tuttora in atto fra le nazioni, le razze, le tribù, le classi sociali. Ma è nostra missione lanciare la parola Pace in mezzo agli uomini in lotta fra loro. È nostra missione ricordare agli uomini che sono fratelli. È nostra missione insegnare agli uomini ad amarsi, a riconciliarsi, a educarsi alla pace".

Pochi anni dopo, nel 1979, il messaggio del 1° gennaio individuava ancora più precisamente la strada, la stessa di oggi: "Predicare il vangelo del perdono sembra assurdo alla politica umana, perché nell'economia naturale spesso la giustizia non lo consente... La pace che conclude un conflitto è di solito un'imposizione, una sopraffazione, un giogo... Manca a questa pace, troppo spesso finta e instabile, la completa soluzione del conflitto, cioè il perdono, il sacrificio del vincitore a quei vantaggi raggiunti, che umiliano e rendono il vinto inesorabilmente infelice; e manca al vinto la forza d'animo della riconciliazione... Da una parte e dall'altra occorre l'appello a quella superiore giustizia, che è il perdono, il quale cancella le insolubili questioni di prestigio, e rende ancora possibile l'amicizia. Lezione difficile: ma non è forse magnifica? Non è forse di attualità? Non è forse cristiana?".

(da Jesus, n. 9, settembre 2004)

Pubblicato in Dialoghi

Ci chiediamo in questa seconda tappa perché proprio l'incarnazione faccia da sfondo al compimento della somiglianza dell'uomo con Dio.

Pubblicato in Chiese Cristiane
Domenica, 30 Gennaio 2005 16:05

La Chiesa Apostolica Armena (Mervyn Duffy)

Le Chiese dell'oriente cristiano

II. Chiesa Apostolica Armena
di Mervyn Duffy

 

L'Armenia antica è situata nella Turchia orientale attuale e nelle zone di frontiera della Russia e dell'Iran. Questo paese è stata la prima nazione ad adottare il cristianesimo come propria religione quando il re Tiridate III è stato convertito alla fede cristiana da San Gregorio Illuminatore all'inizio del quarto secolo. Una cattedrale fu costruita ad Etchmiadzin che da allora è il centro della Chiesa Armena. Ampiamente si crede che il monaco San Mesrope abbia inventato l'alfabeto armeno intorno all'anno 404, permettendo così di tradurre la Bibbia in armeno.

Nel 506 uno Sinodo armeno ha rifiutato gli insegnamenti cristologici del Concilio di Calcedonia (451), al quale nessun vescovo armeno aveva partecipato. In quel tempo la chiesa armena era interessata alle tendenze nestoriane della chiesa vicina presente nell'impero persiano.

A lungo vulnerabile stato cuscinetto tra i due imperi ostili tra loro, quello romano e quello persiano l’antico regno armeno fu distrutto nell'undicesimo secolo e molti armeni fuggirono allora in Cilicia (nel centro sud dell’Asia minore), dove si costituì un nuovo regno armeno. Qui gli armeni ebbero molti contatti con i crociati latini. Anche questo nuovo regno cessò di esistere nel quattordicesimo secolo e la gente armena fu dispersa, ma sopravvisse nonostante la dominazione straniera, concentrando la propria identità sulla lingua e sull’appartenenza alla chiesa.

Verso la fine del diciannovesimo ed all’inizio del 20esimo secolo, gli armeni in Turchia dovettero molto soffrire a causa di una serie di massacri che condussero molti alla morte ed anche a delle espulsioni. Si crede che complessivamente siano morti tra un milione e mezzo e due milioni di persone Molti dei superstiti fuggirono nei paesi limitrofi ed a Costantinopoli.

Oggi la chiesa apostolica armena è concentrata nella Repubblica Armena che ha dichiarato la propria indipendenza il 23 settembre 1991. Etchmiadzin è la residenza del Catholicos armeno vicina alla capitale Yerevan. Il crollo del comunismo sovietico ha costituito l’occasione per una rinascita di questa chiesa antica nel suo territorio originario. Nuove diocesi e parrocchie stanno aprendosi, nuove organizzazioni vengono fatte nascere, vengono pubblicati periodici di carattere religioso e si sta introducendo l'istruzione religiosa nelle scuole. Nel 2001 è stato celebrato il 1700mo anniversario dell'accettazione del cristianesimo come religione di stato dell'Armenia ed è stata consacrata la nuova grande cattedrale in Yerevan. Ma la chiesa sta avvertendo la mancanza di un clero sufficiente e si sente minacciata dall’ attività di altri gruppi religiosi che ora sono liberi di agire nel paese. Nel 1997, fu valutato che circa il 10% della popolazione appartiene a delle sette che sono in rapida crescita. Per questo il governo sta agendo per limitare l'attività di quei gruppi religiosi che non appartengono alla Chiesa Apostolica Armena.

La liturgia armena include degli elementi di quelle: Siriaca, Gerosolimitana, Bizantina Essendosi la tradizione liturgica armena formata nei secoli V-VII la prima fondamentale influenza è stata Siriaca e di Gerusalemme, una influenza successiva è stata quella bizantina e poi nel medio-evo è subentrata anche una certa influenza latina dalla quale sono stati mutuati alcuni usi liturgici.

Anche se il Catholicos armeno di Etchmiadzin è riconosciuto da tutti gli Ortodossi Armeni come il capo spirituale della loro Chiesa, altre tre giurisdizioni armene sono sopravvissute attraverso i secoli. I due Catholicosati sono in completa comunione ma amministrativamente indipendenti, mentre due Patriarcati sono dipendenti nel campo spirituale da Etchmiadzin. Il Catholicosato di Etchmiadzin ha giurisdizione diretta sugli armeni della vecchia URSS e su quelli della diaspora, che comprende l'Iraq, l'India, l'Egitto, la Siria, il Sudan, l'Etiopia, Europa, l'Australia e le Americhe e comprende circa 6.000.000 di fedeli.

Il Patriarcato di Gerusalemme ha la Sede presso il monastero di S.Giacomo in Gerusalemme ed è responsabile dei Luoghi Santi che appartengono alla chiesa armena. comprende circa 10.000 fedeli in Israele, in Giordania e nel Territorio Autonomo Palestinese, ne è Patriarca Torkom II Manoogian (nato nel 1919, eletto nel 1990).

Il Patriarcato di Costantinopoli ha giurisdizione sulla Turchia e sull'isola greca di Creta. Nel 1914 questo patriarcato comprendeva 12 arcidiocesi, 27 diocesi e sei monasteri con circa 1.350.000 fedeli. Oggi rimane il solo Patriarcato, circa 82.000 fedeli. Il patriarca Mesrope II Mutafyan nato nel 1956 ed eletto nel 1998.

Il Catholicosato di Cilicia ha la sede ad Antelias, nel Libano ed ha giurisdizione sul Libano, sulla Siria, Cipro, Iran, Siria e Grecia e comprende circa 800.000 fedeli. Cilicia ha avuto una storia di tensioni con Etchmiadzin ed ambedue hanno giurisdizioni separate in America del Nord, in Grecia ed in Siria.

Nel 1997 le delegazioni dei due Catholicosati si sono incontrate ad Etchmiadzin nel tentativo di superare le differenze e rinforzare l'unità della chiesa armena. Gli sforzi per delineare una costituzione comune per la chiesa armena che normalizzerebbe i rapporti fra Etchmiadzin e Cilicia sono in corso. Catholicos è Aram I Keshishian (nato nel 1947 ed eletto nel 1995).

La Chiesa Apostolica Armena attualmente ha quattro seminari: il Seminario Kevorkian ad Etchmiadzin, il Seminario del Catholicosato di Cilicia a Bikfaya nel Libano, il Seminario di S. Giacomo a Gerusalemme, Il Seminario di S. Nersess a New Rochelle, New York, che è associato al Seminario Ortodosso di S. Vladimir vicino a Crestwood, New York.

Il Catholicosato di Etchmiadzin ha dei vescovi nella diaspora. Gli Armeni nel Regno Unito dove hanno tre parrocchie, sono sotto la guida pastorale dello Arcivescovo Yeghishe Gizirian, (Chiesa di S.Sarkis, Giardini di Iverna, Londra W8 6TP). L’Arcivescovo Aghan Baliozian è primate dell'Australia e della Nuova Zelanda (Chiesa della Santa Resurrezione, 10 Marquarie street, PO Box 694, Chatswood NSW 2067). Ci sono parrocchie a Sydney e Melbourne. Nel Nord America, la Diocesi dell’Est degli U.S.A. (Cattedrale di S. Vartan, 630 Second Avenue , New York, New York 10016) è guidata dall’Arcivescovo Khajag Barsamian, mentre l’Arcivescovo Vatche Hovsepian di Los Angeles è primate della Diocesi occidentale degli U.S.A. (1201 North Vine Street, Hollywood,California 90038) Complessivamente ci sono 65 parrocchie negli U.S.A. La diocesi del Canada (615 Stuart Avenue, Montréal, Québec H2V 3H2), ha cinque parrocchie, ed è sotto la cura pastorale del Vescovo Hovnan Derderian.

Il Catholicosato di Cilicia inoltre ha due diocesi negli Stati Uniti: La Prelatura degli Stati Uniti dell’Est e del Canada, sotto la guida del Vescovo Oshagan Choloyan (138 East 39th Street New York, New York 10016) e la Prelatura occidentale guidata dal Vescovo Moushegh Mardirossian (4401 Russell Avenue, Los Angeles, California 90027). Complessivamente ci sono 33 parrocchie negli U.S.A.. e quattro nel Canada.
TERRITORIO:
L'Armenia e la grande diaspora
GUIDA: Catholicos Karekin I° ( nato nel 1932 ed eletto nel 1995)
TITOLO: Patriarca supremo e Catholicos di tutti i armeni
RESIDENZA: Etchmiadzin, Armenia

MEMBRI: 6.000.000
WEB SITE: http://www.etchmiadzin.com

Pubblicato in Chiese Cristiane
Domenica, 30 Gennaio 2005 15:35

Ecumenismo: irrevocabile e irreversibile (G. B.)

Ecumenismo:
irrevocabile e irreversibile
di G. B.

Quarant'anni sono una misura biblica. Tempo adeguato per verifiche.

Il Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, nel quarantesimo della promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio (21 novembre 1964), ha organizzato, l'11 e il13 novembre 2004, una conferenza di bilancio del cammino ecumenico da allora compiuto (1). L'ecumenismo - ha detto il card. Kasper, presidente del Pontificio consiglio presentando l’iniziativa, il 10 novembre - non è qualcosa di secondario, non è soltanto un'appendice della missione e della pratica pastorale della Chiesa". "Esso era ed è, come lo stesso papa Giovanni Paolo II afferma nella sua enciclica ecumenica Ut unum sint, una delle priorità pastorali del suo pontificato. La scelta ecumenica di Unitatis redintegratio è - secondo la stessa enciclica - irreversibile e ha una validità permanente".

Il convegno ha avuto sostanzialmente due momenti: uno di riflessione e confronto sul cammino dottrinale; e un secondo di verifica dello sviluppo ecumenico interno alla Chiesa cattolica. A questo secondo tratto hanno dato voce le relazioni interne al Pontificio consiglio di mons. Fortino (sottosegretario) sull'azione ecumenica svolta dal Pontificio consiglio stesso in questi quarant'anni; e da mons. Farrell (segretario) sui risultati di un questionario inviato dal dicastero a tutte le conferenze episcopali.

L'indagine mostra come vi sia stata nella Chiesa cattolica una effettiva maturazione nella consapevolezza ecumenica: la ricerca dell'unità è diventata un obiettivo presente nelle Chiese locali; nella maggior parte di esse è stata creata una commissione ecumenica ed esiste un incaricato per l'ecumenismo; diffusa è oramai la partecipazione cattolica a raduni e preghiere ecumeniche e la collaborazione pastorale tra comunità cristiane; migliore il grado di conoscenza delle altre Chiese e comunità ecclesiali. Dalle Chiese locali viene anche la richiesta al dicastero romano di un maggiore incoraggiamento per la formazione teologica e il coordinamento dell'azione ecumenica. Accanto alla consapevolezza delle questioni teologiche irrisolte e ai rischi di un ecumenismo volontaristico, si sottolinea la necessità di integrare le diverse iniziative ecumeniche nell'insieme dei programmi pastorali diocesani. Le Chiese locali chiedono poi una riflessione circa le risposte da dare a un proselitismo aggressivo; evidenziano l'opportunità di associare esperti di altre confessioni alla formazione ecumenica dei sacerdoti e degli operatori pastorali. Il convegno ha risposto con il progetto di un Vademecum ecumenico per promuovere l'ecumenismo spirituale nella Chiesa cattolica.

Dai vescovi di due Chiese locali, Murphy-O'Connor (Westminster) e Koch (Basilea), sono giunte indicazioni particolari: l'uno ha insistito sull'esigenza che accanto all'ecumenismo spirituale e all'ecumenismo di verità progredisca anche l'ecumenismo di vita, cioè l'esperienza concreta di cristiani e comunità che sono in cammino con gli altri cristiani: "niente può sostituire i contatti personali"; l'altro ha sottolineato la sfida posta al cammino di unità dalla trasformazione sociale e culturale in atto, che accentua in forma indiscriminata ogni elemento di pluralizzazione. Il confronto teologico è stato affidato alle relazioni del card. Walter Kasper (presidente del Pontificio consiglio), al metropolita di Pergamo loannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico e al rev. Geoffrey Wainwright, metodista, a nome delle comunità ecclesiali riformate.

Con il decreto Unitatis redintegratio siamo al centro del rinnovamento conciliare. Grazie a una nuova e più limpida comprensione della Chiesa come "popolo di Dio in cammino" il Concilio ha potuto abbracciare il movimento ecumenico, sorto al di fuori della Chiesa cattolica, attraverso la rivalorizzazione della dimensione escatologica della Chiesa. "Così compreso - ha detto Kasper - l'ecumenismo è la via della Chiesa. Non è né un'aggiunta, né un'appendice, ma è parte integrante della vita organica della Chiesa e della sua attività pastorale". Ma la dinamica escatologica e quella pneumatologica necessitavano di una chiarificazione ecclesiologica che la costituzione Lumen gentium ha fornito con la formula del "subsistit in". "Si è voluto rendere giustizia al fatto che, al di fuori della Chiesa cattolica, non vi sono soltanto singoli cristiani, ma anche "elementi di Chiesa" ed anche Chiese e comunità ecclesiali che, pur non essendo in piena comunione, appartengono di diritto all'unica Chiesa e sono per i loro membri mezzi di salvezza" (cf. Lumen gentium, nn. 8; 15; Unitatis redintegratio, n. 3; Ut unum sint, nn. 10-14 );.La Chiesa di Cristo ha nella Chiesa cattolica il suo luogo concreto, ma essa non intende più se stessa in termini di splendid isolation: "Nel formulare la sua identità, la Chiesa cattolica stabilisce un rapporto dialogico con queste Chiese e comunità ecclesiali".

Questa prospettiva escatologica e spirituale introduce una teologia della conversione, del rinnovamento e del perdono. Lo scopo dell'ecumenismo non può essere concepito come un semplice ritorno degli altri, nel seno della Chiesa cattolica. La meta della piena unità può essere raggiunta soltanto attraverso l'impegno animato dallo Spirito di Dio e la conversione di tutti all'unico capo della Chiesa, Gesù Cristo. La misura dell'unità a Cristo diviene misura dell'unità reciproca e condizione per realizzare in pienezza la cattolicità propria della Chiesa. "L'unità nel senso della piena communio non significa uniformità, ma unità nella diversità e diversità nell'unità. All'interno dell'unica Chiesa vi è posto per una diversità legittima di mentalità, di usi, di riti, di regole canoniche, di teologie di spiritualità (Lumen gentium ,n. 13; Unitatis redintegratio, nn.4; 16s). Possiamo anche dire che l'essenza dell'unità concepita come communio è la cattolicità nel suo significato originario che non è confessionale ma qualitativo; essa indica la realizzazione di tutti i doni che le Chiese particolari e confessionali possono apportare".

Per Zizioulas, l'apertura avviata dal decreto conciliare "delle frontiere della Chiesa e del riconoscimento della presenza dello Spirito al di fuori delle sue frontiere canoniche, assieme all'ammissione dl colpevolezza per la divisione della cristianità da parte degli uni e degli altri, fonda l'ecumenismo su una solida base ecclesiologica". A proposito dell’importanza del decreto per le relazioni tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, il metropolita ha rilevato che il testo "non esita a chiamare le Chiese ortodosse con il nome di Chiesa, nel significato pieno del termine" e a riconoscere che vi è una piena realtà e vita sacramentale in queste chiese (cf. Unitatis redintegratio, n. 15). Egli ha inoltre sottolineato che nel decreto il concilio "dichiara solennemente che le Chiese dell'Oriente, pur consapevoli della necessità dell'unità di tutta la Chiesa, hanno il potere di governarsi secondo le proprie discipline".Egli ha poi osservato che "poiché, dal punto di vista cattolico, l'unità di tutta la Chiesa è salvaguardata e mantenuta attraverso il ministero petrino, ne consegue che tale ufficio deve essere riconosciuto dalle Chiese ortodosse affinché l’unità possa essere ricomposta".

Il rev. Wainwright ha affermato che "presupposto fondamentale del l'ecumenismo è che il cristianesimo esiste in qualche forma al di là dei confini dell'istituzione alla quale l'individuo appartiene, in un mondo cristiano diviso". Così, il principale compito ecclesiologico del XX secolo è stato quello di definire e situare "l'unica Chiesa, santa, cattolica, e apostolica, alla quale tutti i cristiani appartengono realmente o idealmente".

Wainwright ha anche esaminato le questioni riguardanti il mistero petrino, sollevate dall’enciclica Ut unum sint. ln tale contesto egli ha avanzato un suggerimento personale, chiedendo che "il vescovo di Roma inviti quelle comunità cristiane che egli ritiene essere in una comunione reale sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica romana, a nominare rappresentanti affinché collaborino con lui e con i suoi incaricati alla formulazione di una dichiarazione che possa esprimere il Vangelo da predicare al mondo oggi. In tal modo il dialogo fraterno voluto da Giovanni Paolo II passerebbe dalla teoria dell’ ufficio pastorale e dottrinale alla sostanza di ciò che si crede e che si predica. E lo stesso esercizio dell'elaborazione di una dichiarazione di fede... mette in luce la questione di "un ministero che presieda nella verità e nell'amore"".

(1) A Rocca di Papa, dove si è svolta la "Conferenza sul XL anniversario della promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio", erano presenti 260 delegati e invitati: rappresentanti delle conferenze episcopali di tutto il mondo, delegati fraterni delle Chiese ortodosse, delle Chiese orientali ortodosse, delle Chiese e delle comunità ecclesiali derivanti dalla Riforma e protestanti; i co-presidenti delle Commissioni miste internazionali incaricate dei dialoghi ecumenici; rappresentanti dei dicasteri della Santa Sede. Il giorno 13, il papa ha ricevuto in San Pietro per i vespri i partecipanti al convegno.

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È naturalmente impossibile raccontare in breve tempo le vite o le immagini dei santi più importanti o spiegare il loro cammino spirituale. il nostro compito è di cercare di esprimere lo spirito…

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