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Visualizza articoli per tag: Famiglia Giovani Anziani

Sabato, 30 Aprile 2005 22:34

Aquila e Priscilla. In due per il Vangelo

Aquila e Priscilla. In due per il Vangelo

 

Erano due sposi, presumibilmente giovani, quelli che aiutarono Paolo nel suo difficile inserimento a Corinto . Con l'apostolo condividevano il lavoro - erano come lui fabbricatori di tende - il vitto e la casa . Condividevano anche il lavoro pastorale, le preoccupazioni per la diffusione dell'Evangelo. Una evangelizzazione che prosegue anche a Roma dopo la morte di Paolo, e fatta a due a due, da due coniugi.

 

Al capitolo 18 degli Atti degli Apostoli si racconta che!' apostolo Paolo, durante il prolungato soggiorno nella città di Corinto, si stabilì nella casa di Aquila e Priscilla, due coniugi ebrei convertiti e allontanati da Roma per decreto dell'imperatore Claudio nell'anno 50, e di mestiere fabbricatori di tende.

Paolo: l'apostolo, il servitore di Cristo, il prigioniero del Signore, è uno skenopoios, un fabbricatore di tende. Può sembrare un titolo poco aristocratico, per niente episcopale, ma è la qualifica che lo inserisce abilmente nella trama del Regno.

 

La Chiesa: una tenda!

     La Chiesa, una tenda! Quella universale, quella particolare, quella domestica: non sono che attendamenti per cui Dio abita tra noi.

Giovanni 1,14: E il Verbo si fece carne e piantò la sua tenda tra noi... Si allude a Mosè, che nelle soste dell' esodo nel deserto faceva erigere una grande tenda delle riunioni: il luogo in cui il popolo si incontrava con il suo Signore ed era abbagliato dalla sua gloria. La tenda a Gerusalemme fu rimpiazzata dal tempio di pietra di cui Cristo-lo Sposo - è la pietra angolare. È lui, con la sua carne donata all'umanità, la tenda in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. Apocalisse 21: ...Ecco la tenda di Dio con gli uomini...

Quante tende ha costruito Paolo? Sul suo telaio nella casa di Aquila e Priscilla gli orditi per le tende ai clienti si dilungavano prodigiosi nelle carte geografiche del nuovo Regno, ovunque accorreva per piantarvi la chiesa.

La preoccupazione primaria dell' Apostolo è di impiantare una comunità di fede che invochi coralmente il Risorto e dove il cristiano diventi nuova creatura in Cristo. Una volta avviata una comunità Paolo, instancabile, continua a seguire, visitare, esortare, ingelosirsi, amare, facendosi tutto a tutti. Le sue tende hanno dei paletti, pioli, tiranti e assi dai nomi grondanti affetto, collaborazione: Aquila e Priscilla, Onesimo e Filemone, Tito e Timoteo, e tanti altri legati al suo ministero.

 

La tenda affonda i paletti nella continua disponibilità degli sposi

È come se attorno al suo animo, bruciato dalla passione per Cristo e per le sue comunità, si attizzassero i tepori di un focolare e i ritmi incessanti dell'amicizia coniugale. Voi siete il corpo di Cristo: a chi si ispira Paolo con questa forte immagine? Romani 16,3-5: Salutate Priscilla e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù e la comunità che si raccoglie nella loro casa. In 1 Corinti 16,19 conclude con i saluti: Vi salutano Aquila e Priscilla con la comunità che si raccoglie nella loro casa.

La tenda per Dio e per l'uomo che Paolo tesse con la sua parola irruente, con la sensibilità del cuore che equilibra l'energia della sua volontà, affonda i suoi paletti di sostegno nella continua disponibilità di questi sposi a tenere sempre aperta la loro casa perché in essa l'embrione della comunità cristiana, avviata da Paolo, possa essere accolto e maturi nella fede.

Dall'anno 50 scorre un diario avvincente: arrivo di Paolo a Corinto e accoglienza nella casa di Aquila e Priscilla e comunanza nel lavoro; partono per la Siria, e Paolo lascia ad Efeso i due sposi impegnatissimi nel fare proseliti del calibro di Apollo, grande oratore; ritorno di Paolo ad Efeso, la città della magia, della dea Artemide, e battesimo di Apollo; prigionia di Paolo a Roma presso la casa di Aquila e Priscilla, rientrati nella capitale, e arresto di Paolo forse proprio nella loro casa.

 

Un cammino che può prevedere anche il martirio...

Le vie imperscrutabili dell'apostolato di Paolo proseguono fino al martirio. Non conosciamo, oltre i calorosi saluti in Romani 16,3 per Aquila e Priscilla, il seguito del loro cammino. Certamente, prima del loro martirio - come farebbe supporre la catacomba intitolata a Priscilla - i due sposi, mandati dal Maestro a due a due ad evangelizzare, hanno continuato a fare della loro casa quella chiesa accogliente e fraterna, luogo di catechesi e di tenerezza, delimitata dalle mura domestiche ma protesa ad impiantarsi come tenda di rifugio nella fede.

Floriano Vassalluzzo

 

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 30 Aprile 2005 22:29

Innamoramento, sogno, amore

vita di coppia

Innamoramento, sogno, amore


TONY PICCIN Vallà (Treviso)


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Innamorarsi, sognare ed amare rappresentano la forza fondamentale del nostro essere, un cammino che va dall'amore di sé, all'amore dell'altro per sé, e infine all'amore dell'altro per l'altro e Per poter compiere questo passaggio - una «conversione» che può durare tutta la vita - occorre saper ascoltare l'altro, avvicinarsi a lui senza paure, essere capaci di meraviglia.

 

Il piccolo principe chiese alla volpe: «Che cosa vuoi dire "addomesticare"?». «È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire "creare dei legami"...», rispose la volpe. (...) «Creare dei legami?». «Certo» disse la volpe. «Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno dite. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addornestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo». «Comincio a capire», disse il piccolo principe. «C'è un fiore... credo che mi abbia addomesticato..». (...) Ma la volpe tornò sulla sua idea: «La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio, perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano...». La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: «Per favore... addomesticami», disse. «Volentieri», rispose il piccolo principe, «ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose». «Non si conoscono che le cose che si addomesticano», disse la volpe. «Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!». «Che bisogna fare?», domandò il piccolo principe. «Bisogna essere molto pazienti», rispose la volpe. «In principio tu ti siederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino...».

Nella pagina riportata da «Il piccolo principe» di Antoine Saint-Exupéry (Ediz. Bompiani) ricorre spesso il verbo «addomesticare» che suscita l'idea immediata di dipendenza. E curioso provare a sostituire il termine «addomesticare» con «innamorarsi» prima, quindi con «sognare» ed infine con «amare» ripetendo ogni volta la lettura di queste poche righe. Ne risulta una descrizione interessante e concreta del rapporto amoroso di una coppia che rompe la solitudine, il male più grave dell'uomo, ma nello stesso tempo crea legami di dipendenza che possono essere causa di rivalità e conflitti, produce un progressivo movimento di avvicinamento ma senza investire e sopraffare. E poi il tempo da dedicare ai «riti» e ai «simboli» che permettono di scoprire e scoprirsi. Sempre che l'amore alla fine riesca a realizzare il miracolo dell'unione dell'uomo e della donna.

«Se tu vieni tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti».

 

Le stagioni della vita

Innamorarsi, sognare ed amare rappresentano la forza fondamentale del nostro essere, ma come ogni realtà che evolve con l'età, nel bambino c'è un forte movimento accentratore, una richiesta continua ed assoluta di tante attenzioni, un amore di sé. In questa fase della vita il bambino impara a prendere coscienza di se stesso. La stima di sé non è un fattore negativo neppure per il giovane o l'adulto, purché l'amore non ristagni nella miope visione di se stessi e del proprio piccolo orizzonte. E uno stadio destinato a tra-scendere negli altri stadi ma rimane la base necessaria su cui costruire. Infatti una persona non può donare e donarsi ad altri se prima non si possiede, se non si stima ed ama.

Un passo più avanti nella vita ci si accorge dell'«altro», la mamma, il papà, l'amichetto,... ma il bambino ama questi «altri» per sé, per ricevere, per avere, per soddisfare un amore egocentrico. E l'amore dell'altro per sé, perché al centro rimane l'«io». E pur vero che anche da adulti senza un pizzico di soddisfazione personale non si muove nessuno. Tuttavia è anche questo un gradino da salire per arrivare all'amore dell'altro per l'altro.

Ci si mette in viaggio per incontrare e per accogliere qualcuno che è diverso da noi, un viaggio verso l'ignoto, verso una terra straniera da scoprire giorno dopo giorno, di avventura in avventura.

La saggezza antica dell' autore del libro di «Tobia» esprime questo concetto con chiarezza nel racconto metaforico della storia di due famiglie.

Abbiamo poi un ulteriore passaggio:nell'altro amiamo tutti gli altri. Voglio dire che nessuno può amare gli altri se non in un altro. Se non si impara ad amare davvero concretamente qualcuno non si riesce ad amare gli altri. Come risulta importante un vero rapporto di coppia in cui venga esperimentato l'innamoramento, il sogno, l'amore; oppure un vero «incontro» con Cristo e in lui abbracciare un mondo intero di persone!

 

Un'epoca che dà grande significato al «sentire»

Dopo aver accennato alle varie stagioni della vita che preparano l'evento giovanile del primo e di successivi innamoramenti occorre guardare alla cultura attuale sull'amore. Oggi si dà molta importanza al «sentire» e assai meno all'impegno-dovere. La persona cerca prima e soprattutto la propria realizzazione e comunque una sua autonomia economica ed affettiva che le permetta di essere libera nelle sue decisioni. La tendenza è completamente opposta al passato che vedeva l'innamoramento come un momento di infatuazione che estraniava dalla realtà, e perciò pericoloso, ma tuttavia di una certa utilità per il fatto che faceva approdare all'amore vero. Ora invece si vorrebbe, se non far rientrare il termine «amore» in quello di «innamoramento», almeno legarli in maniera stretta, per cui non ci si può amare se non si rimane innamorati. Sappiamo però che l'instabilità del sentimento può creare non poche difficoltà alla coppia. Le conseguenze di tali atteggiamenti sono già ben visibili nelle numerose separazioni e nuove unioni non legalizzate, nella paura dei giovani di affrontare il matrimonio (in futuro almeno un terzo di persone adulte non si sposeranno), nei rapporti occasionali e con partner diversi sempre più frequenti.

Senza inutili rimpianti e senza demonizzare nulla e nessuno cerchiamo gli aspetti positivi di questa nuova tendenza:

l'amore, quando esiste, è spontaneo, unisce in modo profondo ed è grande fonte di gioia. Va scomparendo la «tomba dell'amore», ossia l'amarsi «per amore o per forza»;

- l'amore, quando esiste, è visibilmente sincero, diventa perciò autentica testimonianza. Non c'è più bisogno di ostentare forzati sorrisi di giorno in pubblico quando il cuore piange per le violenze in privato di notte;

- l'amore quando esiste, è vero, aperto ad accogliere e a donare vita al coniuge, ai figli e ad ogni altra creatura.

 

Se l'amore non esiste è inutile fingere o creare barriere sociali protettive; la sfiducia, l'ansia, il pessimismo trasudano in ogni caso con quella acidità che avvelena ogni cosa.

Forse occorre vedere con occhio più sereno la realtà dell'amore, e più che imbrigliarlo dileggi e divieti, dargli la possibilità di nascere, crescere e svilupparsi anche come «sentimento». Si tratta di coltivare il «sentire» e il «piacere».

E il nuovo importante impegno degli sposati: vivere e sviluppare questa realtà tipica della coppia e renderla visibile contagiando in modo particolare i giovani che si incamminano verso il matrimonio. E la buona notizia, il vangelo che devono predicare coloro che vivono il sacramento del matrimonio.

C'è un'altra convinzione che si deve radicare nella nostra mente: l'amore, per quanto povero, è sempre vita, l'odio è peggiore.

Da qui possiamo prendere motivo per una più serena valutazione di chi ha ricominciato una nuova avventura di coppia dopo il fallimento del primo matrimonio.

 

Dalle parole ai fatti

«Voglio bene a tutte due, a mia moglie e all'altra». L'amore, come ogni realtà umana, non si può scindere in tutto e nulla. È importante tenerlo presente perché si può sempre cercare di ravvivare ciò che si è affievolito e limitare qualcosa che per capriccio, novità, spirito di trasgressione sta ingigantendo e soffocando l'armonia di coppia.

Le occasioni della vita spesso non favoriscono 1' «istituzione matrimonio». Si pensi alla collega o ai capoufficio accanto al quale si vive la maggior parte della giornata, mentre alla famiglia si riesce a dedicare solo qualche ora stanca di sera.

Questo strano amore è come un uccello imprigionato nel cavo delle mani; se si vuole costringere l'«altro» si finisce per soffocarlo, se lo si lascia libero si rischia di perderlo... ma se ritorna a posarsi di sua iniziativa sulla mano aperta è una gran gioia.

 

Occasioni da reinventare

Si dice che le principali agenzie matrimoniali siano oggi le discoteche. Considerato il frastuono, l'affollamento ed altri fattori che si preferisce non nominare, non mi sembrano all'altezza di svolgere questo delicato compito.

Innamoramento, sogno e amore, queste tre realtà che non vogliamo distinguere e separare perché le sentiamo come tre aspetti di un unico «amore» hanno bisogno di nutrirsi di silenzio, di ascolto, di vicinanza, di contemplazione.

Nella relazione di coppia il silenzio è fondamentale. È nel silenzio che la persona ritrova se stessa, che difende la propria interiorità ed originalità di uomo e di donna. Ogni volta che usciamo da noi stessi per incontrare l'altro dobbiamo poi rientrare per essere «due» e rimanere «due», senza cadere in una fusione spersonalizzante, per non invadere ed essere invasi. È importante non perdere se stessi, la propria identità, perciò occorre il silenzio.

«La voce infatti non giunge durante una tempesta (...)

è la voce di un silenzio simile a un sof­fio ed è facile soffocarla. (...)

Qui inizia il cammino dell'uomo.

Il ritorno decisivo a se stessi è nella vita dell'uomo l'inizio del cammino...» (MARTIN BUBER, Il cammino dell'uomo, Ed. Qiqajon, Bose, pp. 22-23).

 

L'ascolto:         non posso avvicinarmi all'«altro» partendo dalle mie idee, schemi, cultura. E un «altro» che mi interpella, di altre origini, di altre convinzioni, di altri vissuti, di un'altra spiaggia.

 

L'avvicinarsi gradualmente senza impaurire o impaurirsi per le grandi differenze. Abitudini diverse, gusti che diventano bisogni importanti per la persona e vanno rispettati e assecondati.

«Lasciate che vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime. (...)

Così come le corde del liuto son sole benché vibrino della stessa musica(…)

E restate uniti, benché non troppo vicimi insieme:

poiché le colonne del tempio restano tra loro distanti,

e la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro»

Kahlil Gibran, Il Profeta, Ed. Guanda).

 

La contemplazione è la meraviglia di scoprire sempre qualcosa di nuovo nella persona che amiamo.

Questa nostra società che investe così tanto nel «sentire», ha per contro spazzato molti simboli e riti dell'amore. La banalizzazione, la nudità mercificata, l'occasionalità, la fretta, i rapporti precoci hanno fatto dimenticare i tempi lunghi del corteggiamento e di tutte le delicate attenzioni che servono a tener desta l'attesa, il desiderio, la sorpresa. Denaro, regali, corse sfrenate vorrebbero col-mare il «sogno» che il cuore coltiva e protegge delicatamente come il tesoro più prezioso. Innamorarsi è bello perché proietta la persona più in là della prosaicità quotidiana. Tutti abbiamo bisogno di queste motivazioni e di questo slancio per non finire nell'appiattimento. Occorre l'impegno di continuare ad innamorarci e di far innamorare ogni giorno il nostro partner con molta fantasia. Occorre godere profondamente il piacere di essere vicini, di amare e di essere amati.

Il bisogno dei riti e dei simboli dell'amore lo cogliamo nella fastosità delle cerimonie di nozze, peccato che siano così artificiose e vuote di significato.

 

Il simbolo più profondo del movimento di affettività reciproca che unisce l'uomo alla donna è senz'altro l'alleanza. Uomo-donna diventano immagine visibile dell'amore fedele e perenne di Dio.

Nulla riuscì a cancellare dal mondo questo segno, neppure le acque del diluvio

 

Tony Piccin

 

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 30 Aprile 2005 22:25

Il rischio inaudito del credere

Il rischio inaudito del credere

 

Ed ecco che Maria porta a termine ciò che ha iniziato. È stata lei la prima a vedere ciò che mancava alla festa: tutte quelle caraffe vuote sul tavolo delle nozze. Ed è stata lei a rivolgersi a Gesù, all’insaputa di tutti, perché lei, la madre, sapeva che il figlio sarebbe stato in grado di porre rimedio a quella mancanza.

Ma in prima battuta Gesù ha resistito, come i figli resistono alle madri. Per tenere la giusta distanza. Per non confondere il proprio desiderio con quello di Maria. Per poter essere lui stesso a scegliere ciò a cui è stato chiamato dal Padre.

E poi quella parola che schiocca come una frusta sulla sollecitudine materna: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora».

Un modo per farci rientrare nei ranghi, noi che siamo sempre così pronti ad indicare a Dio la strada da seguire.

Ed è appunto qui, in questo ridisporsi dello spazio che le è proprio, che può avere inizio la fede. Rinunciando a sapere ciò che è bene, anche quando abbiamo già in qualche misura interiorizzato la stessa idea di bene. Per rimettersi all’Altro, subito ed incondizionatamente. Quell’Altro che meglio di noi conosce ciò di cui abbiamo bisogno.

Alla risposta del figlio, Maria avrebbe potuto risentirsi. Sentirsi ferita e tenergli il broncio. Ma in lei c’è qualcosa di infinitamente superiore al gioco emotivo della carne. C’è quell’ondata di fiducia che la domina fin dal momento dell’Annunciazione. C’è quell’accondiscendenza d tutto l’essere a Dio, quella dolcezza derivante dall’aver detto sì ricevendone poi ogni giorno il frutto. È questa la ragione per cui può comprendere la replica, senza scomporsi.

E dunque il tempo dei conciliaboli finisce, perché la storia deve andare avanti. Maria conclude ora il ruolo della donna vigilante eclissandosi: «Fate quello che vi dirà». Non sa ancora del «dire» del Figlio, ma chiede solo che gli si presti fede, e soprattutto che si «faccia» di conseguenza. Che si faccia tutto il possibile affinché la Parola di vita si sviluppi – come si sviluppa un fuoco – all’internodi quella festa che sta andando a rotoli.

«Fate quello che vi dirà» è quanto aveva già detto il Faraone al suo popolo riferendosi a Giuseppe, che aveva fatto riporre del frumento nei granai in previsione della carestia che s’annunciava in Egitto (Gn 41,55).

È, inoltre. La parola di Mosè che annuncia un altro profeta come lui e nel quale l’apostolo Pietro riconosce il Cristo: «Voi lo ascolterete in tutto quello che vi dirà» (At 3,22).

È così che Maria qui si riappropria del gesto antico della fede, quando l’essere umano rinuncia ad abitare solo con se stesso per aprirsi ad un qualcuno che lo trascende per ri-posarsi in un Altro-da-sé. Non per pigrizia, né in un atteggiamento rinunciatario, ma perché è là che si trova la verità della sua umanità. Non esistiamo se non per essere strettamente connessi al Dono della vita. A quel Dono di cui non ci sarà mai dato di sapere quale sarà l’esito odierno, né come riuscirà ad incarnarsi nel grumo delle nostre storie.

«Fate quello che vi dirà». È davvero necessario, a questo punto, che intendiamo l’imperativo di credere la Parola più forte delle evidenze che si fanno prepotentemente strada in noi, più forte anche delle resistenze che rendono opaco il nostro cammino.

Ancora una volta Maria ci indica la strada. Grazie a lei, comprendiamo che i segni posti da Dio nelle nostre esistenze non possono essere il risultato di un qualsivoglia accanimento spirituale – una sorta di mobbing, di molestia esercitata sul divino! – ma che al contrario si manifestano in quegli spazi in cui accettiamo di lasciare la presa e di lasciarci lavorare dalla Grazia.

Ma c’è ancor più che il credere. C’è l’invito a passare all’azione, nel cuore stesso delle nostre oscurità. «Fate quello che vi dirà». Quel giorno, a Cana, sulla parola di Gesù i servi della casa hanno rischiato quel gesto, tanto inaudito quanto incongruente, di riempire le giare destinate al rito della purificazione. Equivaleva a trasgredire ad un ordine stabilito, a mettersi automaticamente fuori alle pie abitudini. Occorreva osare, occorreva credere.

Ora, quel gesto loro l’hanno fatto. E non metà. Hanno riempito le giare “fino all’orlo”, precisa il testo.

Andare fino in fondo nei nostri gesti, «abitare» pienamente il richiamo che ci viene rivolto ad essere vivi.Ascoltare la Parola che parla in noi, rischiare quei comportamenti che possono anche stupire. Entrare nella domanda sena conoscere la risposta, rimettersi a Colui attraverso cui proviene il nuovo, come Gesù ha fatto col Padre… ecco dunque il lavoro della fede che deve sempre essere rimessa in questione nelle nostre esistenze. Non è forse l’unico lavoro davvero essenziale? Quello in cui tutto acquista un senso?

 

Francine Carrillo

Pastora evangelica – Plan-des-Ouates (Svizzera)

Da “Famiglia domani” 3/2000

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 30 Aprile 2005 22:19

UNA STORIA TUTTA DISCREZIONE

UNA STORIA TUTTA DISCREZIONE

 

Spesso un rapporto di coppia si infrange perché, nella ricerca della gioia e della fedeltà, scambiamo le virtù del partner con la proiezione delle nostre necessità. Ma un rapporto ha la possibilità di durare solo se su di esso siamo disposti ad interrogarci senza infingimenti. E se abbiamo la volontà di migliorarci.

 

«L'amore, che è un fanciullo, si ostina a volere ciò che gli viene vietato». (P. Duryer)

 

Ci sono delle prerogative, che si rivestono della qualifica di attributi caratterizzanti, che fanno la differenza tra un matrimonio e una qualunque altra relazione di coppia. Se dovessimo prendere in esame tutti i tipi di vincoli che hanno legami con la nostra esperienza, scopriremmo che alcuni di questi sono sostenuti da una naturale attrazione; altri sono legami tenuti in trazione da una forza di repulsione. Così noi, riferendoci ad una condotta che ha come polarità estreme l'amore e l'odio, parliamo di fiducia, abbandono, confidenza, familiarità, condivisione, stima, complicità, attrazione, erotismo, competizione, interesse, diffidenza, timore, dubbio, sospetto, circospezione e, a seconda delle circostanze, diamo una particolare coloritura e identifichiamo il tipo di relazione. Ma il matrimonio ha una vastità che non può essere contenuta in queste categorie, anche se, paradossalmente, i parametri entro i quali le doti che stanno alla base della relazione si stemperano sono soltanto due. La loro presenza nella quotidianità è tanto discreta da non far rumore, ma è tanto essenziale che, anche per un osservatore distratto, sarebbe fin troppo facile avvertirne la mancanza. Sto parlando della gioia e della fedeltà.

La fabbrica dei sogni

II mondo fragoroso che ci siamo costruiti con la nostra modernità, fa di tutto per abituarci ad un abbattimento della soglia dello stupore. Le novità più sconvolgenti che ci raggiungono in tempo reale da ogni parte del pianeta, le invenzioni e le scoperte che cantano l'incontenibile creatività dell'uomo, il sovvertimento dei costumi e delle abitudini che spazzano, come un uragano, usanze e tradizioni consolidate nei secoli, alzano dei giganteschi polveroni nei quali la sola cosa che sopravvive è l'eco del rumore. Anche il nostro linguaggio si è evoluto: ormai noi facciamo uso solo di assoluti o di superlativi. Forse è per questo che, nelle relazioni, una volta constatata la perdita di senso per la protezione della verginità, si assiste ad un progressivo anticiparsi dell'iniziazione sessuale senza che una adeguata preparazione affettiva - e non un deterrente! - garantisca una felicità capace di sfidare la difficoltà delle prove. Al primo incontro che ci coinvolge si dà sempre tutto, al massimo delle nostre potenzialità, per la paura che una simile, preziosa occasione possa non ripresentarsi. Le storie, allora, al pari delle grandi passioni, si riducono al rango di quegli appartamenti che per mascherare la mediocrità dei loro interni, espongono nell'ingresso ogni sorta di lusso e di richiamo.

Le trame che portano al matrimonio iniziano con momenti singolari la cui caratteristica è legata alla curiosità della scoperta. La gioia arriva quasi subito e va di pari passo con l'entusiasmo. Come accade per tutte le cose preziose, si dovrebbe capire ben presto che una simile fortuna ha bisogno di essere dosata, vissuta e protetta senza soffermarsi agli aspetti superficiali e consumistici. Ma la scoperta dell'altro è talmente ricca e copiosa di novità che non giunge mai ad esaurire la nostra curiosità. Qui i sogni conoscono il primo impatto con la delusione. C'è una frase che, più di altre, viene ripetuta con una certa passionalità: «II mio partner ha tutte le qualità!»... e la risposta più opportuna a tanta magniloquenza potrebbe essere questa: «Non l'hai guardato bene e per questo scambi le sue virtù con la proiezione delle tue necessità!» In questo caso, sono i primi appuntamenti con gli impegni a costituire le barriere che vedono i sogni infrangersi malamente. Sono quegli stessi appuntamenti a far rimpiangere la perduta libertà e a far avvertire il vincolo del matrimonio come la minaccia di un capestro opprimente. E se scompare la gioia, la tristezza che prende il suo posto non è altro che la misura del nostro attaccamento a noi stessi. Ci sono persone che vedono nel matrimonio la fuga dalla solitudine e, di conseguenza, la garanzia della loro gioia. È una illusione; peggio ancora: una tentazione. Una storia è bella se si stabilisce che non finisca mai. Il matrimonio pretende che ogni giorno, prima di coltivare i sogni, ci sappiamo mettere in discussione e chiederci come possiamo migliorarci per essere buoni compagni dell'altro. L'interrogativo non è sulle buone qualità del partner, ma sulla nostra inettitudine e sullo sforzo che siamo disposti a fare per migliorarci.

Piacere e fecondità

È sempre parlando di paradossi che ci si accorge che i concetti di libertà e fedeltà non sono in contrasto, ma complementari. Se è vero - come ci ammoniscono gli antropologi - che la libertà è la capacità di scoprire la nostra dimensione ulteriore e non affidarci ad una norma costituita che di fatto, nell'intento di garantirci, ci limiterebbe, è altrettanto evidente che la fedeltà, presentandosi come vincolo, ci fa assaporare la preziosità di un rapporto da proteggere. Sul suo significato e sulle implicazioni che la sua etimologia ci trasmette si sono imbastiti troppi equivoci. Il primo senso scaturisce dalla parola fede, ma proprio qui appare chiaro come la relazione con Dio o con una persona siano equidistanti ed equivalenti. Se infatti da un lato, a causa di un cattivo uso, la nostra libertà si trasforma nella peggiore schiavitù perché toglie a Dio il potere di trasformarci in anime del Paradiso, dall'altro dobbiamo prendere atto che troppi cristiani si sentono dispensati dal farsi guidare da una coscienza, perché hanno i Comandamenti. L'equivoco più grande consiste nel vedere il senso dell'obbligo e del divieto (ci sarai solo tu, non avrò altri amori), piuttosto che l'orizzonte aperto per una creatività inarrestabile, anche se ogni traguardo presuppone dei percorsi imposti.

Quello della fedeltà pone al primo posto l'obbligo di essere vivi. È vero: ci si accorge di essere invecchiati quando si è costretti a fare i conti con un passato, ma la coppia ha comunque un avvenire e in questo tutte le fantasie, a iniziare dalle più complici, nascondono l'ebbrezza dell'ignoto, l'esaltazione del miracolo, le incontenibili malignità della gioia. Subito dopo viene la comprensione. Nell'amore fedele si fa credito e si cerca di dimenticare, cancellandole, le azioni che l'egoismo umano compie, sporcando con pochi gesti un'intera vita spesa per crearsi un'identità. Anche la convinzione di essere ormai in possesso di tutti gli elementi che ci permettano di conoscere l'altro è una tentazione contro la capacità di far credito. Quando ci sentiamo dispensati dall'osservare, dal capire, dall'interpretare, dobbiamo ammettere che il nostro amore si è spento. Un altro particolare insostituibile, legato alla fedeltà, è quello della fecondità. Sicuramente riduttiva appare l'analogia con la fertilità. Per un amore fecondo il più dolce dei desideri sa trasformarsi in un languore struggente che non conosce appagamento. L'amore fecondo esalta le attese e l'assenza di rumori, perché un animo allenato alla riflessione è capace di percepire anche i rumori del silenzio. C'è un ultimo aspetto che mi viene in niente parlando della fedeltà: il profumo della incorruttibilità. Non c'è retorica in questa immagine, perché la bellezza non è comunicabile: da lei si può essere solo stregati. Le cose belle sono così, senza che nessuno abbia insegnato loro che sono tali. Così accade per il profumo che emana dalla fedeltà; così accade alla luna, alla quale nessuno ha insegnato il suo percorso nei cicli, ma che nel suo peregrinare senza una mèta apparente, non fa distinzione, dalla sua altezza, tra la pietà di una tomba e i fiori di un matrimonio.

Di Giovanni Scalera

Tratto da “famiglia Domani – aprile 2002”

Sabato, 30 Aprile 2005 22:14

GIR0T0NDO TRA I PORTALI

GIROTONDO TRA I PORTALI

 

Ecco una selezione dei migliori portali italiani dedicati ai bambini, scelti per la qualità della grafica e dei contenuti.

 

 www.nascondino.it

È un portale "misto": offre opportunità di intrattenersi con giochi autoprodotti, di imparare grazie agli argomenti monografici e di cercare nella Rete utilizzando gli indici di link organizzati per categoria. Regolarmente aggiornato, si apre con una home page dalla grafica molto colorata anche se un po' confusa, C'è una sezione dedicata ai bambini (ad esempio "Giochi", "Tempo libero") e un'altra riservata ai genitori.

 

 www.babyonweb.com

È un portale molto ricco, costantemente aggiornato, che ha il solo difetto di risultare graficamente un po' confuso. La quantità e la qualità degli argomenti proposti ripagano però lo sforzo di prendere confidenza con la home e stimolano l'utilizzo anche da parte dei più piccoli. Il portale è organizzato in una serie di sezioni che introducono altrettanti percorsi di ricerca. Ogni area monografica (ad esempio Animali, Colora, Figurine, Divertimenti, Viaggia e scopri, Computer) propone contenuti autoprodotti oppure link a siti esterni.

 

www-vivaibimbi.it

È un portale che dietro a una grafica un po' datata nasconde una ricchezza di contenuti. Il sito è organizzato in una serie di percorsi accessibili dalla home (ad esempio Arti, Intrattenimento, Salute, Scuola) che introducono altrettante sotto-sezioni con i link. Il

portale è dotato di un efficace motore di ricerca che lavora all'interno dei siti selezionati.

 

a cura di Barbara Uglietti

I maggiori condizionamenti che oggi subisce la famiglia e i disagi conseguenti

 

Le profonde trasformazioni che hanno investito la nostra società nel corso degli ultimi anni hanno avuto notevoli ripercussioni sul sistema familiare, producendo una serie di condizionamenti che tuttora ne influenzano l’evoluzione.

Tali trasformazioni hanno difatti generato un contesto sociale “rischioso”, sottoposto a continui rapidi mutamenti che richiedono sempre nuovi sforzi di adattamento. Si pensi, ad esempio, all’aspetto economico: recenti indagini statistiche rivelano come in Italia stiano rapidamente aumentando le famiglie che vivono al di sotto della soglia minima di povertà, che si trovano in difficoltà anche in quello che concerne il soddisfacimento delle più elementari esigenze, come il pagamento dell’affitto o delle spese medico-sanitarie... Ebbene, i condizionamenti economici costituiscono un’indubbia fonte di disagio all’interno del contesto familiare.

Un ulteriore condizionamento emerge nel rapporto tra la famiglia e il mondo del lavoro, sempre più frequentemente caratterizzato da un “conflitto di lealtà” tra ruoli lavorativi e familiari e dalla difficile costruzione di un equilibrio tra tempo di vita e tempo lavorativo. Le attuali trasformazioni del mercato del lavoro impongono infatti, all’interno del contesto familiare, nuove fratture fra il bisogno di stabilità affettiva e quelle esigenze di indipendenza ed autorealizzazione che nella famiglia tradizionale non trovavano pieno appagamento.

Ad una serie di condizionamenti di carattere socio-culturale si può infine attribuire un ruolo non trascurabile nelle trasformazioni demografiche (calo della natalità, riduzione della nuzialità, aumento della disgregazione familiare...) che oggi caratterizzano il sistema famiglia.

Dinanzi a queste sfide, ed alle molte altre che si apriranno, la famiglia dovrà porsi ancora una volta in maniera flessibile, studiando risposte “adattive” che le consentano di affrontare e risolvere problemi.

Maurizio Andolfi

Sabato, 30 Aprile 2005 22:05

Retrouvaille (Incontri matrimoniali)

Spazio famiglia

Spaziofamiglia è uno spazio autogestito a disposizione delle Diocesi Italiane nonché di altre realtà – civili o religiose –, movimenti, associazioni, che si occupano del lavoro con le coppie e le famiglie. In questo numero ospitiamo volentieri il contributo di Retrouvaille, frutto di «Incontro matrimoniale», movimento cattolico nato alla fine degli anni ’60 volto a migliorare e potenziare il rapporto di coppia, diffuso in vari stati del mondo e attivo in Italia dal 1978.

           

I "guaritori feriti" di Retrouvaille

Capacità relazionali ridotte all’osso, senso di fallimento personale esteso al rapporto con il proprio coniuge, sgretolamento dei valori familiari, scarsa fiducia di sé, appiattimento delle aspettative e delle prospettive di vita, astio, stato confusionale, senso di colpa; questi gli stati d’animo in cui spesso precipitano coloro i quali vivono «gli sgoccioli di un matrimonio infelice».

Queste sono alcune componenti della patologia di una coppia in crisi che sperimenta uno stato di «sofferenza permanente» ed è orientata ormai verso una vita rassegnata alla reciproca sopportazione se non già verso la separazione e il divorzio.

Le cause sono quelle si desumono facilmente dalle statistiche: incapacità di mantenere vivo il dialogo con l’altro dovuta a delusioni, dolore, indifferenza, mancanza di desiderio verso il compagno, scelte di vita che non convergono più, adulterio commesso o subìto, problemi di dipendenza da droghe o alcol, ecc.

Situazioni paludate e croniche di fronte alle quali, troppo spesso, la società sostiene scelte che puntano sull’autonomia e sull’autogratificazione «...se soffri taglia fuori dalla tua vita la causa del tuo dolore...» oppure «se l’innamoramento è finito è terminato anche l’amore», sull’onda del più consumistico degli slogan «usa e getta».

Oggi, è quasi prassi comune, ci si può dire addio dopo sei mesi o sessant’anni di vita passati insieme: separazione e divorzio sono opzioni reali a fronte di qualsiasi matrimonio contratto nella maggior parte delle religioni e in quasi tutti gli stati del mondo. È un segno dei tempi e forse dovrebbe connotare costumi sociali più civili ed evoluti. Però...

Però c’è anche chi prova ad andare controcorrente e tira in ballo temi come il valore del matrimonio, l’accettazione e il perdono dell’altro, la potenza dell’amore, una felicità di coppia possibile e concreta anche nei casi considerati spacciati.

A sostenere queste «folli tesi» sono i «guaritori feriti» di Retrouvaille (dal francese ritrovarsi), un programma a sostegno delle coppie che soffrono, diffuso a livello mondiale e ora presente anche in Italia.

 

Come e dove è nato           

Retrouvaille è frutto di «Incontro matrimoniale», un movimento cattolico nato alla fine degli anni ’60 volto a migliorare e potenziare il rapporto di coppia, diffuso in vari stati del mondo e attivo in Italia dal 1978.

Retrouvaille è stato creato con l’obiettivo di raggiungere le coppie in gravi difficoltà ed è nato in Canada nel 1977. I primi incontri si tennero nella provincia francofona del Quebec. Attualmente il programma, migliorato negli anni grazie al supporto di esperti, studiosi e alla formazione sempre più specifica degli animatori volontari, è attivo in quasi tutti gli Stati Uniti, in Canada, Australia, Costa Rica, Cuba, Bolivia, Irlanda, Messico, Nuova Zelanda, Filippine, Samoa, Singapore, Sud Africa, Trinidad, Zimbawe.

Dal 2002 è operativo anche in Italia per volere di monsignor Anfossi (attuale vescovo di Aosta), già presidente dell’Ufficio per la Pastorale Familiare della CEI, che ha dato incarico alla comunità italiana di «Incontro Matrimoniale» di avviare questa nuova esperienza.

Nell’aprile 2002 hanno avuto luogo a Torino e a Paestum due week-end di formazione curati da un sacerdote e da tre coppie, due americane e una sudafricana. All’iniziativa hanno aderito 85 coppie e 17 preti provenienti da varie regioni italiane. Nell’ottobre 2002 è decollato a Roma il primo programma di Retrouvaille con nove coppie iscritte, mentre nell’Aprile 2003 si è iniziato a Chioggia (Venezia) il secondo programma con la partecipazione di 12 coppie. Tutte le coppie partecipanti hanno continuato gli incontri la settimana successiva con la fase del post week-end, nelle rispettive regioni di provenienza.

 

Di che cosa si tratta      

Retrouvaille mette a disposizione dei possibili utenti una linea telefonica privata ed un sito Internet per fornire tutte le informazioni necessarie. Per partecipare al programma occorre il consenso individuale di entrambe i coniugi. Possono aderire coppie che vivono con sofferenza la loro relazione o stanno pensando alla separazione o già separate o divorziate legalmente appartenenti a qualsiasi religione o matrice culturale della cui identità verrà mantenuto il più assoluto riserbo.

Viene proposta in primo luogo la partecipazione ad un fine settimana ambientato in luoghi confortevoli e riservati (dalle ore 20,00 del venerdì alle ore 18,00 della domenica). Animano l’incontro tre coppie ed un sacerdote. I partecipanti non sono invitati a parlare in pubblico di questioni personali; si chiede loro semplicemente di ascoltare le testimonianze delle coppie animatrici e del sacerdote per poi dar luogo ad un «lavoro di elaborazione» che avverrà unicamente con il rispettivo compagno.

A mettersi in gioco di fronte al gruppo sono infatti gli animatori (per questo definiti «guaritori feriti»); essi raccontano le difficoltà, i disagi, le crisi che hanno attraversato nelle rispettive unioni. Anche il sacerdote parla apertamente attingendo al proprio vissuto.

Retrouvaille però non può ovviamente terminare solo con la conclusione del fine settimana: la ripresa di un dialogo, la riscoperta e il perdono verso l’altro non possono avvenire in tempi così brevi dopo anni di sofferenza. Pertanto si portano avanti i temi trattati con una serie di incontri (da sei a dodici) nei successivi tre mesi.

Dopo questo «consolidamento» le coppie possono decidere di aderire al Co.Re. (acronimo di «continuiamo l’esperienza di Retrouvaille»), un gruppo autogestito attraverso incontri quindicinali o mensili per continuare ad arricchire l’esperienza matrimoniale, trovare sostegno nelle difficoltà, mantenere vivo il dialogo e la relazione con l’altro.

Responsabili nazionali del programma Retrouvaille sono Guido e Rinuccia Lamberto.

«È un compito arduo – sottolineano insieme –: non è stato facile attivare l’organizzazione su tutto il territorio nazionale. Ma i segni e gli stimoli ad andare avanti sono stati frequenti e meravigliosi. Vedere rinascere l’amore tra coppie quasi rassegnate alla fine della loro unione rafforza quotidianamente i nostri intenti e la fede in Dio».

Si dichiarano anche loro «compagni di viaggio» delle coppie che approdano a Retrouvaille. «Siamo tutti in cammino. Nessuno di noi pretende di mostrare la via agli altri – sottolinea Rinuccia Lamberto –: non è sempre facile portare testimonianza di esperienze o momenti che ci hanno visto soffrire, dubitare, toccare con mano la delusione e lo sgomento. Ecco perché ci definiamo guaritori feriti. Il programma è fonte di crescita e confronto anche per noi animatori».

C’è infine un ultimo segreto da svelare. Nel momento stesso in cui una coppia si iscrive a Retrouvaille, viene affidata spiritualmente ad una «coppia angelo», la quale si impegna da quel momento e per i tre mesi successivi al week end ad accompagnare con la preghiera quotidiana i due coniugi segnalati, secondo la regola del reciproco anonimato.

Ecco perché Retrouvaille è, prima di tutto, un’esperienza cristiana. Tutti noi siamo chiamati ad assumerci delle responsabilità nei confronti delle coppie che vivono con sofferenza la loro relazione, aiutandole anche proponendo la partecipazione a questa esperienza a cominciare da sacerdoti, insegnanti, operatori familiari... fino alla singola coppia che crede ancora nei valori del matrimonio.


Rapporti con la Chiesa

Abbiamo riscontrato grande sostegno e collaborazione da parte dei responsabili dei principali uffici di pastorale familiare della Chiesa.

Oltre che da Mons, Giuseppe Anfossi siamo sostenuti dall’ex direttore nazionale dell’Ufficio famiglia Mons. Bonetti e dal suo attuale sostituto Don Sergio Nicolli che insieme si sono impegnati per diffondere la conoscenza dell’esperienza Retrouvaille, sia direttamente ad ogni singola diocesi italiana, sia attraverso organi di stampa cattolici.

In alcune diocesi è presente un referente locale di Retrouvaille.

 

Rapporti con la società civile

Molti responsabili della comunità civile italiana ci hanno assicurato il loro aiuto a diffondere attraverso i loro servizi sociali la disponibilità di un aiuto alle coppie anche attraverso Retrouvaille.

 

Rapporti con i terapisti

Abbiamo iniziato una collaborazione con le due principali organizzazioni cattoliche italiane di terapisti e consulenti matrimoniali, e attraverso i loro presidenti contiamo di far conoscere quest’esperienza di speranza in tutte le loro sedi che sono più di un centinaio in tutta Italia.

 

Pubblicità

Abbiamo fatto stampare migliaia di depliants di Retrouvaille, pubblicato decine di articoli su giornali locali e anche su quelli a diffusione nazionale, rilasciato interviste a radio e tv locali ed inviato news letter a decine di siti Internet italiani che si occupano della famiglia.

 

 

Informazioni: www.retrouvaille.it  -  Iscrizioni: tel. 0172/640964.

Sabato, 30 Aprile 2005 21:41

Famiglia, modello di Chiesa

Famiglia, modello di Chiesa

 

· Il rapporto tra l’uomo e la donna uniti in matrimonio è immagine del rapporto che unisce Cristo con la sua Chiesa · Si tratta di un rapporto d’amore in cui la Chiesa, sposa di Cristo, ne diventa il «corpo» · Grazie allo Spirito di Cristo, operante nel sacramento del matrimonio, la famiglia è immagine della Chiesa · Incarnata nel quotidiano, nella realtà, proprie della vita familiare.

 

Il matrimonio cristiano, come Sacramento, nato dal Mistero della Redenzione, e rinato nell'amore sponsale di Cristo con la Chiesa, è una delle espressioni più significative della potenza salvifica di Dio.

Il rapporto tra l'uomo e la donna uniti nel matrimonio costituisce, quindi, immagine modellata del rapporto tra Cristo e la sua Chiesa nell'efficace analogia di San Paolo nella Lettera agli Efesini in cui Gesù è il capo di un Corpo mistico rappresentato dalla Chiesa che vive in Lui: «…Tutto, infatti, ha sottomesso ai Suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa la quale è il Suo corpo, la pienezza di colui che si realizza in tutte le cose…» (Ef 1,22-23).

La Chiesa, come tale, nella sua essenza è formata da Cristo in unione con i Suoi come il corpo è unito al capo, in analogia diretta con l'unione corporea dell'organismo umano.

 

Un amore che santifica

L'amore di Cristo nei confronti della propria Chiesa, nell'ambito dell'anzidetta analogia paolina del capo con il corpo, ha come obiettivo fondamentale la santificazione della Chiesa stessa.

Alla base ditale santificazione si trova il battesimo: primo ed essenziale frutto della donazione di sé che Gesù ha raccolto per la propria Chiesa e che realizza la purificazione fondamentale attraverso la quale l'Amore di Gesù stesso verso la Chiesa medesima assume, a tutti gli effetti, carattere propriamente sponsale.

Pertanto, chi riceve il battesimo in virtù dell'Amore, diviene, al tempo stesso, sposo della Chiesa. L'amore naturale di Gesù nei confronti della propria Chiesa, quale di Lui corpo, costituisce immagine, quindi modello plasmato, appunto dell'amore che gli sposi si donano e si rivolgono reciprocamente nel nome di Cristo a propria volta «sposo» della Chiesa: «...E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per Lei, per renderla santa...» (Ef 5,25-26).

In questa dimensione la Chiesa acquista il ruolo di «grande Sacramento» e diventa, quindi, il nuovo simbolo dell'Alleanza e della Grazia che viene a posarsi sul rapporto coniugale, santificandolo.

Il sacramento del matrimonio, con il quale i coniugi cristiani significano e partecipano al mistero di unità e di amore fecondo che intercorre tra Cristo e la Chiesa, diventa quindi vera presenza sacramentale del mistero Cristo-Chiesa nella famiglia cristiana.

In tal senso, come scrivono i vescovi italiani in «Comunione e comunità nella chiesa domestica (n. 5)», la famiglia cristiana si pone nell'ambito della società e della storia come un segno efficace della Chiesa e quindi come una «rivelazione» che la manifesta e la annuncia diventandone vera e propria «attualizzazione» che ne rappresenta e ne incarna, a suo modo, il mistero di salvezza.

 

Una dinamica di comunione

Questa specifica missione della famiglia, che diventa di fatto la vera realizzazione del proprio naturale ruolo, risulta possibile nel momento in cui tra Chiesa e famiglia, riesce a crearsi quella relazione vicendevole intercorrente tra il «modellante» ed il «modellato» che divengono l'uno riflesso dell'altro e viceversa.

Come e dove può la famiglia cristiana essere segno nella storia quotidiana degli uomini?

Nella risposta a questo interrogativo sta la chiave per l'individuazione delle responsabilità della coppia e della famiglia cristiana, appunto, in un mondo come quello odierno caratterizzato da un emergere sfrenato delle soggettività tale da rendere spesso incomunicabili ed incompatibili tra loro le esperienze ed i linguaggi.

Di fatto, essere segno per la coppia e per la famiglia cristiana non implica, soprattutto, un «fare» ma un «essere».

Il primo e fondamentale compito della coppia e della famiglia cristiana è, pertanto, secondo una nota espressione di Giovanni Paolo II, di «diventare ciò che ei si è» e di proporsi per questa via come «il luogo primario della umanizzazione della società» (Christi Fideles Laici, n. 40; ma cf anche Familiaris Consortio, nn. 42ss).

Solo nell’insistenza in questa irrinunciabile priorità la famiglia cristiana è in grado di vivere come modello e riflesso della Chiesa divenendo, in questo modo, la testimonianza più bella e più vera della Chiesa stessa.

Scoprire giorno per giorno la propria nativa vocazione ad «essere per gli altri» significa per la famiglia cristiana articolare la propria esistenza nei due fondamentali momenti in cui si realizza tale imperativo, imparare quotidianamente a diventare sempre più compiutamente se stessi anche come coppia e imparare a giocare con la propria esistenza personale e coniugale per gli altri.

La strada da percorrere è, quindi, quella del costruirsi come segno mediante un rapporto di coppia da sviluppare in tutte le sue modalità espressive, in tutta la sua ricchezza, in tutte le sua potenzialità.

È questo un impegno al quale le coppie e le famiglie cristiane possono compiutamente adempiere con l'ausilio attento, disponibile ed instancabile di quella stessa Chiesa di cui esse sono immagine per vocazione originale.

Trattasi di un impegno che può esprimersi secondo varie direzioni e, comunque, vari livelli.

Il compito in un certo senso tradizionale della famiglia consiste, per la famiglia stessa, nell'essere «comunità di vita e di amore» (G.S. n. 48).

Fare della famiglia una comunità è diventato sempre più difficile in una società che ha spazzato via ogni antico vincolo comunitario assumendo l’individuo come proprio unico punto di riferimento.

 

La famiglia riproduce e riflette la struttura della Chiesa, e viceversa…

In questo percorso la Chiesa può e deve inserirsi facendo in modo che le coppie e le famiglie cristiane non perdano mai di vista il primo e fondamentale segno della propria esistenza in Cristo; l'amore.

Amarsi, continuare puramente e semplicemente ad amarsi, nella buona e nella cattiva sorte, quando si è realizzati e quando ci si sente irrealizzati: è questo il primo segno di testimonianza della coppia e della famiglia cristiana.

Ad un siffatto amore è connaturata l'esperienza forte della fedeltà da intendersi non semplicemente come rifiuto dell'adulterio o di quant'altro ad esso simile, ma anche e soprattutto come incontro vitale con il Dio fedele della Bibbia. Qui la fedeltà dell'uomo diventa paradigma esemplare della fedeltà di Dio.

In un mondo in cui la fedeltà in genere e la stessa fedeltà coniugale sembrano essere travolte dalla teorizzazione della mutevolezza strutturale dei sentimenti e dei radicamenti, l'attitudine tipica della coppia cristiana a vivere nella fedeltà immette nella storia una chiara e ferma testimonianza della presenza di Dio.

Di fronte a migliaia di famiglie che si frantumano alla luce dell'odierno individualismo ed egoismo e, molto spesso, a causa dell'incapacità ad amarsi, che poi diventa il motivo di fondo di quasi tutti i fallimenti matrimoniali, moda della società di oggi, la Chiesa non può permettersi di demordere rispetto all'infondere alle coppie ed alle famiglie cristiane in modo incessante, ma sereno al tempo stesso, il senso profondo dell'Amore, come un continuo rinnovarsi del Sacramento.

Non ci sono missioni, funzioni, celebrazioni, assemblee, associazioni, volontariati che tengano rispetto a tale compito della Chiesa che è il più naturale, il più antico e quello che le è veramente proprio: educare all'Amore.

Nella società del consumismo nulla è più inutile dell'amore: esso non trova posto nella bilancia commerciale e non produce reddito.

Testimoniare questa apparente inutilità, mostrarne e rivelarne tutta la fecondità, tutta la forza, tutta la capacità critica, è il servizio eminente che può rendere al proprio tempo quel segreto microcosmo che è la coppia cristiana e con essa la Chiesa di cui la stessa è parte imprescindibile.

Maria Paola e Marco Iurilli

Genova

Da “Famiglia domani” 1/2001

 

Sabato, 30 Aprile 2005 21:34

L’ACCOGLIENZA NELLA CARITÀ

PRIMA PARTE

APRIRSI ALL’ACCOGLIENZA

- 3 -

Imparare le parole dell’accoglienza

L’ACCOGLIENZA NELLA CARITÀ

La parabola del buon samaritano

Ascoltando la parabola del buon samaritano (Luca 10,25-37) ho chiesto a Gesù: “Fa che ti ascolti bene, che colga bene quello che mi vuoi dire”.

Cercherò quindi di estrarre dal testo una serie di parole che mi hanno toccato, hanno suscitato in me una riflessione e che v’invito a trattenere nel cuore anche quando quest’incontro sarà finito.

GESÙ RISPOSE: "UN UOMO...”

L’uomo vittima dei briganti è descritto da Luca con questa semplice parola: “un uomo”, di lui non sappiamo nulla, e ancora meno sanno di lui coloro che gli passano accanto, i briganti 1’hanno spogliato e percosso e non è più possibile capire se si tratta di un uomo ricco o povero, sano o malato. Gesù ci chiede di interessarci all’altro così com’è, senza pretendere di conoscere la sua storia.

Dio, nel racconto di Genesi, quando crea l’uomo dice che ciò che ha creato è “cosa molto buona”. Nonostante il peccato l’uomo resta buono, qualunque cosa abbia fatto, tocca a noi tirare fuori da quest’uomo quello che c’è di buono; su questo punto, sia come società sia come cristiani, siamo molto deboli.

"NE EBBE COMPASSIONE"

Il samaritano ha compassione di quell’uomo e per aiutarlo si ferma, scende dalla sua cavalcatura, rinuncia alle sue sicurezze anche se corre a sua volta il pericolo di essere assalito dai briganti. Egli è riuscito a vedere in quell’uomo quello che gli altri passanti non sono riusciti o non hanno voluto vedere.

Noi confondiamo sovente compassione con emozione, ci sono molti fatti che i mass media ci propongono che suscitano in noi emozione. Ma se il nostro cuore è chiuso alla compassione continueremo a guardare l’altro con occhi di uomo e non con gli occhi di Dio, vedremo nell’uomo a terra solo le ferite, le vesti lacere, il pericolo e non “l’altro”.

“GLI SI ACCOSTÒ”

Proviamoci a mettere nei panni del samaritano: ne ha del coraggio! Quante volte noi abbiamo paura ad avvicinarci all’altro; provate a girare nella zona di Porta Palazzo1 e poi ditemi se non avete paura! Ci vuole tanta preghiera per superare la paura di avvicinare “l’uomo” perché il Signore ci chiede, come al dottore della legge, “Va e anche tu fa lo stesso”.

"VERSÒ OLIO”

Non solo il samaritano si avvicina ma lo tocca, lo cura, non ha paura di sporcarsi le mani, di rimboccarsi le maniche. L’accoglienza è partire dalle necessità e dalle esigenze della persona e non dare o fare solo quello che ci fa comodo, quando ci fa comodo.

“LO CARICÒ SULL’ASINO”

Non basta essere compassionevoli, ci è chiesto anche di condividere quello che abbiamo con l’altro; per il samaritano si tratta dell’asino, per noi si tratta di condividere il tempo, la salute, le ricchezze materiali e spirituali, ecc.

“FECE TUTTO IL POSSIBILE PER AIUTARLO”

Quando quello che facciamo non basta, allora siamo invitati a rivolgerci a coloro che lo possono meglio aiutare: nella parabola ciò è indicato dalla locanda e dall’albergatore, nel nostro caso dal parroco, dall’ospedale, dai centri di accoglienza, ecc. Ma non è ancora finito: “ciò che spenderai di più lo pagherò al mio ritorno”; non possiamo limitarci a scaricare ad altri le situazioni difficili, ci è chiesto di continuare ad amare, a pensare, ad interessarsi all’altro anche quando lo abbiamo affidato a mani più esperte delle nostre.

“AL MIO RITORNO”

Luca non ci dice cosa avverrà in questa circostanza, non ci dice se il samaritano sarà ringraziato da quell’uomo oppure no; questo è l’insegnamento di Gesù: non aspettiamoci nessun grazie per il bene che facciamo perché sappiamo che lo facciamo per Lui!

Guido Morganti, SERMIG

Domande per la Revisione di Vita

·        Cosa mi frena nel donarmi? Cosa ho paura di perdere?

  • Ho bisogno della gratitudine altrui per essere soddisfatto del mio operare? Quando e perché?

Brani per la Lectio Divina

·        Matteo 25, 31-46 (Il giudizio finale).

1 Quartiere di Torino con una forte presenza di immigrati extra comunitari

Sabato, 02 Aprile 2005 13:23

COMPUTER CHE PASSIONE

COMPUTER CHE PASSIONE

 

Venti milioni di italiani nella “ragnatela”

 

Oltre il 60 per cento delle famiglie italiane possiede un computer e lo usa tra le mura domestiche. Le stime più recenti stabiliscono che tra il 2004 e il 2005 saranno almeno 20 milioni gli italiani collegati alla Rete da casa. Una crescita che coinvolge anche i minori, come dimostrano i dati di una ricerca su bambini e Internet realizzata per conto del ministero dell’innovazione tecnologica e presentata nel maggio scorso. I dati della ricerca indicano che oggi in Italia su circa 7 milioni di bambini di età compresa tra i 2 e i 13 anni, ben 2.4 milioni – pari al 35 per cento – hanno la possibilità di connettersi alla Rete da casa. Di questi, almeno 1 milione (il 14 per cento del totale) sono navigatori attivi. La situazione italiana, comunque, non è nemmeno paragonabile a quella esistente in Paesi come Germania e Regno Unito, dove la quota di bambini collegati alla Rete supera il 50 per cento.

Altri dati dicono che i bambini italiani si connettono preferibilmente tra le 19 e le 20, soprattutto di sabato e di domenica. Più in particolare, gli scolari delle elementari navigano quasi sempre in compagnia di un adulto e preferiscono i siti ludici. I ragazzi delle medie, invece, usano internet anche per studiare, scaricare dati, chattare o per la posta elettronica, e spesso lo fanno sa soli. La costante crescita del numero di bambini presenti in Rete, ha commentato il ministro per l’innovazione, Lucio Stanca, in occasione del convegno, rende il tema dell’uso consapevole di Internet di assoluta rilevanza.

 

MAI CON UNO SCONOSCIUTO

Dieci consigli doc perché i figli non si “perdano”: non digitare informazioni personali, non rispondere a e-mail volgari, stabilire i tempi massimi di navigazione.

  1. controllate ciò che i vostri figli fanno quando sono collegati e quali sono i loro interessi; trasmettete loro il vostro interessamento per ciò che imparano in Internet e, se fossero più bravi di voi a usare il computer, fatevi insegnare come funziona.
  2. collocate il computer in una stanza di accesso comune della vostra casa, piuttosto che nella camera dei ragazzi, e rendete l’uso di internet un’attività di famiglia, oppure usate il computer insieme ai vostri figli.
  3. proponete ai vostri figli mete e percorsi interessanti da seguire insieme e passate del tempo on line con loro. Abituateli a riflettere e a discutere con voi su quello che hanno visto in Rete; aiutateli a non considerare Internet un mondo completamente staccato dal reale.
  4. aiutate i vostri figli a ricordare che un amico frequentato in Rete non sostituisce un vero amico. Ricordategli anche che queste regole valgono anche quando accedono a internet fuori casa; a scuola, in biblioteca, o dai loro amici. Soprattutto, comunicate con i vostri figli a proposito di questioni legate al mondo della Rete.
  5. insegnate loro a non dare informazioni personali (nome, cognome, età, indirizzo, numero di telefono, reddito familiare, nome e orari di scuola, nome degli amici) e a  non usare la vostra carta di credito senza il vostro permesso.
  6. insegnate ai vostri figli a non accettare mai di incontrarsi personalmente con chi hanno conosciuto in Rete, spiegando loro che gli sconosciuti così incontrati possono essere pericolosi tanto quanto quelli in cui ci si imbatte per strada.
  7. dite loro di non rispondere quando ricevono messaggi di posta elettronica di tipo volgare, offensivo, pericoloso o che comunque li mettano a disagio. Allo stesso tempo, spiegate loro quali sono le regole di buona condotta sulla Rete (la cosiddetta “netiquette”), ricordando di non usare un linguaggio scurrile o inappropriato e di comportarsi correttamente.
  8. spiegate ai vostri figli che può essere pericoloso compilare moduli on line e di farlo solo dopo essersi consultati con voi. Prima di dare l’assenso alla compilazione di qualsiasi modulo, verificate le condizioni di tutela della privacy elencate dal sito.
  9. stabilite quanto tempo i vostri figli possono passare navigando si Internet e, soprattutto, non considerate il computer un surrogato della baby-sitter o della televisione, tenendo presente che Internet comporta molti più pericoli, essendo interattiva.
  10. potete ricorrere ai cosiddetti “filtri”, particolari prodotti software che hanno lo scopo di impedire l’accesso ai siti non desiderati (violenza e pornografia, per esempio). I filtri possono essere attivati introducendo parole-chiave o un elenco predefinito di siti da evitare. Se decidete di installare questo genere di software, è opportuno verificare periodicamente che funzioni correttamente.

 

Questo decalogo è stato compilato a cura dell’Associazione Digital Kids sulla base di numerosi suggerimenti e consigli reperiti in Rete. Digital Kids (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) , fondata nel 1998 da Giuseppe Romano e Stefania Garassini, è attiva nella promozione della creatività multimediale per i più giovani e lo scorso anno ha curato, in collaborazione con la regione Lombardia, il volume “Digital Kids. Guida ai migliori siti web, cd-rom e videogiochi per bambini e ragazzi”, pubblicato da Raffaello Cortina Editore. Internet e, se fossero più bravi di voi a usare il computer, fatevi insegnare come funziona, trasmettete loro il vostro interesse

 

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