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Visualizza articoli per tag: Famiglia Giovani Anziani

Sabato, 02 Aprile 2005 13:17

UN SALTO NEL VUOTO. LEGISLATIVO

UN SALTO NEL VUOTO. LEGISLATIVO

 

La (difficile) tutela delle leggi. Negli Usa ancora bloccato il provvedimento che garantisce finanziamenti pubblici solo a scuole e biblioteche che installano software-filtro E in Italia? In arrivo nelle famiglie un vademecum "per l'uso intelligente dei nuovi media".

 

 Di Stefania Garassini

                       co-fondatrice di Digital Kids

 

Contenuti illegali, dannosi, inadatti al pubblico dei più piccoli. Negli Stati Uniti, dove Internet è nata.e cresciuta,

termini del genere ricorrono ormai di fre­quente nel dibattito sugli utilizzi e sulle potenzialità della Rete. Proprio da Oltreo­ceano arrivano le prime leggi che tentano di regolamentare la difficile materia, tra accuse di censura e ricorsi alla Corte Suprema per sospetto di incostituzionalità. Quando si parla di limitare l'accesso a contenuti on line entra in gioco infatti la difesa del Primo Emendamento della Costituzione america­na, che tutela la libertà di espressione. Già: libertà fino a che punto?

Al centro dell'attenzione da qualche mese c'è il Cipa (Children Internet Protection Act), un provvedimento presentato al Congresso Usa nel 2000 che impone a biblioteche e scuole che vogliano ottenere finanziamenti federali l'installazione di software filtro per escludere siti inadatti dalla navigazione in Rete. La normativa è oggetto di attacchi con­tinui da parte delle organizzazioni libertarie americane, che puntano il dito contro l'ina­deguatezza di programmi informatici in gra­do di bloccare siti inadatti solo a patto di escluderne anche molti altri perfettamente leciti.

Emblematico a questo proposito è stato il caso del candidato repubblicano al Congres­so Jeffrey Pollock, convinto sostenitore del Cipa, fino a quando non si è accorto che uno dei software filtro più utilizzati includeva anche il suo sito elettorale nella propria lista nera. Il Cipa, che sarebbe dovuto entrare in vigore nel luglio scorso, è ancora bloccato. Il Tribunale di Filadelfia di recente si è pronunciato contro la sua costituzionalità, accogliendo di fatto le critiche al funzionamento dei programmi filtro. È innegabile, d'altra parte, che tali software siano da perfezionare sotto molti aspetti.

 

LE POLEMICHE NEGLI USA CHI DECIDE COSA E’ INADATTO AI MINORI ?

 

Ancora più accese le polemiche intorno a un altro provvedimento, il Copa (Child 000­ne Protection Act), proposto nel 1998, che ritiene vada punito chi rende accessibile in Rete ai minori materiale considerato per loro dannoso e inappropriato. Al centro del dibattito qui non c'è un problema mera­mente tecnologico come è quello relativo alle prestazioni dei filtri, ma una questione di carattere etico e sociale: ovvero con che crite­ri e da parte di chi sia lecito stabilire cosa è inadatto ai minori.

Dopo numerosi ricorsi, la Corte Suprema ha rimandato il caso ai Tribunali dei singoli Sta­ti, stabilendo che non è incostituzionale l'ap­pello, contenuto nel testo della normativa, a una serie di community standards, criteri condivisi, per determinare cosa sia nocivo per un pubblico di bambini e giovani. Si tratta, com'è evidente, di una materia estremamente delicata, ma allo stesso tempo ineludibile, se l'obbiettivo è fare di Internet il luogo di un' autentica "vita sociale", che si basi su valori comuni. L’insegnamento che possiamo trarre dall' esperienza americana è intanto proprio il coraggio di mettere all' or­dine del giorno questioni decisive per lo svi­luppo della Rete.

 

L'USO CONSAPEVOLE DI INTERNET: IL NEONATO COMITATO GOVERNATIVO

 

E in Italia? Se il dibattito normativo attual­mente si concentra per lo più sulla legge antipedofilia e sulle proposte per renderla più efficace, stanno nascendo le prime ini­ziative che intendono promuovere un uso di Internet rispettoso del pubblico dei piccoli. Nel luglio scorso presso il ministero per l'In­novazione e le Tecnologie è stato creato il "Comitato per l'uso consapevole di Inter­net", con l'obbiettivo di incoraggiare tutte le attività che rendono gli utenti più abili nel­l'utilizzare la Rete e quindi in grado di valu­tare e scegliere i contenuti.

La strategia migliore, secondo il ministro Lucio Stanca, resta quella di preparare gli utilizzatori. Allo stesso modo, per citare un paragone dello stesso ministro, il miglior sistema per evitare rischi in piscina è inse­gnare ai propri figli a nuotare. Dal medesi­mo spirito è animata l'iniziativa promossa dalla commissione parlamentare per l'infan­zia presieduta da Maria Burani Procaccini: un "Vademecum per l'uso intelligente di tv e nuovi media, appena messo a punto, che sarà distribuito a tutte le famiglie italiane con figli di età compresa fra i 6 e i 15 anni. Si tratta di una sorta di gioco "interattivo" che ­illustra opportunità e rischi dei vari stru­menti di comunicazione. «Il primo passo - ­spiega la parlamentare, promotrice anche di un disegno di legge che dovrebbe integrare l'attuale normativa antipedofilia - è un' edu­cazione all'uso del mezzo. I genitori dovreb­bero sentire la responsabilità di non lasciare i propri figli soli davanti al computer, ma di imparare insieme a loro a padroneggiarlo».

 

 

 

PICCOLO VOCABOLARIO

 

 

SITO PER I BAMBINI. Un sito Web è un ipertesto, ossia un testo immagazzinato in un computer che consente allettare di seguire percorsi personali di lettura “navigando”  tra le componenti delle pagine, senza una sequenza obbligatoria ma in base agli scopi e interessi del lettore. Un sito per bambini offre contenuti ed immagini adatte ai più piccoli.

 

 PORTALE PER BAMBINI. Il portale è un insieme organizzato di siti, una specie di grande magazzino diviso in reparti nei quali trovare prodotti dello stesso tipo. Il portale è quindi una forma di testo composta da blocchi di scrittura e immagini unite tra di loro attraverso una rete di collegamenti. Nei portali dedicati ai  bambini questi percorsi portano tutti a siti per i più piccoli.

 

MOTORI DI RICERCA. A disposizione del navigatore ci sono dei motori di ricerca, ossia degli strumenti che permettono la ricerca di documenti sul Web mediante parole chiave: inserendone una, vengono indicati centinaia di siti nei quali essa è contenuta. I motori di ricerca sono strumenti poco adatti ai bambini perché non discriminano i contenuti dei siti. Alcuni offrono dei "blocchi" per Ie pagine a contenuto pornografico o violento. Esistono alcuni motori di ricerca espressamente costruiti per i ragazzi.

 

FILTRI. Sono dei programmi sottware che discriminano tra siti per bambini e non individuando parole o immagini "pericolose". Si possono scaricare da Internet o acquistare e possono essere gratuiti o a pagamento.

 

INTERNET PROVIDER PER BAMBINI. Sono fornitori di collegamento a Internet filtrato. Accedendo cioè alla Rete attraverso questi "connettori" si naviga in un ambiente protetto. I più noti provider dispongono di soluzioni a pagamento dedicate ai bambini. Davide.it è invece l'unico Internet provider gratuito per le famiglie.

 M.G.

 

 

Mercoledì, 30 Marzo 2005 21:26

L’ACCOGLIENZA NELLA COMUNITA’

PRIMA PARTE

APRIRSI ALL’ACCOGLIENZA

 

- 2 -

Accogliersi per saper accogliere

L’ACCOGLIENZA NELLA COMUNITA’

Farsi prossimo a coloro che ci vivono accanto

 

Quando sono arrivato qualcuno mi ha accolto con un sorriso dandomi un foglio, un altro si è fatto avanti accogliendomi in nome del parroco: posso quindi affermare che stasera sono stato accolto tra voi, non mi sono sentito uno di passaggio.

La riflessione di stasera si svilupperà in cinque punti intorno ad una considerazione di base: “Una comunità cresce se cresce l’accoglienza”. Gesù, nostro maestro, nel Vangelo ci ha dato tanti esempi di accoglienza: “Venite a me, voi che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro”,…impariamo da Lui!

 

CONOSCENZA TRA PARROCCHIANI

Il primo passo da compiere per diventare una comunità accogliente è quello di conoscerci tra noi. Stasera, per esempio, ci conosciamo tutti? Se ci guardiamo intorno, vediamo solo volti noti o anche persone con cui non abbiamo mai scambiato neanche un saluto?

In una grande parrocchia è difficile conoscersi tutti  ma , almeno tra noi che frequentiamo la chiesa, sarebbe importante crescere nell’accoglienza. Le occasioni non ci mancano: trasformare il segno di pace con il vicino di banco in un’occasione d’incontro, non temere di parlare sottovoce, prima dell’inizio della funzione, con chi ci sta accanto, non scappare di corsa alla fine della Messa ma attardarsi a salutare chi già conosciamo e anche chi non conosciamo. Perché i Movimenti hanno così successo? Per tanti motivi ma anche perché chi vi partecipa si sente accolto, è riconosciuto con il proprio nome. Impariamo da loro!

 

I GRUPPI COME COMUNITA’…

Nella parrocchia

 

 

...APERTE A TUTTI...

Ma non basta. La comunità cresce se chi fa parte di un gruppo riesce ad essere accogliente verso chi non ne fa parte, non vede un nuovo arrivato come un intruso ma come un fratello; se, chi vi partecipa per la prima volta, non si sente accolto non torna più. Se un gruppo non si apre, è destinato a morire perché il suo obiettivo deve essere quello di diventare una piccola comunità aperta agli altri.

 

...E PARTE VIVA DELLA PARROCCHIA

Una parrocchia: tanti gruppi che funzionano, ogni gruppo partecipa quasi al completo alle attività o agli impegni che lo riguardano, ma quando il parroco propone un’iniziativa aperta a tutti, che coinvolge l’intera comunità, i gruppi si squagliano, partecipa solo una piccola minoranza. Quante volte ho vissuto questa esperienza come parroco! I gruppi devono sentirsi parte della comuni-tà, non isola felice e appartata, e il momento comunitario per eccellenza è l’Eucarestia domenicale. La parrocchia deve essere sentita e vissuta come co-munità di tante piccole comunità!

 

PARROCCHIA CHE SI FA PROSSIMO

Questa comunità, che è la parrocchia, cresce se è attenta non solo ai suoi, a coloro che partecipano, ma se sa farsi prossimo a tutti coloro che abitano nel suo territorio. Occorre che i cristiani sappiano vedere e farsi carico delle situa-zioni di disagio delle persone che abitano vicino a loro e si facciano portavoce in parrocchia di chi soffre, di chi è ammalato o sta morendo, di chi è solo. La parrocchia deve diventare punto di convergenza delle esigenze del territorio. Guardiamo a Gesù che, nel suo agire, è attento alle persone, ai discepoli, alla gente tutta e chiediamogli l’aiuto per far diventare questa parrocchia una vera comunità d’accoglienza!

don Guido Fiandino della diocesi di Torino

 

 

Domande per la Revisione di Vita

· Come sono stato accolto nel gruppo cui faccio parte? Ne sono stato soddi-sfatto, o si sarebbe potuto fare meglio?

·    Nel gruppo c’è la stessa attenzione verso tutti i componenti? Se qualcuno è messo in disparte come possiamo fare per accoglierlo meglio?

·   

Brani per la Lectio Divina

· 1 Corinzi 12, 4-27 (diversità e unità dei carismi);

·         Giacomo 2,1-13 (accoglienza alle agapi).

 

Mercoledì, 30 Marzo 2005 20:24

Famiglia e ricchezza

FAMIGLIA E RICCHEZZA

(Itinerari verso la povertà...)

TONY PICCIN

Vallà (Treviso)

- Il godere delle cose è uno dei messaggi che la famiglia è tenuta a dare al mondo - Ma le cose sono di tutti e servono a tutti per una vita più serena - Le cose possono diventare causa di profonde discordie se non servono per creare il bene di tutti e a coltivare un amore reciproco - Un itinerario verso la povertà da percorrere in famiglia, sapendo che «poveri non si nasce, si può nascere poeti, ma non poveri, poveri si diventa» (Tonino Bello)

Sono andato di recente con mia moglie in casa di due sposi in occasione del loro primo anniversario di matrimonio. L'abitazione si trovava in una nuova zona residenziale circondata da una curata vegetazione. L'arredamento di ogni stan­za era lussuoso, l'ordine meticoloso, l'il­luminazione, il riscaldamento, la zona cottura con gli accorgimenti più sofisti­cati; tutto curato con gusto straordinario e naturalmente una spessa porta blindata munita di antifurto non poteva mancare all'ingresso. Nel tempo trascorso in quella casa non ho sentito una sola volta squil­lare il telefono o il citofono, non sono riu­scito a vedere da nessuna parte un libro od una rivista di qualsiasi genere… Poveri­ni, come dovevano sentirsi soli lì dentro in quella mostra d'avanguardia del mobi­le; e probabilmente saranno pure oggetto d'invidia da parte di vicini e conoscenti.

«Poveri» non si nasce, si diventa...

Eppure il Signore ha creato le cose per la felicità degli uomini; i beni di questo mondo, proprio perché usciti dalla ma­no generosa di Dio, sono «cose buone» che dovrebbero rendere contento il cuo­re dell'uomo.

L'uomo rincorre queste cose, cerca in tutti i modi di accaparrarle per sé e per la sua famiglia e alla fine si accorge di avere, di amare, di cercare continuamente e soltanto «cose» che non potranno mai soddisfare la sua sete di felicità.

La situazione in questo nostro mo­mento storico non è per molte famiglie molto rosea: il lavoro scarseggia, gli sti­pendi perdono del loro valore d'acquisto, le tasse aumentano di continuo; a volte le situazioni diventano drammatiche, spesso sono di grave disagio o di pesante sacrificio in stridente contrasto con una minoranza di persone che abbonda e sperpera.

La povertà materiale è una strada si­cura verso la felicità? O al contrario è la ricchezza che ci fa davvero «star bene» in famiglia?

Un noto proverbio afferma che «il de­naro non fa la felicità» ... e qualcuno con sottile ironia aggiunge: «figuriamoci la miseria!». La frase così scherzosamente completata ci fa intravedere che la tran­quillità di un'economia materiale permet­te di essere più sereni, permette di colti­vare valori intellettuali, sociali, spiritua­li, permette infine di poter avere dei mo­menti di relax e di svago che rendono si­curamente la vita più bella ed interessan­te. Il cielo, il mare, le montagne... sono fatti perché qualcuno li veda e ne gioisca; la casa, l'auto, la TV... sono realtà altret­tanto utili e buone per la nostra vita, ma ogni «cosa» non è fine o scopo della vita bensì un mezzo che ci permette di amare di più le persone e di renderle felici.

Il godere delle cose è uno dei messag­gi che la famiglia è tenuta a dare al mon­do. Infatti in famiglia possono servire per rendere migliori i rapporti tra le persone: le cose sono di tutti e servono a tutti per una vita più serena. Tuttavia esse posso­no anche diventare causa di profonde di­scordie se non servono per creare il bene di tutti, se non contribuiscono a coltiva­re un amore reciproco. La famiglia allo­ra può diventare esempio vivo di come te­nere ed usare la poca o molta ricchezza che vi può essere sia al suo interno sia nel nostro paese.

Ora che sono caduti gli ideali socio-politici comunisti o socialisti costruiti su fredde teorie filosofiche dovrebbe final­mente prendere piede il giusto comuni­smo che è quello basato sull'amore che Cristo ha riacceso in questo mondo. Cre­do che la famiglia sia uno dei luoghi più adatti per esperimentare la condivisione dei beni, la loro destinazione ed insieme la loro relatività rispetto ai valori fonda­mentali dei quali sono a servizio.

Si tratta allora di coltivare uno stile di vita familiare orientato alla povertà perché «poveri non si nasce, si può na­scere poeti, ma non poveri; poveri si di­venta (...) richiede un tirocinio difficile» (Tonino Bello). Si può nascere nell'indi­genza e nella miseria, ma queste riguar­dano la condizione economica, la pover­tà invece è una virtù del cuore.

La povertà come virtù del cuore, come stile di vita, nasce da alcune convinzioni...

Uno stile di vita «povero» prende mo­tivo da alcune convinzioni profonde:

- La netta supremazia della persona sul creato.

Verrà un tempo in cui questo mondo finirà, crollerà come un castello di sabbia ma ognuno di noi è destinato a vivere per l'eternità. Il più limitato degli operai e più im­portante della macchina su cui lavora, lo scolaro è più importante della lezione che deve imparare, l'emarginato seduto sui gradini a chiedere l'elemosina supera di gran lunga l'importanza del duomo di S. Maria del Fiore che gli sta sopra la testa. E questo la famiglia lo sa bene quan­do ogni giorno è costretta a recuperare i suoi membri feriti dall'impatto con l'e­sterno in cui fanno testo uomini che dan­no troppo valore alle cose;

- Il valore assoluto dell'«essere» ri­spetto all'«avere».

Anche il Vangelo ci sprona a cercare delle amicizie con il de­naro della iniquità. Si tratta di coltivare ciò che serve ad arricchire lo spirito, ciò che è utile a scuotere l'intelligenza, a sviluppare le doti personali.

La famiglia ha esperienza di quanta pressione viene fatta dall'uno o dall'al­tro dei suoi membri per spese inutili e a volte assurde soltanto perché «gli altri ce l'hanno», e come è difficile orientare gli acquisti in senso opposto alla mentalità consumistica;

- Filtrare l'entrata di messaggi errati attraverso una grande capacità di dialo­go e di critica.

E' l'antidoto più efficace che riesce a togliere l'ansia della ricerca di beni e soddisfazioni immediate rispet­to invece ai valori meno appariscenti ma veri. Solo perché c'è amore tra gli sposi e con i figli si riesce a «scherzare» e perciò a smontare il culto esagerato del corpo, del vestito e gli atteggiamenti stereotipa­ti assorbiti dalle varie agenzie di turno. Insomma a disappiccicare le persone pic­cole e grandi da modelli che non aiutano sicuramente a creare la semplicità dei rap­porti;

- Il valore delle scelte di vita.

Non è facile vivere con coerenza la tensione ver­so occasioni e momenti arricchenti piut­tosto che lasciarsi trascinare dalla folla che corre allo stadio, alle discoteche, al­le più sciocche forme di divertimento.

Il proverbio ci suggerisce che «il tem­po è denaro», forse in altra chiave lo po­tremmo meglio tradurre in: «il tempo è occasione di crescita personale e familia­re» per chi ne vuole approfittare;

- La ricchezza è un bene per tutti, non destinato a ristagnare in tasca a qualcu­no.

L'attuale situazione economica rap­presenta un grave scandalo contro il quale tutti noi, che siamo Chiesa, dovremmo fortemente protestare: l'uso a scopi per­sonali ed egoistici del denaro pubblico, le troppo consistenti disparità di salario, la cattiva amministrazione... sono scandali ai quali non ci si deve rassegnare. Ogni grave disordine o distorsione del piano del Creatore è destinato ad esplodere in for­me violente. La famiglia vive fortemente il suo di­sagio davanti alle pressioni provocate da queste ingiustizie e tiene a fatica il con­traccolpo.

...e si attua attraverso qualche esercizio pratico

Per imparare l'arte della povertà fa­miliare è utile fare anche qualche eserci­zio pratico come:

- soccorrere o accogliere chi è nel bi­sogno. Vivere il problema così da vicino lasciandoci coinvolgere aiuta a relativiz­zare la nostra sete di avere, e a dare la giu­sta importanza al denaro;

- evitare lo spreco per non impoverire ulteriormente chi è nell'indigenza a causa di certo sconsiderato sfruttamento e per non inquinare ulteriormente l'ambiente;

- accostarsi ad esperienze di essenzia­lità a misura di famiglia, forme che van­no moltiplicandosi in questi ultimi anni per opera di gruppi e movimenti. Convi­venze di breve durata che aiutano a met­tere in comune con altre famiglie il pane e il sorriso, senza tutte le abituali como­dità che ognuno si è creato nella propria casa. Queste occasioni servono a riscopri­re tutta una serie di valori che il nostro «benessere» tiene assopiti.

Tutto questo può formare il piedestal­lo su cui costruire un rapporto sereno tra famiglia e ricchezza e diventa motivo di maggior serenità per quelle famiglie che si trovano in difficoltà. Ma l'ultima paro­la è di Gesù che vuole espressamente no­minare come primi «beati» i «poveri in spirito», ossia coloro che la povertà la cercano e la coltivano come virtù perché egli regna in loro e attraverso loro. 

Tony Piccin

Pubblicato in Spiritualità Familiare
Sabato, 19 Marzo 2005 14:37

LA FAMIGLIA LUOGO DI ACCOGLIENZA

PRIMA PARTE:

APRIRSI ALL’ACCOGLIENZA

 

- 1 -

 

Accoglienza: dialogo tra diversità

LA FAMIGLIA LUOGO DI ACCOGLIENZA

Aprirsi agli altri e allo Spirito

 

In questo periodo grava sulla famiglia qualcosa di paragonabile ad una cappa di piombo. Dopo i fatti di Novi Ligure e altri analoghi non stupisce trovare genitori che si interroghino sulla loro capacità di educare i propri figli.

Tralasciando l’emotività che questo tipo di avvenimenti inevitabilmente provoca, chiediamoci che cosa dovrebbe significare l’accoglienza in famiglia e, per aiutarci, vi propongo tre spunti di riflessione.

 

AFFETTO SENZA DIALOGO

Che tipo di comunicazione c’è nelle nostre famiglie? Dobbiamo ammetterlo: la comunicazione non è il nostro forte, c’è molto affetto ma c’è poco dialogo, in famiglia c’è silenzio su molti argomenti che non si affrontano perché ciò vorrebbe dire discutere, litigare, quindi si preferisce tacere.

Dovremmo invece superare l’affetto, anche se è un elemento indispensabile per la vita familiare, per arrivare al confronto, anche se ciò porta inevitabilmente a scoprire la diversità delle opinioni e dei punti di vista.

Ma la diversità, che sovente ci spaventa, è invece un valore positivo, non possiamo pensare che i nostri figli condividano sempre le nostre idee, i nostri valori; sono di un’altra generazione, hanno modelli diversi dai nostri. Anche come coppia dobbiamo saper apprezzare il valore della diversità, come lo scoprire che non siamo più gli stessi di quando ci siamo sposati ma siamo cresciuti, maturati, cambiati.

 

FAMIGLIA APERTA…

La prima apertura della famiglia è quella verso la vita nascente e la vita verso il suo termine. Purtroppo la nostra società ci spinge a non fare più figli: li fa sentire come un onere, come un limite alla libertà e trascura volutamente tutti gli aspetti positivi della paternità e della maternità. Anche sul fronte degli anziani il discorso è analogo.

Ci sono anche altri modi per aprirsi come famiglia: il volontariato, l’affido, ecc…, tutti validi ma senza dubbio impegnativi. Ma ce ne sono anche tanti altri molto più semplici e a portata di mano: sono quelli che investono la sfera del quotidiano e coinvolgono le persone che ci sono vicino, nella casa dove abitiamo, a scuola, in ufficio.

Siamo chiamati ad un’accoglienza ordinaria ma continua verso coloro con cui condividiamo il nostro tempo, non basta un “buon giorno, buona sera” per diventare prossimo agli altri.

 

…AI RICHIAMI DELLO SPIRITO

Come cristiani poi siamo chiamati ad aprirci allo Spirito, a non essere sordi ai suoi richiami.

Come per l’esperienza di coppia, dove il matrimonio non è che il punto di partenza di un cammino da fare insieme, così nell’esperienza religiosa non c’è mai un punto di arrivo.

La fede non è acquisita una volta per sempre ma è un cammino che si snoda nel tempo e nella vita e che può portarci a mete impensate, se ci lasciamo guidare dallo Spirito.

Come cogliere la sua voce nel rumore del quotidiano? E’ molto più facile quando stacchiamo la spina regalandoci una settimana di ritiro ma, come laici, il nostro posto è nel mondo ed è proprio in mezzo al suo fragore che siamo chiamati, ogni giorno, a scoprire cosa vuole da noi il Signore.

 

prof. Franco Garelli, sociologo

 

Domande per la Revisione di Vita

·        Sappiamo conversare con l’altro, ascoltando e accogliendo il suo punto di vista, senza voler imporre il nostro? Oppure, attraverso le parole e l’atteggiamento, combattiamo un duello? In quali casi il suo punto di vista diverso ci è stato di aiuto?

·        Riusciamo a vedere Cristo nel fratello che incontriamo? Quali incontri, quali presenze, ci disturbano maggiormente? Perché?

Brani per la Lectio Divina

·        1 Samuele 24,1-22 (Davide risparmia Saul);

·        Efesini 5,21-6,4 (morale domestica).

 

Sabato, 19 Marzo 2005 14:32

APPENDICE: I METODI DI LAVORO

APPENDICE

I METODI DI LAVORO

 

L'ANNUNCIO

 

L’Annuncio è lo strumento che permette al Gruppo Famiglia di impostare il suo programma di formazione e consiste nel confrontarsi su un argomento di comune interesse. L’Annuncio può essere fatto da una persona esterna al gruppo, invitata a questo scopo, oppure può essere fatto dal gruppo stesso. In questo caso come si fa?

Si tratta di trovare un argomento di comune interesse, tratto da un libro o da una rivista, e confrontarsi su di esso.

È necessario leggere in precedenza l’argomento (personalmente e in coppia) e porsi, per ogni punto trattato, alcune domande:

·        Condividiamo quanto é scritto? Se non lo condividiamo, perché?

·        Se lo condividiamo, quali ostacoli ci impediscono di realizzarlo?

·        Da che parte incominciamo per superare questi ostacoli?

·        Quali conferme abbiamo trovato?

Durante l’incontro, dopo aver letto l’Annuncio e aver sostato un momento in silenzio, tutte queste riflessioni sono messe in comune perché “chi ha, dà...”. Si ascolta l’esperienza dell’altro come dono dello Spirito per fare chiarezza, discernimento, dentro di noi.

Ognuno, per essere più preciso nel comunicare la propria esperienza é bene metta per iscritto quel che ha pensato, meditato, sentito ... anche per essere più semplice e conciso quando presenta (verbalizza) il proprio contributo.

 

LA LECTIO DIVINA

 

La Lectio Divina è una preghiera biblica che. partendo dalla lettura del testo

sacro, giunge alla contemplazione dell’amore di Dio e spinge all’azione. all’ impegno, alla testimonianza.

Lo schema della Lectio Divina si articola in cinque punti:

·        Lettura: dopo aver letto il testo scelto uno dei presenti ne spiega la collocazione nel testo sacro e chiarisce parole e passi che possono suscitare dubbi.

·        Che cosa dice il testo in sé: si rilegge il testo una frase per volta, cercando di cogliere il significato delle singole parole, soffermandosi sui verbi, sugli aggettivi, per comprendere insieme che cosa l’autore sacro intendeva dire.

·        Che cosa dice il testo a me: ora che abbiamo capito meglio il testo chiediamoci: che cosa il Signore ci vuole dire in questo preciso momento della nostra vita, attraverso questo brano? Condividiamo la nostra risposta con i fratelli.

·        Preghiera: trasformiamo la nostra riflessione in preghiera nelle forme che lo Spirito vorrà suggerirci: dialogo, adorazione, lode, ringraziamento, intercessione.

·        Leggere “con la penna in mano”: scegliamo una frase del testo biblico letto e pregato, scriviamola per ricordarla meglio, sforziamoci di ‘ruminarla” nei giorni a venire e di viverla, prendendo un piccolo ma concreto impegno di conversione.

La vita quotidiana è trasformata dalla forza della Parola!

È opportuno incominciare sempre la Lectio Divina, sia personale sia di gruppo, con un’invocazione allo Spirito Santo affinché Lui, che ha ispirato le Scritture, guidi noi alla loro corretta ed efficace comprensione.

 

LA REVISIONE DI VITA

 

La Revisione di Vita è un metodo per fare cerniera tra vita quotidiana e fede, condividendo con gli altri il cammino. Viene proposta, prima di ogni incontro, una domanda dalla quale partire per:

·        Vedere: dopo un invocazione allo Spirito Santo la coppia che conduce l’incontro ripropone la domanda scelta per la RdV e ciascuno dà la sua risposta, attingendo alla propria esperienza personale e di coppia, senza esprimere giudizi. Questo momento di ascolto reciproco e di comprensione profonda dell’esperienza altrui favorisce la formazione della “presa in carico” reciproca.

·        Giudicare: a questo punto il gruppo si prende un momento di silenzio per ripensare a ciò che si è sentito e per interpretarlo alla luce del Vangelo. Ciascuno si raccoglierà in se stesso e farà memoria di quegli episodi e frasi del Vangelo, o più in generale della Bibbia, che rimandano a quanto udito e vissuto fino a quel momento e li condividerà con gli altri. Non sempre la nostra conoscenza del Vangelo è così approfondita da riproporre la citazione esatta, quello che conta è dire con parole nostre ciò che ci ricordiamo perché è comunque quello che ci è rimasto impresso nel cuore.

·        Agire: è il momento dell’appello alla conversione, è ora di prendere impegni precisi. Domandiamoci: che cosa mi chiede Gesù, ora e qui, per la mia conversione? Ciascuno, dopo un attimo di riflessione, esprime a voce alta il proprio pensiero sentendo che tutti gli altri partecipano sostenendolo con la preghiera. L’impegno preso non deve essere troppo difficile, altrimenti si rischia di non metterlo in pratica, deve essere alla portata anche di un bambino in modo da non poter avere scuse in caso di inadempienza.

Si conclude l’incontro con una preghiera di ringraziamento o di lode.

 

IL PARTAGE

 

Come la famiglia, anche il Gruppo Famiglia pratica la condivisione (Partage) come stile di vita.

La Lectio Divina. la Revisione di Vita sono già momenti di forte condivisione ma è bene dedicare ogni tanto un incontro al Partage, avendo cura di predefinire il tema, per fare davvero condivisione ed evitare di cadere nello spontaneismo.

Alcuni temi od occasioni di Partage possono essere: la nascita di un figlio, la morte di un familiare, scelte di vita. sofferenze. esperienze di servizio, ecc...

L’incontro di Partage può essere inserito in calendario già ad inizio anno oppure venire fissato in funzione dei bisogni e delle esigenze che nascono nelle coppie del gruppo.

Si inizia l’incontro con un brano della Parola pertinente al tema del Partage in modo da esserne illuminati e non correre il rischio di piangersi addosso.

L’incontro prosegue in modo spontaneo condividendo con i nostri fratelli nella fede le nostre esperienze; si presti attenzione a non assumere atteggiamenti sentimentali. o di pessimismo o di esaltazione.

Si termina con una preghiera che esprima l’assunzione reciproca delle gioie e delle pene.

Comunque, ogni incontro, formale od occasionale. tra le coppie del gruppo può avere momenti di Partage: aprirsi agli altri, confidando le nostre gioie, le nostre pene, le nostre attese può essere di aiuto e consolazione, soprattutto se sappiamo che quanto detto non sarà oggetto di chiacchiere o di pettegolezzi.

 

Sabato, 19 Marzo 2005 14:24

Diversità e accoglienza - Introduzione

Alcune proposte di riflessione

Ogni giorno nel nostro fare ci confrontiamo e, a volte ci scontriamo con gli altri: un vicino che ci spintona sul tram o un automobilista che ci taglia la strada, un marocchino che vuole a tutti i costi lavarci il vetro, per non parlare dei colleghi di lavoro, il più delle volte indisponenti, arrivisti, supponenti e raramente amici o perlomeno compagni sulla stessa barca. E quando torniamo a casa eccoci alle prese con i problemi, le fisime, l’insistenza o l’indifferenza del coniuge, dei figli, dei genitori anziani.

E’ urgente imparare a gestire questi confronti, a non viverli solo come un peso ma anche come un’opportunità: opportunità che nasce dalla nostra capacità di accogliere le differenze di cui gli altri sono portatori.

E’ dalla differenza che nasce tutto quanto ci circonda: i nostri figli non sono uguali a noi e noi non siamo uguali ai nostri genitori; nostra moglie, nostro marito sono nati o hanno origini in altre regioni d’Italia, diverse dal luogo dove abitiamo; noi stessi, per motivi di lavoro, ci siamo trasferiti lontano dai luoghi della nostra infanzia.

Il cambiamento e la diversità, anche se sovente indesiderati, fanno da sfondo alla nostra vita: accoglierli diventa una necessità vitale.

Questo piccolo sussidio vuole fornire piste, tracce a tutti coloro che vogliono aprirsi all’accoglienza e fare tesoro della diversità.

In appendice sono suggeriti alcuni metodi di lavoro per riprendere a livello di gruppo, ma anche di singolo o di coppia, i temi affrontati nelle diverse riflessioni.

 

Torino, ottobre 2002

Noris Bottin, presidente associazione Formazione e Famiglia

 

Sabato, 19 Marzo 2005 11:27

I segni dei tempi nella Chiesa

I segni dei tempi nella Chiesa

· «Segni dei tempi» sono quelli che indicano una liberazione in atto nella storia · Gesù di Nazareth, il Liberatore, è il «segno dei tempi» · Ed è Lui, l’annunciatore, che le Chiese devono annunciare · A tutti, e in ogni tempo.

La sera voi dite:

«Il cielo è rosso, farà bel tempo».

E la mattina dite: «Il cielo è rosso cupo, oggi è burrasca».

Sapete dunque distinguere l’aspetto del cielo

E non vi riesce

Capire i segni del tempo? (Mt 16, 2-3)

L'espressione «segni dei tempi» - come tutte quelle che in un certo periodo della storia hanno rappresentato per una generazione un punto di riferimento inserito in un orizzonte di senso - rischia col tempo di perdere il suo significato originario e di essere utilizzata dalla generazione successiva in modo disattento e banalizzato. Così, oggi tutto tende ad essere considerato «segno dei tempi»: dalle varie e ricorrenti «tangentopoli», all'uso urtante del cellulare; dalle tragedie giovanili del «sabato notte», alla «navigazione» ossessiva ed alienante su Internet, dalla ricerca generalizzata di facili guadagni in Borsa e alle lotterie, ai «giochi» erotici in diretta TV o alla passione sempre più diffusa per il gossip (il pettegolezzo). Se è vero - come affermava uno scrittore - che i paradossi di ieri sono i pregiudizi di domani, ciò è in parte dovuto non solo ai cambiamenti culturali ma anche al progressivo diluirsi e deteriorarsi dei valori forti, ivi compresi quelli nascosti dietro una parola od un’espressione.

Per Gesù, invece, nel brano citato di Matteo, «segni dei tempi» sono segni connotati di valori forti, positivamente collegati con il Regno di Dio che egli inaugura, segni dunque - o meglio «eventi» - di liberazione, cioè di salvezza, nella storia, dalla quale traspare l'opposizione dialettica tra il peccato, visibile e documentabile in un quotidiano la cui lettura non è mai facile né immediata, e la grazia che misteriosamente anticipa la redenzione definitiva. L’invito di Gesù è quindi rivolto non solo ai suoi contemporanei, ma agli esseri umani di tutte le generazioni. Ed in particolare a noi, che di fronte alle immani sfide etiche che il nostro tempo comporta ci ostiniamo a cedere alla tentazione pessimistica («...si andava meglio prima!»), o a quella edonista o individualista («...l'importante è che stia bene io, qui e ora!»), o ancora a quella ideologica, integrista e giustizialista («...per salvare il nostro tempo bisognerebbe fare piazza pulita di...»).

Queste tentazioni attraversano tutte le dimensioni della nostra esistenza, di quella familiare e sociale a quella professionale e non dobbiamo quindi stupirci se interessano - e non solo tangenzialmente - anche quella ecclesiale. Le Chiese non vivono sotto una campana di vetro, isolate e sterilizzate dal mondo: e le varie «visioni del mondo», i modelli etici che di volta in volta definiscono scelte, giudizi, decisioni, comportamenti, non possono non avere un'influenza diretta su di esse. Per porre correttamente, per quanto schematicamente, la questione dei segni dei tempi a livello ecclesiale, occorre allora situare la Chiesa nel concreto cammino storico che sia compiendo.

Una breve ricognizione

Diciamo subito che ci sembra quanto meno azzardato parlare - come capita talvolta d'udire - di «apocalittica ecclesiale». Vogliamo subito esprimere il nostro atto di fede nella forza sempre rinnovatrice dello Spirito che, in un tempo caratterizzato da «non frequenti visioni» (cf 1 Sam 3, 1s), suscita inaspettatamente nuove e giovani comunità capaci di mostrare al mondo la forza dell'amore. E certo, però, che la Chiesa si colloca oggi su un crinale «apocalittico» della storia. È una storia che «geme per i dolori del parto» e attende una liberazione. Si è soliti affermare che il rapporto chiesa-mondo si sviluppa in un contesto di secolarizzazione intesa come processo (positivo) di progressivo affrancamento della società dai sistemi religiosi e sacrali, ma anche come disaffezione e allontanamento dei singoli dalle chiese, dai loro riti e dalle loro istanze morali. È, quest'ultima, una situazione che preoccupa molto le gerarchie ecclesiastiche che non esitano a ricorrere a progetti talora molto ambiziosi per il recupero di una visibilità che rischia di appannarsi. Ma per la Chiesa, come vedremo, più che la mancata visibilità il rischio vero sembra oggi l'insignificanza.

E tuttavia dobbiamo essere attenti. La lettura fatta con i nostri modelli occidentali della nostra realtà ecclesiale, all'interno cioè di un mondo ricca e secolarizzato, rischia di essere inguaribilmente etnocentrica se cediamo alla tentazione di assolutizzarla e di universalizzarla: essa riguarda infatti non più di un quarto dell'umanità, l'Occidente evoluto appunto, mentre i restanti tre quarti vivono in una condizione di sub-umanità, di povertà estrema, di oppressione, di guerra, di carestia, di fame, di distruzione di intere etnie: situazioni per le quali non si intravede, almeno nel breve periodo, una ragionevole via d'uscita. Per queste persone, la Chiesa istituzionale che cosa rappresenta? Una presenza? Una speranza? Un punto di riferimento? Oppure una realtà ingombrante, un'alleata degli oppressori? O, più semplicemente, nulla? 

La vita media di un occidentale è - grosso modo - di 75 anni; quella di un abitante del cosiddetto «terzo mondo» non arriva a 50. Quest'ultima media risalta abbassata fondamentalmente a causa di almeno quattro fattori: la mortalità infantile elevata dovuta alla mancanza di un sistema sanitario adeguato, la malnutrizione e la sottonutrizione endemica, l'inquinamento ambientale, l'insicurezza e lo sfruttamento sul lavoro soprattutto dei minori. Tecnicamente, superare questo divario non sarebbe impossibile: 1o è invece da un punto di vista politico. Se - per non fare che un esempio - gli Stati Uniti hanno già deciso oggi la quantità di aerei da combattimento da immettere sul mercato nel 2012, cioè fra una dozzina di anni, tanti quanti ne occorrono per la progettazione e la costruzione di queste macchine da distrazione, è evidente la necessità di creare fin d'ora situazioni di guerra, con la tragica catena dì tragedie che comporta, per smaltire le scorte di questi prodotti.

No, la povertà e la guerra non sono un tragico destino: non è questo il modello al quale Dio ha destinato la creazione. Sono i rapporti tra gli uomini, le leggi economiche considerate rigide ed immutabili, e supreme, le scelte politiche fondate sull'egoismo dei pochi, l'incapacità di rinunciare al diritto senza contropartita che hanno determinato e determinano tali situazioni. D'altronde, già alla Conferenza di San Paolo del Brasile i teologi del Terzo Mondo avevano denunciato questo scandalo: «il popolo credente, ma sfruttato del Terzo Mondo si contrappone all'Occidente secolarizzato e sfruttatore». Lo scandalo dello sfruttamento e della divisione è destinato a mettere in crisi qualsiasi fede in Dio, o la fede in un qualsiasi Dio. Come è possibile pensare ad un Dio in presenza di miliardi di persone che soffrono, di bambini che muoiono inesorabilmente, solo circondati dal dolore impotente degli adulti? E rischia anche di rendere superflue le Chiese, con il loro apparato burocratico, le loro condanne e i loro steccati, i loro modelli di relazione mutuati dalle società secolari. Istituzioni a fianco di altre istituzioni. Capaci, sì, di parlarsi e anche di intrattenere un rapporto dialettico: ma i poveri del mondo, il restante tre quarti dell’umanità, capiscono questo linguaggio?

Questo non significa che, in Occidente come nel Terzo Mondo, sia in crisi il sentimento religioso. C'è, anzi, un bisogno reale di religiosità che sale dal profondo di ogni essere, una ispirazione tanto più profonda quanto più sorge da quell'angoscia esistenziale, da quella pesantezza e da quell'ombra che appartengono alla condizione umana. Questo processo è comune a tutte le classi di età, ma è evidente soprattutto nel mondo giovanile. Si nota nei giovani un grande interesse per la figura di Gesù, una forte esigenza di spiritualità, e contemporaneamente un progressivo abbandono delle comunità ecclesiali, degli oratori, della frequenza religiosa. Né basta, a colmare questa frattura - Cristo sì, Chiesa no - che preti e suore si mettano a danzare, a mimare il linguaggio dei teen-agers, o a frequentare discoteche: sarebbe come se un industriale in vena di originalità si presentasse al lavoro con la tuta da operaio. Si tradirebbe in pochi minuti. Per «recuperare» il mondo di chi «non crede», e di chi crede ma non «frequenta», non basta un cambiamento di stile, occorre un cambiamento di cultura. Soprattutto occorre abbandonare le false preoccupazioni moralistiche. Come affermi il teologo Paul M. Zulehner, perché la Chiesa venga amata dagli uomini e dalle donne del nostro tempo essa deve farsi amare, deve essere «amabile». Deve essere una «dimora». Come una famiglia.

Una Chiesa «segno dei tempi»...

 Se «segni dei tempi» sono quelli che indicano una liberazione in atto, non ci sembra che alcuni modelli di Chiesa possano essere considerati «segno dei tempi». A titolo di esempio ne indichiamo tre.

· Una Chiesa «clericale»: una Chiesa, cioè, impostata come una piramide, in cui al vertice sta la gerarchia (papa, vescovi, preti) con una funzione direttiva, e alla base i «fedeli», il popolo, con la grazia dell'esecuzione. Va detto che, da un punto di vista teologico, questa concezione di Chiesa non ha più diritto di cittadinanza, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ci pare solo simbolico il fatto che nella «Lumen Gentium», la Costituzione Conciliare sulla Chiesa, il capitolo sul «popolo di Dio» (II) preceda quella sulla gerarchia (III). Non è sempre così nella realtà.

· Una Chiesa che sente come compito prioritario quello di essere impositiva, di avere una comunicazione unidirezionale, di emettere «leggi», prescrizioni e divieti senza ascoltare la «base», senza l'umiltà di leggere a fondo le situazioni concrete, senza l'intelligenza della storia e la puntualità nel cogliere i mutamenti sociali alloro manifestarsi.

· Una Chiesa «alienata», vale a dire in perenne contemplazione di se stessa, dei suoi riti, delle sue liturgie, preoccupata di mostrarsi al mondo più che di immergersi in esso; una Chiesa che intrattiene relazioni privilegiate con i potenti, che antepone le relazioni diplomatiche a quelle umane, ed in cui il modello di vita dei pastori e dei nunzi apostolici è più simile a quello dei ricchi e dei privilegiati della storia che non a quello di una dignitosa povertà.

All'opposto, ci sembra possano essere considerati un «segno dei tempi» liberante altri modelli ecclesiali. Ne elenchiamo quattro, sempre a titolo di esempio.

· Una Chiesa veramente ed autenticamente «popolo di Dio». Questa affermazione che, passata la ventata conciliare, risulta un po' abbandonata nel linguaggio ecclesiale, possiede invece alcune implicazioni teologiche fondamentali. Tutti siamo popolo di Dio. Non è teologicamente corretto affermare che la Chiesa si compone dei vescovi, dei presbiteri, dei religiosi e del «popolo». Tutti siamo «popolo di Dio» perché tutti partecipiamo del Cristo e siamo chiamati alla santità. Nella concezione conciliare della Chiesa, cioè, la comunità, il «popolo» e, ancor prima il singolo, vengono intesi come il «luogo» in cui si manifesta l'ispirazione, in cui dunque lo Spirito parla e concede il «dono delle lingue», la capacità di esprimere opinioni, in definitiva un «luogo» in cui tutti sono uguali anche se non tutti fanno le stesse cose. E tuttavia sarebbe opportuno che il tema dell'uguaglianza non soltanto all'interno della Chiesa ma all'interno di tutta la comunità umana venisse ulteriormente approfondito: deve ancora entrare nella coscienza collettiva.

· Una Chiesa impostata secondo un corretto modello di famiglia: in cui cioè si viva non solo nominalmente ma effettivamente la fraternità, il dialogo, un servizio reciproco non forzato, ma spontaneo ed in cui, come in una famiglia, si viva una comune responsabilità. Una Chiesa, infine, con relazioni non di tipo verticale, ma orizzontale, quindi una Chiesa-comunione, segno dell'amore di Cristo per tutta l'umanità.

· Una Chiesa pienamente incarnata (liberando la parola dall'abuso indebito che spesso se ne fa); che annunci l'annunciatore della liberazione, il Cristo, l’anima della Chiesa; che rinunci quindi ad annunciare se stessa, i suoi dogmi, quella certa morale che spesso arranca nella sfida con la storia; capace di ritradurre, nel tempo storico, il messaggio di Gesù di Nazareth, a tutti i livelli dell’esistenza umana, da quello personale a quello di coppia, di famiglia, di società; che non abbia paura di annunciare il Cristo crocifisso, individuando i luoghi - fisici ed antropologici - concreti in cui si invera oggi la via della Croce. Questi luoghi, nel nostro contesto occidentale, sono spesso quelli in cui la comunità cristiana vive con maggior difficoltà la fatica di un'integrazione, di una presenza autentica e non soltanto formale: le coppie rese di fatto «irregolari» da quelle condizioni sociali che occorrerebbe avere la pazienza di cogliere, di approfondire e di affrontare con il cuore sgombro da preconcetti: la condizione drammatica di molti giovani, di anziani, di preti e di suore incapaci di convivere con la propria solitudine e, non raramente, di stabilire un rapporto accettabile con la propria disperazione; tutte le persone che vivono le «stigma» della diversità, come «luogo» spesso definitivo di discriminazione, di rifiuto e anche di sfruttamento; una Chiesa «tenera», della tenerezza di Gesù e del Vangelo, che sappia operare una distinzione, dal punto di vista etico tra «immoralità» ed «incapacità»; una Chiesa dei poveri e non per i poveri: in cui poveri, cioè, siano visti non in una prospettiva assistenzialistica, ma come soggetti storici di un cambiamento che rischia invece di avvenire proprio a scapito e contro loro; poveri, allora, da «coscientizzare» (parola nata in Brasile, significativamente uno dei luoghi in cui più si manifesta la drammaticità delle differenze, ma in cui più si apre la speranza di un riscatto).

· Una Chiesa, in definitiva, con l'unica preoccupazione dell'amore. Come ci ha dimostrato Gesù, non si dà incarnazione senza amore. Uno dei «peccati» più gravi della comunità cristiana è quello della separatezza. La tentazione dell’«angelismo». La fede in Dio e in Gesù Cristo non rende i cristiani né più umani né meno umani degli altri uomini. Insieme con gli «altri» uomini e le «altre» donne occorre lavorare per una continua salvezza (liberazione) della storia. La liberazione non è mai conclusa. Sulla capacità di «portare avanti» questo processo di liberazione saremo (anzi, siamo) giudicati. Infatti «saremo giudicati sull'amore». Non il buon senso, la finezza politica, la condizione psicologica in cui viviamo, tanto meno l'ideologia, sono il criterio ermeneutico del giudizio, ma l'amore. Prima c'è l'amore, poi il giudizio. Ce lo ha insegnato Gesù stesso nell'incontro con il giovane ricco. Prima «lo amò», poi gli chiese di seguirlo. E non un amore di sentimento, ma un amore fatto di azione e che oseremmo definire «violento» (nel senso opposto di tiepido e timido), capace cioè di stravolgere i criteri e i ritmi direttivi della storia. Ma da soli non ce la facciamo. Per questo ci vuole una comunità che sia segno di liberazione.

Una conclusione provvisoria, per continuare a cercare. Insieme

A questo punto provvisoriamente conclusivo della nostra riflessione, è bene inserire ancore Gesù di Nazareth. Forse anche noi, come i suoi anonimi interlocutori in Mt 16, non lo abbiamo riconosciuto. Noi, che ci affanniamo a cercare altrove i «segni dei tempi», che scrutiamo il cielo per ricavarne segnali e presagi, non abbiamo capito che è Lui il «segno dei tempi». L’evento. Il segno di una liberazione in atto. «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo...?» (At, 1-11). Gesù è il «luogo» in cui Dio ha rivelato se stesso come salvezza definitiva di tutti gli esseri umani, nessuno escluso. Solo una storia di liberazione, come quella in cui Gesù si è incarnato e che ci ha rivelato, può essere sperimentata come storia di salvezza. Non una incarnazione virtuale, una mezza incarnazione. No, Gesù si è incarnato davvero in «questa» storia, in «questo» tempo, un tempo ed una storia che dobbiamo imparare a leggere con «simpatia», perché «luogo» in cui Dio non ha esitato a «mandare» suo figlio, senza esimerlo da un'esperienza dolente di creaturalità, di amore e di dolore, di sofferenza e di morte, come noi quotidianamente sperimentiamo. È Lui, il Gesù storico, lo «specifico» cristiano. L’humanum diventa così il criterio base per leggere l'esperienza cristiana, ed anche l'esperienza delle Chiese. Nonostante tutte le contraddizioni che in esse si manifestano, noi crediamo che Dio sia presente in queste esperienze, e che la storia - sacra e profana ad un tempo, ormai «salvata» e redenta - non possa più essere sbrigativamente liquidata come destinata al cestino dei rifiuti.

Se ha un senso questo nostro atto di fede, che forse da alcuni potrà essere considerato «troppo» umano, o troppo «laico», ce n'è quanto basta per continuare a voler bene alla Chiesa, e a sperare che essa sia capace di dare una risposta alle domande vere che uomini e donne veri continuano a rivolgerle, perché stanno loro a cuore, e non a quelle che, invece, questi stessi uomini e donne non pongono perché estranee all'esperienza storica attuale. In un mondo disincantato e deluso, facile preda delle illusioni mediatiche, si può continuare a narrare le molte storie - inedite e nascoste - di una grande passione.

Dice Ariel Dorfman, scrittore cileno autore tra l'altro di La morte e la fanciulla, ed. Garzanti, in un'intervista a La Stampa (5/8/2000): «Qualche volta bisogna avere il coraggio di immaginare un futuro diverso, sognare l'impossibile. Può sempre succedere che la Storia sia lì ad ascoltarci. Che ci risponda».

Luigi Ghia

Asti

Da “Famiglia domani” 1/2001

Martedì, 01 Marzo 2005 15:56

Strategie educative

 

Il libro di Giuseppe Milan "Disagio giovanile e strategie educative" edito da Città Nuova nel 2001 ci aiuta a riflettere su quali siano le competenze richieste oggi agli educatori e ci offre interessanti spunti per verificare la nostra azione educativa.

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:56

Il Grande Fardello

Trasmissioni per i giovani? Trasmissioni che mostrano la realtà giovanile? Ma non facciamo ridere! Restano sullo sfondo, i giovani.

Pubblicato in Problematiche Giovanili
Martedì, 01 Marzo 2005 15:55

DOVE VANNO I GIOVANI VENETI

DOVE VANNO I GIOVANI VENETI

L’
Osservatorio regionale permanente veneto si è proposto di capire chi
sono i giovani veneti, come vivono, come studiano, come lavorano, come
si divertono e da quali problemi sono caratterizzati. Non si è
trattato, ovviamente, di uno studio semplice a causa della complessità
del mondo giovanile moderno. Otto i percorsi fondamentali della
complessa ricerca: quello demografico, la formazione, il mercato di
lavoro, il tempo libero, la politica, il disagio sociale, la salute, la
rappresentazione sulla stampa. Manca la ricerca religiosa, presente
solo in alcuni accenni.

Un quadro realistico

Nella demografia dei giovani del Sud
Europa si sono registrati negli ultimi 20 anni mutamenti radicali; in
particolare, i giovani veneti dai 15 ai 34 anni sono fortemente
diminuiti.

Essi trascorrono periodi sempre più lunghi a casa
con i genitori, avendo numerose sicurezze in famiglia, ampi margini di
libertà e di autorealizzazione.

Pur non trattandosi necessariamente di un fenomeno
patologico, è un dato di fatto che i giovani si sposano sempre più
tardi e che la loro fecondità è pesantemente diminuita.

In Veneto, a questa situazione si aggiunge un
fattore peculiare: l’arrivo di moltissimi giovani provenienti da paesi
poveri, tanto che nel 2002 il 10% della popolazione giovanile veneta
era rappresentata da questi ultimi. Riguardo il settore formativo, è
molto diffusa un’immagine dei giovani veneti come poco propensi a
proseguire gli studi oltre la scuola dell’obbligo attratti da un
mercato del lavoro vivo e remunerativo anche con livelli di istruzione
non altissimi.

Il lavoro e il tempo libero

In realtà, i giovani veneti non dimostrano affatto
una propensione ad iscriversi alle scuole secondarie inferiore a quella
di altri studenti italiani. E’ vero, tuttavia, che essi scelgono
frequentemente l’istruzione professionale e preferiscono intraprendere
la carriera universitaria nelle facoltà tecnico-scientifiche.

Il mercato del lavoro veneto, d’altronde, è molto
florido ed i giovani veneti soffrono poco la mancanza di posti di
lavoro, oltre ad entrare nel mondo del lavoro in età inferiore rispetto
ai loro coetanei del resto d’Italia. Le opportunità disponibili
spingono, inoltre, molti giovani a dare vita a piccole imprese, a
spostarsi su posizioni autonome.

Per quanto riguarda il tempo libero, se risultano
soddisfatti del loro tempo libero studenti, giovani in cerca di prima
occupazione o impegnati nel volontariato, lo sono in misura minore gli
occupati, le casalinghe, i giovani in servizio di leva o in servizio
civile.

Per tutte queste categorie, tuttavia, la prima
attenzione riguarda i rapporti d’amicizia, poi lo sport, il cinema, la
radio e la tv; poca attenzione sembrerebbe destinata, purtroppo alla
lettura, alle visite ai musei e alle mostre. In un’ipotetica scala
dei valori, i giovani veneti mettono al primo posto la famiglia,
l’amicizia, l’amore seguiti da lavoro, divertimento, democrazia,
libertà, relegando in basso l’attività politica.

Passando ad esaminare il disagio sociale (esaminato
sotto aspetti quali insoddisfazione per il proprio stato di salute,
assunzione di farmaci, relazioni sociali, criminalità, etc…), emerge
una sensazione di disagio contenuta spiegabile, forse, con una solida
rete di solidarietà familiare a fare da "salvagente" ad un’eventuale
disagio.

Elevato, invece, come tante altre regioni italiane,
il grado di esposizione dei giovani veneti al consumo di droghe e
all’abuso di alcolici.

Infine, la rappresentazione del mondo giovanile
sulla stampa fa emergere un certo pessimismo nei confronti del
disimpegno politico dei giovani, della loro forte dipendenza funzionale
al sistema economico costituito; l’ultima annotazione riguarda il mondo
degli adulti. Un mondo che fatica a capire atteggiamenti, punti di
vista dei giovani e ad elaborare strumenti educativi rispondenti ai
bisogni e ai problemi dei ragazzi d’oggi.

Denunciati tre grossi limiti

Riguardo lo stato delle politiche attuali per i giovani in Veneto, l’analisi mette in evidenza 3 grossi limiti.

In primo luogo la precarietà, la sensazione di dover
ricominciare ogni volta da capo, di non accumulare quel che servirebbe
dalle esperienze realizzate.

In secondo luogo la rigidità. L’Osservatorio rileva
come le istituzioni non prendano mai in considerazione l’intera
comunità, di cui i giovani fanno ovviamente parte, ma si concentrino
solo sulla realtà giovanile, ragionando in un’ottica piuttosto
limitata, e non incidendo a livello culturale e sociale, non riuscendo
a creare una effettiva politica giovanile capace di superare le
difficoltà successive alle elezioni amministrative, all’abbandono degli
operatori o al mancato finanziamento.

In ultima istanza, la frammentarietà, sintomo di carenza di organicità, di difficoltà ad operare senza ansie e paure.

Dopo il lavoro dell’Osservatorio tante iniziative
sono attese: percorsi di dibattito e confronto rivolte ai
giovani;offerta di nuove soluzioni, di strumenti e mezzi di formazione;
raccordo migliore, sia a livello di zona che a livello regionale di
offerte di cura, di prevenzione, di sostegno coinvolgendo direttamente
chi vive a contatto con i giovani.

Un ultimo accenno,riguardo la religiosità dei
giovani veneti. Solo il 7% degli studenti delle superiori non si avvale
dell’insegnamento religioso, in linea con le tendenze a livello
nazionale; sale significativamente, invece, la quota di color i quali
non vanno mai a messa o frequentano la Chiesa raramente. Un problema su
cui riflettere, visto lo scarto tra la richiesta di insegnamento
religioso a scuola e la presenza effettiva a messa dei ragazzi.

Tratto da "Settimana 2 – 19 gennaio 2003"

Riduzione e adattamento a cura di Simona Internullo

Pubblicato in Problematiche Giovanili

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