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Mercoledì, 19 Novembre 2008 01:06

Ecumenismo protestante. Il Decreto «De Oecumenismo» (Renzo Bertalot)

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Sarebbe impensabile voler esaurire una ricerca che è appena iniziata e di cui non conosciamo ancora tutta la portata. Il nostro lavoro sarà quindi un sondaggio quasi come quello delle spie inviate ad investigare un paese nuovo. Sarà istintivo, ed anche voluto, un rapido confronto dei risultati della nostra indagine con il nostro proprio modo di vivere la fede in Cristo. Insisteremo dunque sulla novità.

Ecumenismo protestante

Capitolo quinto

Il Decreto «De Oecumenismo»

di Renzo Bertalot

Premessa

Nell'esaminare i testi conciliari De OEcumenismo e De Ecclesia, sarà necessario limitare il nostro lavoro. Faremo pertanto delle scelte che ora cerchiamo di motivare. Siamo convinti che la Chiesa cattolica è entrata in una nuova fase della sua storia. All'interno dell'Alleanza Mondiale delle Chiese riformate, si è ritenuto di intravedere l'opera di rinnovamento dello Spirito Santo nell'attuale evoluzione della Chiesa di Roma. Facciamo nostra questa prospettiva e ci chiediamo: “Dov'è la novità?”. La nostra scelta sarà quindi determinata da questo interrogativo.

Sarebbe impensabile voler esaurire una ricerca che è appena iniziata e di cui non conosciamo ancora tutta la portata. Il nostro lavoro sarà quindi un sondaggio quasi come quello delle spie inviate ad investigare un paese nuovo. Sarà istintivo, ed anche voluto, un rapido confronto dei risultati della nostra indagine con il nostro proprio modo di vivere la fede in Cristo. Insisteremo dunque sulla novità. Là dove troveremo invece una situazione già conosciuta ed un discorso già usato, passeremo oltre, desiderosi di non perdere tempo. Quando Dio è presente in mezzo al suo popolo e prende energicamente in mano le redini della storia, non si può cercare il vivente tra i morti. Bisogna lasciare che i morti seppelliscano i loro morti.

V'è una seconda prospettiva che va decisa nel contesto di queste affermazioni: l'ecclesiologia cattolica va letta in chiave del decreto sull'ecumenismo oppure il decreto sull'ecumenismo va letto in chiave dell'ecclesiologia cattolica?

La seconda possibilità è stata scelta da altri. (1) Un certo cattolicesimo può anche dar loro ragione. Ma i loro argomenti abbinati non condizionano nessuno. Il credente esamina la storia che si svolge sotto i suoi occhi e rischia la sua scelta sulla base della novità di Dio intravista. La nostra scelta è la prima: l'ecumenismo determina l'ecclesiologia cattolica. Nonostante le perplessità che vi possono essere e le proteste che possono sorgere, abbiamo l'impressione che oggi questa sia la linea di movimento e la direzione di marcia.

Possiamo fare lo stesso discorso partendo da un altro punto di vista, ispirandoci cioè alla pedagogia moderna. L'incontro con l'altro presuppone la disponibilità che si articola in termini di ottimismo, benevolenza e cortesia. Bisogna essere ottimisti perché si tratta di Dio e non di noi, della Sua Parola meditata nella nostra confusione. Bisogna essere benevoli per non negare all'altro il suo poter essere, o meglio, il suo essere in Cristo. Bisogna evitare la malevolenza perché riduce l'altro ai suoi aspetti peggiori, dai quali forse cerca di svincolarsi e nei quali certamente non può, in Cristo, essere rinchiuso.

Infine bisogna essere cortesi, se cortesia esprime il nostro timore e tremore dinanzi ad una persona che Cristo ha creata e redenta nel suo amore, e alla soglia del cui essere noi ci presentiamo per avviare un discorso. (2)

Il Prof. Oscar Cullmann, facendo il punto sui lavori della terza sessione conciliare, esortava i suoi lettori evangelici “a non attenersi troppo alla lettera dei testi, ma a voler riconoscere la volontà di rinnovamento che sta alla loro base”. (3) Egli ha valutato in modo positivo il decreto De OEcumenismo e così scrive: “... più che davanti ad una porta aperta, ci troviamo su di un terreno completamente nuovo, giacché mai un documento cattolico ufficiale ha parlato in termini così aperti di cristiani non cattolici”. (4)

L'apertura del proemio

Fin dalle prime osservazioni, i Padri conciliari fanno riferimento al Movimento Ecumenico delle Chiese, sorto oltre i confini della giurisdizione cattolica. Essi affermano che il Signore effonde, tra i cristiani di tutte le specificazioni ecclesiastiche, il desiderio del ravvedimento e dell'unità. Il Movimento Ecumenico delle Chiese èsorto, secondo la dichiarazione conciliare, “per grazia dello Spirito Santo”, (5) e di questo i Padri prendono atto “con animo lieto” (6) mossi a loro volta “dal desiderio di ristabilire l'unità fra tutti i discepoli di Cristo”. (7) La cinquantennale storia del Movimento Ecumenico delle Chiese non è presentata in termini di mera fenomenologia umana, ma valutata, con serenità, in relazione all'opera dello Spirito Santo. Molte esitazioni tradizionali sono superate in queste precise premesse.

In un contesto così promettente, espresso in termini capaci di tanta apertura, sembra che tutte le difficoltà, sulle quali pure la cristianità dovrà attardarsi ancora per molto tempo, possano essere superate. I fedeli di ogni confessione cristiana sono qualificati senza distinzione “discepoli di Cristo”. (8) L'intero decreto De OEcumenismo non può essere disgiunto da queste premesse del proemio. E ad esse che dobbiamo riferirci quando, rivolgendo lo sguardo ai motivi delle nostre divisioni, dovremo prendere atto di tutta la concretezza dell'attuale dissenso.

La qualifica di “chiese” è chiaramente riconosciuta alle comunità non cattoliche. Un anno prima questo problema era ancora in fase di studio e incontrava non poche difficoltà nella sua lenta precisazione. I Padri del Concilio ne stavano vagliando attentamente tutte le implicazioni possibili. Avevamo segnalato in altre circostanze molte voci conciliari a favore di questo pieno riconoscimento. Fu nel discorso di Paolo VI pronunciato a Bethlemme che notammo l'uso del termine “Chiesa”per indicare le comunità separate da Roma. Tale termine, adoperato in un'occasione di risonanza mondiale, ci era apparso come la parola autorevole e risolutrice delle difficoltà manifestatesi in sede di Concilio. (9) È, quindi, motivo di particolare soddisfazione poter notare che quanto sembrava affacciarsi all'orizzonte ecumenico gode oggi del riconoscimento ufficiale della Chiesa romana.

Dall'“aggiornamento” alla “riforma”

Si era notato, da parte protestante, che il termine “riforma” riusciva difficilmente ad inserirsi nella terminologia cattolica. Si incoraggiava, così, il sospetto che tutto lo sforzo ecumenico del Concilio sarebbe rimasto senza nuovo orizzonte. Papa Giovanni ci aveva abituati al termine “aggiornamento”. Con Paolo VI si era poi passati al termine “rinnovamento”. Questo passaggio lasciava sperare un impegno più positivo, in vista del dialogo interecclesiastico. (10) Ora troviamo chiaramente il termine “riforma” (perennis reformatio). (11) Il decreto afferma che l'opera di rinnovamento e di riforma dev 'essere intrapresa con vigore (opus renovationis nec non reformationis strenue aggrediuntur) (12) e che “ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente”. (13) Non possiamo non notare che il contenuto genuinamente biblico di questa riforma, così come essa viene prospettata dal Concilio, non è estraneo alle preoccupazioni più sincere e più impegnative del protestantesimo. Si aprono così nuove possibilità per il dialogo ecumenico, ricche di interiori approfondimenti e di chiarificazioni.

Nel decreto ritorna frequentemente l'espressione «fratelli separati”. Oggi, dobbiamo prendere atto che questa espressione ha fatto molta strada nella coscienza ecumenica del cattolicesimo. Non molto tempo fa se ne parlava come di un punto d'arrivo, della teologia romana, nei confronti degli altri cristiani. Ora invece sembra ricorrere come mera constatazione dei confini confessionali. Il decreto infatti non ha difficoltà ad adottare altre espressioni molto più ricche di contenuto ecumenico. Non di rado si tende ad indicare l'insieme del popolo cristiano con una sola frase, che non comporta distinzioni. Ricorre nel proemio, come abbiamo notato, l'espressione “tutti i discepoli di Cristo”. (14) Altrove, nel decreto, leggiamo: “quelli che credono in Cristo” (15) e ancora “... tutti i cristiani... insigniti del nome di Cristo”. (16) Queste constatazioni ci permettono di rilevare la nuova dimensione ecumenica del cattolicesimo.

Ma non è tutto. Vi sono affermazioni precise che riguardano i soli fratelli separati. Essi sono “... giustificati nel battesimo della fede, sono incorporati al Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore”. (17) Lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi delle chiese separate “come strumenti di salvezza”. (18) “La vita cristiana di questi fratelli è alimentata dalla fede in Cristo”. (19) Non v'è dubbio che sta affiorando, in seno al cattolicesimo, una ricca terminologia ecumenica che rivela e caratterizza il nuovo clima interecclesiastico.

Ci siamo attardati a cogliere i lati più significativi perché essi fissano il contenuto dell'apertura cattolica verso gli altri cristiani. Siamo infatti convinti che non si renderebbe giustizia alle intenzioni più genuine dei Padri conciliari riducendo il significato della nuova terminologia ecumenica del decreto ad un problema di forma. Si tratta, per noi, di un problema di sostanza, la quale, allo stato attuale di potenzialità, lascia sperare ogni animo cristiano libero dal pregiudizio.

La coscienza delle difficoltà

Abbiamo visto altrove come lentamente, ma sicuramente, il cristianesimo non romano stia “prendendo forma” nella prospettiva dogmatica cattolica. (20) Con il decreto sull'ecumenismo, abbiamo notato che non solo l'individuo ma anche le chiese separate da Roma trovano posto in questa prospettiva. L'Iddio trinitario è presente ed operante nella vita e nella fede dei fedeli separati, cioè “fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica”. (21) Questa constatazione costituisce la base per ogni ulteriore discorso ecumenico: un punto di partenza veramente positivo. Bisogna sottolinearlo con chiarezza e senza esitazioni. Poiché il passato dell'isolamento confessionale non e così lontano da essere dimenticato e da non ripercuotersi ancora in molti settori della vita cristiana, è necessario rilevare onestamente il coraggio del Concilio.

I Padri riuniti in S. Pietro dovevano affrontare teologicamente la portata di questa visione più ampia della Chiesa di Dio, in Cristo e nello Spirito Santo. La formula dogmatica necessaria fu trovata nell'affermazione della “pienezza” e della “perfetta unità” cattoliche rispetto alla “carenza” e all'“imperfetta unità” dei fratelli separati. Esprimendo in questi termini la nuova situazione ecumenica si tende a render conto ad un tempo dell'unita gia esistente e delle diversità innegabili delle varie configurazioni ecclesiastiche.

Se potessimo, dopo tante premesse positive, vagliare questa conclusione in se stessa, giudicandola come staccata dal suo contesto immediato e dal contesto di tutta l'opera di rinnovamento voluta da papa Giovanni, dovremmo dire che essa ci ripropone meramente la teoria dell'ovile aperto. Non ci sfugge tuttavia la cura significativa con la quale è stato evitato il termine “ritorno”, poco felice sul piano ecumenico. Notiamo inoltre che la convergenza verso la stessa celebrazione dell'eucarestia e la stessa unità sembra delinearsi, nelle argomentazioni del decreto, scevra da preoccupazioni conservatrici, per tendere serenamente verso il futuro con piena fiducia nel Signore. Infatti la chiusa del decreto esorta a non porre ostacoli alle vie della Provvidenza e ai futuri impulsi dello Spirito Santo”. (22)

Rimane tuttavia il fatto che, nella prospettiva cattolica, ortodossi e protestanti appaiono come battezzati bisognosi di tutta la pienezza della vita sacramentale, in vista dell'unità perfetta. È chiaro, per tutti coloro che hanno a cuore il problema ecumenico dei nostri giorni, che ci troviamo qui di fronte a delle gravi divergenze. Il cardinale Bea, nella sua presentazione del decreto, ci ricorda con chiarezza questa situazione che fa di tutte le nostre aspirazioni ecumeniche “un'impresa immane”. (23) Nel dialogo infatti non v'è posto per un irenismo facile che lasci in qualche modo pensare a dei compromessi o al sorgere di illusioni. I Padri conciliari denunciano tale forma di irenismo e ci trovano pienamente consenzienti con loro.

Il rapporto dei lavori dell'Assemblea Mondiale delle Chiese riformate, del 1964, rileva senza equivoci che cattolici e protestanti non intendono l'unità cristiana nello stesso modo. Perciò in tema di divergenze va notato che non possiamo ritrovarci nella prospettiva cattolica suggerita dalla duplice formula della pienezza e della carenza e della perfetta ed imperfetta unità. Dire questo non significa però bloccare il dialogo, ma precisarlo. La serenità nel lavoro ci viene dal fatto che il dialogo non è fine a se stesso, ma strumento di una sempre maggiore fedeltà. Badando a quest'ultima, che prima si impegna di fronte al Signore, non saremo mai troppo preoccupati, per le difficoltà dell'incontro, ma sempre meglio spronati a perseverare nei nostri sforzi, con dignità e rispetto reciproco.

Oscar Cullmann scrive a proposito della divergenza sopra notata: “Credo che il dialogo farà dei progressi quando i nostri fratelli cattolici non considereranno in modo puramente negativo questo meno che essi riscontrano in noi, dunque quando non lo considereranno come un deficit, come una riduzione arbitraria, ma come una concentrazione ispirata dallo Spirito Santo su quello che ci sembra debba restare l'unico centro della nostra fede in Cristo”. (25)

Sviluppo del dialogo ecumenico

Il decreto ci offre in tema di esercizio dell'ecumenismo una delle sue pagine più belle. Si tratta della riforma cattolica, del suo contenuto, del suo fondamento e dei suoi strumenti.

Dal punto di vista del contenuto, la riforma cattolica si propone d'incidere non solo sulle istituzioni terrene, sui costumi e sulla disciplina ecclesiastica, ma anche sul “modo d'enunciare la dottrina”, ossia sulla “elaborazione teologica della verità rivelata”. (26) Certo bisognerà non confondere il deposito della fede con il modo d'enunciarla. Ritorna la formula espressa da papa Giovanni all'inizio del Concilio: “La verità è una; la concreta formulazione materiale della verità è un'altra cosa”. (27) Abbiamo visto, in altre occasioni, come questa direttiva papale sia stata particolarmente feconda nel campo del rinnovamento liturgico. Oggi prendiamo atto che ad essa il decreto si richiama per caratterizzare uno degli aspetti più significativi dell'opera di rinnovamento.

Come protestanti, siamo particolarmente sensibili a queste indicazioni perché trovano non poche assonanze nel nostro pensiero teologico. La distinzione tra il deposito della fede e il modo d'enunciarla è accettabilissima nel nostro contesto tradizionale. Le divergenze sorgono sulla nozione di deposito e sulla sua delimitazione. La discussione ecumenica a questo proposito si fa oggi sempre più ampia ed interessante. (28) L'esercizio dell'ecumenismo si fonda sulla conversione interiore, sulla confessione delle proprie colpe e sulla preghiera in comune con i fratelli separati. A questo punto l'ecumenismo assume la coloritura di un confronto con la grazia del Signore, perché è soltanto in un tale confronto che si può parlare di una conversione delle nostre menti e dei nostri cuori; è soltanto di fronte alla grazia che le nostre colpe non possono più rimanere nascoste, ed è ancora soltanto per grazia che possiamo raccoglierci in preghiera sotto la Signoria del Cristo.

Gli strumenti della riforma cattolica sono intesi a fornire una migliore conoscenza dell'altro, perciò si raccomandano il dialogo e i congressi di periti, “dove ognuno tratti da pari a pari”. (29) La teologia stessa va insegnata ecumenicamente, tenendo presente che “esiste un ordine o gerarchia nella verità della dottrina cattolica, essendo diverso il… nesso (delle dottrine) con il fondamento della fede cristiana...”. (30)

La formula di papa Giovanni rivela ancora un altro aspetto della ma vitalità e della sua potenzialità riformatrice. Il discorso sull'esercizio dell'ecumenismo è il discorso che attendevamo e desideravamo ascoltare. Siamo coscienti che la Chiesa cattolica sta entrando in una fase decisiva ed impegnativa del suo pensiero. Ci auguriamo che i principi dell'ecumenismo e l'esercizio dell'ecumenismo non rimangano isolati nei loro rispettivi settori secondo la ben nota distinzione tra teoria e pratica, ma che avvenga fra di loro un ricco processo di interfecondazione che nulla trattenga della loro positiva potenzialità.

Cristologia, Sacra Scrittura, sacramenti

Tralasciando il riferimento alle chiese orientali, esaminiamo le quattro direzioni particolari, suggerite dal decreto, per un proficuo dialogo con il mondo protestante. Esse riguardano la dottrina dell'incarnazione, la Scrittura, i sacramenti e la vita cristiana.

Per quanto riguarda la dottrina dell'Incarnazione, il testo rileva il tendere dei fratelli separati verso Cristo “come fonte e centro della comunione ecclesiastica”. (31) Anche la teologia protestante sta assumendo una sua configurazione dal puntodi vista della dottrina cattolica. Abbiamo già notato il processo di chiarificazione teologica da parte cattolica, per quanto riguarda la nozione di “fratelli separati” e il concetto di “chiese separate”. Con il decreto sull'ecumenismo, questo processo si estende anche alla teologia delle confessioni non cattoliche. Vi è un riferimento preciso alla base cristologica accettata da tutte le chiese del Movimento Ecumenico, secondo la formulazione riveduta all'Assemblea di Nuova Delhi 1961. Dal punto di vista cattolico, si nota, tuttavia, una carenza per quanto riguarda il “ministero della Chiesa” e la “funzione di Maria”. È noto a tutti che il titolo di “Mater Ecclesiae”, attribuito a Maria nella chiusura della terza sessione del Concilio, ha sottolineato teologicamente le divergenze che esistono a questo riguardo. Questa prima linea, suggerita all'attenzione ecumenica come argomento di dialogo, presenta, accanto ad un notevole interesse, delle serie difficoltà, proprio per la sua importanza decisiva nella formulazione di ogni dottrina cristiana.

Il decreto indica nella Scrittura un secondo elemento del dialogo. L'importanza determinante del testo sacro per tutta la cristianità fa di questo uno strumento potente nelle mani di Dio. Le difficoltà sorgono a questo punto intorno al rapporto Chiesa-Scrittura, e bisognerà tener presente che cattolici e protestanti non hanno la stessa valutazione dell'autorità della Bibbia. Il contrasto diventa evidente in relazione alla funzione del Magistero, che per la Chiesa Cattolica “occupa un posto speciale nell'esporre e predicare la parola di Dio scritta”. La discussione ecumenica viene quindi precisata con chiarezza, ma non ci troviamo per questo ad un punto morto.

I Padri conciliari hanno lavorato con impegno su questi temi e ci hanno offerto una serie di interventi di grande apertura. La distinzione tra Chiesa apostolica e Chiesa subapostolica, e quindi tra Scrittura e Tradizione o tra Tradizione divina e Tradizione ecclesiastica, sembra ormai un punto acquisito dall'attuale sensibilità ecumenica. (32) Ricordiamo, a questo proposito, due interventi canadesi. Il primo è quello di Mons. Flahiff di Winnipeg, che così si è espresso: “La Tradizione divina, di cui si parla nel primo capitolo, non può essere identificata con quanto viene trasmesso ed insegnato dalla Chiesa”. (33) Il secondo è quello del Cardinale P.E. Léger di Montreal che afferma: “Bisognerà distinguere tra il compito d'insegnare degli Apostoli e quello dei loro successori; gli Apostoli sono testimoni diretti di Cristo e la loro predicazione costituisce la rivelazione. Occorre inoltre operare una netta distinzione tra l'infallibilità della rivelazione e l'infallibilità del magistero ecclesiastico; una distinzione del genere sarà particolarmente utile per far progredire l'ecumenismo e la ricerca teologica”. (34) Sono queste indicazioni preziose per affrontare le divergenze al centro stesso delle loro maggiori difficoltà.

I sacramenti costituiscono un terzo elemento per il dialogo. I Padri conciliari prendono le mosse dal battesimo: il sacramento dell'unità. Questo non vuol dire che non vi siano delle difficoltà da entrambe le parti. Il battesimo, infatti, secondo il testo del decreto sull'ecumenismo, “dev'essere debitamente conferito e ricevuto con la debita disposizione d'animo”. Queste condizioni sono determinanti nella prospettiva cattolica, mentre non trovano lo stesso riscontro nella teologia riformata.

Calvino diceva che si è battezzati, perché si è figlioli di Dio, e non che si è figlioli di Dio perché si è battezzati. Questo breve richiamo lascia intravedere le divergenze che si incontrano sul sacramento del battesimo. Nel decreto, il battesimo è presentato come il primo passo verso la pienezza della vita in Cristo e della vita sacramentale. Nella teologia cattolica s'inserisce a questo punto con peso determinante il sacramento dell'ordine. Naturalmente la prospettiva sacramentale protestante non ha le stesse esigenze. Inoltre, non si tratta soltanto del numero dei Sacramenti, ma del modo d'intendere la presenza della grazia nella Chiesa. Da entrambe le parti si afferma la promessa divina e si concentra in essa tutta la speranza della comunità credente. Ma da parte protestante non si vuoi dimenticare la sovrana libertà di Dio, che può anche tacere, e la discutibilità di ogni segno che continua nella storia, la discutibilità stessa del Verbo di fronte alla sete di dimostrazione razionale degli uomini suoi contemporanei.

La fede in Cristo determina la vita cristiana, quarta indicazione per l'incontro ecumenico. La vita terrena trova la sua espressione in istituzioni varie e in programmi di carattere sociale. Le soluzioni proposte dagli uni non s’incontrano necessariamente con quelle proposte dagli altri. Non mancano tuttavia possibilità di collaborazione, ispirandosi con coraggio alle stesse fonti della vita cristiana. L'argomento sembra lontano dalle immediate preoccupazioni teologiche, ma non per questo è esente da difficoltà. Non bisogna infatti che la collaborazione lasci in qualche modo intendere che le difficoltà siano ormai da relegarsi in secondo piano. Neppure bisogna lasciar supporre, a nostro avviso, la necessità di alleanze nel nome della religione. Un atteggiamento di questo genere potrebbe infatti accrescere la distanza e l'isolamento della Chiesa dal mondo. La collaborazione non dovrebbe conoscere confini pregiudiziali. La sola preoccupazione dovrebbe essere quella di una maggior conformità all'insegnamento biblico. (35)

Abbiamo visto come il dialogo ecumenico assuma oggi delle direttive concrete nella teologia cattolica. Le aperture di interesse immediato sono precisate e proposte all'attenzione della Chiesa. (36) I Padri conciliari sono tuttavia coscienti che accanto a questo loro sforzo ecumenico esistono altre iniziative che si propongono di lavorare per l'unità. Il desiderio del Concilio è perciò che tutte le iniziative “procedano congiunte”, “senza che sia posto alcun ostacolo alle vie della Provvidenza c senza che si rechi pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo”. (37)

Questa conclusione, che tutto riassume e riordina sotto la sovranità del Signore, ci trova pienamente consenzienti; essa esprime la nostra stessa preoccupazione ecumenica e si inserisce nella nostra stessa speranza.

Note

* Articolo apparso sulla rivista «Il Mulino”, n. 151, 1965, Bologna.

1) Cfr. E. SCHLINK, “Le décret sur l'oecuménisme”, in A. V., Le dialogue est ouvert, cit., p. 190.

2) M. BERTIN, Educazione alla socialità, cit., p. 262.

3) O. CULLMANN, Su l'apertura ecumenica del Concilio Vaticano II, in “Presenza Evangelica”, 11/1964 p. 2 c. 2.

4) Idem.

5) Il testo del decreto è citato secondo il testo italiano de “L'Osservatore Romano” n. 291, 16 dicembre 1964, e secondo il testo latino apparso, sempre ne “L'Osservatore Romano”, n. 277, 28 novembre 2964. In seguito il decreto sarà indicato con l'abbreviazione D. E. Cfr., par. I.

6) D. E. , par.I

7) Idem.

8) Idem.

9) R. BERTALOT, Necessità del Dialogo Ecumenico, Morcelliana, Brescia 1964, p. 82; E. SCHLINK, art. cit. in op. cit., pp. 208 ss.

10) R. BERTALOT, Il Rinnovamento Cattolico, “Presenza Evangelica”, 11/1963.

11) D. E., par. 6.

12) D. E., par. 4.

13) D. E., par. 7.

14) D. E., par. 1.

15) D. E., par. 3.

16 )D. E., par. 12.

17) D. E, par. 3.

18) Idem.

19) Idem.

20) R. BERTALOT, op. cit., pp. 79 ss.

21) D. E., par. 3.

22) D. E., par. 24.

23) A. BEA, Il Decreto sull'Ecumenismo, “ L'Osservatore Romano”, 296, 21-22 dicembre 1964, p. 2.

24) World Alliance of Reformed Churches, Reports from Frankfurt, cit., p. 44.

25) O. CULLMANN, Gli osservatori cristiani al Concilio, art. cit., p. 33.

26) D. E., parr. 11 e 10.

27) Citato da “L'Osservatore Romano”, 3 febbraio 1963, p. 6, c. 2.

28) “La Civiltà Cattolica”, Il Concilio Vaticano II (Notiziario n. 50), Quaderno 2748, 1 dicembre 1964.

29) D. E. par 9.

30) D. E., par. 11.

31) D. E., par. 20.

32) CULLMANN, La Tradition, cit.

33) “La Civiltà Cattolica”, art. cit., p. 602.

34) Ibidem, p. 6oo.

35) G. CALVINO, Inst. Christ., IV, 15, 22.

36) W. A. VISSER 'T HOOFT, No other Name, S. C. M. Press Ltd., Londra 1963, pp. 120 ss.

37) D. E., par. 24.

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
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