Ecumene

Venerdì, 17 Settembre 2004 23:14

Le nostre colpe verso gli ebrei

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Episcopato svizzero

Secondo l'antica tradizione biblica (Lv 25,8-17), l'anno giubilare offre un tempo di riconciliazione e l'occasione per assumere il passato. È in questo senso che, per l'anno 2000, il papa Giovanni Paolo II ha invitato la Chiesa a una "purificazione della memoria"1 di cui ha dato lui stesso l'esempio. Per "purificazione della memoria" bisogna intendere "un'ammissione di colpa per tutte le sofferenze e le offese di cui i suoi figli sono stati responsabili nel passato".2

Negli ultimi anni anche gli svizzeri hanno dovuto riconoscere che il comportamento del loro paese al tempo del nazionalsocialismo e della seconda guerra mondiale non è stato così irreprensibile e glorioso come si riteneva abitualmente. Anche la Chiesa cattolica in Svizzera deve riconoscere la propria responsabilità, nel senso di aver fatto spesso troppo poco per salvare la vita e la dignità di uomini e donne perseguitati. Troppo spesso la paura, la negligenza, i pregiudizi, la mancanza di generosità hanno limitato l'aiuto urgente che si sarebbe dovuto prestare, soprattutto agli ebrei che cercavano rifugio nel nostro paese.

Se deploriamo sinceramente le mancanze dei cattolici e delle autorità ecclesiastiche del passato, dobbiamo essere disposti a cogliere le lezioni della storia, per garantire, per l'oggi e il domani, protezione e ospitalità a tutte le vittime delle discriminazioni, delle deportazioni, se non addirittura dei genocidi. Bisogna quindi riconoscere e indicare chiaramente le colpe del passato per evitarle al presente e in avvenire.

Questa dichiarazione viene pubblicata unicamente sotto la nostra responsabilità di vescovi della Svizzera. Abbiamo tuttavia consultato personalità vicine all'ebraismo, nel nostro paese, nonché teologi e specialisti in studi ebraici, che vogliamo ringraziare di tutto cuore.3

1. Breve presentazione dell'attuale ricerca storica

Attualmente si stanno pubblicando molte ricerche storiche, sociologiche e teologiche sul ruolo della Svizzera durante il periodo del nazionalsocialismo. Esse evidenziano i pregiudizi allora diffusi nel nostro paese riguardo a certe persone e certe popolazioni. Lo scorso dicembre è stato pubblicato il rapporto della Commissione Bergier sul ruolo della Svizzera durante la seconda guerra mondiale. È intitolato La Suisse et les réfugiés à l'époque du national-socialisme.4 Questo rapporto analizza il ruolo del governo, dei funzionari e della popolazione della Svizzera durante gli anni della dittatura hitleriana. E illustra anche il ruolo delle Chiese e dei cittadini svizzeri di origine ebraica. Oltre al rapporto Bergier, sono state pubblicate recentemente molte opere che documentano e analizzano l'atteggiamento dei cattolici e dei cristiani di altre confessioni.5 Il rapporto della Commissione Volcker sui legami finanziari della Svizzera durante il periodo nazista ha evidenziato certe strategie politico-finanziarie del nostro paese.6 Bisogna ricordare anche il rapporto della Commissione federale contro il razzismo, pubblicato nel novembre del 1998 con il titolo Antisémitisme en Suisse.7 Il documento ricorda i pregiudizi nei riguardi del popolo ebraico in Svizzera, pregiudizi molto diffusi nel periodo nazionalsocialista, ma in parte ancora presenti. Il volume di Gerhart M. Riegner, segretario generale emerito del Congresso ebraico mondiale, rivela che le autorità ecclesiastiche (per esempio la nunziatura di Berna) sarebbero state a conoscenza durante la guerra (a partire dal 1942) del progettato annientamento del popolo ebraico. Lo stesso affermano anche alcune pubblicazioni americane consacrate al ruolo della Svizzera durante la seconda guerra mondiale.8 Ci si attendono altre precisazioni sulla posizione della Chiesa cattolica dalla pubblicazione degli studi in corso su Le catholicisme suisse à l'époque du totalitarisme (1920-1950).9

Nel corso degli ultimi quarant'anni, i vescovi hanno attirato ripetutamente l'attenzione sui pericoli dell'antisemitismo nelle loro dichiarazioni, lettere pastorali, nonché nell'insegnamento religioso. Qui ricordiamo la dichiarazione L'antisémitisme: un péché contre Dieu et contre l'humanité, elaborata e pubblicata, nel 1992, a cinquecento anni dall'espulsione degli ebrei dalla Spagna, dalla Conferenza episcopale svizzera, d'accordo con i responsabili della Federazione svizzera delle comunità israelitiche.10 Vorremmo ricordare anche le dichiarazioni del Sinodo '72 dei cattolici svizzeri sul rapporto fra la Chiesa, i credenti e il popolo ebraico.11

Negli anni del nazionalsocialismo si sono levate voci coraggiose di vescovi ed eminenti personalità del cattolicesimo svizzero, ma sono rimaste purtroppo poco numerose. Nel 1935, mons. Alois Scheiwiler, vescovo di San Gallo, lanciò un appello contro il razzismo e l'antisemitismo, affermando fra l'altro: "Dobbiamo alzare continuamente la nostra voce contro la persecuzione dei popoli, soprattutto degli ebrei, e questo non solo per spirito umanitario o per amore del prossimo – amore che condanna ogni idolatria della razza e ogni asservimento del prossimo –, ma anche in forza degli stretti legami e delle comuni radici che esistono fra ebraismo e cristianesimo nella storia della salvezza".12 Charles Journet, professore di teologia nel seminario diocesano di Friburgo, futuro cardinale, insorse contro il nazionalsocialismo, che definì "totalitarismo pagano", già prima della seconda guerra mondiale. Egli si oppose in particolare alla censura della stampa decretata dal Consiglio federale l'8 settembre 1940. Nella rivista Nova et Vetera (da lui edita agli inizi, insieme con mons. François Charrière, che sarebbe diventato poi vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo), mise in guardia contro i pericoli incombenti del nazismo.13 Allo stesso modo, il principe Max de Saxe, sacerdote cattolico e professore alla Facoltà di teologia e filosofia dell'Università di Friburgo negli anni 1900-1912 e negli anni 1921-1951, si espresse ripetutamente e chiaramente contro i pregiudizi razziali in relazione all'ascesa del nazismo.14 Ma non ci si è limitati a parlare! Molte famiglie cristiane e istituzioni scolastiche hanno accolto e salvato dei rifugiati: bambini e adulti, ebrei e non ebrei. Il sentimento di riconoscenza di questi ultimi resta inalterato.

2. Trasgressioni in Svizzera

Questi esempi positivi non ci consentono comunque di negare che durante la seconda guerra mondiale si è fatto purtroppo troppo poco per proteggere i rifugiati ebrei, come pure altri rifugiati, dalla calunnia, dalla persecuzione e dalla morte. È doloroso constatare che anche la Chiesa cattolica in Svizzera è rimasta, durante quel periodo, eccessivamente passiva e timorosa nell'offerta del suo aiuto materiale. Chi ha vissuto a quel tempo sa quanto i discorsi ufficiali e gli scritti fossero controllati, e non solo dalla censura. Di conseguenza, la resistenza spirituale contro il nazionalsocialismo era più difficile di quanto le fonti storiche lascino attualmente intravedere. Dobbiamo comunque lamentare il fatto che, nella predicazione e nella catechesi, le numerose condanne del nazionalsocialismo e delle sue persecuzioni contro la Chiesa non abbiano quasi mai ricordato i crimini contro il popolo ebraico e contro altri gruppi umani. Quando, troppo raramente, si fustigava l'ideologia razzista, la condanna riguardava la sua pretesa di proclamarsi la "razza superiore" più che le sue devastanti conseguenze sulle persone della "razza inferiore". E tuttavia uno degli insegnamenti più fondamentali della sacra Scrittura è che gli uomini, senza eccezione, sono creati a immagine di Dio (Gen 1,26-27) e hanno quindi la stessa dignità.

Inoltre, durante quel periodo non si fece nulla per eliminare dalla liturgia i testi contro gli ebrei e si continuò a definirli, nella preghiera ufficiale del Venerdì santo, perfidi judaei, cioè in pratica "ebrei traditori (deloyaux)". In origine l'aggettivo indicava semplicemente il fatto che gli ebrei non riconoscevano Gesù come messia. Ma né i teologi, né gli scrittori cattolici, né gli insegnanti di religione, né i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica si sono veramente opposti all'antigiudaismo religioso e non hanno neppure condannato l'antisemitismo strisciante nel popolo svizzero e le varie fonti che lo alimentavano. Così si diffuse una mentalità in cui la volontà generale della Svizzera di difendersi si alleò con un atteggiamento negativo nei riguardi dei rifugiati che si presentavano alle frontiere, al punto che furono considerati, nel migliore dei casi, come un male inevitabile. Una vittima particolarmente nota e a noi vicina di quest'atteggiamento difensivo fu Edith Stein. Poiché l'autorità competente ritardò la concessione del suo visto di ingresso, venne deportata ad Auschwitz.

Invitiamo tutti i fedeli della Svizzera a prendere posizione di fronte a questo bilancio negativo della storia recente della Chiesa. Questo non deve indurci a biasimare coloro che ci hanno preceduti e a pretendere di poter giudicare meglio di loro; deve aiutarci piuttosto a premunirci, nel presente e per l'avvenire, contro analoghi atteggiamenti colpevoli.

3. Razzismo, antisemitismo e crimini contro gli ebrei

I crimini del nazionalsocialismo vengono spesso indicati con i termini Shoah (letteralmente: annientamento) e olocausto (letteralmente: sacrificio totale), anche se quest'ultimo termine, derivato dal linguaggio biblico e liturgico, caratterizza solo parzialmente i crimini commessi contro gli ebrei. Con questi termini si allude al disprezzo, alla soppressione dei diritti umani, alle umiliazioni e al massacro di sei milioni di ebrei in Europa, nonché alla "soluzione finale" mirante all'annientamento del popolo ebraico. Il programma di eliminazione concepito dai nazionalsocialisti comprendeva anche sinti e rom, che furono perseguitati in molti luoghi insieme agli ebrei. Un'analoga iniziativa riguardava i malati mentali e i disabili, il cui assassinio in massa deve essere addebitato, al pari delle sterilizzazioni forzate, all'idolatria della razza, idolatria che induceva a fare una distinzione fra persone la cui vita aveva un valore e persone la cui vita ne aveva poco o punto. Molti altri gruppi di persone, specialmente i popoli dell'Europa slava, furono trattati dai nazisti, e in seguito dal regime staliniano, in modo particolarmente barbaro e degradante e furono massacrati in quanto considerati una razza inferiore.

Diversi oppositori politici della Weltanschauung (concezione del mondo) nazista persero i loro diritti fondamentali e furono tradotti nei campi di concentramento e brutalmente sterminati. Anche i difensori non ebrei dei diritti degli ebrei non sfuggirono a questa sorte. Noi, vescovi della Svizzera, non possiamo tacere il fatto che nei campi di concentramento nazisti furono deportati, torturati e uccisi oltre 3.000 membri del clero,15 provenienti soprattutto da Polonia, Germania, Francia e Balcani. Unitamente all'opinione pubblica cristiana e non cristiana della Svizzera, facciamo memoria dei sei milioni di morti ebrei, nonché di tutti coloro, che sono rimasti vittime del terrore nazista, cristiani o non cristiani. E non dimentichiamo neppure tutte le vittime del terrore stalinista, i numerosi deportati, espulsi, esiliati.

Oggi, a 50 anni di distanza, possiamo analizzare questi crimini intollerabili. Ma questo non significa che restiamo indifferenti di fronte ai numerosi massacri e assassinii di individui o di gruppi di individui che sono ancor oggi perpetrati in molti paesi in nome di pregiudizi razzisti o di mistificazioni ideologiche. La lotta contro i pregiudizi non deve indurci a operare selettivamente e a considerare una sola ingiustizia, restando ciechi e indifferenti di fronte a un'altra. Non dobbiamo dimenticare le attuali campagne di sterminio.

Oggi, ci preoccupa il diffondersi di un antisemitismo di un tipo particolare, quale appare ad esempio nei Protocolli dei saggi di Sion. È scientificamente provato che questi verbali redatti all'inizio del XX secolo sono opera di un falsario. Essi sospettano gi ebrei di cospirare per il controllo del mondo con i mezzi finanziari e politici e di voler combattere il cristianesimo. Per gli ideologi del nazionalsocialismo, questi verbali fornivano gli argomenti ideali per calunniare il popolo ebraico in quanto tale. Questi clichés anti-ebraici sono riemersi in seguito alle richieste, rivolte recentemente alla Svizzera, di restituire i beni degli ebrei morti senza lasciare eredi. La responsabilità cristiana e l'esperienza storica di questo secolo ci inducono a mettere in guardia da giudizi non fondati, da ogni forma di polemica aperta o nascosta, qualunque essa sia, nei riguardi del popolo ebraico. La nostra raccomandazione comprende anche le reazioni di fronte alle richieste di indennizzo avanzate dalle organizzazioni ebraiche nei riguardi delle istituzioni statali e private della Svizzera. La tendenza a minimizzare l'ingiustizia e l'allettamento del profitto, che possono aver contagiato gli svizzeri durante la seconda guerra mondiale e negli anni successivi, vanno di pari passo con l'accusa inaccettabile secondo cui gli ebrei vogliono arricchirsi a spese degli svizzeri.

Noi approviamo gli sforzi volti ad analizzare in modo corretto e dettagliato il ruolo del nostro paese e della sua popolazione durante la seconda guerra mondiale. Assumere la responsabilità dell'ingiustizia commessa dai nostri concittadini nei riguardi delle vittime della Shoah e dei loro cari è un elementare dovere di giustizia e deriva dalla nostra fede in uno stesso Dio che ama tutti gli uomini allo stesso modo. La Chiesa non è una comunità esistente solo nel presente; essa comprende anche le generazioni passate e future. Le richieste volte a ritrovare un patrimonio ebraico indebitamente acquisito, l'impatto che esse hanno avuto, hanno indotto un nuovo pericolo di generalizzazioni negative. Dobbiamo impegnarci a sedare il clima che avvolge tali questioni in Svizzera. Preghiamo insistentemente tutti coloro che sono incaricati della predicazione e dell'insegnamento della religione e della storia di non offrire materia ad alcuna reazione demagogica antiebraica e di astenersi da qualsiasi accusa.

A partire dal concilio Vaticano II, la concezione cristiana nei riguardi del popolo ebraico è notevolmente e positivamente cambiata. Ce ne rallegriamo insieme alla comunità ebraica in Svizzera. Oggi, più nessuno oserebbe affermare che gli ebrei sono stati puniti perché hanno crocifisso Gesù Cristo duemila anni fa. Bisogna vegliare perché una tale calunnia dalle gravi conseguenze non venga mai più propagata. Infatti, in ultima istanza, Gesù è stato condannato alla morte di croce dalla suprema autorità amministrativa pagana e romana della provincia della Giudea, la sola competente in materia di condanna a morte. Scrive il concilio Vaticano II: "E se le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo".16 Se si deve parlare di complicità, allora bisogna ricordare anche il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, la fuga degli apostoli. Ma occorre anzitutto ricordare ciò che la Chiesa afferma, a partire dal II secolo e ancor oggi nella sua preghiera eucaristica seconda, cioè che il Cristo si offrì "liberamente alla sua passione" (morti voluntarie traderetur).

4. Chiesa e giudaismo

Dobbiamo costantemente ri-attualizzare la corretta relazione esistente fra cristianesimo e giudaismo. Perciò, noi consideriamo questa dichiarazione come una nuova occasione per esporre la concezione cristiana dell'elezione del popolo ebraico. È importante basare questo insegnamento su una buona teologia.

Non si può contestare o negare che Gesù stesso, Maria, e Giuseppe e tutti gli apostoli provengono dal giudaismo, che nella fede giudaica hanno trovato le loro radici, il loro ambiente religioso e hanno vissuto di quella fede. Perciò, non è possibile comprendere i Vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento senza l'Antico Testamento. E la Chiesa ci fa quindi anzitutto leggere ogni domenica, secondo il nuovo ordinamento liturgico, un passo significativo dell'Antico Testamento, cosa che dovrebbe essere tenuta in maggiore considerazione nelle nostre comunità parrocchiali.

Inoltre, soprattutto a partire dal concilio Vaticano II,17 abbiamo preso coscienza dell'importanza della dottrina cattolica secondo cui il popolo ebraico è, per se stesso e per l'umanità, il popolo dell'alleanza con Dio. Quest'alleanza di Dio con Israele non si è mai interrotta. Dai tempi antichi e fino a oggi, gli ebrei recitano questa preghiera di lode a Dio quando compare l'arcobaleno: "Sia benedetto Colui che si ricorda della sua alleanza, che è fedele alla sua alleanza e costante nella sua Parola".18 Come cristiani, ci associamo a questa lode di Dio e crediamo che la Chiesa è fraternamente legata dalla grazia al popolo dell'alleanza ed è anche incorporata, attraverso il Cristo, in quest'alleanza. Essa annuncia quest'alleanza con Dio ed è mantenuta in essa dal suo mistero più centrale e nella pienezza della sua vita, nella santa eucaristia, quando ripete la parola di Gesù suo Signore sul calice, tutti i giorni, fino alla fine dei tempi: "Questo è il calice del mio sangue, il sangue dell'alleanza" (Mc 14,24). L'evangelista Luca e l'apostolo Paolo spiegano questa parola di Gesù sul calice a partire dalla tradizione liturgica delle loro chiese: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue" (Lc 22,20; 1Cor 11,25).

La Chiesa rimane in quest'alleanza di Dio. Gesù Cristo ha stabilito quest'alleanza mediante la sua morte in croce e la rinnova attraverso la sua presenza reale in ogni liturgia eucaristica. Esiste una profonda relazione fra l'alleanza di Dio con il suo popolo e l'alleanza di Dio con la Chiesa e, di conseguenza, con tutti i "popoli della terra" (cf. Rm 9-11). L'alleanza di Dio nel sangue di Gesù Cristo ha come primizie l'alleanza di Dio con Israele, il che le conferisce una dimensione particolare. Quando la Chiesa parla dell'alleanza di Dio con sé, parla al tempo stesso dell'alleanza di Dio con Israele. Senza la prima alleanza con Israele, non vi sarebbe alcuna nuova alleanza. La prima alleanza non è abolita dalla seconda, ma al contrario vi viene assunta e amplificata. Il profeta Geremia usava già, nel c. 31, l'espressione "nuova alleanza". Alla fine dei tempi le due alleanze appariranno come un'unica alleanza nella grazia e nella misericordia di Dio.

L'alleanza e l'elezione indefettibili appartengono al nucleo centrale della fede e della coscienza del popolo ebraico. Esse sono legate al dovere del popolo ebraico di annunciare Dio a tutti i "popoli della terra". Nelle Scritture, Dio promette alle nazioni la loro partecipazione all'alleanza di Dio (Is 49,6; Zc 9,9; cf. Is 19,19-25). Secondo un'antica tradizione ebraica, la voce di Dio è risuonata al Sinai in settanta lingue per raggiungere tutti i popoli della terra. Ogni popolo e ogni uomo appartiene in modo privilegiato al Creatore di cui è anche partner e quindi Dio si aspetta da ogni uomo la pratica della giustizia e del diritto nei riguardi dei suoi simili. Tutti i popoli e tutte le lingue, compresa la Chiesa, sono invitati a riconoscere l'alleanza di Dio con il popolo ebraico.

L'alleanza e l'elezione sono anche le fondamenta della Chiesa, dell'esistenza cristiana e dell'apostolato del cristiano. Attraverso il Cristo e attraverso la Bibbia Dio chiama gli uomini per guidarli sulla sua strada. Qui si trovano, in senso biblico, il punto di partenza e il nocciolo di ogni relazione con Dio. L'elezione di Israele e le promesse che essa comporta sono il fondamento della fede cristiana nell'alleanza divina in Gesù Cristo che rappresenta il Dio di Israele qui in terra. Esse fondano anche l'elezione di Maria, madre di Gesù, che era ebrea, nonché quella degli apostoli e dei cristiani usciti dal popolo ebraico. Il Cristo risorto li ha inviati a radunare tutti i popoli della terra nell'alleanza e nell'elezione di Dio (Mt 28,16-20). Israele resta, come afferma l'apostolo Paolo, la radice da cui è scaturita la Chiesa e che essa non può rinnegare fino al compimento finale della salvezza e alla comunione con Dio di tutti gli uomini, degli ebrei e delle altre nazioni (Rm 9-11; 1Cor 15,20-28; Ef 2,12; Ap 21-22).

Gli ebrei non condividono questa visione della fede cristiana. Le amare esperienze che hanno fatto nel corso della storia li hanno convinti che il cristianesimo è, per sua natura, opposto al giudaismo e quindi antisemita. Ma nella seconda metà di questo secolo è cominciato fra ebrei e cristiani un dialogo fecondo e complesso che lascia ben sperare per l'avvenire. Nella fede noi sappiamo che la Chiesa è potuta entrare, attraverso Gesù Cristo e la sua grazia, in un'alleanza e in un'elezione che intrattengono un legame organico, stretto e indossolubile, con l'alleanza e l'elezione di Israele. Così, secondo un'immagine della Lettera agli Efesini, la Chiesa è stata incorporata nella "cittadinanza" degli eletti e nella "casa" di Dio (Ef 2,19). Perciò, Paolo esulta: "Rallegratevi, nazioni, insieme al suo popolo" (Rm 15,10, citando Dt 32,43). È sorprendente notare qui la concordanza fra l'Antico e il Nuovo Testamento. Chiediamo ai fedeli di conservare in tutta la sua vitalità questo legame intimo fra Israele e la Chiesa nella preghiera e nella riflessione e ad esprimerlo anche nella liturgia, mediante una maggiore attenzione alle letture dell'Antico Testamento.

5. Conclusioni

1. Ci riferiamo con gratitudine alla dichiarazione Nostra aetate del concilio Vaticano II. Questo documento è sempre più attuale. Esso ha aperto la porta a una nuova tappa della storia cristiana, permettendoci di considerare il popolo ebraico come un popolo di Dio con noi imparentato e a noi unito. In questa dichiarazione si legge: "Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune ai cristiani e agli ebrei, questo sacro concilio vuole promuovere e raccomandare fra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo".19 L'attuale papa è considerato da molti ebrei un papa che ha profondamente rinnovato le relazioni fra cristianesimo ed ebraismo. Chiediamo ai fedeli di comprendere le parole e i gesti del papa e il loro significato. Il papa ritiene che la Shoah sia un monito molto importante contro un cristianesimo superficiale e che tace di fronte al male.

2. Il 31 ottobre 1997 il papa Giovanni Paolo II ha dichiarato con convinzione che è importante che la Chiesa e il mondo si ricordino della Shoah, della responsabilità e della colpevolezza della Chiesa cattolica, poiché vi è in questo un appello, una testimonianza e un grido silenzioso per tutta l'umanità.20 Nelle ultime settimane, il papa Giovanni Paolo II ha invitato alla conversione e ha chiesto perdono per gli atteggiamenti ostili verso gli ebrei che si sono avuti in passato. Ci associamo pienamente alla sua iniziativa e alla sua preghiera di intercessione.

3. Il male mostruoso apparso nella Shoah deve risvegliare una contro-reazione permanente. La teologia ha il dovere di sviluppare una dottrina dell'elezione e della vocazione del popolo ebraico, una dottrina che dichiari senza ambiguità che il disprezzo e la persecuzione degli ebrei sono errori e peccati. Questa teologia deve ripercuotersi nell'insegnamento della religione, nella predicazione e nelle pubblicazioni. Non si può in alcun caso affermare la specificità cristiana e la rivelazione contenute nel Nuovo Testamento denigrando il popolo ebraico e il posto che gli è stato assegnato da Dio.

4. È nel cuore dell'uomo che mettono radici i crimini più atroci, è nel cuore dell'uomo che si trova il nocciolo del male da combattere. "Resistete ai principi" significa in questo contesto "resistete ai pensieri di odio o ai risentimenti del vostro cuore!". Il progetto dell'annientamento degli ebrei iniziò negli ambienti dell'ideologia razzista della fine del XIX secolo.21 Il crimine che ha trovato la propria realizzazione nei crimini dei nazisti ha avuto lì la sua origine. La nostra conoscenza deve diventare coscienza. Dobbiamo purificare la nostra coscienza da ogni pensiero di odio verso gli stranieri e gli ebrei, affinché queste aggressioni a livello mentale non possano mai più trasformarsi in atti. Un primo comandamento di Dio è quello di conservare il proprio cuore puro da ogni sentimento di disprezzo e da ogni desiderio di annientamente dell'altro.

5. Abbiamo il dovere di opporci a ogni forma di disprezzo dell'uomo ovunque esso affiori. Chi considera un solo tipo di ingiustizia senza preoccuparsi degli altri perde il diritto di protestare, poiché tutto sommato ha smesso di combattere l'ingiustizia. In quanto cristiani, dobbiamo fare tutto il possibile perché il popolo ebraico non sia mai più disprezzato, perseguitato o esposto a una nuova Shoah. Ma non possiamo fermarci alla sola e terribile ingiustizia di cinquant'anni fa. Dobbiamo anche opporci a tutti i progetti di epurazione razzista o di lotta fra le varie religioni. In questo contesto, dobbiamo condannare fermamente tutte le forme di profanazione dei cimiteri ebraici, nonché le scritte antiebraiche, misfatti che noi consideriamo peccati.

6. Nel suo insegnamento Cristo ci chiede di non passare accanto al prossimo nel bisogno, soprattutto quando si tratta di un uomo assalito dai banditi o di un ferito che giace sul ciglio della strada e che appartiene a un'altra religione o a un altro popolo. Gesù lo ha espresso chiaramente nella parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37). Non abbiamo il diritto di passare indifferenti accanto all'uomo che soffre, anche se ci sembra del tutto estraneo.

La fede e la celebrazione del culto divino devono aiutarci a mantenere gli occhi aperti sulla sofferenza del mondo.

Friburgo, 14 aprile 2000.

+ Amédée Grab osb,
presidente della Conferenza episcopale svizzera
p. Roland-B. Trauffer op,
segretario generale

 

Note

1 Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente (TMA), 10.11.1994, nn. 33-36; EV 14/1770-1780.
2 Cf. Commissione teologica internazionale, Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del passato, Regno-doc. 5 (2000), 143.
3 Si tratta dei membri della Commissione di dialogo ebraica-cattolica romana (JRGK): Tovia Ben-Chorin, Alfred Bodenheimer, Michel Bollag, Azzolino Chiappini. Ernst Ludwig Ehrlich, Jean Halpérin, Simon Lauer, Adrian Schenker, Roland Strässle e Clemens Thoma. Anche il presidente della Federazione svizzera delle comunità israelitiche (FSCI) ci ha aiutati con i suoi saggi consigli.
4 Disponibile presso l'Office central fédéral des Imprimés et du Matériel, 3003 Berna (Ref. 478786281).
5 Cf. U. Altermatt, Katholizismus und Antisemitismus. Mentalitäten, Kontinuitäten, Ambivalenzen, zur Kulturgeschichte der Schweiz 1918-1945, Frauenfeld 1999; Aram Mattioli et al., Antisemitismus in der Schweiz 1848-1960, Zürich 1999.
6 Independent Committee of Eminent Persons (ICEP), Report on Dormant Accounts of Victims of Nazi Persecutions in Swiss Banks, Berna 1999.
7 Art. n. 301.310, a cura dell'Office central fédéral des Imprimés et du Matériel, 3003 Berna.
8 G.M. Riegner, Ne jamais désespérer. Soixante années au service du peuple juif et des droits de l'homme, Paris 1998; Stephen P. Halbrook, Die Schweiz im Visier. Die bewaffnete Neutralität der Schweiz im zweiten Weltkrieg, Schafhausen 1999; P. Blet et al., Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre mondiale, 11 voll., Città del Vaticano, 1965-1981.
9 Saranno pubblicati prossimamente sotto la responsabilità del prof. Victor Conzemius.
10 Disponibile presso l'Institut de recherche judéo-chrétienne de la Haute École de Lucerne, c. p. 7455, 6000 Luzern 7.
11 "Il sinodo chiede che i cristiani riconoscano il fatto di condividere con gli ebrei e i musulmani una comune fede nel Dio di Abramo. In nome di questa fede essi collaboreranno con gli ebrei e i musulmani ogniqualvolta sia possibile una testimonianza comune" (Pour une Église servante de Jésus-Christ, Décisions et recommandations, Fribourg 1978, 48). Cf. anche R. Rendttorf, H.H. Henrix, Die Kirchen und das Judentum. Dokumente von 1945-1985, Paderborn 1982, 156-164.
12 Citato da F.X. Bischof, C. Dora, Ortskirche unterwegs. Das Bistum St. Gallen 1847-1997, St. Gallen 1997, 104; C. Aloisius Scheiwiler, "Das Verhältnis Jesu Christi zum Judentum", in Die Gefährdung des Christentums durch Rassenwahn und Judenverfolgung, Luzern 1935, 55-60.
13 C. Journet, "Antisémitisme", in Nova et vetera 16(1941), 225-231; cf. i numerosi testi del periodo bellico su antisemitismo, razzismo, ebrei nella raccolta di C. Journet, Exigences chrétiennes en politique, Saint-Maurice 1992; così pure Journet-Maritain, Correspondance, 3 voll., 1940-1949, Saint-Maurice 1998; cf. G. Boissard, "Parler ou se taire, le différend qui opposa l'abbé Charles Journet et son évêque pendant la seconde guerre mondiale", in Nova et vetera 73(1998), 53-95. Charles Journet non ha messo in guardia solo contro il franchismo e il nazionalsocialismo, ma è stato forse, insieme al canadese P. Lavaud – e sotto l'influenza di J. Maritain – il solo teologo svizzero che abbia intrapreso una nuova valorizzazione teologica di Israele. Cf., al riguardo, lo studio di P. Chenaux, Charles Journet (1891-1975). Un théologien en son siècle, Paris-Fribourg 1992. Journet metteva in guardia anche contro le persecuzioni degli ebrei da parte del governo di Vichy. Bisognerebbe ricordare anche il vescovo Jelmini il quale, nella sua omelia di Natale del 1938, denunciava chiaramente le persecuzioni in Germania e nella sua lettera quaresimale del 1939 le fustigava come "eresia nordica del razzismo". Cf. P. Bernold, Der schweizerische Episkopat und die Bedrohung der Demokratie 1919-1939, Berna 1995, 404-406. Mons. Jelmini ha ricevuto a braccia aperte i numerosi rifugiati ebrei – furono migliaia – che dopo la disfatta in Italia (sett. 1943) si precipitarono verso la Svizzera. Cf. R. Broggini, La frontiera della speranza. Gli Ebrei dall'Italia verso la Svizzera (1943-45), Milano 1998; Id., ""Sotto la personale responsabilità". Impegni del vescovo Angelo Jelmini verso i rifugiati italiani (1943-45)", in Cattolici, fascismo, resistenza, a cura dell'Associazione per la storia del Movimento Cattolico nel Ticino, Lugano 1995, 39-48.
14 A proposito del principe Max de Saxe, cf. I. Baumer, "War Antijudaismus/Antisemitismus unausweichlich? Ein Beispiel selbstständigen Denkens und Redens", in FrRu 6(1999), 166-172.
15 Sono ricordati tutti per nome, con la data della loro morte, da E. Weiler, Die Geistlichen in Dachau sowie in anderen Konzentrationslagern und Gefängnissen, Mödling 21971.
16 Vaticano II, decr. Nostra aetate, n. 4; EV 1/866.
17 Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, n. 9; EV 1/308-310; Nostra aetate, n. 4; EV 1/862-863.
18 Talmud babilonese, Trattato della lode, 59a.
19 Nostra aetate, n. 4; EV 1/865.
20 Giovanni Paolo II, Discorso al Colloquio intraecclesiale sulle "Radici dell'antigiudaismo in ambiente cristiano", 31.10.1997; cf. Regno-doc. 21 (1997), 687.
21 Ciò è documentato, fra l'altro, da Mitteilungen aus dem Verein zur Abwehr des Antisemitismus. una rivista edita a Berlino negli anni 1890-1910 da ebrei e cristiani.


 

Letto 2537 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Settembre 2011 23:39
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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