Quando sua figlia si ammala, Zegeyech non va dal medico. Se la mette sulle spalle e cammina per ore intere fino al monastero più vicino. Per scongiurare « la mala sorte » gettata sulla bambina, il monaco la asperge di acqua benedetta e consiglia a Zegeyech di fargliene bere fin tanto che i disturbi permangano. E ogni mattina si reca in una chiesa, alla periferia di Bahar Dar, come ne esistono migliaia qui, circolare, con il tetto di paglia sostenuto da una dozzina di pilastri e sormontata da una grande croce. Muri di argilla, tre larghe porte - a nord, a ovest e a sud - che conducono al santo dei santi: un santuario provvisto di una tenda che nasconde il clero alla vista dei fedeli durante certe parti della liturgia.
Ma Zegeyech raramente ha il coraggio di avvicinarsi. Comunicarsi durante la messa? Non ci pensa neppure, tanto è difficile da raggiungersi il grado di purità necessario: «le prescrizioni ereditate dell'Antico Testamento sono talmente numerose». Allora si siede per terra a una cinquantina di meri di distanza, dà da bere alla figlia acqua benedetta e prega. Intorno a lei si incontrano altre storie, altri mali da calmare; alcune figure sembrano errare da anni intorno a questa capanne dal tetto di lamiera da cui talora spunta l'ombra di un prete. Nascosta in mezzo ai campi, nelle vicinanze di un piccolo cimitero, una strana scuola, ai margini del sistema educativo di Stato, senza lavagne né aule, senza sedie né scrittoi. Alcuni bambini delle campagne più remote abitano là per due o tre anni, in capanne minuscole, e vanno mendicando per vivere fino ad aver imparato a memoria le minime sfumature delle melodie sacre composte da san Yared, un prete del VI secolo.
Quali che siano gli sforzi che facciano, i viaggiatori europei sono completamente sbalorditi quando scoprono l'Etiopia cristiana (30% della popolazione). Arrivando ad Axum o a Lalibela, un corteo di bambini coperti di stracci, sandali di plastica o a piedi nudi, armati di croci di fortuna, si attacca al gruppo appena sceso dall'autobus. Ci si apre una strada fra i ragazzini, e distribuendo macchinalmente matite e quaderni. Ma quello che disorienta non è la povertà legata al sotto sviluppo di questo paese rurale al più dell'80%. Essi avevano pagato il biglietto per visitare l'Etiopia cristiana, la loro cugina ortodossa: quello specchio lusinghiero, quel lontano paese di Africa, che ha resistito eroicamente all'Islam e ha saputo per tanti secoli rimanere uno Stato cristiano sovrano.
Una democrazia etnica complessa
Ed eccoli proiettati in una democrazia etnica complessa di più di 80 milioni di abitanti, dove le grandi famiglie cristiane sono state saccheggiate durante la rivoluzione marxista nel 1974. Dove i musulmani - un terzo della popolazione - hanno diritto alle loro feste nazionali come gli altri. Dove le popolazioni animiste hanno da poco tempo tutto il loro spazio. Dove i pentecostali rivaleggiano in creatività per sembrare apportatori della modernità religiosa, di fronte a una Chiesa ortodossa che sembra, a prima vista, totalmente arcaica. La conversione di Axum al cristianesimo data dal IV secolo, come una conseguenza logica degli stetti legami con il mondo greco-romano. La sua lingua liturgia, il ge’ez, è stata ereditata dal V secolo. Dopo, nulla più si è mosso. Né il culto dei santi, né il numero delle feste e dei pellegrinaggi - innumerevoli -, dei rituali tratti dall'Antico Testamento. Persino i preti, che accolgono le folle in un triste silenzio, sembrano usciti da un sonno lungo 1.500 anni. Appena appena si prestano al gioco del turista zelante esponendogli ogni sorta di croci manuali o processionali, in legno o in metallo, come un tesoro di guerra di cui loro stessi stentano a datare l'origine.
Gli sguardi cercano invano qualche punto di riferimento in mezzo a piccole capanne isolate, a greggi, a piccoli appezzamenti di terra solcati da aratri. Pochissime macchine, non trattori, non fast food, non pannelli pubblicitari - dei muli spesso. Qui possono occorrere due giorni per raggiungere il mercato più vicino e si dorme all'aperto su strade di terra. A volte al mattino presto, davanti alle case, si scorge il fumo delle stufe di fortuna su cui le donne preparano la injera, una galletta a base di farina di teff, o il doro wat, il tradizionale pollo ai legumi e alle spezie. Ma più ancora che il paesaggio senza età, quello che sconvolge il nostro razionalismo occidentale è questa fede straordinaria condivisa da milioni di uomini, di donne e di bambini. È questa fede unica che trasfigura i loro volti e che illumina colui che riceve il loro sorriso. Perché all'inverso dei suoi cugini greco ortodossi, giacobiti, siro orientali, armeni o latini, la Chiesa etiopica non ha mai cercato di riconciliare fede e ragione. Nessuna traccia qui di un sant'Agostino, di un Gregorio Palamas o di un Tommaso d'Aquino che abbia nutrito la riflessione teologica locale con la filosofia platonica o aristotelica.
La Chiesa etiopica infatti non ha fondato il suo sistema di educazione sull'apprendimento del greco e della filosofia. Questo isolamento intellettuale spiega in parte la incredibile sopravvivenza di una fede cristiana « delle origini ». Quelli che si saranno azzardati ad allontanarsi dai percorsi prestabiliti, che si saranno dati la pena di scalare una montagna in cerca di un monastero, non potranno dimenticare l'eleganza e la raffinatezza dei contadini incontrati lungo la strada, l'ascesi inaudita dei monaci e delle monache intravisti sulle « alte terre »: l'altopiano della santità in Etiopia, segnato da una topografia e una toponimia presi dalla Bibbia, dove furono costruiti i più grandi monasteri e le residenze regali. Nella memoria collettiva, queste terre così vicine al cielo furono messe in opposizione, per lunghissimo tempo, alle basse terre della periferia, da cui potevano nascere tutti i pericoli: epidemie, malattia del bestiame, invasioni di popolazioni nemiche (1)... Nonostante l'evoluzione delle mentalità, è ancora e sempre l'Etiopia monumentale che fa sognare i turisti, come all'epoca di prima della rivoluzione, quelli che percorrevano già l’itinerario storico in cerca di città e di leggende da scoprire, come quella di Labilela, quel re che nel secolo XIII fece costruire, nella sua capitale, una Gerusalemme sotterranea per tutti i pellegrini che non potevano più recarsi a Gerusalemme. Undici chiese monolitiche scavate nella roccia e di bellezza impressionante, di cui la leggenda vuole che fossero state costruite solo in ventitre anni.
Una immensa letteratura apocrifa
E invece di assimilare la filosofia greca, gli Etiopici hanno sviluppato una capacità straordinaria di digerire tutte le finzione e le leggende. Tradizioni leggendarie, probabilmente ispirate da culture siriaca e indiana, e una letteratura apocrifa immensa: ecco ciò che forma il cuore vivente del cristianesimo etiopico, che a sua volta è il fondamento della sua identità etiopica. E come avviene spesso nei « paesi meravigliosi », chi avrà posato qui un piede non ripartirà senza aver avuto diritto al breve racconto della Bibbia, contenuto nel Libro dei Re (10,1-13), punto di partenza per diverse leggende. Una di esse, fra le più celebri, ha il suo posto nel Kebra Nagast (Gloria dei Re), un apocrifo del XIV secolo. Grande cronaca dei re di Etiopia, questa leggenda ha lo scopo di legittimare il potere della dinastia regale salomonide, dimostrando che l'Etiopia è succeduta a Israele come Terra santa.
Consòlati con l'amore
Secondo la leggenda, la regina di Saba, sovrana di Etiopia, decise un giorno di partire per Gerusalemme a trovare il re Salomone con una carovana di 797 cammelli. Il re meravigliato la persuase a restare con lui: « Consolati qui con l'amore fino al mattino ». Quella notte concepirono un figlio che nacque in Etiopia e ricevete il nome di Menelik. Adolescente, volle conoscere suo padre e partì a sua volta per Gerusalemme. Salomone avrebbe voluto che il figlio gli succedesse sul trono di Gerusalemme, ma il giovanetto decise che il suo posto era in Etiopia. Salomone finì col lasciarlo partire, in compagnia di tutti i primogeniti di Israele. Prima di lasciare la città santa, Menelik e i suoi compagni rubarono l'Arca dell'Alleanza, il cofano contenente i ricordi del viaggio degli Ebrei nel deserto e conservato nel Tempio di Gerusalemme, per portarlo in Etiopia.
Ancora oggi molti cristiani etiopi sono convinti che si tratta realmente dell'Arca dell'Alleanza, conservata nella chiesa di Sion ad Axum. Nel giorno di Timkat (un termine ge’ez per evocare questa festa religiosa che è insieme Natale, Epifania, battesimo di Gesù per mano di Giovanni e miracolo di Cana) essi camminano a migliaia in tuniche bianche candide. La festa durerà più di 24 ore, senza posa, dal giorno alla notte, dalla notte al giorno. Ci si trova d'un tratto in una comunità di anime. Ma l'orda di turisti europei, essa, si interroga sulla presenza di numerosi gruppi di Israeliti tra la folla: « Non siamo in terra cristiana?».
Se, fra il I e il IV secolo, il posto da accordare al giudaismo è stato uno dei problemi centrali del cristianesimo, gli Etiopi, ancora una volta, si sono chiaramente distinti dagli altri cristiani, osserva il professore al Collège de France, Michel Tardieu, « imitando l'Antico Testamento talora fino all'identificazione con Israele »: osservanza della circoncisione e talvolta del sabato, feste cristiane vicine al calendario delle feste ebraiche, disposizione architettonica delle chiese sul modello del Tempio di Gerusalemme descritto dalla Bibbia, indumenti dei monaci e dei preti sul modello dei leviti custodi delle Tavole della Legge conservate nell'Arca dell'Alleanza...
Hailé Selassié cugino del Cristo
Michel Tardieu non vede tuttavia in queste pratiche, come hanno potuto credere i missionari portoghesi del XVI secolo e molti orientalisti, il segno dell'origine ebraica del cristianesimo etiopico: «L'Antico Testamento è qui ordinato al Nuovo Testamento. Ma poiché l'Etiopia è presente nella Bibbia come terra paradisiaca e come territorio salomonico a causa della storia della regina di Saba, il fascino dell'Antico Testamento in quanto testo ha portato con sé l'appropriazione culturale del giudaismo, a volte fino a considerare la sua legge come norma da praticare». Gli Etiopici non sono forse arrivati fino a integrare nel loro canone biblico degli scritti ebraici non ricevuti nelle altre Bibbie cristiane (Prima Apocalisse di Enoch, Libro dei Giubilei)? E per rimanere fedeli alla leggenda, nel 1955, la costituzione etiopica affermava ancora che l'imperatore Hailé Selassié era il 225° discendente in linea diretta di Salomone, e quindi cugino di Cristo, che anche lui è della stirpe di Davide, figlio di Salomone. Una cosa così difficile da ammettersi per degli spiriti plasmati da più di un millennio di ricerca razionale: la storia si prende gioco del reale. Senza le sue leggende, il suo immaginario, i suoi racconti fantastici, essa non sarebbe più che un racconto interminabile destinato all'oblio.
Jennifer Schwarz
1) Alain Gascon, Sur les hautes terres comme au ciel, identités et territoires en Éthiopie, (Publications de la Sorbonne), 2006).
Un ideale familiare assai vicino al nostro
Gli etnologi occidentali che hanno studiato alcune comunità paesane amariche non hanno trovato sugli altopiani etiopici un sistema familiare troppo esotico. Il sottosviluppo, sensibile attraverso un tasso di alfabetizzazione eccezionalmente basso e una mortalità infantile molto elevata, non impedisce alla famiglia tradizionale amarica di essere molto simile nel suo funzionamento a quella di molte regioni d’Europa. La parentela non è, come nei paesi arabi o spesso nell’Africa dell’Est, patrilineare, centrata sui maschi. In occasione di un matrimonio amarico i genitori della sposa e quelli dello sposo hanno un peso eguale. L’ideale familiare è « nucleare », comprende solo la coppia e i loro figli, anche se i giovani sposi passano spesso uno o due anni di transizione con una delle due coppie di genitori. I diritti sulla terra provengono da ambedue i parentadi. Se si aggiunge l’esogamia, familiare e paesana, cioè una preferenza per un matrimonio all’esterno della comunità locale e l’interdizione di sposare una cugina, la famiglia amarica non differisce quasi, nei suoi principi, da quella dei vignaioli della zona parigina nel secolo XVIII, o da quella dell’Europa bizantina del X secolo. Di fatto la famiglia amarica sembra del tutto conforme all’ideale cristiano originale: un uomo e una donna, liberi, che si uniscono davanti a Dio. L’obbligo di sposarsi all’esterno del gruppo familiare è anche una costante del cristianesimo, su cui concili e teologi hanno ampiamente legiferato e teorizzato. Secondo la Chiesa, l’esogamia tesse legami sociali indispensabili. Su questo punto il cristianesimo si oppone all’islam che, in pratica – ma non in teoria – ha favorito lo sviluppo del matrimonio fra cugini.
(da Le monde des religions, mai-juin 2010, n. 41, pp.52-57)