Maestro delle più svariate discipline, fu allo stesso tempo un genio matematico che divenne famoso nei campi dell’astronomia, della fisica e dell’ingegneria elettrica; un poeta di talento, musicista e storico dell’arte; un linguista ed etimologo versato in greco, latino, nella maggior parte delle lingue europee e in quelle del Caucaso, dell’Iran e dell’India; così come un originale pensatore religioso e metafisico. Era una personalità talmente rara da non essere a tutt’oggi pienamente compresa.
1. I PRIMI ANNI DI FLORENSKIJ
Padre Pavel Florenskij nacque da una famiglia aristocratica in Transcaucasia il 9 gennaio 1882. Suo padre era un ingegnere di origine russa e sua madre era armena. Anche se alcuni degli antenati di suo padre erano stati sacerdoti, il giovane Pavel non fu cresciuto in un’atmosfera religiosa e non venne mai portato in chiesa. Le sue prime aspirazioni spirituali, pertanto, non furono il risultato di influenze esterne, ma di un risveglio interiore a una realtà più elevata. Attraverso un’esperienza della natura Pavel iniziò a provare meraviglia per l’insondabile sapienza di Dio, la bontà intrinseca della creazione e la vastità dell’eternità.
Pavel completò la sua istruzione secondaria in Georgia, dove divennero evidenti le sue notevoli abilità in matematica. Dopo la laurea, subì una crisi spirituale che diede direzione alle sue aspirazioni giovanili. In questo periodo, scrisse in seguito, che “le limitazioni della conoscenza fisica mi furono rivelate”. Mentre fino ad allora aveva considerato la scienza come la chiave di tutti i segreti dell’esistenza, ora comprese l’esistenza di un livello di esistenza che essa non poteva arrivare a raggiungere. Abbastanza curiosamente, fu soltanto dopo essere giunto a questa conclusione che si sentì libero di usare la scienza in modo pratico, entro l’ordine inferiore – o materiale – dell’esistenza. “I miei sforzi verso l’applicazione tecnica della fisica,” scrisse in seguito, “mi furono instillati da mio padre, ma si formarono solo quando la scienza cessò di essere [per me] un oggetto di fede. E in seguito, da quella stessa crisi, venne il mio interesse per la religione..” [1].
Florenskij si iscrisse al Dipartimento di Fisica e Matematica dell’Università di Mosca, laureandosi nel 1904. In quest’epoca la sua conversione alla Fede dei suoi padri – il cristianesimo ortodosso – era ormai completa e costituì il più importante elemento della sua vita.
Come scrisse uno dei suoi contemporanei, tutto il carattere di Florenskij divenne contrassegnato da “una rivolta interiore contro il mondo”. Non poteva non detestare le norme prescritte che fossero determinate dal modo in cui il mondo pensa. Le considerava una maschera che rende chi la porta accettabile a tutti, trascinandolo in un’esistenza confortevole a spese della vendita delle sue più alte aspirazioni alla Verità. La sua ribellione alla “standardizzazione” e ai comportamenti prescritti non veniva tanto dalla sua volontà, quanto piuttosto dalla sua stessa natura, segnata fin dalla sua infanzia da un marchio di unicità.
2. L’ANZIANO ISIDORO
Nel 1904, Florenskij si iscrisse all’Accademia Teologica di Mosca, che a quel tempo era diretta da un grande gerarca che avrebbe in seguito condiviso il fato di martirio di Florenskij: l’Arcivescovo Teodoro Pozdeyev.
Mentre studiava all’Accademia, Florenskij venne in contatto con un uomo che avrebbe profondamente influenzato il suo atteggiamento verso il cristianesimo e la vita spirituale. Era l’anziano Isidoro, che allora viveva in una piccola capanna accanto alla Skiti del Getsemani, che era vicina all’Accademia. Molti dei monaci alla skiti consideravano Isidoro come un tipo eccentrico. La classe colta non prestava alcuna attenzione a persone come lui, che disprezzavano come mudzhik (contadini) illetterati. Erano soprattutto i mudzhik come Isidoro che apprezzavano che apprezzavano la semplicità delle sue parole e l’abbondanza dell’amore – la più alta delle virtù cristiane – che si rifletteva in ogni istante sul suo volto radioso. Florenskij, che amava più di tutto ciò che era genuino e sincero, vide Isidoro nello stesso modo in cui lo vedevano i paesani più semplici: ma come filosofo e metafisico era anche in grado di articolare le proprie impressioni e di trovarne la fonte. “L’ascetismo,” scrisse, “non produce tanto una personalità buona, quanto una personalità bella; la caratteristica particolare dei grandi santi non è tanto la bontà di cuore, che hanno anche gli uomini carnali e persino i grandi peccatori, ma la bellezza dello spirito, la bellezza abbagliante di una personalità radiosa e luminosa, che non riescono a ottenere gli uomini carnali appesantiti dal mondo” [2]. Si può ritenere che questo sia il modo in cui Florenskij considerava l’ascetico Padre Isidoro.
In Padre Isidoro, Florenskij vide anche l’incarnazione del suo ideale di monachesimo, un ideale caratterizzato da libertà di spirito, libertà di vivere secondo le leggi della vita spirituale, così tanto diverse dalle vie del mondo. Florenskij, che come abbiamo visto detestava tutte le forme di simulazione, sapeva bene che le figure di chiesa sono spesso molto più artificiali dei laici. Padre Isidoro, invece, era in ogni momento se stesso, in accordo con le antiche parole di Socrate: “È meglio essere piuttosto che sembrare”. Si rifiutava di essere governato da codici di comportamento mondani e li infrangeva con accattivante genialità. Assolutamente privo di paura, era allo stesso tempo dotato di profonda umiltà. Era dolce, affettuoso, flessibile e innocente, come un bambino, eppure poteva sopportare di tutto. Per Florenskij, Padre Isidoro – un umile e dimenticato vecchio monaco – era un gigante che dimorava su di un altro piano, un uomo veramente spirituale che vedeva le cose da una prospettiva spirituale e portava testimonianza della realtà dell’altro mondo.
Padre Isidoro morì nel 1908 e per passare ad altri ciò che aveva ricevuto da lui, Florenskij scrisse il classico spirituale, Sale della terra, […].
3. ASPIRAZIONI MONASTICHE
La predisposizione naturale del carattere di Florenskij era fortemente attratta dal monachesimo, ma il suo padre spirituale, Antonio, un vescovo a riposo, lo sconsigliò di intraprendere questo sentiero. Il Vescovo Antonio, un uomo pratico e un acuto osservatore della psicologia umana, notò in Florenskij una genialità che avrebbe potuto essere soggiogata e ridotta a un comune denominatore sotto il rigorismo della vita monastica comune. La natura indagatrice e analitica di Florenskij e la sua illimitata creatività erano le sue maggiori spinte ed erano anche più costrittive delle sue inclinazioni monastiche. Relegare questi impulsi in un monastero, percepiva il Vescovo Antonio, avrebbe un giorno causato problemi alla personalità di Florenskij e pertanto egli deviò consapevolmente le energie di Florenskij verso studi teologici e scientifici.
La gente parla del genio naturale come di un dono. Come per la bellezza naturale, la nostra salvezza non dipende da esso, ma piuttosto da che cosa ne facciamo. Florenskij usò il suo “dono” per la propria salvezza portandolo come una croce, poiché era il suo stesso genio a impedirgli di realizzare il suo caro desiderio di diventare un monaco. Rese impossibile per lui diventare “come tutti gli altri,” abbracciando l’oscurità personale che i monaci dovrebbero cercare. Ma che tortura era per lui! Il fatto era che egli voleva con tutto il suo cuore essere come quei semplici, umili monaci che non vengono notati dal mondo, non ottengono successo esteriore in alcunché, eppure piacciono a Dio per la bellezza delle loro vite quiete e per questo ereditano il Regno. Ma non poteva cambiare se stesso; era differente dalla gente comune. Le parole che un tempo egli scrisse riferendosi a Pushkin avrebbero potuto essere egualmente applicate a lui: “Il fato della grandezza porta sofferenza dal mondo esterno e sofferenza interiore che proviene da se stessi. Così era, così è e così sarà” [3].
Portando la croce di una rara genialità, la sofferenza e la tensione di Florenskij non facevano altro che nutrire e rafforzare i suoi poteri creativi. Fu obbligato a trovare la sua bramata libertà monastica al di fuori della reclusione di un monastero, senza il beneficio di aiuti monastici esteriori, seguendo un arduo sentiero che alla fine lo condusse alla libertà di morire per Cristo.
4. SOFFERENZA
Florenskij ottenne nel 1908 un posto alla Facoltà di Storia della Filosofia dell’Accademia Teologica di Mosca. Durante i suoi primi anni di insegnamento all’Accademia, cadde in un’acuta depressione. molti fattori vi contribuirono: la morte dell’Anziano Isidoro, il suo mancato ingresso in monastero e la noia di essere “intrappolato” in un ruolo accademico standardizzato, insieme a studiosi che avevano perso il contatto con la Verità mistica della vita di chiesa. La causa dei suoi problemi, egli scrisse, “è un desiderio di qualcosa di reale, di qualche tipo di contatto totale, una garanzia della vita della chiesa. Non trovo questo contatto da nessuna parte, solo carta, niente oro. Non dico che non vi sia oro nella chiesa, ma io non lo trovo mai. Se non credessi, sarebbe stato più facile. Ma è proprio questo il difficile: io credo che il contatto esiste e se non c’è contatto, allora significa che non c’è la Chiesa e non c’è cristianesimo. Mi ordinano di credere e io credo. Ma quella non è vita” [4].
Così, per Florenskij, non era sufficiente passare per le tappe della vita della chiesa, considerandosi ed essendo considerato una buona persona di chiesa, sperimentando la grazia della Chiesa solo in maniera vicaria, sapendo che altri la hanno sperimentata in verità e sapendo che tale grazia esiste oggettivamente. Florenskij aveva bisogno di conoscerla e di sperimentarla di persona. Come insegnante e scrittore, voleva che tutto quanto proveniva da lui derivasse dalla realtà della propria esperienza. La filosofia più elevata doveva essere umana, personale e vissuta e non solo astratta e teorica. Fu la sua perseveranza in questo, anche più del suo genio personale, che lo rese eminente tra i pensatori del suo tempo.
Indizi importanti sul carattere di Florenskij al tempo della sua crisi sono stati forniti da Padre Alexander Elchaninov, che registrò le loro conversazioni. All’apice della sua sofferenza interiore, Florenskij disse a Elchaninov: “non è difficile uccidere molti aspetti di me stesso, ma quale ne sarebbe il risultato? Avrei potuto uccidere in me tutto quanto ha a che fare con il sesso, ma allora la mia creatività scientifica sarebbe stata la prima a morire. Mi dici che questa è la strada da percorrere: che tutti gli asceti dovettero passare attraverso una simile morte. Lo so, ma non mi è permesso entrare in un monastero: mi ordinano di tenere lezioni. Com’è che da molti scritti – libri di testo e così via, soprattutto i testi del seminario – viene un odore di morte? Sembra che ci sia tutto: grande conoscenza e linguaggio dignitoso, pensieri; ma perché è impossibile leggerli? È perché sono scritti da ‘eunuchi’. Anche io avrei potuto scrivere in quel modo, ma chi ha bisogno di opere simili?” [5].
Nella sua miseria, Florenskij si sentì più vicino a Dio. “Sto notando ultimamente,” disse a Elchaninov, che mi succede qualcosa di strano. Prima la mia preghiera non era mai così forte come ora che sembra che io sia meno degno che mai. Mi viene l’impressione che Dio esca deliberatamente a incontrarmi per vedere che fine voglio fare. A volte ho una strana sensazione, assurda da un punto di vista teologico, forse perché non posso esprimerla in modo appropriato: è come se a volte mi dispiacesse per Dio, perché sono nato così malvagio... Sì, posso esprimerla così. Quando uno si arrabbia davvero, allora gli altri iniziano a essere d’accordo con lui e a fare quel che vuole. È così che Dio sta trattandomi ora. Naturalmente, solo nelle piccole cose. Ieri, per esempio, V. B. [che in seguito divenne lo suocero di Florenskij] non era tornato a casa ed era già tardi. Ero molto preoccupato. L’ora solita era passata: di solito rincasa attorno alle 11 di sera. Ero terribilmente allarmato e iniziai a pregare e avevo appena finito di pregare, quando arrivò alla porta” [6].
A un certo punto, Elchaninov e Florenskij discussero di un certo Vescovo Gabriel. “Il giorno prima,” scrive Elchaninov, “[il vescovo] aveva celebrato da noi e io rimasi affascinato dalla solennità e dalla particolarità con cui celebrava. Ne parlai con Pavel. ‘Conosci la mia opinione di lui,’ iniziò a dirmi con irritazione. ‘Tutto suona falso e teatrale. Egli pronuncia le parole e si sente che il tono e la dizione sono preparati in partenza e che si guarda intorno per vedere che tipo di impressione quelle parole creano negli altri. È possibile che oggettivamente tutto ciò si possa spiegare in modo diverso. Ma io lo conosco e non posso liberarmi da questa sensazione. Conosce bene il servizio della chiesa, lo ama; ma questa precisione e questa efficacia non è il modo ortodosso di fare le cose. C’è in te molto dell’occidentale e per noi, al contrario, il servizio della chiesa è amato proprio quando viene condotto come in ogni parte della Russia, dove è goffo, caotico e via dicendo. Amiamo l’aspetto degli schiavi [7], mentre tu vorresti che perfino gli stracci sembrino irreali e abbiano i bordi di seta. Ciò che sto dicendo è evangelico, non solo ortodosso. Perché Cristo amava tanto la compagnia delle prostitute e dei pubblicani? Immaginale: erano vere puttane che litigavano, parlavano in modo indecente, imprecavano... e Cristo preferiva la loro compagnia a quella dei farisei. Pensaci, perché si dice, ‘Il potere di Dio si vede nella povertà’? La povertà non è solo debolezza, non è qualche malattia poetica come la tubercolosi, ma peccaminosità, corruzione. Cristo stava con i peccatori non solo perché ne avevano più bisogno, ma perché per Lui era più piacevole stare con loro; li amava per la loro semplicità e umiltà” [8].
Le parole di Florenskij toccano un tasto familiare per quelli di noi che vogliono cercare di essere ortodossi in Occidente. Mancandoci la giusta “sensazione” per tutto il mondo di pietà che si è sviluppato in secoli di esperienza pratica e umana nella Chiesa Ortodossa, siamo troppo proni a volere una Ortodossia che sembri “di prima qualità” e a farci attrarre dalla lucentezza, dalla correttezza e dalla precisione. Una sorta di vano artificio cerca di coprire il nostro vuoto. Ma il nostro amore per quello che brilla può anche venire dall’erronea e profondamente radicata credenza nel progresso: “dopo tutto, noi moderni siamo più sofisticati di quelli che ci hanno preceduti”. Per noi occidentali, “l’aspetto degli schiavi,” i brutti, i poveri, gli insignificanti, sono spesso repellenti, o per lo meno al di sotto della nostra dignità. Per la mentalità ortodossa di Florenskij, invece, sono affascinanti e toccano il cuore, poiché sono reali.
5. VISITE AI MONASTERI: OPTINA
“Sono nauseato dalla ‘cultura’ e dalla sofisticazione,” disse Florenskij, “voglio la semplicità” [9]. Accettava l’Ortodossia così com’era e condivideva la medesima, ‘radicale’ fede delle masse. Altri filosofi religiosi, come Nicola Berdjaev (che sfortunatamente divenne più noto di lui in Occidente), volevano un’Ortodossia secondo i loro canoni, giocando con essa e modificandola per renderla in qualche modo “degna” della loro gonfiata stima di se stessi e delle loro comprensioni “superiori”. Avevano un rispetto e un’ammirazione teorica per la gente semplice che costituiva il cuore della Russia, ma non erano parte di loro e della loro fede; e così si privavano di una spiritualità genuina. Di Berdjaev e di altri esponenti della “nuova comprensione religiosa,” Florenskij scrisse: “...cessano di vedere quel che è di fronte ai loro occhi, che è loro dato e che non conoscono e non comprendono interiormente; nel cercare di tutto, sono privati della sua essenza... Se soltanto tornasse loro per qualche tempo una calma sobrietà, allora forse vedrebbero, queste persone di falsa comprensione, che non hanno terreno solido sotto ai piedi e che pronunciano parole sterili, parole alle quali essi stessi stanno incominciando a credere” [10].
Un evento significativo, che accadde nel periodo della crisi di Florenskij nel 1910, illustra la disparità tra Florenskij e l’intellighenzia religiosa alla quale era associato nel suo lavoro. Berdjaev, con un’aria di dilettantismo tipica dell’intellighenzia, disse che voleva fare un “esperimento” in un viaggio all’Eremitaggio di Zosima per incontrare gli anziani. Capitò che uno degli anziani di quel tempo fosse lo Schima-Abate Herman, già discepolo dell’Anziano Isidoro. L’Anziano Herman era un uomo profondamente spirituale, che aveva acquisito la preghiera del cuore e aveva scritto un prezioso libro sulla Preghiera di Gesù [11]. Florenskij conosceva la statura dell’anziano, anche se questi esteriormente era solo un semplice contadino [12].
L’amico di Berdjaev, Novoselov, cercò di portare con loro molti membri dell’intellighenzia per prendere parte all’“esperimento”. Florenskij accettò di andare, anche se, come si seppe in seguito, avrebbe voluto andare da solo, senza tanti intrusi. Per molti degli altri, andare a vedere un anziano era una specie di novità, come andare allo zoo. Per Florenskij, era una questione di vita o di morte, di salvezza dell’anima.
Ricordando il suo viaggio all’eremitaggio, Berdjaev scrisse: “Mi recai là insieme a Novoselov e Sergej Bulgakov... Nella chiesa, dietro di me, stava P. A. Florenskij, allora non ancora sacerdote. Mi guardai indietro e vidi che stava piangendo. Mi dissero in seguito che stava passando un momento molto difficile”. Quella notte Florenskij se ne andò via, evidentemente con l’intenzione di ritornare senza gli altri. Quanto a Berdjaev, era troppo pieno di sé per percepire il segreto della sapienza divina, nascosta in vesti semplici, senza sofisticazioni o retorica fasulla. Del grande Anziano Herman, non ebbe da dire altro che queste parole paternalistiche: “Era un semplice mudzhik, privo di qualsiasi cultura. Eppure, lasciava l’impressione di essere piuttosto gentile e benevolo” [13].
Più o meno al tempo di questo viaggio all’Eremitaggio di Zosima, Florenskij progettò di accompagnare il Vescovo Antonio in un pellegrinaggio al Monastero di Solovki, nell’estremo Nord della Russia. Non poté andarvi a causa del suo matrimonio con un’umile ragazza di nome Maria, sorella del suo compagno di stanza. Fu però in grado di compiere numerosi pellegrinaggi a un monastero più vicino a Mosca: il grande Monastero di Optina, che manteneva viva la tradizione ortodossa degli anziani, disseminava opere patristiche ed era in gran parte responsabile della fioritura spirituale della Russia del diciannovesimo secolo. A Optina, Florenskij si mise sotto la guida di un Anziano, Anatolio il Giovane, che a sua volta affidò Florenskij e i suoi altri figli spirituali all’Arciprete Alessio Mechiev [14], un sant’uomo nel “lignaggio” di Optina che aveva una parrocchia a mosca. Florenskij sviluppò un forte legame con Padre Anatolio e Padre Alessio e dopo la morte di quest’ultimo compose un’eulogia piena di profonda ispirazione [15].
6. LA COLONNA E FONDAMENTO DELLA VERITÀ
Nel 1911, un anno dopo il suo matrimonio, Florenskij fu ordinato al sacerdozio dal Vescovo Teodoro Pozdeyev. Mentre si occupava dei i suoi doveri pastorali e di insegnamento, completò la sua tesi di magistero Sulla Verità spirituale, che fu in seguito ampliata nel più voluminoso testo, La colonna e fondamento della Verità, il magnum opus di Florenskij. Quest’opera altamente originale, che egli dedicò alla Chiesa, combinava la sua conoscenza di teologia, patristica, matematica, scienze, medicina, storia, linguistica e arte. Piena di ispirazione poetica, tratta di questioni complesse in un linguaggio chiaro e semplice, nello stile personale di Florenskij. È composta di dodici capitoli, con titoli quali “Il dubbio,” “La luce della Verità,” “Il Consolatore,” “La contraddizione,” “Il peccato” e “L’amicizia”. Ogni capitolo, in accordo con l’approccio esperienziale e personale alla filosofia che aveva Florenskij, è composto come una “lettera” a un amico.
Dalla prima edizione pubblicata de La colonna e fondamento della Verità, il Vescovo Teodoro Pozdeyev fece omettere la lettera sulla “Sophia,” sostenendo l’Ortodossia del resto dell’opera. Anche se la lettera omessa fu inclusa nelle successive edizioni, la decisione iniziale del Vescovo Teodoro Pozdeyev fu forse la migliore. Florenskij, forse in un tentativo di formulare una base concettuale per la sua esperienza avuta da ragazzo della sapienza di Dio nella natura, fece nel capitolo sulla “Sophia” affermazioni che – anche se esplicitamente non panteistiche – potevano condurre gli incauti su posizioni vicine al panteismo.
Troppa enfasi è stata posta sulla “sofiologia” di Florenskij nel contesto di tutta l’opera della sua vita, sia per opera dei suoi detrattori che dei suoi ammiratori. Lo menzioniamo qui solo perché egli è spesso erroneamente messo da parte sulla base di questo singolo aspetto dei suoi primi scritti. Nel discutere la “sofiologia” in connessione con Florenskij, è importante tenere in mente due cose. Dapprima, fu Padre Sergej Bulgakov e non Florenskij, che tentò di creare un sistema teologico completo basato sulla Sapienza di Dio, o “Sophia,” come se questa costituisse una sorta di “Anima del Mondo” personale. Florenskij si limitò a offrire varie speculazioni schematiche, tratte da quanto già esisteva nella teologia, iconografia e tradizione liturgica ortodossa, lasciando molte domande senza risposta. Egli comprendeva che alcune delle cose che scrisse ne La colonna e fondamento della Verità erano “quasi indimostrabili”. “È proprio per questa ragione,” dichiarò all’“amico” a cui indirizzava questo libro, “che ti scrivo ‘lettere’ anziché comporre ‘articolo.’ Ho timore di fare affermazioni e preferisco porre domande” [16].
Un’altra cosa da ricordare è che, dopo la pubblicazione de La colonna e fondamento della Verità, Florenskij cambiò di sua volontà alcune delle sue prime concezioni che erano potenzialmente pericolose per la purezza degli insegnamenti della Chiesa e prese le distanze dalla sua “sofiologia” iniziale [17]. Più tardi nella sua vita, quando gli venne chiesto un parere di massima sul suo libro, rispose, “Oh, sono cresciuto parecchio da quel tempo!” [18]. Questo, naturalmente, non vuol dire che il libro vada dunque rigettato come mero tentativo giovanile, ma piuttosto che la filosofia matura di Florenskij non debba essere giudicata solo sulla base dei meriti o mancanze di questo libro.
Non molti anni prima della sua morte, Florenskij guardò indietro alle indagini che avevano un tempo trovato un’espressione provvisoria e incompiuta ne La colonna e fondamento della Verità. Vide le sue indagini in varie discipline (scienza, teologia, etc.) come un tentativo di comprendere una singola realtà da tutti i differenti punti di vista. “che cosa ho fatto per tutta la mia vita?” si chiese. “Ho indagato il mondo come un intero, come un singolo quadro e una singola realtà. Ma feci questa indagine in ogni dato momento, o più precisamente in ogni periodo della mia vita, da un particolare angolo o prospettiva. Indagavo le relazioni del mondo sezionandolo in una direzione particolare, su di un piano particolare e mi sforzavo di comprendere la realtà del mondo da questo piano che mi interessava. I piani erano differenti, ma uno non negava l’altro, bensì lo arricchiva. Ciò produceva una perpetua dialettica di pensiero, ‘lo scambio dei piani di osservazione,’ mentre allo stesso tempo vedevo il mondo come un tutto unico” [19].
In questa dichiarazione possiamo trovare l’essenza dell’importanza di Florenskij per l’uomo moderno. Nella nostra era, in cui tutte le verità sono considerate relative e la conoscenza è frammentata in compartimenti specializzati, ci vuole un uomo unico come Florenskij per padroneggiare le diverse discipline e collegare assieme le loro scoperte nella cornice di una coerente visione del mondo. La ricerca fatta da Florenskij di una singola prospettiva di vista del mondo come Verità assoluta lo condusse dapprima alla religione in genere e infine alla Chiesa Ortodossa. È là che trovò la “colonna e fondamento della Verità” e questo fondamento diede significato assoluto alla sua indagine di cose relative, poiché ogni cosa aveva ora un immutabile punto di riferimento. Giunse a essere considerato un “pensatore religioso” solo perché era un uomo onesto e fervoroso che non si accontentava di nulla di meno dell’interezza e della completezza nella sua visione filosofica.
7. LA CHIESA
Anche se Florenskij è ricordato nei circoli secolari come scienziato e nei circoli ecclesiastici come filosofo, non fu la scienza né la teologia che divenne alla fine il centro della sua vita, ma il suo sacerdozio. La sua personalità schiva ma potente, imbevuta di un timbro mistico, aiutò a portare molti alla fede in Cristo. Quando serviva la Liturgia, lo faceva con molta pace, pronunciando ogni parola chiaramente e non ad alta voce. Era un “celebrante del Divino,” che richiamava la grazia dal cielo, in stato di timore riverenziale di fronte al mistero compiuto nell’Eucaristia. Si immergeva totalmente nei servizi della Chiesa, sapendo che essi sono il diretto incontro della Vita nella Chiesa, piuttosto che un ragionamento astratto che conduce alla Verità. “L’Ortodossia,” disse un giorno, “si manifesta; non si prova”. Ed egli trovò tale manifestazione nel culto della Chiesa.
Florenskij credeva che il criterio di quanto è genuinamente “di chiesa” non potesse essere meramente concettuale, al di fuori dell’esperienza della vita umana. Non poteva essere il criterio giuridico del cattolicesimo romano, con la sua enfasi sulla gerarchia e sulla legalità, né poteva essere il criterio scientifico della scientifica Sola Scriptura del protestantesimo, che Florenskij riteneva allo stesso modo concettuale e pertanto aperto ad abusi. Per Florenskij, il criterio più sicuro di autenticità della vita nella Chiesa era ciò che chiamò Bellezza spirituale. Abbiamo già incontrato questa idea riguardo a ciò che Florenskij pensava degli asceti. Vedeva questa bellezza nell’Anziano Isidoro, del quale disse: “Egli ascoltava la creazione di Dio e la creazione di Dio ascoltava lui. Fili invisibili lo univano al cuore nascosto della creazione. Non solo il mondo era un segno per l’Anziano Isidoro, ma l’anziano stesso era un segno per il mondo”.
Così, la bellezza spirituale si manifesta quando uno è unito a tutta la creazione perché è unito nell’amore al Creatore di questa. Questa unione di amore al tempo stesso costituisce la vita nella Chiesa di Cristo ed è resa possibile da essa. Senza di essa, pareva a Florenskij che l’esistenza temporale e perfino quella eterna fossero prive di significato. “Voglio il vero amore” scrisse. “Comprendo la vita soltanto come unione; senza questa ‘unione’, non voglio nemmeno la salvezza. Non mi ribello, non protesto. È solo che non provo gusto per la vita né per la salvezza della mia anima, finché sono da solo” [20]. Altrove affermò: “Senza amore – e per amare è necessario come prima cosa amare Dio – la personalità di scinde in una molteplicità di frammentari aspetti ed elementi psicologici. L’amore di Dio è ciò che tiene insieme la personalità” [21].
“Ortodossia” significa letteralmente “retta glorificazione”. Per Florenskij, tuttavia, essere “retto” può non avere nulla a che fare con l’essere ortodosso o con l’essere nella chiesa. Una persona può prendere precauzioni per essere “retta” solo per insicurezza, mentre continua a mancarle la fede in Cristo. In essenza, essere ortodosso significa salvare la propria anima e cambiare il proprio cuore, facendo uso delle “rette” forme per farlo. Non significa essere retto. Come affermò Florenskij: “La mezza fede, che teme di cadere nell’incredulità, si attacca con timore alle forme della vita religiosa. Incapace di vedere in esse le forme cristallizzate dello Spirito e della verità, le valuta come norme giuridiche di legge. Ha verso di loro un’attitudine esteriore e non le tratta come finestre sulla luce di Cristo, ma come un requisito condizionale dell’autorità esterna. La coscienza cristiana, però, sa che le vie stabilite della Chiesa non sono accidentali e che le sono offerte come condizioni favorevoli di salvezza” [22].
8. CONFESSIONE DELLA FEDE
Negli anni precedenti la Rivoluzione Russa, le enormi energie creative di Florenskij continuarono a essere impiegate in un certo numero di aree. Anche se amava stare in disparte, fu tuttavia messo a capo di numerose organizzazioni e fraternità promotrici di interessi spirituali. Dal 1911 al 1917, curò una rivista teologica, scrivendo per essa diversi articoli. Si mantenne in contatto con numerosi eccellenti pensatori ortodossi del tempo: Padre Valentino Sventitskij [23], Padre Sergej Mechiev (figlio dell’Arciprete Alessio) e altri. Senza abbandonare i suoi altri interessi, fece ricerche e pubblicò trattati nel campo della matematica, delle scienze applicate e della linguistica.
L’Accademia Teologica di Mosca fu chiusa dopo la Rivoluzione Russa e Florenskij fu costretto a intraprendere un altro corso di vita. Trovò lavoro in istituzioni scientifiche ufficiali, insegnando teoria della prospettiva in una scuola tecnico-artistica e operando come uno dei principali ingegneri elettrici della sua regione. Diverse importanti scoperte scientifiche furono fatte da lui, inclusa l’invenzione di un famoso olio non coagulante per macchinari. Nei saggi da lui pubblicati anticipò lo sviluppo della cibernetica e una delle sue opere, Dielettrica, divenne un libro di testo ufficiale.
Con la Rivoluzione, il Monastero di Optina divenne proprietà dello Stato e le autorità sovietiche iniziarono a perseguitare i suoi monaci. L’Anziano Anatolio, dopo essere stato torturato e deriso, morì provvidenzialmente la notte prima del suo progettato arresto e deportazione. L’altro Anziano di Optina a quel tempo, l’Anziano Nektary [24], fu inviato al villaggio di Kholmishcha, da dove rimase in contatto con Florenskij e gli fornì guida spirituale. Questo contatto terminò con la morte dell’anziano nel 1928.
Durante gli anni 1925-1927, i sovietici chiusero definitivamente Optina, cercando allo stesso tempo di tenere nascoste le loro gesta sanguinarie. Dimostrando il suo grande amore per questo monastero e per ciò che rappresentava, Florenskij pubblicò coraggiosamente un appello urgente intitolato “Salvate Optina!”, che naturalmente non gli portò favore agli occhi delle autorità.
Benché molte delle sue precedenti attività fossero represse sotto il giogo del regime ateo, fu proprio questo giogo a rivelare la sua piena statura umana. La libertà di spirito che gli era stata inculcata attraverso Padre Isidoro e altri anziani ora venne alla superficie ed egli diventò un confessore della Fede.
Le autorità sovietiche per le quali Florenskij lavorava, vedendo il suo valore come straordinario ricercatore scientifico, volevano che rinunciasse al suo sacerdozio. Non solo egli non accettò, ma era tanto ardito da indossare la sua tonaca, croce pettorale e cappello da prete mentre lavorava nella sua qualità ufficiale di scienziato, presentandosi perfino al Soviet Supremo dell’Economia Nazionale vestito da sacerdote. Camminando senza paura con la sua croce scintillante appesa al collo, tenne lezioni a gruppi di studiosi sovietici e di vecchi professori. Questo produsse l’ira delle autorità, che temevano che i giovani studenti sovietici potessero essere influenzati dall’“accademico pope” (un termine denigratorio per indicare un prete), come lo chiamavano.
I sovietici imprigionarono Florenskij numerose volte, solo per trovarlo ancora renitente alle loro pretese di rinunciare al sacerdozio. Anche se questo aiutò a produrre la sua incarcerazione finale, la ragione principale fu la indubbiamente la sua aperta e vigorosa protesta contro la politica ufficiale del Metropolita di mosca, Sergej Starogorodskij. In questo metropolita, i sovietici avevano trovato una pedina disposta a sottomettere la Chiesa al controllo del regime ateo e a negare il martirio di milioni di cristiani. Sergej aveva persino emanato una dichiarazione nel 1927, nella quale affermava che le gioie e i dolori del regime sovietico erano quelle della Chiesa Russa. Per Florenskij, era più che chiaro che questo fosse un atto di falsità. tutta la sua natura reagì contro di esso. Dio non può essere servito, egli sosteneva, sulla base di una menzogna. Come esponente anti-sergianista di spicco, noto in tutta la Russia, Florenskij doveva essere ridotto al silenzio.
9. ESILIO E MARTIRIO
Nel 1933, Florenskij fu condannato a dieci anni di servitù in un campo di concentramento. dei suoi rimanenti anni, ben poco si sa. Evidentemente fu prima mandato in un campo in Siberia, da dove, poiché rifiutava ancora di rinnegare la sua Fede, fu inviato in un campo ancora peggiore sull’isola di Solovki. Prima della Rivoluzione, questo campo era stato un attivo monastero: lo stesso monastero di Solovki al quale Florenskij aveva desiderato da giovane di compiere un pellegrinaggio. Ora, come prigioniero, dovette aver pensato alle sue aspirazioni giovanili al monachesimo, che ora realizzava in un modo differente, tagliato fuori dal mondo e soffrendo per Cristo in un monastero divenuto campo di concentramento.
Nel suo libro L’Arcipelago Gulag, Alexander Solzhenitsyn lamenta l’imprigionamento, la persecuzione e la morte di Florenskij nei campi, dichiarando che Florenskij era “uno dei più notevoli uomini in assoluto tra quelli divorati dall’Arcipelago”. Secondo Solzhenitsyn, Florenskij fu probabilmente inviato in un campo della regione di Kolyma, dove “studiava la flora e i minerali (oltre a lavorare di piccone)” [25].
Che cosa permise a Padre Pavel di perseverare per tutti quei lunghi anni di esilio e di intense fatiche? La risposta può venire soltanto dalle sue parole: “Attraverso Cristo possiamo ottenere la realizzazione, su di lui possiamo costruire, con lui possiamo diventare completi, per mezzo di lui possiamo vivere...” [26].
Secondo le informazioni ufficiali, Florenskij morì in esilio il 15 Dicembre del 1943. Non si può fare a meno di notare che la sua scarcerazione era prevista per quello stesso anno. Possiamo soltanto chiederci se fu ucciso deliberatamente o se morì nelle condizioni disumane dei campi.
Essendo morto per sostenere la propria Fede, Florenskij fu elencato tra i Nuovi Martiri e Confessori russi che furono canonizzati nel 1982. Il suo nome si trova sull’icona dei Nuovi Martiri che fu usata nel servizio di glorificazione.
Così, per tutti i cristiani ortodossi che, come lo stesso Padre Pavel, sono liberi di fronte a Dio e non sono ostacolati da paure politiche, egli è SAN PAVEL FLORENSKIJ.
Abate Herman - Padre Damascene
(tratto da The Orthodox Word, N. 135, 1987, 195-231)
Note
[1] Note autobiografiche del 1 gennaio 1921.
[2] N. O. LOSSKIJ, History of Russian Philosophy, London: George Allen & Unwin, Ltd., 1952, 182.
[3] Lettera di Florenskij a sua madre dal campo di concentramento di Solovki, 1937.
[4] “Iz Vstrech s P. A. Florenskim” (“Dagli incontri con P. A. Florenskij”), Vestnik n. 142 (1984), p. 76.
[5] Ibid., p.72.
[6] Ibid., p.74.
[7] Questo è un riferimento a un famoso poema russo (senza titolo) di Fedor Ivanovich Tutchev (1803-1864), che finisce così:
Cara terra natia! Portando la Croce
E sforzandosi di proseguire,
Con aspetto di schiavo il Re dei Cieli
Ti attraversò, benedicendoti.
[8] “Iz Vstrech s P. A. Florenskim”, p. 74.
[9] Ibid., p. 71.
[10] P. A. FLORENSKIJ, Stopl i Utverzhdenie Istiny (Colonna e fondamento della Verità), Mosca, 1914, 128-129.
[11] SCHIMA-ABATE HERMAN, Zaveti o Delanie Molitvennom (Testamento sull’attività della preghiera), Platina, California, St. Herman Press, 1984.
[12] Florenskij menziona lo Schima-Abate Herman, chiamandolo “santo anziano,” nel suo libro, Sale della terra.
[13] NICHOLAS BERDJAEV, Self-Awareness, Paris: YMCA Press, 1983, 214-215.
[14] Cfr. The Orthodox Word, Platina, California, n. 132 (1987).
[15] Otets Aleksei Mechiev, Paris: YMCA Press, 1970.
[16] P. A. FLORENSKIJ, op. cit., p. 129.
[17] ROBERT SLESINSKI, Pavel Florenski: A Metaphysics of Love, New York: St. Vladimir’s Seminary Press, 1984, p. 12.
[18] Dai ricordi personali di Padre Victor Ilienko (n. 1892), che fu studente di Florenskij all’Accademia Teologica di Mosca.
[19] Lettera dal campo di concentramento di Solovki, 21 Febbraio 1937.
[20] “Iz Vstrech s P. A. Florenskim”, p. 73
[21] LOSSKIJ, op. cit., p.186.
[22] P. A. FLORENSKIJ, “Christianity and culture,” in Journal of the Moscow Patriarchate, 1983, no. 4.
[23] Cfr. The Orthodox Word, n. 111 (1983).
[24] Cfr. Ibid. n. 129 (1986).
[25] ALEXANDER SOLZHENITSYN, L’Arcipelago Gulag Due, New York: Harper & Row, 1975, 670-671.
[26] P. A. FLORENSKIJ, “Lo spiritismo come anticristianesimo” in Novie Put, 1904, n. 3, p. 155.
Su Pavel FLorenskij vedere anche: Florenskij: il Pascal delle steppe di Aleksandr Men’