“Pregate incessantemente”, insiste san Paolo, poiché la preghiera è la sorgente e la forma più intima della nostra vita spirituale. La vita di preghiera, la sua densità, la sua profondità, il suo ritmo, misurano la nostra salute spirituale e li rivelano a noi stessi. È in uno spirito raccolto e tranquillo che sta la vera preghiera e che l’essere viene misteriosamente visitato. “L’amico dello Sposo sta là e lo ascolta”; la condizione essenziale dello stato di preghiera è precisamente “di stare là”, ascoltare la presenza di Cristo.
All’inizio, la preghiera è agitata; l’uomo versa l’intero contenuto del suo essere psichico; ma nella preghiera, la chiacchiera dissipa. Ma, “basta tenere le mani levate”, dice san Marco [il Monaco]. La preghiera domenicale è breve*. Un eremita la cominciava al tramonto del sole, e la terminava dicendo “amen” ai primi raggi del sole che sorgeva. Non si tratta di discorsi; gli spirituali si accontentavano di pronunciare il nome di Gesù ma, in questo nome, contemplavano il Regno.
Una grave deformazione trasforma la preghiera nella ripetizione meccanica di formule. Ma, secondo i maestri, non basta avere la preghiera, le regole, l’abitudine; occorre diventare preghiera, essere la preghiera incarnata: fare della propria vita una liturgia, pregare con le cose più quotidiane, vivere la comunione incessante. Gli spirituali citano la storia di un artigiano conciatore che parla delle tre forme della preghiera: la richiesta, l’offerta e la lode, e mostra come essi diventano lo stato di preghiera e possono santificare tutti i momenti del tempo, anche per colui che non ne dispone. La mattina, avendo fretta, quest’uomo molto semplice presentava tutti gli abitanti di Alessandria dinanzi al volto di Dio dicendo: “Abbi pietà di noi, peccatori”. Di giorno, durante il suo lavoro, il suo cuore non cessava di sentire che tutta la sua opera era come un sacrificio: “A te, Signore”; e la sera, in piena gioia di trovarsi ancora sano e in vita, il suo cuore poteva soltanto dire: “Gloria a te”. È la concezione orante della vita stessa dove il lavoro più modesto di un operaio o di una casalinga e la creazione di un genio sono compiuti allo stesso modo dell’offerta dinanzi al volto di Dio, come un compito affidato dal Padre.
Secondo la Bibbia, il nome di Dio è una forma ed un luogo della sua presenza. La “preghiera di Gesù” o la “preghiera del cuore” libera i suoi spazi e vi attira Gesù con l’invocazione incessante: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”. Questa preghiera del pubblicano dell’Evangelo contiene tutto il messaggio biblico: la Signoria di Gesù, la sua filiazione divina, dunque la confessione della Trinità, l’abisso della caduta che invoca l’abisso della misericordia divina. Questa preghiera risuona incessantemente in fondo al cuore, prende il ritmo della respirazione, attaccata al soffio, anche durante il sonno: “Dormo, ma il mio spirito veglia” (Cantico dei cantici 5, 2). Gesù attirato nel cuore, è la liturgia interiorizzata ed il Regno nel cuore alleviato. Il nome riempie l’uomo come suo tempio, lo trasmuta in luogo della presenza divina.
L’invocazione del nome di Gesù è alla portata di qualsiasi uomo ed in tutte le circostanze della sua vita. Pone il nome come un sigillo divino su qualsiasi cosa. San Giovanni Crisostomo dice: “La tua casa sia una Chiesa; ammira il tuo Maestro; che i bambini si uniscano a te in una preghiera comune”. Questa preghiera porterà dinanzi al Padre 1e preoccupazioni e le sofferenze di tutti gli uomini, le loro tristezze e le loro gioie. Ogni istante il nostro tempo si rinfresca a questo contatto di fuoco degli spiriti in preghiera.
Nelle case dei fedeli, si vede sempre l’icona messa in alto, e nel punto dominante della preghiera, ella guida lo sguardo verso l’Altissimo e l’unico necessario. La contemplazione orante attraversa, per così dire, l’icona e si ferma soltanto al contenuto vivo e presente che traduce. Di un’abitazione neutra, fa “una Chiesa domestica”, della vita di un fedele, una liturgia interiorizzata e continuata. L’ospite, entrando, si inchina dinanzi all’icona, raccoglie lo sguardo di Dio ed in seguito saluta il padrone della casa. Si comincia col rendere onore a Dio e gli onori resi agli uomini vengono in seguito. Essendo punto di focalizzazione, mai una decorazione, l’icona centra tutto l’interiore sull’irradiazione dell’oltre che regna sovrano. La piccola lampada davanti all’icona riflette il movimento dello spirito; essere un fuoco sempre in preghiera ed in presenza dell’invisibile. È la dimensione liturgica della vita spirituale.
La preghiera liturgica
La preghiera liturgica introduce di primo acchito nella coscienza collegiale, secondo il senso della parola leitourgia, che significa l’opera comune. Insegna la vera relazione tra me e gli altri, ci aiuta a staccarci da noi stessi e a fare nostra la preghiera dell’umanità. Per essa, il destino di ciascuno ci diventa presente. Il pronome liturgico non è mai al singolare.
La liturgia filtra ogni tendenza troppo soggettiva, emozionale e momentanea; piena di un’emozione sana e di una vita emozionale potente, offre la sua forma completata, resa perfetta da lunghi secoli e generazioni che hanno pregato nello stesso modo. Sento la voce di Giovanni Crisostomo, di Basilio, di Simeone e di tanti altri; hanno lasciato traccia del loro spirito adorante e mi associo alla loro preghiera. Questa pone la misura e la regola, ma sollecita anche la preghiera spontanea, personale, dove il cuore canta e parla liberamente al suo Signore.
Occorre attendere il momento d’ispirazione, a rischio di non trovarlo mai? La preghiera comporta sempre un aspetto di sforzo. “Quando l’uomo si mette a pregare, gli ostacoli cercano di impedirlo…; l’orazione esige una lotta, un combattimento”, dicono i maestri. Origene nota sulla preghiera che l’ascesa di una montagna alta è faticosa. I maestri consigliano di fare “come se” l’ispirazione non facesse difetto, ed il miracolo della grazia s’opera.
Ma ancora, “perché pregare? Dio non sa ciò che ci occorre?”. Dio ascolta la nostra preghiera; la rettifica e ne fa un elemento che si aggiunge alla sua decisione. L’insistenza della vedova dell’Evangelo strappa una risposta ed esprime la potenza della fede [cfr. Luca 18, 1-8]. Forse l’inferno dipende anche dalla violenza dei santi, dalla fiamma della loro preghiera e che la salvezza di tutti, Dio la attende anche dalla nostra preghiera…
Non abbiamo tempo sufficiente per pregare? Ne abbiamo, molto più di quanto pensiamo. Quanti momenti di pigrizia e di distrazione possono diventare momenti di preghiera? Si può offrire anche la preoccupazione, se apre un dialogo con Dio. Si può offrire anche la stanchezza che impedisce di pregare ed anche l’incapacità di pregare. “Il ricordo di Dio, un sospiro, senza avere formulato una sola parola, è già preghiera”, dice san Barsanufio. Lo starets Amvrosij consiglia: “Tutti i giorni, leggete un capitolo degli Evangeli, e quando l’angoscia vi prende, leggete nuovamente fino a che se ne vada; se ritorna, leggete nuovamente l’Evangelo”. È il passaggio dalla “parola scritta alla parola sostanziale” (Nicodemo l’Aghiorita) e questo passaggio è decisivo per la vita spirituale. La parola misteriosamente spezzata si consuma eucaristicamente, dicono i Padri.
Pavel Evdokimov
(tratto da: Paul Evdokimov, La nouveauté de l’Esprit. Études de spiritualité, Bellefontaine, 1977).