[…] Che cos’è l’amore? Più di un tipo di sentimento a cui si riferisce il comportamento umano sul piano morale, è il linguaggio della Bibbia, cioè l’espressione dell’esperienza ecclesiale, che ci dà una prospettiva completamente diversa dell’interpretazione dell’amore. È una prospettiva ontologica, come si dice nel linguaggio della teologia accademica. Il termine amore definisce soprattutto un modo di vivere, e non un modo di comportarsi, né un’emozione, né un sentimento personale nei confronti degli altri. Ma piuttosto un vero modo di vita.
Il Nuovo Testamento dà una definizione di Dio, con le parole di san Giovanni l’Evangelista: “Dio è Amore” (I Gv 4, 8). Decifriamo questa frase. “Dio è Amore” significa che l’amore non è una qualità morale di Dio. Non interpretiamo l’amore a proposito delle energie divine, delle azioni di Dio nella storia. L’amore, è la definizione stessa di Dio. Precisa esattamente il modo di esistenza di Dio. Dio esiste come amore. Questa frase contiene tutta la teologia trinitaria, la teologia della libertà. […]
Dio non è un’essenza ma la realtà di una persona, della persona del Padre che, liberamente, con la sua volontà di esistere, realizza il suo essere, la sua essenza, con la nascita di Cristo e la processione del Santo Spirito. Il suo modo d’esistenza, l’Amore, è la sua scelta perpetua. È il trionfo della libertà.
Impariamo l’amore, non attraverso dei sillogismi, delle riflessioni, l’analisi, ma con l’imitazione di questo modo di vivere realizzato da Dio. Proviamo a realizzare lo stesso modo di vivere. Certamente, siamo esseri creati, la nostra natura è limitata, abbiamo bisogno di questi sillogismi, di queste analisi, ma ci occorre apprendere continuamente che tutto ciò non basta a darci la conoscenza della verità dell’amore. Ci occorre una via, una pratica reale. San Giovanni ci dice: “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. Il nostro concetto di Dio è rilevato dalle prove o dalla comprensione? Non conosciamo Dio. San Giovanni lo ripete un po’ più tardi dicendo: “Chi dice che ama Dio, che non conosce, ma non ama il suo prossimo, esprime una contraddizione” (cf. I Gv 4, 20). San Giovanni ci assicura che non conosciamo Dio. Proviamo a conoscere Dio attraverso l’esperienza del nostro amore per il nostro prossimo, i nostri fratelli, le nostre sorelle. “Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore”. Dio non è il prodotto di un’ideologia. Dio non è una nozione metafisica. La Chiesa ha mostrato che la via per arrivare alla conoscenza di Dio è quella di un amore reale, quotidiano, continuo.
San Paolo, nella prima epistola ai Corinzi, dice che l’amore è più grande della fede (cf. I Cor 13, 13). Infatti, la fede non corrisponde a convinzioni individuali, a certezze intellettuali. Il termine fede, nell’esperienza ecclesiale, conserva il senso originario del termine greco pistis che significa “fiducia”. Ho fiducia, mi do a qualcuno. L’amore è più grande di questa fiducia. La fiducia, in certo modo, è il cominciare. L’amore è un compimento che non ha limite.
Un’altra frase di san Giovanni mi ha molto impressionato: “chi teme non è perfetto nell’amore” (cf. I Gv 4, 18). Noi amiamo poiché lui ci ha amati per primo. Il timore è contrario all’amore. Ciò significa che la conoscenza alla quale arriviamo attraverso l’amore ha una qualità completamente diversa da ciò che san Paolo chiama scienza: “La scienza sarà abolita, l’amore resterà” (cf. I Cor 13, 8-9). L’amore non si esaurisce con i limiti di una legge o gli obblighi che una legge presenta al nostro comportamento. È per questo che il timore si trova agli antipodi dell’amore. Perché l’amore è la libertà da qualsiasi legge, da qualsiasi limitazione della vita come relazione, come comunione.
La differenza tra la morale sociale o la morale nelle varie tradizioni spirituali e religiose, e la concezione ecclesiale dell’amore si trova esattamente nella definizione di Dio come Amore: la definizione dell’amore come modo di vita. In questa prospettiva, l’amore è anche la definizione della persona, della nostra realtà, della realtà esistenziale di Dio a immagine del quale siamo stati creati. La definizione di persona è l’amore. L’amore presuppone un’esistenza con una coscienza energetica e, allo stesso tempo, una libertà che si realizza nella comunione. È la differenza che stabilisce la teologia ortodossa tra la Persona ed il personalismo o l’umanismo filosofico.
È molto importante sapere di cosa stiamo parlando. L’Amore, è il Dio increato. Dal nostro lato, siamo esseri creati a immagine di Dio. A immagine, cioè nella dinamica di avanzare verso la somiglianza. Ciò significa, in termini semplici, che vivere e realizzare l’amore può realizzarsi su due livelli. Quello dell’increato, è la realtà divina che si identifica con l’amore, con la definizione di Dio come amore; e quello della nostra natura creata a immagine di Dio. A immagine significa che abbiamo la possibilità naturale di realizzare l’amore. Là risiede la grande difficoltà per distinguere l’aspetto naturale, creato, psicologico dell’amore e la realtà di un modo di vivere a cui la Chiesa ci chiama. […]
La Chiesa prova ad indicare costantemente come discernere tra l’amore naturale e l’amore dell’Increato. Che cos’è la comunità eucaristica, se non un modo di vita reale, concreto, che realizza un’altra relazione con il mondo e con gli altri, un altro modo di vivere che si trova agli antipodi dell’individualismo. Poiché tutto quanto è individuale rappresenta, secondo l’esperienza della Chiesa, la morte. Tutto ciò che è comunione d’amore, comunione dell’infinito, è l’esistenza libera da qualsiasi limitazione della corruzione e della morte. Molto spesso, la resistenza della nostra natura creata ci obbliga a ricercare delle certezze individuali. Cerchiamo di evitare il rischio della relazione, il rischio di amare realmente uscendo da noi stessi. E questo slittamento per evitare il rischio della relazione porta abbastanza spesso ad un tipo di “assolutizzazione” dell’educazione, della morale, della protezione dell’altro. Non è l’amore realizzato nel modo di vivere eucaristico, ecclesiale.
Il criterio per distinguere l’amore ecclesiale come una dinamica verso la somiglianza dell’amore divino, e per discernere quest’amore dall’amore naturale, è sempre ed ovunque la priorità della relazione personale, la priorità della libertà, il rischio della libertà. Viviamo questa priorità della relazione personale al posto dell’oggettivazione della legge nell’eucaristia, attraverso la nostra relazione personale con il Padre del corpo ecclesiale, della comunità ecclesiale, con colui che chiamiamo Padre perché ci fa nascere nella nuova vita che è il modo di vivere secondo la verità dell’amore divino. Ma stiamo parlando di una relazione che produce la vita. È molto diversa da una relazione che si esaurisce nella protezione di ogni individuo con il rischio della propria responsabilità, della propria libertà. […]
Siamo chiamati a realizzare, attraverso e con le energie della nostra natura, durante la nostra vita terrena, il modo di vivere dell’increato. Siamo chiamati a superare il modo di vivere – non la natura: sarebbe un’altra illusione. Non possiamo superare la natura, uscire dalla natura. Ma con le possibilità, le capacità, le energie della nostra natura creata, siamo chiamati a realizzare il modo di vivere dell’increato.
L’amore è un dono di Dio fatto alla nostra natura. San Massimo il Confessore parla di una agapetike dynamis, di una forza d’amore che è nella nostra natura. È una capacità della nostra natura ma non è sufficiente ad entrare nella vita che può vincere la morte. Appartenere alla Chiesa, non è per migliorare il nostro carattere o vivere sentimenti più elevati. Apparteniamo alla Chiesa perché vogliamo constatare che, attraverso la morte, si può vincere la morte. Se si cerca ciò, occorre superare il livello naturale dell’amore per arrivare a realizzare l’amore secondo il modo di vivere del Dio trinitario.
Pertanto, la Chiesa, attraverso l’esperienza ecclesiale, non disprezza ciò che è naturale, al contrario. L’amore naturale come forza della nostra natura, come lo definisce san Massimo il Confessore, è molto positivo: è il nucleo intorno al quale la nostra personalità si costituisce, questo slancio dinamico verso l’altro, questo slancio di riferimento verso l’altro. È l’asse che costituisce la nostra ipostasi individuale, personale. Non si può dunque disprezzare ciò. Non si possono disprezzare tutte le conseguenze fisiche di questa potenza. Non si disprezza l’eros, tutte queste espressioni dell’amore naturale, ma allo stesso tempo, non si devono confondere questi due livelli. Non si deve confondere ciò che è naturale con il modo di vivere che ci libera dal naturale. È un esercizio molto difficile. E credo che occorra considerare in primo luogo l’illusione che abbiamo molto spesso di vivere al livello del modo di vita ecclesiale mentre siamo ancora nel quadro del naturale, e che sostituiamo la natura con illusioni o convinzioni intellettuali. […]
Christos Yannaras
(da Contacts, vol. 49, n. 180, 1997)