Il senso del dibattito è proprio l'orientamento dell'uomo nella storia, i fondamenti della sua umanità. Dietro ad argomenti quali il dibattito sulla Costituzione Europea, sulla laicità delle istituzioni pubbliche, sull'interruzione della gravidanza, sui problemi della bioetica e così via, - si sente la domanda: cosa corrisponde di più alla natura dell'uomo: vivere con i valori immanenti al suo essere che hanno le origini nel Dio trinitario oppure creare questi valori per se stesso da padrone, da unico protagonista della storia, liberato dal giogo delle illusioni mistiche ed oppressive? Sulla base di questa decisione che di solito si prende prima di qualsiasi discussione, scegliamo in quale passato cercare le radici che vogliamo mettere in luce.
Prima di tutto, come si può scegliere il passato? Se la nostra scelta di oggi è esplicitamente anticristiana, possiamo presentare l'impatto del Vangelo sulla vita sociale in Occidente solo sotto le brutte maschere dell'inquisizione, delle persecuzioni degli eretici o delle crociate. Ma il sistema dei valori attuali - la libertà dell'uomo con la sua autonomia, con i suoi diritti garantiti dal regime democratico - è cresciuto proprio dalla visione evangelica della persona umana che ha fecondato la storia europea. Oggi, per proteggere questo sistema, si usa la vecchia paura davanti ad una qualsiasi manifestazione del potere secolare della Chiesa o semplicemente dell'opinione pubblica cristiana come una forma nuova di sacra unione fra Trono e Altare. Non è stata questa paura nascosta che ha provocato "l'oblio per principio" delle radici cristiane nella costituzione europea? Nel subconscio della matrice laica, liberale, radicale, senza parlare del residuo del vecchio marxismo, è ancora viva una sentenza del teoretico dell'anarchismo russo Bakunin nel XIX secolo: "Se Dio esiste non c'è più libertà dell'uomo. È schiavo, ma l'uomo può e deve essere libero, dunque Dio non esiste affatto".
Ma la verità paradossale dell'epoca in cui viviamo è proprio nel contrario: se Dio non esiste, l'uomo è schiavo di se stesso, perché proprio Dio, Dio rivelato in Cristo, è la libertà dell'uomo. Oggi - tale è la mia convinzione profonda - questa libertà può essere non soltanto difesa, ma anche riscoperta e svelata di nuovo solo con l'esplicito accenno sulla rivelazione della natura umana nel mistero Cristo e nella sua redenzione in Cristo. La riscoperta dell'uomo chiede anche una ricerca nuova della memoria antica che ringiovanisce sempre, quella della Buona Notizia. La rivelazione cristiana che si trova nel nostro bagaglio spirituale apre gli occhi dell'uomo a se stesso. Senza dubbio questa verità è universale, è destinata a qualsiasi tempo, ma il nostro è davvero particolare dato le enormi potenzialità tecnologiche, biologiche, informatiche umane che continuano a crescere. Sono evidenti tutti i vantaggi di questo sviluppo per il benessere dell'uomo. Sono un po' meno evidenti i pericoli spirituali (parlo solo di questi) di cui il suo potere è gravido.
Il potere che l'uomo acquista, ieri, oggi, domani, è come una trappola. I mezzi di comunicazioni d'oggi creano il mondo di cui l'uomo diventa unico abitante, padrone e schiavo nello stesso tempo, il mondo in cui vive fra migliaia delle sue riflessioni. Abbiamo ottenuto la possibilità di rendere visibile il nostro mondo interiore ed esteriore sullo schermo dell'umanità intera, di imporre se stesso ad un altro, al mio prossimo. Ma chi è l'altro? Nient'altro che lo specchio di me stesso, non del mio io individuale e limitato, ma di un certo "io" modello, impersonale, generato dall'immaginazione collettiva. Il mio prossimo diventa l'ombra di me stesso. Sembra che il mondo sia diventato "più umano", perché l'uomo è capace di inviare la propria proiezione in ogni parte del cosmo, di riempire tutto l'universo con la sua presenza, ma questo falso "fratello universo", si trasforma in un'alienazione dell'io umano, alienato a sua volta da se stesso.
Se Dio non esiste, l'uomo è condannato ad essere incastrato in se stesso. Non si tratta solo dell'inquinamento informatico, dell'alluvione di dati inutili, ma di cose più essenziali. Dopo Adamo, la natura umana è cambiata poco, ciò che è veramente cambiato è la capacità umana di esprimersi, di trasformare il mondo nella sua piccola abitazione, di creare un cosmo del tipo "fai-da-te", ma sterile e vuoto dal punto di vista spirituale. Ad esempio: i due regimi ideologici del secolo scorso hanno avuto entrambi un progetto simile: organizzare il mondo a modo loro. In linea di principio tutto il creato sarebbe dovuto diventare il "prolungamento" della Germania nazista o del comunismo sovietico. Lo stesso scopo però, si è dimostrato più raggiungibile senza violenza diretta: l'uomo può usare la sua libertà per "prolungare" all'infinito il suo conscio e subconscio, le sue passioni, i suoi pensieri, la sua vanità, il vuoto della sua anima. Ogni potere porta in sé il suo pericolo.
Di solito abbiamo la tendenza a diminuire quel pericolo. Il discorso sulle radici cristiane sta diventando noioso, inutile e troppo impegnativo per i cristiani stessi che amano ricordare che i valori della nostra civiltà (prima di tutto i diritti umani) hanno origine in quella visione della persona umana che ha potuto nascere solo dal "chicco" della Buona Notizia. Ma come sappiamo, la società romana precristiana, infatti, aveva tutti gli strumenti intellettuali, giuridici, culturali, per riconoscere la dignità di una persona, ma non ha potuto farlo senza poter sentire quel mistero dell'uomo che si rivela unico nella luce di Cristo.
Forse non c'è motivo di sfondare la porta per mostrare queste radici, visto che i frutti di queste sono cosi evidenti. Davvero, è il trionfo del cristianesimo anonimo che, anche se non menzionato, in ogni modo è onnipresente. Però, nella scelta di tacere su ciò che è nato proprio dalla Parola, si cela il conflitto che nonostante le sue apparenze innocue può essere distruttivo. Questo conflitto è inscritto nell'ultimo capitolo nella lunga e provata storia delle relazioni fra umanesimo laico e umanesimo cristiano. Il primo, che da secoli ha lasciato la casa del padre, ha sempre sentito dentro di sé il complesso del figliol prodigo che si trova ancora nel paese lontano e si allontana ogni giorno di più. Se il cristianesimo si umanizza (almeno in Europa), l'umanesimo nato dall'illuminismo o della Rivoluzione Francese non si battezza, anzi, spesso rinnega i suoi avi e le sue radici. In Russia, dove il conflitto fra le due visioni dell'uomo, quella cristiana e quella laica, atea, umanistica, era più profondo, il conflitto tra queste predeterminò la storia del XX secolo. Cosa era l'ideologia comunista, durante i 70 anni del suo potere assoluto, se non una parodia malvagia dell'umanesimo europeo, una caricatura della sovranità umana? Nel XX secolo, quando all'Ovest si discuteva sulla liberazione dell'uomo, all'Est si ammazzava al nome dello stesso principio.
Cosa c'entra la Russia in tutto ciò? L'abbiamo menzionata solo per ricordare che anche l'umanesimo più illuminato può tradire le sue migliori intenzioni. Se il cristianesimo è capace di chiedere perdono per la sua infedeltà a Cristo, l'ideologia del valore dell'uomo sovrano e liberato da Dio non ha strumenti nella sua anima per capire i suoi limiti. La pagina del totalitarismo ideologico è stata già voltata, le altre pagine non ancora scritte sono già in preparazione. La memoria vivente (e non nascosta) delle nostre radici ci permette non soltanto di proclamare i nostri bravi ideali, ma anche essere vigili, quando l'uomo, secondo l'espressione di Gabriel Marcel, diventa il "nemico dell'umano".
Unica via di salvezza per l'uomo e la sua civiltà - parlo naturalmente da ortodosso - è finalmente ricordarsi non soltanto delle radici, ma della persona che si trova alla radice delle radici: "un solo mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo" (1Tim 2, 5). Ricordare la mediazione di Gesù vuol dire riscoprire la dimensione personalistica, sacramentale, eucaristica della nostra memoria che si volge a Cristo come alla sorgente della nostra umanità.
Viaceslav Ivanov, eminente poeta e pensatore russo, autore dell'idea di quell'espressione dei "due polmoni" (nella lettera al critico letterario francese Charles du Bos, 1926) che sarebbe diventata famosa nella versione di Giovanni Paolo II, in un'altra lettera del 1934, indirizzata al filologo italiano Alessandro Pellegrini, scrisse una cosa davvero stupenda che merita di essere non meno conosciuta dell'espressione dei "due polmoni". Cito dall'originale italiano:
"L'Anamnesi universale in Cristo - ecco dunque la mira della cultura umanistica cristiana: che tale è la premessa storica dell'Apocatastasi universale..."
L'anamnesi: non per caso questo termine liturgico greco è usato nel testo dedicato all'origine della cultura, che è vista qui non solo come raccolta d'opere d'arte e di libri, ma come continuità vivente dei legami umani, come sistema circolatorio delle idee in cui sono dissolti i semi del Verbo. "Ogni grande cultura, scrive Ivanov qualche riga prima, in quanto emanazione della memoria, è un aspetto particolare della rivelazione del Verbo nella storia". Anche la celebrazione eucaristica come immagine visibile della rivelazione si fa nella memoria e proviene dalla memoria. Prima di esprimersi nella preghiera e nel gesto della mano del sacerdote, essa già esiste nell'anamnesi dell'assemblea ecclesiale. Facciamo la comunione con il pane e il vino consacrato, ma anche sotto la specie del "ricordo" concreto di Cristo, storico e vivente.
Su questa memoria è fondata la nostra visione della comunità cristiana, unita ontologicamente, essenzialmente come Mistico Corpo di Cristo. La stessa fede ci dà anche un'audacia incredibile nei confronti del mistero in cui ci muoviamo, operiamo e celebriamo: quello della presenza reale del nostro Dio fra noi e in noi. Siamo abituati a queste parole. Qui, però si tratta non solo dei doni sull'altare, del mistero della fede presente nel calice eucaristico1 ma anche di una cosa più ampia: del mistero della fede presente nella nostra mente, rivelata dalla nostra memoria, ecclesiale e culturale, nascosto nel nostro essere, nelle nostre radici. I nostri ricordi, anche se sono poveri, scarsi, infedeli, simili alle ombre che si agitano, sono pure funzionali al soggiorno del Verbo sulla terra. Il Verbo che si è fatto carne trova il suo corpo anche nella nostra memoria, costruisce lì la sua casa e così, per un miracolo, di cui noi non ci accorgiamo, diventa il luogo del sacramento della presenza. Guardiamo un po': tutto ciò che è il corpo della nostra fede nasce dalla memoria: la liturgia è una memoria celebrata, la Bibbia è la memoria comune di Dio e del Suo popolo, la Tradizione è la memoria costituita dall'esperienza vissuta dei santi.
Dai santi andiamo adesso solo per un attimo nella direzione opposta, anzi, satanica, per trovare una prova per contrario. "Viene satana, - leggiamo nel Vangelo, - e porta via la parola seminata" (Mc 4,15). Dice Gesù: "Il ladro non viene se non per rubare..." (Gv 10,10), dice Gesù, dunque, per uccidere la memoria del Verbo, ma può farlo lasciando anche intatte le altre facoltà mentali. Da questo punto di vista la civiltà attuale, con tanti suoi vantaggi e comodità, non è forse la civiltà dell'oblio quasi imposto da qualcuno, nato dall'ossessione prolungata del consumo a qualsiasi costo?
Il messaggio cristiano invece è il messaggio del risveglio. La liturgia bizantina, all'inizio della parte eucaristica, rappresenta il coro dei Cherubini che canta: "deponiamo ora ogni sollecitudine mondana". Non si tratta solo di un'esortazione morale, della disciplina dell'ascolto, ma della purificazione della mente, del rifiuto dei ricordi che ci tengono giù, ci mettono in catene, delle preoccupazioni che intasano il cuore umano. "Deponiamo ogni sollecitudine", ma - mi permetto di interpretare il messaggio dei Cherubini - per svelare la memoria, quella vera ed eucaristica memoria che porta il Verbo in sé e serve per lui il "corpo mentale". Quella memoria rivela i ricordi che in una prospettiva puramente razionale - non ci appartengono, ma che fanno parte della nostra natura, creata dal Verbo. Essa contiene in sé quell'elemento essenziale ed ontologico in cui Dio apre il suo volto dell'amore. Ma l'arte dell'amare inizia sempre con la purificazione della memoria.
Le "sollecitudini mondane" vanno deposte per mezzo della loro scoperta attraverso il pentimento. Questo cammino consiste nella liberazione interiore dalle intenzioni peccaminose che tengono in cattività il cuore dell'uomo. Questo lavoro si compie con la preghiera che pulisce l'orizzonte del pensiero, dello sguardo, delle sensazioni. Così si risveglia anche il nostro autentico "io", dove c'è la luce del Verbo, la caparra dello Spirito. Il segreto della preghiera è proprio nella "trasmutazione" del pentimento operata da Dio. Sul piano morale: più severamente giudichiamo noi stessi, più Dio ci assolve, ci accoglie nel Suo amore, ci copre con la sua grazia. La "metànoia" come sacramento cambia la "sostanza" dell'uomo. Il male, tratto dalle profondità dell'anima, scompare e la luce dello Spirito occupa il suo posto. Più si dissolvono le parole vane delle "sollecitudini mondane", più la forza del Verbo diventa visibile. San Paolo dice: "Ormai la vostra vita con Cristo in Dio" (Col 3,3). Quando facciamo il primo passo verso questa vita, scopriamo il nostro autentico "io" alle radici della memoria.
San Massimo Confessore afferma nelle "Centurie sulla carità" che peccare nel pensiero è molto più facile che peccare nella realtà, perciò anche il combattimento contro il peccato mentale è molto più difficile del combattimento contro il peccato in azione. Cambiare la memoria vuol dire in un certo senso cambiare l'anima, o piuttosto scoprire l'anima vera, e questa scoperta può diventare il luogo di nascita del Verbo in noi. Proprio in questo cambiamento consiste "l'educazione sentimentale" degli uomini e delle donne alla preghiera. "Figlioli miei, io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi" (Gal, 4,19) - esclama San. Paolo. Questo parto tra l'altro è risveglio della memoria, ma non di questa memoria, piena dei ricordi della vita terrena, ma anche di quella memoria della luce che ci ha illuminati, dell'amore di Dio che ci ha creati.
Si può chiedere: questa memoria esiste davvero? La risposta proviene dallo stesso mistero eucaristico. Certo, non è la nostra preghiera che come tale cambia i doni sull'altare, ma il Verbo di Dio che agisce nella preghiera. Quando la Chiesa che in quel momento parla nel sacerdote pronuncia le parole dell'Ultima Cena, essa opera con il potere di Cristo, afferma la sua "consustanzialità" con il Verbo. La celebrazione si svolge non solo sull'altare, ma anche nella memoria umana che per la grazia della trasmutazione diventa la memoria della Chiesa. Ma anche la liturgia della Parola è lo spazio sacramentale, della realtà del Verbo che si proclama nell'assemblea della preghiera, che consacra il nostro cibo come la sua presenza reale nella nostra fede. Per gli ortodossi tutta la liturgia fa il sacramento unico della comunione al Verbo come Corpo e Sangue di Cristo, ma anche come memoria essenziale di Cristo in cui "infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At.17,28).
Qui c'è un altro momento importante: la memoria è il fondamento della nostra identità, con la sua invisibile ancora in Dio. Siamo ciò che pensiamo, sentiamo e ricordiamo e il cambiamento di questa corrente di pensieri, ricordi, sensazioni, anche se non è mai compiuto, significa la nuova nascita di noi stessi. Riceviamo i doni consacrati che s'uniscono al nostro corpo, ma con quel cibo entra anche tutto Cristo, incarnato, nato, morto, risorto. "Cristo vive in noi" vuol dire che la sua Incarnazione diventa reale, che la sua morte diventerà la morte del vecchio Adamo in noi, che la sua Risurrezione è il fondamento della nostra speranza della "premessa storica dell'Apocatastasi universale , come dice V. Ivanov sulle tracce di San Gregorio di Nissa.
La memoria eucaristica entra nella nostra vita come fermento della vita eterna in cui possiamo essere uniti o "ricordati" in Cristo e gli un con gli altri. Il comandamento di amare Dio e il prossimo si realizza prima di tutto nella memoria, non quella del nostro passato personale, ma nel "deposito" del nostro "io" raccolto e memorizzato nel Cristo, come Verbo e come Volto dentro di noi. In Cristo i tempi s'incontrano; il passato unisce alla promessa, la storia dell'Uomo di Nazaret sboccia nel mondo che verrà. È proprio l'Eucarestia che ci fa entrate nel mistero del tempo in cui l'avvenimento unico nella storia umana diventa il modello dell'Anamnesi Universale, cioè della nostra vita in Dio, ma anche del "ricordo" nel nostro prossimo in Dio. L'Eucarestia è come icona del tempo e nella sua luce possiamo vedere anche l'icona dell'uomo creato secondo l'immagine di Dio. Il: "Fate questo in memoria di me" di Cristo vuol dire anche ricordarlo in ogni uomo e in ogni donna, vivere questa memoria che dal passato lontanissimo, ma sempre attuale, ci porta alla casa dei Padre dove "Vi sono molti posti" (Gv 14,2).
Così dalle radici cristiane dell'Europa possiamo anche andare alla profondità più iniziale, al risveglio dell'Anamnesi universale in Cristo di tutta famiglia umana.