Ecumene

Domenica, 30 Marzo 2014 21:20

Varie specie di digiuni (Vladimir Soloviev)

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La preghiera, la misericordia e il digiuno sono le tre azioni fondamentali della vita religiosa individuale, i tre fondamenti della religione personale.

Se la nostra anima serba i suoi limiti interni, ponendo la divina perfezione come obietto e scopo della propria vita, essa non avrebbe bisogno di limitazioni esterne e godrebbe la pienezza della vera libertà e illimitatezza. Ma allontanandosi da Dio essa corrompe la propria natura, si riempie di un contenuto malvagio, acquista delle abitudini dissennate e si lascia trascinare da una falsa illimitatezza: cioè da un’ambizione senza limiti, da raziocini senza mèta, e da concupiscenze sensuali immoderate. In vista di ciò, prima di ristabilire la nostra anima nella sua vera situazione fra Dio e la natura, noi dobbiamo purificare questa dal male che da essa abbiamo ricevuto. La falsa illimitatezza della nostra anima dev’essere moderata e limitata dall’azione della grazia, congiunta con la nostra buona volontà. A riguardo della nostra corrotta natura, questa azione si esprime negativamente: vale a dire nell’obbligazione dell’astinenza o del digiuno nel senso più largo. Questa è la prima e fondamentale obbligazione verso la natura. Dovunque si rivela l’insaziabile ed immoderata tendenza delle forze naturali, l’astinenza o la moderazione volontaria o il digiuno sono indispensabili.
Vi è il digiuno spirituale: l’astinenza dalle azioni ambiziose o dall’egoismo, il ripudio dell’onore o della gloria umana. Questo digiuno è specialmente necessario ai personaggi che esercitano un influsso sociale. La regola è questa: “Non cercare il potere o la dominazione; se sei chiamato al potere ed alla dominazione, guarda l’uno e l’altra come un servigio da rendere. Ogni qualvolta senza utilità pel prossimo ti accade di metterti in evidenza, di mostrare la tua preminenza e la tua forza, astieniti dal far questo: non dare esca al tuo amor proprio”.
Vi è il digiuno intellettuale, l’astinenza dall’attività unilaterale dello spirito, dal giuoco infecondo e interminabile di concetti e d’immagini, dai problemi privi di senso e senza scopo, e che mai non raggiungono una soluzione. Questo digiuno è specialmente necessario ai dotti che dimenticano la sentenza del vecchio Eraclito: “Il molto sapere non ammaestra lo spirito”. La regola di questo digiuno spirituale è la seguente: “Non cercare la scienza per la scienza, senza utilità pel prossimo e per l’opera divina. Non cercare la novità e l’originalità nei pensieri. Tutte le volte che ti capita di esprimere un’opinione che non sia congiunta col bene comune, astieniti dal far questo. Non dare un’importanza esagerata alle occupazioni scientifiche, perché la scienza ha sempre due inevitabili limiti, nelle opinioni pregiudicate dei dotti e nell’insufficienza del materiale scientifico. Sottometti la tua attività intellettuale alle esigenze morali. A dir breve: non dare nutrimento al sapere ozioso”.
Infine, e siamo al terzo punto, il digiuno nel vero suo senso è un digiuno dell’anima sensitiva, cioè un’astinenza dai godimenti sensuali che non sono retti né moderati dalla coscienza dell’intelletto e dalla potenza dello spirito. La forma principale e fondamentale dì digiuno fisico, giustamente, è stata sempre l’astinenza dai cibi sanguigni, dalle carni di animali a sangue caldo, perché questo genere di cibo direttamente si oppone alla determinazione ideale della nostra attività fisica. Il vero compito della nostra vita dei sensi è quello di coltivare il giardino della terra, tramutare il cadavere in essere vivente, comunicare alle creature terrestri una più grande intensità e pienezza di vita, cioè vivificarle. Una diretta contraddizione a questo compito consiste nel sacrificare le creature viventi, specialmente quelle la cui vita raggiunge un grado più alto di vitalità e d’intensità, ciò che accade per gli animali a sangue caldo. Se noi non siamo ancora capaci di vivificare la natura morta, dovremmo almeno, per quanto ci è possibile, diminuire il numero dei viventi che noi immoliamo. In tal modo, il primo ufficio del digiuno fisico è rivolto non solo a limitare i nostri godimenti sensuali, ma anche a riformare le nostre relazioni dirette con la natura esterna. Noi non possiamo d’un tratto emendare queste relazioni, non possiamo totalmente sottrarci alla necessità di dar la morte per mantenere la vita: ma noi possiamo (siamo anzi obbligati a farlo), diminuire ed affievolire gradatamente questa necessità. Se questo male non può essere totalmente annientato, in ogni caso, quanto meno vi abbiamo ricorso tanto meglio per noi, e nella misura del possibile noi siamo tenuti a ridurlo al minimo. Perciò la Chiesa nella sua sapienza, senza che da noi richieda un’astinenza totale, ammette molti gradi e forme di digiuno fisico.
La regola comune del digiuno fisico è la seguente: “Non dar cibo alla tua sensualità. Fissa dei limiti a quel massacro e suicidio ai quali necessariamente conduce la caccia ai godimenti materiali, purifica e rigenera la tua propria animalità, al fine di preparare te stesso alla trasformazione dell’organismo della natura”.
La preghiera, la misericordia e il digiuno sono le tre azioni fondamentali della vita religiosa individuale, i tre fondamenti della religione personale. Chi non prega Dio e non aiuta gli uomini, e mediante l’astinenza non riforma la sua natura, è alieno da qualsiasi religione, quantunque per tutto il corso della sua vita pensi e parli e scriva di obbietti religiosi. Questi tre atti fondamentali della religione sono così vicendevolmente stretti e collegati, che l’uno non avrebbe forza senza l’altro. Se la preghiera non ci spinge alla beneficenza e non doma la nostra natura sensibile, una tale preghiera, imperfetta e inefficace, non è una vera preghiera: vi è in essa alcun che d’interessato, di falso, di egoistico. Parimenti, quando la misericordia non presuppone la preghiera e non è accompagnata dall’astinenza, essa esprime piuttosto una debolezza di carattere che un amore reale. La vera misericordia è la suprema giustizia, e perciò deve poggiare sulla grazia più eccelsa. Infine il digiuno, intrapreso per amor proprio come esercizio pel dominio di se stesso, o per vanità, può ringagliardire, ma non fa del bene: e parimenti il digiuno, che è unito con la preghiera ma non è fuso con la misericordia, rimane la vittima della quale è scritto: “Io voglio misericordia e non sacrificio”.
Nella fusione di questi tre elementi: preghiera, misericordia ed astinenza, agisce l’unica grazia divina, la quale non solo ci unisce a Dio (nella preghiera), ma ci rende simili a Dio, supremo benefattore (nella misericordia), e nella sua assoluta sufficienza a se stesso (nell’astinenza). Questi tre atti fondamentali della vita religiosa sono nello stesso tempo i doveri fondamentali dell’uomo religioso. Noi siamo obbligati solamente a far ciò che è in nostro potere. Non è in nostro potere l’unirci totalmente con la Divinità, salvare il genere umano e rigenerare la natura del mondo. Perciò la religione non parla a nessuno di noi personalmente in questi termini: “Fondi il tuo essere con quello di Dio, salva il genere umano, rigenera l’universo”. Ma è in nostro potere pregar Dio, aiutare il prossimo bisognoso, e riformare la nostra natura mediante l’astinenza. Tutto ciò, ripetiamo, è in nostro potere ed è nostro dovere.

Vladimir Soloviev

(tratto da: Vladimir Soloviev, I fondamenti spirituali della vita, a cura di A. Palmieri, Bologna, 1922).

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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