Ecumene

Venerdì, 16 Giugno 2017 08:58

Ortodossi in Italia. Intervista a Vladimir Zelinskij (a cura di Marco Roncalli)

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Quasi 2 milioni, ancora incapaci di incidere culturalmente. Dalla “riscoperta della fede” di chi è nato nell’ex Urss all’“ecumenismo dell’ultimo cammino”.

Una realtà ormai radicata, anche se poco conosciuta; dai numeri consistenti, anche se non ancora in grado di incidere culturalmente. Legata all’immigrazione, ma peculiare, perché entra realmente nelle famiglie italiane. Parliamo di un milione e ottocentomila persone giunte in Italia dall’Est, larga parte da precise aree come Romania, Moldavia, Ucraina. Ad accomunarle è anche la fede ortodossa, spesso riscoperta lontano da casa. Ortodossi in Italia: un fenomeno che merita attenzione anche se il riflettore di questi tempi resta sui 500 anni della Riforma. Parliamo dunque dei “fratelli orientali” - ma sarebbe meglio parlare di “sorelle” considerata la prevalenza femminile nel dato per le cosiddette “colf e badanti” – la minoranza religiosa più consistente in Italia e la più vicina alla Chiesa cattolica.

 
Siamo a colloquio con Vladimir Zelinskij, presbitero dell’Esarcato russo del Patriarcato di Costantinopoli. Nato nell’ex Urss, dedicatosi in piena era sovietica al pensiero religioso e filosofico (pubblicando già allora prima all’inizio sotto pseudonimo), Zelinskij è arrivato in Italia nel 1991 stabilendosi a Brescia, dove ha insegnato per vent’anni lingua e civiltà russa all’Università Cattolica, continuando a pubblicare in diverse lingue. Un osservatorio interessante quello di questo sacerdote ortodosso che ha avuto più volte l’onore di essere invitato alla mensa di Giovanni Paolo II, restandone colpito - dice - per più d’un motivo: l’intensità della preghiera («Anche prima di cena invitava gli ospiti nella sua cappella»), l’umiltà («Durante vivaci conversazioni permetteva di essere interrotto e taceva quando gli altri cominciavano a parlare»), le parole dette nel primo incontro l’11 novembre 1988 («In tutta la mia vita io volevo vedere Mosca, ma il destino mi ha portato sempre verso Roma»). Zelinskij ha pure - dopo l’uscita del suo libro “Perché il mondo creda” edito dalla Casa di Matriona nel 1988 come replica al “Rapporto sulla fede” del cardinale Ratzinger con Messori - incontrato il futuro Benedetto XVI («Ebbi un colloquio in francese con lui nel novembre 1988. Non facile perché Ratzinger è introverso, come me. Gli dissi che lo stato comunista schiacciava l’ortodossia, ma nello stesso tempo la proteggeva... Ratzinger replicò: “Ma il Vangelo è più forte...”»). Un osservatorio dal quale sono nati tanti libri, l’ultimo dei quali è “Il mestiere sacro”, appena uscito a San Pietroburgo, mentre fra le opere in italiano troviamo “Rivelami il Tuo volto” e “Il Bambino alla soglia del Regno”, editi da Effatà nel 2010 e 2013.
 
Entriamo nel merito di questa “invasione” ortodossa nel Belpaese. Un fenomeno del quale si conosce poco...  

«È vero, la presenza degli ortodossi in Italia o in Europa, è un dato rilevante, ma sconosciuto nonostante quasi un secolo di storia iniziata quasi cent’anni fa, con l’emigrazione verso l’Europa a seguito della Rivoluzione Russa. Certo, qualche chiesa ortodossa esisteva già da tempo, penso alle cattedrali di Nizza, Parigi, Bari (russe) o di Venezia (greca), ma destinate all’uso dei turisti o dei diplomatici. Poi, una dopo l’altra, si sono succedute ulteriori ondate. La prima dopo il 1917 (ma ben presto le frontiere dell’Urss sono state chiuse); la seconda durante la guerra (dai territori occupati dai tedeschi); la terza, sotto la copertura dell’emigrazione ebraica (1970-1988); la quarta negli anni ‘90 (quando si sono aperte le porte dei paesi ex-comunisti la quinta quella attuale (per lo più per motivi di lavoro)».

Quest’ultima però non solo numericamente non ha paragoni, ma ha portato centinaia di migliaia di immigrate dentro le famiglie italiane.  

«Sì è un’ ondata che ha in un certo senso “invaso” l’Italia. Forse anche perché in tema d’immigrazione la stessa applicazione delle leggi sembra un po’ più flessibile, diciamo pure più “umana”. Detto questo parlano i fatti: la longevità crescente e i costi delle case di riposo. Ecco allora il ruolo di queste persone accanto agli anziani nelle famiglie degli italiani. Un fenomeno da inquadrare non solo nel mondo del lavoro... Resto convinto che, anche se ancora non si è compreso l’arricchimento religioso e culturale offerto da questa presenza – appunto, ortodossa- sia davvero un vero bene per l’Italia».  

Provi a spiegare.  

«La famiglia italiana fatica a tenersi in piedi senza le collaboratici domestiche venute dall’Est, specie Romania, Ucraina e Moldavia in particolare. È vero, esistono anche gli altri – russi, serbi, georgiani, greci, bulgari - ma tutti questi non fanno “una massa”... Attualmente in Italia, secondo statistiche non ufficiali la diaspora ortodossa conta circa 1.800.000 presenze (mentre, ad esempio, in Germania 1.600.000). A questa cifra bisogna aggiungere il numero imponente dei greco-cattolici ucraini che dal 1596 sono uniti alla Chiesa di Roma, ma provengono dalle stesse terre degli ortodossi, con la stessa lingua e mentalità. Insomma, quando la domenica, dopo la liturgia ritorno a casa dalla mia chiesa, qui a Brescia, sento parlare più la lingua ucraina che l’italiana. Infatti gli ucraini nel loro unico giorno libero pranzano spesso sulle panchine dei giardini pubblici. Sul piano sociale sono meno privilegiati: i romeni sono europei, i moldavi hanno spesso il passaporto romeno, gli ucraini sono sempre extracomunitari. Con tutte le conseguenze».  

Quando parla di ortodossi intende battezzati naturalmente, ma per tutte queste lavoratrici ad esempio è così?  

«Intendo i battezzati, come pure la gente di origine ortodossa. Noi contiamo i nostri fedeli in modo diverso dai cattolici. Se chiedo ad un parroco cattolico il numero dei suoi parrocchiani, mi fornisce la cifra dell’intera popolazione della sua zona. Il sacerdote ortodosso vi dirà il numero delle persone che vengono nella sua chiesa ogni domenica. La proporzione, nel migliore dei casi sarebbe di 1 a 10. Ma questi non-praticanti, nati e cresciuti ancora nell’Urss, gettati in Occidente dalla miseria, pian piano scoprono non solo le tradizioni dei loro Paesi, ma anche l’autentica fede cristiana, sia pure nella forma iniziale, semplice. Direi che privi della patria natale, cercano la patria celeste»,

Può fare qualche esempio concreto?  

«Conosco molte cinquantenni o poco più che hanno varcato la soglia delle nostre chiese per la prima volta qui in Italia ecclesiale. Vengono da me e dicono: “Sono stata battezzata da piccola, ma non mi sono mai confessata, non ho mai fatto la comunione, ho pregato sempre nell’anima”. Ecco , da questo inizia il cammino per la vita con Dio...»,  

Lei è parroco a Brescia dove nell’ex casa delle Ancelle della Carità ha sede la sua parrocchia Santissima Madre di Dio Gioia degli Afflitti. Come ci si trova?  

«Bene. Non è l’unico caso in cui la diocesi ha dato spazi e i rapporti con i sacerdoti cattolici sono buoni. La maggioranza del mio gregge è femminile e proviene dall’Ucraina dell’Ovest. Per ragioni storiche sono un po’ più avanzate nella fede. Le loro terre sono state annesse all’Urss nel ’39, dopo il trattato tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista, e non hanno subito la micidiale persecuzione degli anni ’20 e ’30 . Con l’inizio della Guerra mondiale l’attacco totale contro la religione è stato un po’ frenato e da loro la famiglia cristiana, ortodossa o greco-cattolica, si mantenne consentendo che la fede fosse tramandata di generazione in generazione. Le mie parrocchiane, però, di solito non provengono dalle città. Sono contadine per cui la presenza di una chiesa ortodossa all’estero per loro è sempre una sorpresa e dono di Dio».  

Anche questo un modo per portare con sé parte del loro mondo...  

«È così, portano con loro i ricordi, le abitudini. Non faccio però un quadro idilliaco. Di quel mondo portano anche i conflitti. In Ucraina sono tre le Chiese ortodosse, delle quali la sola canonica (riconosciuta cioè dall’Ortodossia mondiale) è la Metropolia di Mosca. E c’è la Chiesa greco-cattolica ben organizzata. E tutte e quattro non sono in pace tra di loro. Il conflitto si è ancora inasprito con la guerra “sporca” tra la Russia e l’Ucraina, nell’Est. E, naturalmente, tutto il rancore contro la Russia, ma anche il rigetto delle chiese non-canoniche (il Patriarcato di Kiev e la Chiesa Autocefala Ucraina) è trasferito anche in Italia, seppure non in modo così acuto».  

Poco prima si è detto dei buoni rapporti nel cammino ecumenico. Ma le sue parrocchiane cosa conoscono della fede delle persone che vengono loro affidate e viceversa? Che tipo di ecumenismo pratica, se c’è?  

«Esiste, anche se non se ne parla, un ecumenismo particolare: “l’ecumenismo presso il letto di morte”. A volte nasce una bella parentela spirituale, a volte c’è il cosiddetto “scontro di civiltà”. Dipende. Contrasti possono esserci tra famiglie e collaboratrici domestiche per diverse cose: il cibo preparato, i gusti, e certo anche i precetti religiosi. Gli italiani, di solito molto tolleranti, spesso si irritano quando vengono a conoscenza delle regole di digiuno delle loro badanti ortodosse... Però se posso dire qualcosa in più c’è un ben più grave problema che non si può tacere. Quello non piccolo dello sfruttamento, negli orari di lavoro, nei giorni liberi, nelle ferie non rispettate. Rimanere tutto il tempo con un malato mentale può diventare un inferno. Una situazione lavorativa regolare, secondo la mia osservazione, è eccezionale. L’offerta del lavoro domestico è troppo abbondante per poter far valere i propri diritti. Per non parlare di chi lavora “in nero”. Però capita che una vera amicizia possa nascere tra una vecchia signora italiana ultraottantenne ed una badante ucraina cinquantenne che ha lasciato il marito, i figli adolescenti a casa e li mantiene dall’estero. E capita spesso che anziane ammalate percorrano l’ultimo tratto della loro vita, mesi, settimane, giorni, accanto ad una donna ortodossa, nella preghiera comune. Ecco lì nasce il mistero della Chiesa secondo le parole di Gesù, “dove due o tre sono riuniti nel mio nome”. Non è l’ecumenismo delle commissioni teologiche, ma un filo d’erba dell’unità che esce in primavera, sotto la neve».

(intervista a cura di Marco Roncalli)

 

Letto 2284 volte Ultima modifica il Venerdì, 16 Giugno 2017 09:18
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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