Il cristianesimo non è questione di adeguamento, ma di compimento.
Non siamo chiamati ad imitare Cristo, ma a dargli compimento in noi, concedere spazio al principio divino che ci portiamo dentro, entrarci in contatto sino ad esserne trasformati.
La nostra vita dunque non consisterà nell’adeguarsi a verità estrinseche a noi (la legge), ma nel portare alle estreme conseguenze la verità che siamo, il nostro essere umani.
Il Vangelo di oggi ci dona anche il segreto perché tutto questo possa compiersi: abbandonare tane, nidi e padri. Traducendo, potremmo affermare che è necessaria la ferma decisione di rompere anzitutto con l’immagine della madre; tane e nidi sono simbolo dell’utero materno, il mondo dei bisogni e delle sicurezze. Gesù invita a rompere con tutto ciò che ha a che fare con i nostri sogni, le nostre fiducie e certezze, di qualsiasi genere materiali, immaginifiche, religiose siano.
Ora, questa rottura non va letta come rinuncia fine a se stessa, bensì come possibilità per un’autentica libertà. È nel vuoto e nell’abbandono – ossia ciò che la mistica chiama puro silenzio – che il divino può finalmente compiersi in noi. L’io deve essere liberato non tanto da qualcuno o da qualcosa, bensì ‘per’ qualcuno, perché Lui possa compiersi in pienezza. Attenzione tane e nidi possono includere anche le nostre immagini di Dio, il nostro presunto rapporto con lui nel quale siamo soliti trovare protezione, comprensione, rifugio, aiuto. È interessante notare che solo nel momento in cui Gesù sulla croce grida: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46; Mc 15, 34), sperimenta anche l’unione massima col Padre, il compimento del suo essere umano, la risurrezione.
Gesù invita a rompere altresì con l’immagine del padre (v. 60), ossia col mondo di quegli affetti, di quei doveri, di quei rapporti che hanno il potere di determinarci, esercitare un forte impatto su noi, dominandoci. Proviamo a chiederci: quanto potere abbiamo concesso alle ‘personalità forti’ nella nostra vita, impedendoci di fatto di vivere in pienezza?
Occorre insomma abbandonare i morti (cfr. 60), slegarci da quei fantasmi che presumiamo essere capaci di donarci vita dall’esterno. No, l’essenziale per vivere abita in noi. Occorre solo crederci fino in fondo, prenderne consapevolezza e poi concedergli spazio e farlo crescere, fino alla nostra piena trasformazione.