Ecumene

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Donne che vivono e lottano per i propri diritti e quelli dei propri figli, in situazioni esistenziali difficili e tra secolari discriminazioni. Ma anche volti e azioni che fanno parte dell’inarrestabile progresso di un mondo musulmano vasto e diversificato che non si può ridurre a stereotipi.

Giustizia, pace e salvaguardia del creato
don Tonino Bello



Il Discorso pronunciato all'Arena di Verona, il 30 aprile 1989, alla Vigilia dell'Assemblea Ecumenica di Basilea.


Carissimi amici,
radunati in nome della pace, della giustizia e della salvaguardia del creato, in questa splendida Arena dove si visibilizza per qualche ora il popolo sterminato dei costruttori di pace!
Io vi porgo lo stesso saluto che oggi, giorno del Signore e signore dei giorni, risuona nelle nostre Chiese, dove, radunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito, si visibilizza il popolo santo dì Dio.
La pace di Gesù Risorto sia con tutti voi!
Un popolo che sta in piedi.
E vorrei tanto che da questo catino, divenuto icona del popolo invisibile dei costruttori di pace, partisse un grande saluto verso quella "moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua", che la pace la costruisce nel silenzio della storia o nell'esilio della geografia. Nei bagni di folla o nella solitudine dei deserti. Nelle foreste dell'Amazzonia o nel vortice disumano delle metropoli. Sul letto di un ospedale o nel nascondimento di un chiostro. Nell'operosità di una scuola materna che si apre ai valori della mondialità o nel travaglio provocato da uno stile di accoglienza nei confronti dei fratelli di colore.
E' un popolo sterminato che sta in piedi. Perché il popolo della pace non è un popolo di rassegnati.
E' un popolo pasquale, che sta in piedi, come quello dell'Apocalisse: "tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello".
Davanti al "trono" di Dio. Non davanti alle poltrone dei tiranni, o davanti agli idoli di metallo.
E davanti all'"Agnello". Simbolo di tutti gli oppressi dai poteri mondani. Di tutte le vittime della terra.
Di tutti i discriminati dal razzismo.
Di tutti i violentati nei più elementari diritti umani.
A questo popolo invisibile della pace, dall'Arena di Verona, giunga la nostra solidarietà.
Ma anche il nostro incoraggiamento: con le parole delle beatitudini, secondo la traduzione che Sostituisce il termine "beati" con l'espressione "in piedi".
"In piedi, costruttori di pace. Sarete chiamati figli di Dio".


1. Dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario di Dio

La prima cosa che desidero dirvi è questa: l'evoluzione del concetto di pace ha subito lo stesso arricchimento che, nella rivelazione cristiana, ha avuto il concetto di Dio.
Nell'economia del Vecchio Testamento, il monoteismo assoluto di Jahweh era il cardine portante di tutta la storia della salvezza.
Poi, "quando venne la pienezza dei tempi", Gesù ci ha rivelato che Dio è pluralità di persone: Padre, Figlio e Spirito.
Esse vivono così profondamente la convivialità delle differenze, esistono cioè così unicamente l'una per l'altra, che formano un solo Dio.
Uno per uno per uno fa sempre uno. Un solo Dio in tre Persone: è la formula con cui noi cristiani esprimiamo il mistero principale della nostra fede.
Si è passati, così, dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario di Dio.
Per la pace è avvenuta la stessa cosa.
Siamo giunti alla pienezza dei tempi, ed è balenata alle nostre coscienze la convinzione che la pace oggi si declina inesorabilmente con la giustizia e con la salvaguardia del creato. Siamo passati, per così dire, dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario della pace.
Dal monoteismo assoluto
al monoteismo trinitario della pace...
Tutto questo crea scandalo.
Così come ha creato scandalo Gesù, quando ha proclamato di essere figlio di Dio. Al punto tale, che l'hanno ucciso. Finché per secoli e secoli nelle nostre chiese abbiamo parlato di pace, nessuno ha contestato.
Quando, sulla scorta della Parola di Dio, si è scoperta la stretta parentela della pace con la giustizia, si sono scatenate le censure dei potenti.
Si è detto che il profeta vuole prevaricare sul re. Così come durante il processo di Pilato, la folla ha accusato Gesù di voler prevaricare su Cesare.
Si è asserito che collegare il discorso sulla pace, e quindi il discorso sulla guerra, con i discorsi sull'economia perversa che domina il mondo, sul profitto, sulla massimizzazione del profitto, sui debiti del Terzo Mondo, sulla crescente divaricazione tra Nord e Sud, sulla violazione pertinace dei diritti umani... significa fare la parte degli utili idioti.
Sicché, la giustizia, collocata da Dio stesso accanto alla pace quale sua partner naturale, continua a destare, purtroppo, più sospetto di quanto non susciti scandalo quando viene collocata, sia pure come aggettivo, accanto alla guerra. Tant'è che si parla ancora di "guerra giusta".
Questa sì che è convivenza contro natura!
…nella pienezza dei tempi
Carissimi amici, anche per quanto riguarda la pace è giunta la pienezza dei tempi.
E come nella pienezza dei tempi Gesù, nostra Pace, ci ha rivelato la Paternità di Dio, nostra Giustizia, e ci ha rivelato anche lo Spirito che è Signore e dà la vita a ogni creatura, così oggi abbiamo il privilegio di capire che l'annuncio della Pace si completa, oltre che con la lotta per la giustizia, anche con l'impegno per la salvaguardia del creato.
Quello della tutela dell'ambiente non è l'ultimo ritrovato della nostra furbizia brontolona o delle nostre strategie del consenso. Non è ammiccamento alle mode correnti. Ma è un compito primordiale che ci sovrasta come partner dello Spirito Santo, affinché la terra passi dal "Kàos", cioè dallo sbadiglio di noia e di morte, al "Kòsmos", cioè alla situazione di trasparenza e di grazia.
Tra otto giorni celebreremo la festa di Pentecoste e noi ripeteremo l'invocazione "Manda il tuo Spirito, Signore: tutto sarà ricreato, e rinnoverai la faccia della terra".
La faccia della terra.
La crosta della terra.
La pelle di questa nostra terra, deturpata dagli inquinamenti, invecchiata dalle nostre manipolazioni, violentata dalle nostre ingordigie.
Ebbene, questa pelle diventerà fresca come la pelle di un adolescente. E si realizzerà la splendida intuizione dì Isaia che, addirittura invertendone l'ordine, aveva collegato insieme salvaguardia del creato, giustizia e pace: "In noi sarà infuso uno Spirito dall'alto. Allora il deserto diventerà un giardino.. e la giustizia regnerà nel giardino.. e frutto della giustizia sarà la pace". (Is 32,15-17). Il deserto, quindi, diventerà un giardino. Nel giardino crescerà l'albero della giustizia. Frutto di quest'albero sarà la pace!
C'è da chiedersi: è mai possibile che questa visione trinitaria della pace, così saldamente fondata sui plinti della Sacra Scrittura, abbia tanto stentato a diffondersi perfino nelle nostre Chiese?
La risposta è semplice: se solo ora dal monoteismo assoluto della pace siamo passati al monoteismo trinitario, è perché siamo giunti davvero alla pienezza dei tempi.
Il che non significa che ormai il discorso sia acquisito. Tutt'altro.
Come per il discorso trinitario su Dio, nei primi dieci secoli del cristianesimo, si sono sostenute tante lotte, sono scoppiate tante dispute, e sono celebrati tanti Concili; così sarà per il discorso trinitario sulla pace.
Nicea... Costantinopoli... Efeso!
Assisi... Basilea... Seoul!
Vogliamo salutare, in questo momento, dall'Arena di Verona, i delegati delle Chiese italiane che dal 16 al 21 maggio saranno a Basilea.
E proprio perché siamo consapevoli dell'importanza che questo avvenimento racchiude, vogliamo salutarli con lo stesso entusiasmo con cui i fedeli delle prime comunità cristiane salutavano i loro vescovi che partivano per i grandi concili ecumenici.


2. Il Dio dei filosofi e il Dio di Gesù Cristo

La seconda cosa che voglio dirvi, strettamente collegata con la prima, è questa: il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio dei profeti, il Dio che in Gesù ha manifestato il suo volto trinitario, non è il Dio di Socrate, di Platone, di Aristotele, delle accademie, dei filosofi insomma.
Il Dio dei filosofi è l'ultima conclusione della nostra attività raziocinante.
E' la soglia suprema messa in cima a tutta l'impalcatura degli umani sillogismi.
E' la casa che svetta sui basamenti della nostra logica organica.
La sua tenuta dipende dalla saldezza dì questi basamenti. Se un solo passaggio razionale cede sotto l'urto di un ragionamento opposto, ruzzola anche Dio che ci sta sopra.
Il Dio dei filosofi, insomma, è un Dio che regge solo se è garantito dalla sicurezza dei nostri argomenti.
E poi non scalda. Non coinvolge. Non ti riempie di passione.
Accettare questo Dio è come sposare una donna di cui hai preso tutte le misure, di cui ti sei fatto consegnare tutti i certificati di garanzia, e contro i cui rischi di abbandono ti sei premunito con mille polizze di assicurazione.
Il Dio di Gesù Cristo è diverso.
Non viene dal basso. Ci è stato rivelato dall'alto. Non è frutto della carne e del sangue della nostra sapienza terrena. E' un Dio garantito solo dalla nudità della nostra fede.
Non è un Dio a cui ci si aggrappa con i funambolismi della mente. Ma un Dio a cui ci si abbandona con la fiducia del cuore, dietro un richiamo che inesorabilmente ti precede.
Attenzione! Non è che si voglia disprezzare la fatica della ricerca umana o che si intenda svilire l'importanza di un Dio trovato dagli sforzi del nostro pensiero. No! Quella della ricerca razionale di Dio è una fatica benedetta, che ogni cristiano deve compiere con tutti gli altri uomini che lo cercano con cuore sincero. Diciamo solo che questo Dio, dopo che l'abbiamo trovato, non ci appaga. Anzi, non ci si può chiamare neppure credenti per il semplice fatto di averlo raggiunto attraverso gli impervi sentieri del pensiero.
Il Dio vero, quello di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, quello rivelatoci da Gesù, è totalmente Altro ed è totalmente Oltre.
E noi credenti, dopo aver condiviso la fatica del pensiero con tutti i ricercatori onesti, dobbiamo essere l'indice puntato verso questo totalmente Altro e totalmente Oltre.
La pace del mondo e la pace di Gesù Cristo
Ed eccoci al momento cruciale di questa seconda riflessione.
Per la pace vale lo stesso discorso che si è fatto per Dio.
C'è una pace dei filosofi. E c'è una pace di Cristo.
La prima è quella prodotta dai nostri sforzi diplomatici, costruita dai dosaggi delle cancellerie, frutto degli equilibri messi in atto dalle potenze terrene. Al punto che, se una sola condizione va in crisi, si rompe il giocattolo e ruzzola tutto intero il castello.
La pace di Cristo, invece, è quella che non esige garanzie, che scavalca le coperture prudenziali, e che resiste anche quando crollano i puntelli del bilanciamento fondato sul calcolo.
Questo è il senso profondo dell'espressione evangelica che proprio oggi è risuonata nella Messa: "vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come ve la dà il mondo, io la do a voi" (Gv 14,27)
Questo è il salto di qualità a cui ci provoca la frase divenuta ormai celebre di D. Bonhoeffer: "Osare la pace per fede".
Ci riempie di commozione un testo che questo grande testimone del Risorto scrisse nel 1934, e che è divenuto un monito per noi: "Una via alla pace che passi per la sicurezza non c'è. La pace infatti deve essere osata. E' un grande rischio, e non si lascia mai e poi mai garantire. La pace è il contrario della garanzia. Esigere garanzie significa diffidare, e questa diffidenza genera di nuovo guerre. Cercare sicurezze significa volersi mettere al riparo. Pace significa affidarsi interamente al comandamento di Dio, non volere alcuna garanzia, ma porre nelle mani di Dio Onnipotente, in un atto di fede e di obbedienza, la storia dei popoli... Chi rivolgerà l'appello alla pace così che il mondo oda, che sia costretto a udire?... Solo la Santa Chiesa di Cristo può parlare in modo che il mondo, digrignando i denti, debba udire la parola della pace, e i popoli si rallegreranno perché questa Chiesa di Cristo toglie, nel nome di Cristo, le armi dalla mano dei suoi figli e vieta loro di fare La guerra e invoca la pace di Cristo sul mondo delirante".
Carissimi amici, come per la ricerca di Dio abbiamo detto che non intendiamo svilire lo sforzo della fatica razionale, anzi la incoraggiamo e la sosteniamo, ma sentiamo anche il dovere di indicare il totalmente Oltre e il totalmente Altro di Dio, sulla base di ciò che Cristo ci ha rivelato di Lui, così per quanto riguarda il mistero della pace, col più grande rispetto per lo sforzo che il mondo laico sta compiendo, e con la gioia più grande nel vederci accomunati come credenti accanto a tanti camminatori di ogni fede, sentiamo il dovere di dare il nostro contributo specifico, originale, coraggioso!
E il nostro contributo è quello di essere segno dell'inquietudine, richiamo del "non ancora", stimolo dell'ulteriorità. Spina dell'inappagamento, insomma, conficcata nel fianco del mondo.
Per un a Chiesa coraggiosa e profetica
Riconosciamolo. Come Chiesa accusiamo ancora pesanti deficit di "parresia". Siamo ancora fermi alla pace dei "filosofi", e non ci decidiamo ad annunciare finalmente la pace dei "profeti".
Dovremmo essere indice puntato verso il totalmente "altro", e verso il totalmente "oltre" gli isolotti raggiunti dalle minuscole asfittiche paci terrene, e invece siamo spesso prigionieri del calcolo, vestali del buon senso, guardiani della prudenza, sacerdoti dell'equilibrio.
E' vero, sì, che i "profeti" debbono tenere conto delle lentezze con cui i "re" elaborano le mediazioni e le fanno camminare nella prassi quotidiana. E' vero anche che devono accettare di vedersi sempre tra le mani eccedenze di annunci che non verranno mai canalizzare in scelte storiche concrete. Ma non tocca ai profeti operare riduzioni in scala. E sarebbe ben triste che a provocare cadute di tensione, per quel che riguarda l'annuncio della pace, dovessero essere proprio loro.
In certe comunità si densifica sistematicamente il sospetto. Si paventano strumentalizzazioni anche nelle scelte più generose a favore degli ultimi.
Ogni occasione è buona per opporre, allo spirito delle intuizioni evangeliche di pace, il rigore della lettera che uccide. Si spiano annidamenti di "discordanze" col magistero ufficiale, a ogni svolta di frase.
Talvolta, per frenare la valanga inarrestabile della profezia, si fa uso maldestro e ingeneroso perfino di estemporanee espressioni del Papa, resecate dal loro contesto e scorniciate dal genere letterario confidenziale e bonario con cui sono state pronunciate. E non si tiene conto, invece, di tutto il magistero audace e non ancora dissepolto di questo Pontefice, che ormai in ogni suo discorso ci sprona ad "affrontare la tremenda sfida dell'ultima decade del secondo millennio", con l'imperativo etico della solidarietà, e va denunciando in tutto il mondo, come nessun altro, le "strutture di peccato" che opprimono i poveri!
Siamo arrivati al punto che, come cristiani, ci troviamo oggi nella necessità di dover recuperare i forti distacchi in tema di pace, che una moltitudine di non credenti ha inflitto a noi, titolari delle inesauribili riserve utopiche del Vangelo!
La paura dell'olocausto nucleare ha fatto fare a loro più strada di quanta non ne abbiano fatta fare a noi la fede, la speranza, e l'amore.


3. Ceri pasquali e non lucignoli fumiganti

In piedi, allora, costruttori di pace.
Non abbiate paura! Non lasciatevi sgomentare dalle dissertazioni che squalificano come fondamentalismo l'anelito di voler cogliere nel "qui" e nell'"oggi" della Storia i primi frutti del Regno.
Sono interni alla nostra fede i discorsi sul disarmo, sulla smilitarizzazione del territorio, sulla lotta per il cambiamento dei modelli di sviluppo che provocano dipendenza, fame e miseria nei Sud del mondo, e distruzione dell'ambiente naturale.
Fin dai tempi dell'Esodo, non sono più estranee alla Parola del Signore le "fatiche di liberazione degli oppressi dal giogo dei moderni faraoni.
Coraggio! Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata "orizzontalismo" la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l'amore per lui.
Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma neppure costruire, che la politica dei blocchi è iniqua, che la remissione dei debiti del Terzo Mondo è appena un acconto sulla restituzione del nostro debito ai due terzi del mondo, che la logica del disarmo unilaterale non è poi così disomogenea con quella del vangelo, che la nonviolenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena… se non abbiamo la forza di dire tutto questo, rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali.
Ce lo auguriamo con le parole di Bonhoeffer a Basilea, "vogliamo parlare a questo mondo, e dirgli non una mezza parola, ma una parola intera. Dobbiamo pregare perché questa parola ci sia data". E noi pregheremo.
Anzi, è proprio dall'Arena di Verona, in questo splendido vespro di primavera, che vogliamo cominciare il grande settenario, in preparazione alla Pentecoste che celebreremo domenica.
E invocheremo lo Spirito Santo. Non solo perché rinnovi il volto della terra. Ma anche perché faccia un rogo di tutte le nostre paure.
Martedì, 29 Marzo 2005 23:55

Ortodossi. Tensioni e compromessi (L. Pr.)

Ortodossi
Tensioni e compromessi
di L. Pr.




Grecia-Costantinopoli.
Compromesso, soddisfacente per ambedue le parti (non ancora formalmente definito), è stato raggiunto fra il Sinodo della Chiesa ortodossa greca (presieduto dall'arcivescovo di Atene, Christodoulos) e il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I. La materia del contendere riguarda la nomina dei vescovi nelle 34 diocesi appartenenti ai «nuovi territori» della Grecia (il Nordest e la Tracia) che dipendono canonicamente da Costantinopoli e pastoralmente da Atene. Il caso esplode nel luglio scorso dopo la morte dell'arcivescovo di Tessalonica (a cui si sono poi aggiunte le sedi vacanti di Eleutheroupolis e Kozani). La prassi invalsa prevedeva la presentazione della lista dei candidati da parte del Sinodo greco al patriarca. Bartolomeo ha invece preteso il pieno rispetto di un accordo del 1928, secondo cui non si trattava di mera informazione, ma di vera valutazione. Il Sinodo greco non si oppone a questa richiesta ma, nella riunione del 1° marzo, specifica che l'eventuale censura su un nome o l'introduzione di altro nome deve essere accompagnata da motivazioni coerenti coi sacri canoni. L'episodio mostra la permanente tensione fra il patriarca e il primate di Grecia, ambedue decisi a difendere e ampliare il proprio ruolo.

Il 1° marzo Bartolomeo I ha inoltre deciso di modificare la composizione del Sinodo della sua Chiesa, la più alta istanza decisionale. Finora i dodici membri venivano scelti fra i vescovi residenti in Turchia. D'ora in poi il Sinodo sarà composto da sei membri con nazionalità turca e altri sei provenienti da altre diocesi ortodosse nel mondo, fra quelle direttamente dipendenti dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. La precedente composizione era legata alla disposizione del potere turco, che tendeva a ridurre il patriarca a espressione della minoranza ortodossa greca in Turchia, non riconoscendo alcuna rappresentatività internazionale alla sua figura. La decisione unilaterale, che sembra non aver sollevato alcuna rimostranza del governo turco, preoccupato di non aver ostacoli per l'entrata in Europa, rafforza la rilevanza pastorale oltre a quella canonica del Sinodo.

Mosca-Europa occidentale. Il Patriarcato di Mosca vuole ricondurre le diverse Chiese ortodosse di origine russa operanti in Occidente sotto la sua giurisdizione. Il progetto è attivo, secondo diverse declinazioni, sia verso la Chiesa «oltre frontiera», la cui sede è a New York, sia verso le presenze ortodosse in Europa. A queste è stata indirizzata una lettera di Alessio Il che formalizza la proposta: un'unica diocesi in Europa occidentale con ampie autonomie. L'ipotesi è diversa e concorrente rispetto a quella coltivata da tempo dalle Chiese ortodosse più consistenti, operanti in Francia: l'avvio di un'Assemblea dei vescovi con l'elezione del presidente e l'attesa di una sola Chiesa ortodossa operante nello stesso territorio.

Dopo i primi imbarazzati silenzi l'Assemblea dei vescovi ortodossi di Francia (che raccoglie la diocesi del Patriarcato ecumenico, quella di tradizione russa sotto la giurisdizione del Patriarcato ecumenico, la serba, la romena, I'antiochena e quella del Patriarcato di Mosca) ha deciso nella sua riunione del 9 marzo di rispondere alla sollecitazione di Alessio Il con una serie di visite e dialoghi ai patriarchi delle Chiese di riferimento: Costantinopoli, Antiochia, Mosca, Serbia e Romania. La scelta mira a far decantare la potenzialità eversiva (molte comunità sono ormai interetniche e non accetterebbero un ritorno indietro) della proposta di Alessio e a dare alla decisione una tonalità conciliare. In una recente intervista, l'arcivescovo Gabriel di Vylder, responsabile della Chiesa ortodossa di tradizione russa dipendente dal Patriarcato di Costantinopoli, ha censurato la lettera di Alessio Il come «un colpo che attenta all'unità della nostra arcidiocesi ed è suscettibile di provocare uno scisma nel corpo della Chiesa. Scusate, ma questo è inaccettabile» (SOP, aprile 2004 ).

(da Il Regno, 8, 2005)

Martedì, 29 Marzo 2005 23:40

Ucraina. Per il Patriarcato (L. Pr.)

Ucraina
Per il patriarcato
di L. Pr.


I cattolici ucraini di rito orientale non intendono rinunciare alla richiesta di un patriarcato per la loro Chiesa con sede a Kiev. Ma dopo l'importante visita del card. W. Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, ad Alessio Il a Mosca (16-22 febbraio) e l'unanime, decisa opposizione ortodossa, l'attesa per una decisione del papa rispondente ai desideri dei greco-cattolici ucraini si è stemperata. I responsabili della Chiesa «uniate» ucraina hanno reagito esponendosi fortemente per riaffermare le loro ragioni. Il card. Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore di Lviv degli ucraini, ha firmato e diffuso una dichiarazione (1° marzo) a nome del sinodo dei vescovi e mons. Basil H. Losten, eparca ucraino di Stamford (USA), portavoce della commissione ecumenica ucraina, ha pubblicato una lettera aperta ai patriarchi ortodossi.

La storia ucraina. Il confronto avviene sullo sfondo della complessa storia della cristianità ucraina, da sempre attenta sia alle sue radici orientali sia alla comunione con Roma (anche dopo il 1054), e del duro martirio patito nel secolo appena concluso (fra guerre, persecuzioni, fame e violenza, si calcolano 17 milioni di morti). Rilevante è anche l'attuale contesto geopolitico, con l'imminente estensione dell'Unione Europa fino alla frontiera ucraina e le prossime elezioni politiche del paese (previste per il 31 ottobre), che verteranno anche sulla collocazione pro-occidentale o pro-sovietica della Repubblica.

Accanto ai testi diffusi, va registrata la visita del card. Husar al papa (27 marzo) e le 150 firme di parlamentari ucraini, stimolati da O. Hudyma, che hanno sollecitato il riconoscimento del patriarcato. Tutte le Chiese ortodosse sono contrarie; anche il Patriarcato di Mosca teme un patriarcato nella sede della sua origine storica (Kiev) e un'intesa fra «uniati» e Chiesa ortodossa ucraina di Filarete per una chiesa di tipo nazionale e in funzione anti-russa. Per decenni dall'Ucraina sono venuti un numero rilevante di ecclesiastici ortodossi e un sostegno economico ragguardevole. Nessuna incertezza fra i vescovi della Chiesa greco-cattolica. Il sinodo del 2002 ha unanimemente richiesto al papa il patriarcato. Semmai si può registrare una modifica: dalla disponibilità a procrastinare nel tempo la risposta si è passati alla domanda
per un adempimento immediato, considerato maturo e non rinviabile. In Vaticano quanti sono favorevoli si avvalgono della tesi della prova di forza per tutti i patriarcati ortodossi degli ultimi secoli e della convinzione che la coerente plausibilità della soluzione istituzionale si rivelerà nel futuro. Il no è invece alimentato dall'affermazione della priorità ecumenica per la Chiesa cattolica, dal riconoscimento della diversità ecclesiologica fra evangelizzazione e proselitismo e dalla responsabilità cattolica sull'insieme del cammino ecumenico delle Chiese cristiane.

Osservazioni da Kiev. Husar lamenta che l'ultima parte della discussione sia stata svolta a Mosca, non a Roma, ne a Leopoli, ne a Kiev, e, «cosa essenziale, senza la nostra partecipazione». Ma le trattative «in nessun modo cancellano quel corso generale per lo sviluppo del patriarcato che scaturisce dalle decisioni del sinodo dei vescovi della nostra Chiesa». «Secondo il diritto canonico, la Chiesa greco-cattolica ucraina è una Chiesa sui iuris, non una parte di un'altra Chiesa, e perciò si sviluppa conformemente alla propria natura ecclesiologica». Sollecitati dall'esempio del metropolita Jossyp Slipyi (1892-1984) «siamo profondamente convinti della necessità di tale struttura canonica per il consolidamento dell'unità della Chiesa e del popolo e per un loro adeguato sviluppo». «Siamo convinti che la struttura patriarcale è utile sia per noi sia per le altre Chiese ortodosse e quelle cattoliche orientali».

L'esarca B. Losten denuncia l'opposizione precipitosa dei patriarchi ortodossi prima ancora di conoscere a fondo la questione. Ritiene scarsamente apprezzabile la ragione del principio ecclesiologico: un vescovo per ogni territorio. Plausibile e ragionevole un tempo non lo è oggi, con i cristiani divisi in un mondo globalizzato, come del resto è visibile nel comportamento pratico delle Chiese ortodosse. Altre voci sottolineano aspetti diversi. M. Marynovych, vicerettore dell'Università cattolica ucraina, si mostra consapevole della distanza critica di buona parte della pubblicistica cattolica in Occidente sulla questione. Mentre I. Dacko, direttore dell'lstituto per l'ecumenismo della stessa università, sottolinea l'ambiguità dell'ecumenismo invocato da Mosca e le ragioni politiche che emergono dal comportamento e dalle parole dei responsabili russi.

Oggi la Chiesa greco-cattolica ucraina può contare su cinque milioni di fedeli (sui 50 dell'intero paese), in larga maggioranza raggruppati nella parte occidentale del paese. È guidata da 15 vescovi per cinque eparchie e da 2.200 preti. l monaci sono 750, le religiose 1.100, le chiese sono 3.000. Presenze significative di cattolici ucraini sono registrate, in seguito a una triplice ondata di emigrazione, negli Stati Uniti (due esarcati), in Canada (cinque diocesi), in Brasile, Argentina e Australia. In Europa occidentale la presenza tradizionale è registrata in Inghilterra, Francia e Germania. Ma nell'ultimo decennio si contano anche in Italia circa 200.000 ucraini.

La recente nomina del nunzio apostolico in Ucraina, mons. Ivan Jurkovic, finora nunzio apostolico in Bielorussia, sembra segnalare la volontà della Santa Sede di voler privilegiare il dialogo ecumenico.

(da Il Regno, 8, 2005)
Martedì, 29 Marzo 2005 23:25

Un'arte da imparare

La comunicazione in comunità
Un’arte da imparare



Come la nostra società, che si crede esperta perchè ha tanti strumenti di comunicazione, la vita religiosa soffre la perdita della sua natura relazionale.
Lo rivela l’individualismo molte volte denunciato dai documenti del magistero e dai numerosi convegni sulla vita consacrata.



Noi religiosi siamo attenti e impegnati - giustamente, in quanto «la vita consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione» (VC 3) - ad ascoltare l'invito dei vescovi italiani che ci chiamano a comunicare il Vangelo nel nostro mondo, in rapido mutamento, che ha bisogno di riscoprire il messaggio di Cristo nella sua sostanza e nelle sue conseguenti applicazioni nella vita individuale, famigliare, culturale, sociale.

Siamo tutti consapevoli - edotti dall'impegno pastorale e da sane letture - che il programma della CEI pone realisticamente la comunicazione del Vangelo come la base insopprimibile per una ripresa della complessa dimensione dell'evangelizzazione. E ci diamo da fare -sempre giustamente -per scoprire i modi della comunicazione, i meccanismi dei nuovi linguaggi (massmediali, computerizzati, linguistici, ecc. ) che appaiono indispensabili per comunicare con l'uomo del nostro tempo. Siamo convinti -essendo il messaggio evangelico la relazione dell'uomo con Dio e con gli testimoni altri che deriva dall'originaria e fondante relazione di Dio con l'uomo - che riflettere sulla comunicazione costituisce un momento fondamentale per trasmettere la parola di Dio in modo efficace.

Insomma comunicare è divenuto, lodevolmente e legittimamente, un ambito delle preoccupazioni culturali e pastorali delle comunità religiose, molte delle quali in prima fila nella individuazione di modalità e strumenti per meglio comunicare il vangelo.

Ma... c'è un ma. All'encomiabilissima sollecitudine di essere idonei comunicatori del Vangelo, corrisponde sempre l'ammirevole, previa e edificante (nel senso anche proprio di "costruttrice") comunicazione all'interno della comunità? Non si direbbe, venendo a conoscenza dei seri problemi in questo senso di molte comunità e leggendo le riflessioni di eminenti religiosi, espresse in sequenza significativa anche in ben due numeri recenti di Testimoni.

Dobbiamo dire che per questa comunicazione non ci si danna l'anima, sia perché non la si ritiene importante (naturalmente è un grande errore di valutazione) come l'altra, sia perché in questa diffusa disaffezione (è un eufemismo) gioca anche l'ignoranza circa la natura profonda della comunicazione e quindi della sua necessità. Anche noi religiosi siamo schiavi di un fenomeno proprio della nostra epoca: informazione magari tanta tra di noi (ci sono molte cose che abbiamo fatto per le quali apparire zelanti e uomini di successo agli occhi dei confratelli), ma comunicazione, nel senso vero e completo del termine, piuttosto pochina.

Sembra urgente e opportuno per noi comunicatori del Vangelo, spesso muti nelle comunità, riscoprire l'essenza della comunicazione e il suo valore per la vita comunitaria, principio e radice di ogni altra comunicazione. 

“Il monaco non faccia nulla se non ciò che è raccomandato dalla comune regola del monastero e dagli esempi degli anziani” (RB 7).

Lunedì, 28 Marzo 2005 18:18

La regola d'oro nelle religioni del mondo

La regola d’oro nelle religioni del mondo

Iniziazione cristiana.
Una "nuova" teologia?
di Mauro Pizzighini

 



I sacramenti dell’iniziazione cristiana, oggetto di una riflessione ormai collaudata, richiedono una puntuale analisi teologica per individuare alcune piste di pastorale attenta alle diverse situazioni  per una risposta sempre più mirata ed incisiva. In questa prospettiva vogliamo presentare il volume Sacramentaria speciale. I. Battesimo, confermazione, eucaristia (2 voll. a cura di Carlo Rocchetta, EDB). La finalità di questo volume è, attraverso una breve contestualizzazione antropologica:
- trattare l’origine biblica del sacramento e i suoi specifici fondamenti neotestamentari;
- riferirsi alla tradizione e presentare lo sviluppo storico del dogma;
- offrire un inquadramento dogmatico che compendi i dati essenziali della fede cattolica.

Il battesimo come sacramento della “rinascita”

L’autore inserisce questo sacramento su uno sfondo antropologico nel singolare porsi di due fatti fondamentali della vita umana: iniziazione alla vita umana in questo pianeta e l’essere iniziati a una religione con i suoi riti, le sue dottrine e la sua prassi di vita. Oggi i genitori sono privati di una lettura “simbolica” della nascita di un figlio perché le pratiche sociali relative al nascere sono delegate alla società e alle sue diverse istituzioni. La domanda del battesimo del neonato da parte dei genitori vuole colmare un loro quasi totale disorientamento. Da sottolineare – per il battesimo – il riferimento “debole” alla comunità cristiana e il riferimento “forte” alla comunità parentale o amicale.

Il cap. I mette in luce l’originalità, la necessità, il fondamento cristologico-pasquale del battesimo cristiano.

Il cap. II mostra la tradizione liturgico-teologica-pastorale che la chiesa ha sviluppato.

Il cap. III presenta alcune linee per un approccio sistematico sia della prospettiva del magistero conciliare sia alla luce dei nuovi rituali.

Il battesimo non appare più come un fatto isolato, ma mostra tutto il suo intrinseco dinamismo ecclesiale.

Occorre ribadire che la mancanza dell’unità celebrativa dei sacramenti dell’inizia-zione cristiana in Occidente è il dato ricorrente nel caso del battesimo ai bambini. Al battesimo del neonato segue con l’età della discrezione (7/8 anni) la prima comunione (preceduta dalla prima confessione) e, verso l’età della preadolescenza (12/13 anni) la confermazione. È necessario un vero cambiamento a livello pastorale: è proprio a partire dagli itinerari catecumenali e della stessa celebrazione liturgica dei sacramenti dell’iniziazione cristiana che la chiesa locale viene ad essere interpellata verso una riscoperta della sua nativa “funzione materna”.

Questo nuovo contesto permette una riformulazione della teologia battesimale in almeno tre direzioni:
- quella teologica-sacramentale (la partecipazione al mistero pasquale di Cristo, il rapporto dinamico con gli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana);
- quella ecclesiologica (l’appartenenza al popolo di Dio);
- quella pneumatologica (essere edificati nello Spirito come abitazione di Dio).

La confermazione, sacramento del “diventare cristiani”

Nella seconda parte viene tracciato un percorso di ricerca attraverso l’ascolto della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero.

In particolare questo sacramento si pone una volta per sempre nel rapporto con il “diventare cristiani” e “vivere da cristiani”. La confermazione ha come destinatario chiu è ancora “infante” e tale continua ad essere anche dopo l’eucaristia battesimale, fino al compimento di tutto il successivo tempo della mistagogia o iniziazione ai misteri.

Nell’attuale azione pastorale l’iniziazione cristiana rappresenta una prassi eccezionale e non sembra giocare il ruolo di forma tipica per la formazione cristiana. In Italia la confermazione è collocata nell’età della preadolescenza. «Ridiscutere tale prassi non è cosa del tutto agevole anche perché ciò che è maggiormente in causa è sia il modello del diventare cristiani, oggi, quanto l’effettiva esigenza di dare un volto nuovo all’evangelizzazione».

L’eucaristia, tra “diakonia” e “koinonia”

La terza parte del libro è dedicata al tema dell’eucaristia, il cui fondamento antropologico affonda nei gesti del “mangiare” e “bere” della vita dell’uomo e nella mensa come “banchetto di comunione”. Il dono dell’eucaristia si innesta in questa simbologia per trasfigurarla con l’accadimento unico della pasqua e condurre l’umanità verso il banchetto escatologico.
L’autore definisce l’eucaristia come «mistero della fede tra il “già” e il “non ancora”», come «memoriale della pasqua di Cristo», come «sacramento del sacrificio della croce», in quanto «auoto-oblazione perenne del Kyrios», «atto di Cristo e della chiesa», «epifania dello Spirito», «sacrificio di lode».

Viene riservato ampio spazio, dall’autore, alla chiesa “eucaristia”, come diakonia e koinonia. Essa «si trova perciò stabilita, con il medesimo atto che la fa nascere, come diakonia, popolo-servo a servizio di tutti gli uomini; più si fa serva, più la chiesa proclama ciò che è divenuto «una volta per sempre» e manifesta la fedeltà al mandato ricevuto. Da qui scaturisce un éthos del mistero eucaristico nell’atto del dono di Cristo.

In questa prospettiva viene riaffermato che il tempo della chiesa è “essenzialmente” il tempo della missione, dell’annuncio, della comunicazione, della salvezza pasquale ormai realizzata.
Il volume, alla fine, dedica spazio al «significato cosmico» dell’eucaristia, in quanto «convivialità cosmica».

M. PIZZICHINI, Iniziazione cristiana una “nuova” teologia?, in «Settimana», 3 (2005), p. 13. Riduzione di CESARE FILIPPINI.

Dio mediante il suo Spirito interviene nell'intero processo di produzione di un testo biblico perché in esso si incarni la verità che egli vuole comunicare agli esseri umani per la loro salvezza.

Domenica, 27 Marzo 2005 18:33

2. Come è sorta la Bibbia (Rinaldo Fabris)

La formazione dei libri che formano la Bibbia è avvenuta lungo il corso di un millennio prima dell'era cristiana per l'AT e nel primo secolo d.C. per il NT.

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