I farisei
Scheda storica
di Mauro Orsatti
I semi remoti del fariseismo furono posti al tempo dell'esilio, allorché gli ebrei, privati del tempio e del suo culto, trovarono luce e conforto nella Legge. Più difficile stabilire con precisione un inizio storico: certo è che a partire dal secondo secolo a.C. un gruppo di laici, che faceva dello studio e dell'osservanza della Legge un ideale, si affaccia alla ribalta della vita pubblica di Israele e finisce per condizionarla. Accanto alla classe sacerdotale e all'aristocrazia si collocano anche questi pii che prendono il nome di farisei. Si fa derivare tale nome dall'ebraico parash (aramaico perash) con il senso di «separato». Non si sa esattamente da chi o da cosa fossero separati: se dal gruppo sacerdotale che osteggiavano per la sua commistione con il mondo politico o se da uno stato di impurità, per ottemperare alla Legge, secondo quanto esprime un commento rabbinico (Sifre) a Lv 11 ,44 - 45, dove compare lo stesso nome da cui deriva «fariseo»: «Come io sono separato (parush), così anche voi dovete essere separati (perushim)». Accettando tale interpretazione, la separazione avrebbe un significato che si avvicina molto a quello di santità
Dottrina e prassi
La caratteristica più vistosa della religiosità farisaica era - a detta di Giuseppe Flavio - il rigorismo legalistico che si traduceva in una stretta interpretazione della legge e in una scrupolosa osservanza della medesima. Dall'attenzione interpretativa nasce quel sistema conosciuto e tramandato come «tradizione dei padri»: si tratta di una normativa orale che ha lo stesso valore di quella scritta (cf Mc 7, 1-13), creando però il contraccolpo di un complicato sistema di osservanze, quei «pesanti fardelli» (Mt 23,4) che Gesù cita come capo di accusa.
Nel loro credo religioso figurava una fede incrollabile nella divina provvidenza che guida la storia, una prospettiva escatologica che includeva la certezza della risurrezione, la credenza nell'esistenza degli angeli (cf At 23,8) e la viva attesa del Messia. La loro dottrina si presentava molto più sostanziosa e più profonda di quella dei sadducei (cf Mc 12, 18-27).
Il ritratto poco lusinghiero dei farisei che compare nel Vangelo deve essere integrato con quello degli altri scritti del NT: ne viene un'immagine più veritiera. Basti citare due figure illustri: Gamaliele (cf At 5,34) e lo stesso Paolo che si definisce «fariseo quanto alla legge»
(FiI 3,5). Se superiamo un poco il confine del NT, incontriamo la nobile figura di Rabbi Aqiba, morto martire verso il 125 d.C. per non tradire la sua fede.
I farisei e il giudaismo
l gruppo dei farisei (6.000 persone al tempo di Gesù, secondo il numero riferito da Giuseppe Flavio) ha un duplice merito: il primo sta nell'aver cambiato un orientamento poco lusinghiero assunto al tempo dei Maccabei, richiedendo un impegno di fedeltà a Dio che si manifestava primariamente nella scrupolosa osservanza della Legge; un secondo merito sta nell'aver permesso al giudaismo di sopravvivere dopo la catastrofe del 70 d.C. allorché Gerusalemme viene distrutta, il popolo disperso e il mondo sacerdotale scompare. Forti del loro unico tesoro, la Legge, continuano l'amoroso studio che produrrà il suo primo frutto visibile nella raccolta della Mishna verso il 200 d.C. Si fissa così un'ancora che permette ai farisei di aggrapparsi e di sopravvivere; con loro continua il giudaismo che, passando per molte traversie, è giunto fino ai nostri giorni.
(da Il Mondo della Bibbia)