Donne che incontrano Gesù
di Stefania Cantore
Nel momento in cui il centurione vedendo il modo di spirare di Gesù riconosce: «Veramente questo uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39), viene anche ricordata la presenza delle donne:
«C'erano anche alcune donne che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, e Salome, che lo seguivano e servivano quando erano ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme» (Mc 15,40s).
Se, in Marco, la Buona Novella è sintetizzata nell'annuncio che l'uomo Gesù è il Cristo il Figlio di Dio (Mc 1,1), le donne mostrano di aver intuito fin dalla Galilea che quell'uomo era anche per loro (e non solo per gli uomini!) «buona novella», invito alla conversione, al ambio di mentalità per «vivere» nella sua luce (Mc 1,14s). Il loro seguire, servire Gesù, salire con lui a Gerusalemme ne sono il segno più chiaro proprio perché esse lo fanno, non su un imperativo-chiamata di Gesù, ma come conseguenza e risposta libera all'incontro con lui.
Infatti, alle donne Gesù non dice «seguimi» o «seguitemi», non chiede di servire ne lui ne altri, non dice esplicitamente come ai Dodici: «Saliamo a Gerusalemme» (Mc 10,32-34 e parr .), eppure le donne fanno tutto questo. Anche Luca nota la presenza di donne al seguito di Gesù:
« Egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni» (Lc 8,1-3).
Restate con Gesù fino alla sua morte, le donne sono le prime testimoni e annunciatrici del Risorto.
Come mai delle donne hanno seguito Gesù fino ad assistere alla sua morte? Come l'hanno incontrato?
Benché meno numerosi di quelli con uomini, i vangeli ci tramandano molti incontri di Gesù con donne. Vediamone alcuni in cui la donna serve, loda, ascolta e profetizza.
La suocera di Pietro (Mc 1,29-31)
Dalla malattia al servizio di colui che serve
Il primo incontro di Gesù con una donna, nel vangelo secondo Marco, avviene di sabato, in casa, nell'ambiente della vita e della «liturgia» familiare in cui la donna, secondo la tradizione, esplica la sua attività più appropriata.
Dopo la Sinagoga, dove il suo insegnamento con autorità e la liberazione di un uomo dallo spirito impuro avevano suscitato stupore e interrogativi sulla sua identità, Gesù si reca a casa di Simone (Mc 1,29-31 ). Ora, qui, il sabato, il giorno donato da Dio, è «velato»: la suocera di Simone è a letto con la febbre, e non può assumere il suo compito ordinario. Aveva potuto accendere la lampada? preparare i pasti da consumare nella gioia?
Sono gli uomini, i primi quattro «chiamati» alla sequela, ad informare subito Gesù della malattia della donna.
E Gesù le si fa vicino, la fa alzare prendendola per mano. Non più ostacolata dalla febbre che la lascia, la donna «risorta», di nuovo in piedi, si mette a servire gli ospiti.
Se nulla si era detto della nuova vita dell'uomo liberato dallo spirito impuro nella sinagoga, di quella della suocera liberata dalla malattia si dice espressamente che viene dedicata al servizio. La vicinanza di Gesù, il prenderla per mano permettendole di rimettersi in piedi, portano solo, anche se in modo straordinario, al ricupero dello stato di salute, col conseguente ritorno al servizio abituale? Certo la quotidianità della sua vita di donna rimane esternamente la stessa, ma è attraversata da una pienezza nuova: liberata da Gesù, il suo servire è comprensione e partecipazione al Regno di Dio, che in lui si è fatto vicino (Mc 1,14-15).
Non poter celebrare il sabato era un po' come tornare al tempo della schiavitù, in cui il Dio liberatore e creatore non può essere «riconosciuto» e servito nella lode. Celebrare il sabato invece la faceva collaborare alla venuta del Messia, che ripristina la situazione di armonia con Dio e rinnova la creazione secondo il piano originario. Una antica credenza, diffusa già nel primo secolo.
« afferma che se tutto Israele osservasse in modo perfetto due sabati consecutivi, la redenzione dell'umanità sarebbe immediatamente effettuata. È quanto dire che l'osservanza perfetta di due sabati equivarrebbe all'avvento del Regno di Dio. Se poi, incapace d'un tale sforzo, Israele riuscisse ad osservarne uno solo senza alcuna negligenza, ciò sarebbe sufficiente per la venuta del Messia, annunciatore del Regno ».
Gesù celebra il sabato «senza negligenza» e la donna entra nella sua celebrazione, nel suo Regno caratterizzato dall'essere liberi (liberati) per il servizio.
Servire l'altro sostituisce il dominare l'altro, tipico della situazione di peccato e della «solitudine» che ne consegue. La relazione di aiuto reciproco, su piano paritario, di ogni essere umano, esemplificata nella alterità gioiosa della coppia delle «origini», viene ricuperata sotto forma del farsi prossimo nel servizio. Nel deserto delle sue tentazioni, sono gli angeli a servire Gesù; nel «primo sabato» della sua vita pubblica è la suocera di Simone a servire lui e i suoi chiamati; durante tutto il cammino dalla Galilea a Gerusalemme sono le donne a servirlo. Se il rapporto di servizio mette in luce un operare in funzione del benessere dell'altro, considerato più importante di se, Gesù sceglie proprio di operare da servo, sceglie di porsi come gli ultimi perché nessuno «sfugga» al suo servizio.
«Voi sapete (i dodici) che coloro che sono ritenuti i capi delle nazioni le dominano, (...) chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,42-45).
In Marco, soggetti del servire sono solo gli angeli e le donne che servono Gesù (e coloro che stanno con lui) e Gesù stesso.
Entrare nel Regno di Dio fattosi presente in Gesù e portarne I'annuncio e la realtà, significa allora «servire» sia per coloro che già stanno servendo, sia per chi non è abituato a farlo. E servire significa veramente servire, fare qualcosa di utile per la vita dell'altro, un servire scelto non subito, un servire possibile solo da parte di chi è stato «liberato».
È il cambio di mentalità richiesto per entrare nel Regno. La suocera di Simone, servendo, lo accetta evi entra. È il servizio di sempre? Sì, ma è proprio quello che ora «serve» per la celebrazione del sabato definitivo iniziato da Gesù. Come donna libera, in piedi, essa offre tutto quello che può e sa fare, il suo servizio per la celebrazione di questo sabato.
La donna curva (Lc 13,10-17)
Dal ripiegamento alla lode di Dio
Siamo di sabato, in una sinagoga, durante il viaggio di salita verso Gerusalemme. Gesù sta insegnando. Tra i presenti alla preghiera vi è anche una donna venuta alla sinagoga benché malata da molti anni: è curva, piegata in due, nella assoluta impossibilità di assumere-ricuperare la posizione eretta (ha uno spirito di infermità). Nessuno, ne la donna, ne gli altri, ne il capo della sinagoga, fanno notare la limitazione che grava su questa persona.
Lo sguardo di Gesù raggiunge la donna e apre l'incontro.
Avendola vista, Gesù interrompe - o completa? - il suo insegnamento, col chiamarla a se, dirle «Donna, sei liberata dalla tua infermità» e imporle le mani. La donna è subito raddrizzata.
Ormai diritta, la donna è di nuovo in grado di entrare in relazione con gli altri nella posizione propria della persona umana. La donna, che vive in se stessa la ri-creazione del suo essere, lo legge come opera di Dio e risponde a Dio con la lode: pubblicamente, nella sinagoga «glorificava Dio».
Il capo della sinagoga, però, non legge affatto a sua volta l'avvenimento come opera di Dio, ma lo critica come contrario alla «realtà» del giorno di sabato. La donna, la guarigione, il cantico nuovo che da lei si leva a Dio proprio di sabato, non lo «toccano».
La reazione ufficiale a questo suo «incontro» con la donna è per Gesù l'occasione di proseguire il suo insegnamento, chiarendo qual è il modo giusto di vedere insieme e quella donna malata e il sabato. Nel giorno in cui si ricorda la liberazione del popolo dalla schiavitù, ha senso lasciare la donna «legata da satana», dimenticando così di considerarla come parte del popolo, nella sua dignità di «figlia di Abramo»?.
La donna fa parte di un popolo che nella storia ha il compito di testimoniare la realtà del Dio unico, del Dio liberatore dalla schiavitù: il popolo di Israele, i figli di Abramo, attualizzano la liberazione cessando da ogni lavoro per ricordare per sempre nella lode le grandi opere del Signore.
«lo sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile. (...) Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore tuo Dio ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno ne tu, ne tuo figlio, ne (...). Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato» (Dt 5,6.12-15).
Se ricordare è rendere «presente» la propria situazione di schiavi resi liberi, la liberazione della donna dai legami di «satana» è la visibilità nell'oggi della forza liberante del Dio dell'esodo di cui si sta facendo memoria.
L 'insegnamento di Gesù nell'ambito della liturgia sinagogale del sabato, sfocia in una liberazione nuova in cui le parole sono la mano possente e il braccio di Dio. In Gesù le meraviglie dell'esodo si compiono di nuovo. Egli vede la donna curva nella sua vocazione profonda e originaria di figlia di Abramo e nella sua realtà attuale di persona fisicamente «ridotta», dove il limite fisico è legame schiavizzante, distorsione e opposizione al disegno creativo di Dio. Gesù libera la donna e la restituisce alla sua vocazione di figlia di Abramo. In lei «raddrizzata» la liturgia sinagogale di lode riacquista verità: è il segno vivente e visibile dell'operare di Dio in favore dell'oppresso. In lei, è veramente presente il popolo dei figli di Abramo che, cosciente della propria impossibilità a liberarsi, riconosce l'irrompere di Dio nella sua vita e lo loda per sempre. Ora, mentre gli avversari di Gesù si vergognano, tutti gli altri riconoscono con gioia «le meraviglie da lui compiute» (Lc 13,17).
La donna curva che di nulla può vantarsi, come donna e come inferma, diventa lode pura e continuata del Signore.
Maria di Betania (Lc e Gv)
Donna rimproverata, discepola e profetessa
Maria, con Marta sua sorella, è ricordata nel vangelo di Luca (10,38-42) e di Giovanni (11,1-12,11). Non si sa come le due sorelle abbiano incontrato per la prima volta Gesù e nessun tipo di guarigione è indicato all'inizio della loro conoscenza. In entrambi i vangeli, Marta e Maria appartengono già alla cerchia dei conoscenti-amici di Gesù.
In Luca, durante il cammino verso Gerusalemme Gesù viene accolto da Marta nella sua casa. In questa occasione, Maria sedendosi ai piedi di Gesù, si mette ad ascoltare la sua parola (Lc 10,38s).
Con la parabola del seminatore Gesù aveva già in precedenza invitato ad ascoltare «la parola con cuore buono e perfetto», a custodirla e produrre frutto, a fare attenzione al modo di ascoltare (Lc 8,15.18; cf Mt 7,24; Mc 6,47-49). Aveva anche dichiarato che il legame creato dall'ascolto era più importante del legame naturale: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21).
In questa linea correggerà il «Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte» con «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc Il,27s).
Gesù appartiene al popolo dell'ascolto, «Ascolta, Israele» (Dt 6,4ss), al popolo che si impegna a tradurre in azione la parola ascoltata: «Quanto il Signore nostro Dio ti avrà detto, noi lo ascolteremo e lo faremo» (Dt 5,27). L 'attenzione amorosa verso I 'unico Dio, verso la sua parola ascoltata, messa in pratica, ripetuta di generazione in generazione, tramandata da maestro a discepolo è propria del credente israelita. La donna entrava in questa catena rendendola possibile (col mettere al mondo i figli), col curarne la sussistenza (degli adulti e dei piccoli) con il suo lavoro casalingo ed anche con l'introdurre alla fede i figli piccoli (la trasmissione della fede era poi affidata al padre e ai maestri).
Marta, accogliendo Gesù, si inserisce in questa catena secondo il modello abituale dell'azione casalinga della donna. Inoltre, riconoscendo probabilmente in Gesù un ospite di particolare importanza, si preoccupa di presentargli molte cose.
Maria, invece, ha un atteggiamento insolito che non si accorda con la tradizione. «Ricevendo» Gesù in modo nuovo, Maria mostra di vedere in lui un rabbi diverso dagli altri, con una parola sua. Per lei questo rabbi, con la sua parola, rinnova «l'ascolta, Israele» e, allora, sceglie di ascoltare la sua parola ed agire secondo questa parola-persona nuova. Maria, sedendosi ai suoi piedi, è consapevole di assumere liberamente nei confronti di Gesù la posizione e il compito di discepola.
La novità di Gesù crea la novità di Maria discepola. ..e la sostiene!
Marta, però, non approva affatto la sorella, ma rivolge la protesta non a lei, bensì a Gesù. Il rimprovero, a modo di leggero ricatto affettivo, è molto chiaro: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (Lc 10,40). Gesù è il «colpevole» che non si rende conto ne che la sua presenza comporta un gran lavoro supplementare, ne che Maria non compie il suo doveroso compito di donna ospitale. Secondo l'imperativo di Marta, Gesù dovrebbe autorevolmente rimettere Maria «al suo posto».
Maria non dice nulla: resta seduta ad ascoltare la parola di Gesù. Lascia al «Signore» la valutazione del suo agire e del rimprovero che le giunge indirettamente. Gesù non la «difende» in senso proprio. Nella risposta a Marta, egli dà la lettura giusta di ciò che sta avvenendo: con la sua venuta nella «nostra casa», una cosa sola è necessaria e «rimane»: ascoltarlo; non sono più necessarie molte cose, anzi queste sono dispersive, portano solo agitazione senza costruire, non servono più, appartengono al passato. La risposta rinvia chiaramente a una presa di posizione nei suoi confronti: ospitandolo ci si chiede quale sia la pietanza da lui preferita? chi si vuol servire servendo lui?
Maria sceglie un'unica cosa, il Signore, l'ascolto della sua parola, e si pone con tutta se stessa ai suoi piedi, al suo servizio senza disperdersi in altro/i.
Maria è riconosciuta, accettata e confermata «discepola» dal Maestro stesso e, quindi, autorizzata a vivere e trasmettere la parola ascoltata, il «messaggio» da lui ricevuto.
In Giovanni, Marta e Maria sono sorelle di Lazzaro di Betania, l'amico di Gesù (Gv 11,1). Marta, sapendo dell'arrivo di Gesù, si muove per andargli incontro. Ella è convinta che Gesù sarebbe stato in grado di guarire Lazzaro malato, «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto» (Gv 11,21), ma, nonostante la fede in lui, «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo» (Gv 11,27), non «vede-spera» come egli possa ora farlo tornare in vita. Infatti, di fronte al comando di togliere la pietra del sepolcro di Lazzaro, Marta, molto realisticamente, avvertirà Gesù: «Signore, già manda cattivo odore, poi che è di quattro giorni» (Gv 11,38-39).
Maria, invece, anche se informata dell'arrivo di Gesù, non si muove, resta «seduta» in casa. Quando, però, la sorella le viene a dire che il Maestro la chiama, si alza in fretta per andare da lui. E a lui esprime la stessa convinzione di Marta, «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto» (Gv 11,32). Ora, però, le parole escono cariche di lacrime da Maria che si è gettata ai piedi di Gesù.
Maria non chiede nulla, ma, piangendo, rende palpabile quanto sia per lei dolorosa la morte di Lazzaro. Con se stessa, pone tutta la propria sofferenza ai piedi di Gesù... è qui che ha ascoltato, è qui che parla, è qui il riferimento ultimo del suo essere.
«Gesù allora quando la vide piangere...» (Gv 11,33): il pianto di Maria, e il pianto di coloro che sono con lei, provoca Gesù che si commuove e piange a sua volta. «Paradossalmente», Maria induce Gesù ad attuare ciò che egli aveva già previsto, che la malattia fosse per la gloria di Dio e per la fede in lui (cf Gv 11,4.15). Ed ecco che Gesù, mostrando la gloria di Dio che in lui porta la vita anche nella morte, ridona la vita a Lazzaro... e toglie il motivo delle lacrime.
Il pianto, che mette in evidenza l'amore e il grido contro la distruzione e il distacco provocati dalla morte, non ha, dunque, l'ultima parola, bensì la vita e la mensa comune che la celebra.
Gesù torna a Betania, dove i suoi amici, con Lazzaro e le sorelle, offrono una cena a lui e ai suoi discepoli. Marta si dedica ancora al servizio, ma senza .preoccuparsi, dando così il suo apporto alla riuscita dell'incontro (Gv 12,1-2).
Maria coglie l'occasione della cena per esprimere la sua riconoscenza amorosa che diventa atto profetico. Maria non chiede nulla; con l'ungere di profumo i piedi del suo Signore, mostra in modo femminile la sua adesione piena, non contata, a colui che non calcolerà il dono di sé.
Ma il modo di agire di Maria ancora una volta sconvolge. Che Maria si avvicini a Gesù, che lo tocchi per bagnargli i piedi, che poi gli asciughi i piedi con i suoi stessi capelli (sciolti? !) non sembra creare difficoltà, ma che, per fare questo, usi un olio prezioso e, per di più, in grande quantità, questo, sì, crea scandalo!
Nel vangelo di Giovanni si fa interprete del disappunto proprio Giuda, il futuro traditore, «Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento danari per poi darli ai poveri?» (Gv 12,5; cf Mt 26,6-13; Mc 14,3-9).
Maria non giustifica il proprio atto. È Gesù che la sostiene contro chi la critica: «Lasciala fare» (12,7). È di nuovo Gesù che mette in luce il valore profetico del gesto di Maria che, nello spirito del servizio-dono per amore, rimanda al dono della sua vita, alla sua morte e sepoltura. Come il profumo versato da Maria in grande quantità riempie tutta la casa, così il profumo della salvezza, «versato» da Gesù, invaderà la casa-mondo.
Non ha alcun senso di fronte a Gesù fare un calcolo di che cosa valga o no la pena di dargli; non ha alcun senso mettere la sua persona a confronto coi poveri in una gerarchia di precedenza di persone da «aiutare». Quando l'amore verso Gesù non viene mai manifestato in un dono eccezionale, probabilmente Gesù non è riconosciuto e amato come Signore e potrà essere lasciato ed anche tradito.
Maria riconduce tutto, a Gesù: lo ascolta, si muove secondo la sua chiamata, gli si apre nel dolore, gli offre tutto il prezioso profumo del suo amore. Come nel tempio la vedova aveva dato tutto a Dio (cf Mc 12,41-44), così Maria dà il suo tutto perché tutto in lei è rivolto a Gesù.
Col suo dono ricco (nardo) e umile insieme (ai suoi piedi) Maria è segno che rimanda a Gesù, amato e riconosciuto come Signore.
Aldilà del pianto
Annunciatrici del Vivente
«Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto» (Gv 20,13) è la risposta di Maria di Magdala agli angeli che, dall'interno del sepolcro di Gesù, le chiedono «Donna, perché piangi?» (Gv 20,13). L 'assenza del suo Signore lascia nel pianto Maria di Magdala che, liberata da ogni sua malattia, aveva accompagnato Gesù dalla Galilea a Gerusalemme (cf Lc 8,1-3).
Nel «giardino» è la donna ora che vuol sapere dove è il suo Signore che «si nasconde». Maria rivela nel pianto il suo amore verso colui che è entrato come Signore nella sua vita: nulla può arrestare il suo pianto se non il Signore stesso, nulla e nessuno può ormai sostituire il Signore nonostante sia stato deposto. La donna non se ne va, non nasconde il suo dolore... e Gesù la chiama per nome... e nel giardino non c'è più ragione di piangere. Maria è di fronte al Signore e vorrebbe rimanere con lui: lo ama. Nel giardino, dalla terra che ha ricevuto il Signore della vita, dalle lacrime della donna, rinasce la vita.
Ma quel giardino « dell 'incontro » si deve allargare: «Va' dai miei fratelli» (Gv 20,17). Non c'è ombra di indugio in Maria: colei che, testimone del Risorto, può annunziare «lo ho visto il Signore», va subito a comunicare ai discepoli il compimento della salita di Gesù al Padre suo e loro (Gv 20,18).
La donna (le donne) che annunzia che il Signore è vivo, risorto, è colei che è stata vista e accolta come donna dal Signore stesso. Come persona malata o impura è stata guarita, come bimba morta è stata restituita alla vita di adulta, come vedova è stata consolata, come peccatrice è stata perdonata, ...come donna è stata accolta tra i servi del Regno, come donna è stata accolta tra i discepoli, come donna è stata accolta nelle sue espressioni d'amore.
Ri-creata, persona libera, porta Gesù ai fratelli come solo lei può portarlo, come donna.(da Parole di Vita)