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Lunedì, 24 Gennaio 2005 17:40

Lectio (1 Cor 8,1-13)

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Quanto poi alle carni immolate agli idoli, sappia­mo di averne tutti scienza. Ma la scienza gonfia, mentre la carità edifica. Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come biso­gna sapere. Chi invece ama Dio, è da lui conosciu­to.

Quanto dunque al mangiare le carni immolate agli idoli, noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo e che non c'è che un Dio solo. E in real­tà, anche se vi sonò cosiddetti dei sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dei e molti signori, per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui.

 

 

Il punto di vista della carità

Ma non tutti hanno questa scienza; alcuni, per la consuetudine avuta fino al presente con gli idoli, mangiano le carni come se fossero davvero im­molate agli idoli, e così la loro coscien­za, debole com'è, resta contaminata.

Non sarà certo un alimento ad avvi­cinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio. Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infatti vede te, che hai la scienza, stare a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest'uomo de­bole non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli? Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto!

Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello.

Riflessione spirituale ed ambientazione cronologica

«Se siamo destinati a vivere da uomini liberi nell'ordine soprannaturale, dobbiamo fare libere scelte soprannaturali. E dobbiamo farle obbedendo per amore a Dio. Il discorso dell'ultima cena è pieno di notazioni sull'importanza di questa obbedienza: ma noi non comprenderemo ­mai l'obbedienza predicata da Cristo se non ricordiamo, sempre, che lo sua obbedienza è non soltanto giustizia, è amore. È non soltanto l'omaggio della nostra volontà all' autorità di Dio, è lo libera unione della nostra volontà con l'amore di Dio. Noi obbediamo a Dio non perché lo dobbiamo ma perché lo vogliamo. Questa è precisamente lo natura della libera opzione spirituale che ci fa essere figli di Dio. I Padri della Chiesa, che contemplavano il mistero di questa libertà dello spirito, sapevano perfettamente che lo servilità era incompa­tibile con lo nostra figliolanza divina. Noi non possiamo diventare figli di Dio con un'obbe­dienza che sia cieca rinuncia alla nostra autonomia. AI contrario, lo libertà spirituale consa­cra lo nostra autonomia a Cristo e, in Cristo, al Padre, cosicché noi possiamo amare il Padre con il suo Spirito di libertà.

Il cristianesimo non è una religione di una legge ma religione di una persona. Cristiano non è soltanto colui che si attiene agli insegnamenti della Chiesa. Cristiano è il discepolo di Cristo. È vero che egli osserva i comandamenti di Dio come leggi della Chiesa, ma la ragione di ciò non è da ricercare nella forza di decreti legali: lo si trova in Cristo. L’amore è specificato non dalle leggi ma dalle persone. L’ amore ha le sue leggi, ma si tratta di leggi concrete, esisten­ziali basate sui valori insiti nella persona dell'amato... Gesù stesso, vivente in noi per mezzo del suo spirito, è la nostra regola di vita. Il suo amore è la nostra legge, ed è una legge as­soluta. L’ obbedienza a questa legge ci conforma a lui come persona. Essa perfeziona quindi lo divina immagine in noi. Ci rende simili a Dio. Ci riempie dell'amore e della libertà che egli ci ha insegnato a desiderare. È questo il valore che determina tutte le azioni del cristiano. E questo è al tempo stesso il fondamento dell'umanesimo e del misticismo cristiani: il cristia­no vive in quanto ama, e quindi in quanto è libero» (Thomas Merton).

Vita di San Paolo

Nascita di Paolo

L'awenimento di Damasco

La fuga da Damasco

La visione di Paolo (2Cor 12, 2)

tra il 5 e il 10 (?)

34/35

verso il 39

41/42

Primo viaggio missionario

Carestia in Giudea e colletta

Assemblea di Gerusalemme

tra il 45 e il 49

47/48

48/49

Secondo viaggio

1-2 Tessalonicesi

Comparizione davanti a Gallione

dall'inverno del 50 all'estate del 52

50/51

primavera del 52

Terzo viaggio

1 Corinti

Filippesi (?), 2 Corinti, Galati

Romani

53-57 (o 58)

prima della pentecoste del 55

55/56

prima della primavera del 57

Arresto di Paolo nel Tempio

Prigionia a Cesarea, Filippesi (?),

Colossesi (?), Filemone (?)

57 (o 58)

57-59 (o 58-60)

Paolo a Roma

Filippesi (?),Colossesi (?), Filemone (?)

Martirio di Paolo a Roma

autunno del 59 (o del 60)

60/63

tra il 64 e il 68

Meditatio

La libertà qualificata dall'amore

Il capitolo ottavo si apre con la nuova questione, che, come al tre, si trova espressa dai corinzi nella forma di "slogan". Come già: in risposte precedenti, l'apostolo Paolo applica uno schema che prevede: la citazione della tipica formula dei suoi interlocutori (gli slogans), la descrizione dei comportamenti che ne conseguono, il proprio giudizio in merito. Quest'ultimo è espresso in forma di adesione con riserva, quasi dicesse: «sÌ è vero, ma...». Il primo slogan, che sintetizza la nuova questione è «Tutti noi possediamo la conoscenza» (v. 1), in forma meno evidente nella traduzione CEI: «sappiamo di averne tutti scienza». Il secondo indica il punto della questione: «noi sap­piamo che non esiste alcun idolo al mondo e che non c'è che un Dio solo» (v. 4). Di conseguenza non ci sono problemi nel prendere parte ai banchetti con carni immolate a idoli che non esistono. Questa la posizione di coloro che si conside­rano "forti".

Di contro, stanno coloro che avvertono, nel prendere parte a tali banchetti, una minaccia per la coscienza e dunque escludono del tutto la possibilità di man­giare le carni offerte agli idoli. Paolo non abbraccia totalmente la causa né degli uni, né degli al­tri. Si pone al di sopra delle parti ma non per fare l'arbitro, tra pat­teggiamenti e compromessi, ma per introdurre nella questione un punto di osservazione nuovo.

Una scelta storica, legata alla cultura e al contesto del tempo, propone quindi criteri anche per le nostre scelte di oggi. Ecco i sog­getti: gli dèi nel cielo e sulla terra non esistono; e quindi la carne of­ferta a loro (idolotiti), è carne co­mune, senza nulla di più e con nulla di meno. C'è invece: un solo Dio, il Padre; un solo Signore Ge­sù Cristo, per il quale tutto esiste: anche noi.

C'è chi, tra i credenti, sa bene tutto questo, e può e vuole man­giare tranquillamente. Chi ha la scienza corre un solo rischio: quel­lo di "gonfiarsi". Ed è grave, per­ché può peccare contro i fratelli e quindi peccare contro Cristo. C'è chi ha "la coscienza debole", ritiene davvero che la carne sia immolata agli idoli; e se vede chi "ha la scienza" mangiare questa carne immolata, è ancora più spinto a farlo.

Alla vantata conoscenza ogget­tiva dei forti, Paolo contrappone l'amore concreto e fattivo, come forza che costruisce la comunità.

La conoscenza rischia, infatti, di chiudere l'individuo in un cerchio di orgogliosa ostentazione di sé, la carità (agàpe) è invece energia so­cializzante, che apre la persona al­la comunità in un modo responsa­bile e impegnativo, favorendo la crescita di tutti.

Dio non si conosce intellettual­mente ed è attraverso l'amore che si entra in comunione con lui. Questa considerazione dei rappor­ti tra i cristiani e con Dio costitui­sce la premessa all' argomentazio­ne di Paolo. L'applicazione al fatto delle carni immolate è solamente una logica conseguenza di tale presupposto.

Così pure, la seconda afferma­zione slogàn di convinto monotei­smo (v. 4), andrà vissuta nella pra­tica e non solamente affermata a parole. Decisiva non è la cono­scenza di un unico Dio, ma il rico­noscimento pratico con uno stile di vita coerente.

L'ultima parte del brano (v. 6­13) è di conseguenza dedicata alla questione vista dalla parte dei "deboli". Vi sono in seno alla chiesa, persone internamente in­sicure e condizionate dal timore di cedere all'idolatria. La consue­tudine passata, prima della con­versione, li tiene bloccati, la loro coscienza si dimostra debole. La carità esige che si tenga in consi­derazione la presenza e il cammi­no di questi fratelli scrupolosi: non si vive mai soli, misurandosi esclusivamente con il proprio io. In un contesto comunitario la li­bertà di agire, costruttiva per chi la possiede, non deve diventare distruttiva dell'altro.

L'amore per la persona più de­bole, spinge a voler rinunciare a cibarsi della carne offerta agli ido­li, se ciò è necessario per non dare scandalo, distruggendo la fragile coscienza del fratello.

Triplice è quindi l'esortazione orientativa:

  1. l'agàpe (carità) edifica: è impor­tante, infatti, imparare come bi­sogna sapere, solo chi ama Dio è da lui conosciuto;

  2. badare che la propria libertà (si­cura per la propria scienza) non divenga occasione per la caduta di un debole;

  3. se un cibo scandalizza un fratel­lo è meglio non mangiarlo mai più.

Luciano Pacomio

Ora tutta questa Parola applicala a te stesso.

 

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Letto 3385 volte Ultima modifica il Mercoledì, 26 Febbraio 2014 15:54

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