Quanto dunque al mangiare le carni immolate agli idoli, noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo e che non c'è che un Dio solo. E in realtà, anche se vi sonò cosiddetti dei sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dei e molti signori, per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui.
Il punto di vista della carità
Ma non tutti hanno questa scienza; alcuni, per la consuetudine avuta fino al presente con gli idoli, mangiano le carni come se fossero davvero immolate agli idoli, e così la loro coscienza, debole com'è, resta contaminata.
Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio. Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infatti vede te, che hai la scienza, stare a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest'uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli? Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto!
Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello.
Riflessione spirituale ed ambientazione cronologica
«Se siamo destinati a vivere da uomini liberi nell'ordine soprannaturale, dobbiamo fare libere scelte soprannaturali. E dobbiamo farle obbedendo per amore a Dio. Il discorso dell'ultima cena è pieno di notazioni sull'importanza di questa obbedienza: ma noi non comprenderemo mai l'obbedienza predicata da Cristo se non ricordiamo, sempre, che lo sua obbedienza è non soltanto giustizia, è amore. È non soltanto l'omaggio della nostra volontà all' autorità di Dio, è lo libera unione della nostra volontà con l'amore di Dio. Noi obbediamo a Dio non perché lo dobbiamo ma perché lo vogliamo. Questa è precisamente lo natura della libera opzione spirituale che ci fa essere figli di Dio. I Padri della Chiesa, che contemplavano il mistero di questa libertà dello spirito, sapevano perfettamente che lo servilità era incompatibile con lo nostra figliolanza divina. Noi non possiamo diventare figli di Dio con un'obbedienza che sia cieca rinuncia alla nostra autonomia. AI contrario, lo libertà spirituale consacra lo nostra autonomia a Cristo e, in Cristo, al Padre, cosicché noi possiamo amare il Padre con il suo Spirito di libertà.
Il cristianesimo non è una religione di una legge ma religione di una persona. Cristiano non è soltanto colui che si attiene agli insegnamenti della Chiesa. Cristiano è il discepolo di Cristo. È vero che egli osserva i comandamenti di Dio come leggi della Chiesa, ma la ragione di ciò non è da ricercare nella forza di decreti legali: lo si trova in Cristo. L’amore è specificato non dalle leggi ma dalle persone. L’ amore ha le sue leggi, ma si tratta di leggi concrete, esistenziali basate sui valori insiti nella persona dell'amato... Gesù stesso, vivente in noi per mezzo del suo spirito, è la nostra regola di vita. Il suo amore è la nostra legge, ed è una legge assoluta. L’ obbedienza a questa legge ci conforma a lui come persona. Essa perfeziona quindi lo divina immagine in noi. Ci rende simili a Dio. Ci riempie dell'amore e della libertà che egli ci ha insegnato a desiderare. È questo il valore che determina tutte le azioni del cristiano. E questo è al tempo stesso il fondamento dell'umanesimo e del misticismo cristiani: il cristiano vive in quanto ama, e quindi in quanto è libero» (Thomas Merton).
Vita di San Paolo |
|
Nascita di Paolo L'awenimento di Damasco La fuga da Damasco La visione di Paolo (2Cor 12, 2) |
tra il 5 e il 10 (?) 34/35 verso il 39 41/42 |
Primo viaggio missionario Carestia in Giudea e colletta Assemblea di Gerusalemme |
tra il 45 e il 49 47/48 48/49 |
Secondo viaggio 1-2 Tessalonicesi Comparizione davanti a Gallione |
dall'inverno del 50 all'estate del 52 50/51 primavera del 52 |
Terzo viaggio 1 Corinti Filippesi (?), 2 Corinti, Galati Romani |
53-57 (o 58) prima della pentecoste del 55 55/56 prima della primavera del 57 |
Arresto di Paolo nel Tempio Prigionia a Cesarea, Filippesi (?), Colossesi (?), Filemone (?) |
57 (o 58) 57-59 (o 58-60) |
Paolo a Roma Filippesi (?),Colossesi (?), Filemone (?) Martirio di Paolo a Roma |
autunno del 59 (o del 60) 60/63 tra il 64 e il 68 |
Meditatio
La libertà qualificata dall'amore
Il capitolo ottavo si apre con la nuova questione, che, come al tre, si trova espressa dai corinzi nella forma di "slogan". Come già: in risposte precedenti, l'apostolo Paolo applica uno schema che prevede: la citazione della tipica formula dei suoi interlocutori (gli slogans), la descrizione dei comportamenti che ne conseguono, il proprio giudizio in merito. Quest'ultimo è espresso in forma di adesione con riserva, quasi dicesse: «sÌ è vero, ma...». Il primo slogan, che sintetizza la nuova questione è «Tutti noi possediamo la conoscenza» (v. 1), in forma meno evidente nella traduzione CEI: «sappiamo di averne tutti scienza». Il secondo indica il punto della questione: «noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo e che non c'è che un Dio solo» (v. 4). Di conseguenza non ci sono problemi nel prendere parte ai banchetti con carni immolate a idoli che non esistono. Questa la posizione di coloro che si considerano "forti".
Di contro, stanno coloro che avvertono, nel prendere parte a tali banchetti, una minaccia per la coscienza e dunque escludono del tutto la possibilità di mangiare le carni offerte agli idoli. Paolo non abbraccia totalmente la causa né degli uni, né degli altri. Si pone al di sopra delle parti ma non per fare l'arbitro, tra patteggiamenti e compromessi, ma per introdurre nella questione un punto di osservazione nuovo.
Una scelta storica, legata alla cultura e al contesto del tempo, propone quindi criteri anche per le nostre scelte di oggi. Ecco i soggetti: gli dèi nel cielo e sulla terra non esistono; e quindi la carne offerta a loro (idolotiti), è carne comune, senza nulla di più e con nulla di meno. C'è invece: un solo Dio, il Padre; un solo Signore Gesù Cristo, per il quale tutto esiste: anche noi.
C'è chi, tra i credenti, sa bene tutto questo, e può e vuole mangiare tranquillamente. Chi ha la scienza corre un solo rischio: quello di "gonfiarsi". Ed è grave, perché può peccare contro i fratelli e quindi peccare contro Cristo. C'è chi ha "la coscienza debole", ritiene davvero che la carne sia immolata agli idoli; e se vede chi "ha la scienza" mangiare questa carne immolata, è ancora più spinto a farlo.
Alla vantata conoscenza oggettiva dei forti, Paolo contrappone l'amore concreto e fattivo, come forza che costruisce la comunità.
La conoscenza rischia, infatti, di chiudere l'individuo in un cerchio di orgogliosa ostentazione di sé, la carità (agàpe) è invece energia socializzante, che apre la persona alla comunità in un modo responsabile e impegnativo, favorendo la crescita di tutti.
Dio non si conosce intellettualmente ed è attraverso l'amore che si entra in comunione con lui. Questa considerazione dei rapporti tra i cristiani e con Dio costituisce la premessa all' argomentazione di Paolo. L'applicazione al fatto delle carni immolate è solamente una logica conseguenza di tale presupposto.
Così pure, la seconda affermazione slogàn di convinto monoteismo (v. 4), andrà vissuta nella pratica e non solamente affermata a parole. Decisiva non è la conoscenza di un unico Dio, ma il riconoscimento pratico con uno stile di vita coerente.
L'ultima parte del brano (v. 613) è di conseguenza dedicata alla questione vista dalla parte dei "deboli". Vi sono in seno alla chiesa, persone internamente insicure e condizionate dal timore di cedere all'idolatria. La consuetudine passata, prima della conversione, li tiene bloccati, la loro coscienza si dimostra debole. La carità esige che si tenga in considerazione la presenza e il cammino di questi fratelli scrupolosi: non si vive mai soli, misurandosi esclusivamente con il proprio io. In un contesto comunitario la libertà di agire, costruttiva per chi la possiede, non deve diventare distruttiva dell'altro.
L'amore per la persona più debole, spinge a voler rinunciare a cibarsi della carne offerta agli idoli, se ciò è necessario per non dare scandalo, distruggendo la fragile coscienza del fratello.
Triplice è quindi l'esortazione orientativa:
-
l'agàpe (carità) edifica: è importante, infatti, imparare come bisogna sapere, solo chi ama Dio è da lui conosciuto;
-
badare che la propria libertà (sicura per la propria scienza) non divenga occasione per la caduta di un debole;
-
se un cibo scandalizza un fratello è meglio non mangiarlo mai più.
Luciano Pacomio
Ora tutta questa Parola applicala a te stesso.
Clicca qui per andare all'INDICE di questo TEMA: LECTIO DIVINA - ON LINE