Formazione Religiosa

Giovedì, 10 Novembre 2005 00:30

Gesù l’africano (Pier Maria Mazzola)

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Gesù l’africano

di Pier Maria Mazzola

Racconta padre Renato Kizito Sesana che, un giorno, nel centro per ex bambini di strada che ha fatto sorgere in Zambia, ebbe l'idea di porre una domanda ai piccoli ospiti: «Chi è Gesù per te?». «Gesù è il mio cuore», fu il tenore di buona parte delle risposte. Oppure: «È come mia nonna, che m'ha voluto bene più di chiunque altro». «Ma Bernard - ricorda il comboniano -, invece che un foglietto, porta una scultura abbozzata su legno. Bernard ha 11 anni. È con noi da tre, dopo aver vissuto in strada per due e aver lasciato per sempre una famiglia, che oggi non esiste più: tutti gli adulti sono morti di aids. Mi mostra un volto scolpito, a fianco dell'illustrazione del catechismo da cui ha cercato di copiarlo. La somiglianza è approssimativa, ma la differenza più grande è che il Gesù di Bernard ha un ampio sorriso. Come mai, Bernard? "Gesù è conten­to perché io sono vivo"».

È Fonte di Vita e Guaritore: è il Mediatore e l'Antenato; è l'Amato, Amico e fratello; è il Leader, Capo e Liberatore. Sono queste le principali risposte alla domanda che una docente di teologia a Nairobi, la canadese Diane Stinton, ha posto a teologi, a pastori e a laici - sia cattolici che protestanti - in Ghana, Uganda e Kenya: «Chi è Gesù Cristo per te, Africa? Chi dici che egli sia?».

È una domanda che esce dal cuore del Vangelo e sulla quale si sono già letti diversi lavori (un titolo per tutti: Cristologia africana, Paoline, 1987). Ma la ricerca non può fermarsi: perché è nella relazione con Cristo che la fede nasce, cresce, si purifica e mette radici. Tutte le altre questioni - ecclesiologiche, giuridiche o morali che siano - hanno senso solo in quanto ancorate al momento cristologico.

Il volume della Stinton, Jesus of Africa, appare come una vera e propria inchiesta sui volti di Gesù. Un esempio. Confessare che «Gesù è mganga» (guaritore) non è un'affermazione così pacifica. Questa figura tradizionale, benché necessaria, è portatrice, secondo alcuni degli intervistati, anche di connotazioni negative. Di queste sono responsabili non solo la "cattiva stampa" dei missionari nel passato, ma anche certi atteggiamenti dell'uomo della medicina, a cominciare dalla sua familiarità con gli spiriti, che inducono timore, se non diffidenza, nei suoi confronti. «Per me, ad ogni modo - spiega, nella sua lingua, un'anziana donna del Ghana, protestante - Gesù è molto, molto, molto, molto più grande del tsofatse».

D'altra parte, Gesù stesso non usava forse le tecniche dei taumaturghi del suo tempo? Solo che non si limitava a far recuperare la salute, ma «nella sua stessa persona ha offerto la liberazione per il malato, il peccatore, il depresso, lo straniero, l'emarginato, il povero e il ritualmente impuro» (Aylward Shorter).

Fili e perline

Beads and strands ("Perline e fili") è una piccola perla. È una sorta di testamento spirituale di Mercy Amba Oduyoye, una delle autrici di riferimento di Diane Stinton. Donna akan del Ghana, metodista, antesignana della teologia africana al femminile, Amba ci consegna una serie di riflessioni da vera "madre della chiesa", intrise di sapienza e autorevolezza. Alla medesima collana, "Theology in Africa Series", appartengono altri due titoli: Christians and Churches of Africa, di Kà Maria, e Jesus and the Gospel in Africa, di Kwame Bediako.

Anche quest'ultimo, un pastore presbiteriano, nella sua miscellanea di articoli in vista di un'«era postmissionaria», non trascura la cristologia, vista «in una prospettiva ghaneana». Degno di nota il suo commento alla Lettera agli ebrei, che definisce «la nostra epistola!», a motivo della sua «rilevanza per società, come le nostre, con profonde tradizioni sul sacrificio, la mediazione sacerdotale e la funzione degli antenati. Ebrei mostra Gesù come risposta alle aspirazioni spirituali cui la nostra gente ha sempre cercato di soddisfare attraverso le tradizioni». Tradizioni che, per altro, egli non "canonizza". Sul versante politico, Bediako non esita a qualificare come «ontocrazie» le società etniche ove vige «una stretta associazione tra autorità religiosa e potere politico». Ora, «storicamente, il cristianesimo è stato una forza desacralizzante». Verità da tenere presente, soprattutto quando si ha a cuore l'avvento, sinora faticoso, della democrazia in Africa. «L'idea di Gesù sulla questione "politica e potere" non è un'idea di dominazione, di autosoddisfazione o autoritativa, ma è un'idea di salvezza, di redenzione, di servizio».

«Perché restiamo bloccati?»

La preoccupazione che la teologia debba stare in costante ascolto dell’anima dell'Africa e, al contempo, essere proiettata verso il cambiamento delle condizioni socioeconomiche, culturali e persino psicologiche del continente, è ormai sempre più condivisa dai teologi africani, e scavalca le scuole di pensiero cui essi appartengono. Ancora la Stinton sottolinea, citando il keniano Jesse Ndwiga Kanyua Mugambi, che, nella scia di Jean-Marc Ela, anche altri (John Pobee, Bénézet Bujo, Aniba Oduyoye, Anne Nasimivu Wasike...) hanno «lavorato alla sintesi tra inculturazione e liberazione». Il frutto più maturo di tale sforzo sarebbe la teologia della ricostruzione (Nigrizia, 7/04, 54), il cui esponente di punta è il congolese Kä Mana.

Nella sua riflessione, Ka Mana si arrovella sulla domanda: «Perché noi africani non riusciamo a rispondere adeguatamente alle sfide del nostro destino?». «Il nostro problema - considera il teologo - è la penuria di significato che tende a caratterizzare la nostra esistenza». In altre parole - prese in prestito dal sociologo Achille Mbembe - «la sfida consiste nel creare un'altra immagine di noi stessi nel mondo». Anche per affrontare tale sfida si rivela decisivo, per Kä Mana, il passaggio cristologico: fare perno sul rapporto di Gesù con la sua morte (e risurrezione), per «rivitalizzare lo spazio mitologico africano», perché l'uomo africano ritrovi autofiducia.

In tutt'altro stile è un'opera minore, ma a suo modo degna di nota: L'imitation, spiritualité chrétienne africaine. Muovendo da un punto di partenza inconsueto (la quattrocentesca Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis), il burkinabé Jules Pascal Zabre mostra come lo schema dell'imitazione - centrale, in Africa, nell'educazione dei più giovani - corrisponda alla sequela Christi, e anche a un tratto antropologico fondamentale. Quest'ultimo aspetto non appare granché convincente, a differenza delle pagine sull'iniziazione. Rimane il fatto che, anche in questa ricerca, il fulcro è la persona di Gesù.

(da Nigrizia, aprile, 2005)

Letto 2776 volte Ultima modifica il Martedì, 28 Febbraio 2006 11:14
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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