1.a. Eletti in Cristo prima della creazione del mondo
Risulta strano che questa impostazione fosse stata accettata quasi tranquillamente in teologia, perché nella rivelazione biblica non si trovano indicazioni di questo tipo, a cominciare dalla solenne introduzione della lettera agli Efesini: <<Benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale nei cieli ci ha colmati di ogni benedizione spirituale in Cristo. Egli ci elesse in lui prima della creazione del mondo, perché fossimo santi e irreprensibili davanti a lui nell’amore, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi, tramite Gesù Cristo, secondo il benevolo disegno della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, con la quale ci ha gratificati nel figlio diletto>> (1, 3-6).
Ciò che risulta in grande evidenza da questo testo è il progetto unitario di salvezza. Addirittura qui ci si proietta nel mistero di Dio, prima della creazione. Non c’è, quindi, nessun ripensamento, nessuna divisione, né subordinazione di un piano all’altro. Il mondo, la creazione, sono pensati a partire da Cristo, il Figlio, a lui orientati ed in lui realizzati. La fedeltà di Dio, di cui così spesso si parla nella Bibbia, ha una parola certa: Gesù Cristo, il Figlio. Ed in questo senso la fedeltà di Dio è garantita dall’amore che Dio ha per suo Figlio e, mediante di lui, dall’amore che ha per tutti i suoi figli, poiché tutti siamo figli in grazia di lui.
1.b. Leggere la storia in Cristo
E’ bene allora ripassare i vari capitoli della storia biblica, avendo presente questo progetto di Dio, in modo da leggere in profondità quanto la Bibbia ci racconta. E’ stato il metodo scelto e seguito prevalentemente dai Padri della Chiesa, cioè dai teologi che nei primi secoli hanno riflettuto e scritto sulla fede che ci introduce nella vita di Dio. Il metodo non è senza rischi, perché si può essere spinti a cancellare i tempi e le differenze che essi determinano e leggere quindi le cose cedendo all’anacronismo. Non si può parlare espressamente di Gesù Cristo nel tempo di Mosè,come invece è avvenuto nel tempo dei Padri. Tuttavia questa impostazione, liberta dagli eccessi ricordati, presenta il grande merito di considerare le cose nella loro unitarietà. Vogliamo ricordare a questo proposito la grande opera teologica di s. Ireneo di Lione (seconda metà del II secolo), il quale imposta la sua riflessione teologica proprio sul fatto che tutto è avvenuto in Cristo ed in vista di Cristo, a partire dalla creazione del mondo.
1.c. Il nostro bene viene da Dio per mezzo di Cristo nello Spirito
Ma torniamo ora al testo paolino. La benedizione di Dio ci ha raggiunti mediante Cristo. Benedizione nel linguaggio biblico, in special modo in questo caso, significa il bene che ci viene da Dio e che in ultima analisi è Dio stesso. E’ dunque il bene della salvezza, mediante la grazia, cioè mediante l’amore gratuito di Dio, che diventa la qualità della nostra vita. Questo bene si dice ‘spirituale’ nel senso che viene dallo Spirito. E così, in poche righe, abbiamo anche la presentazione dell’autore di questo bene definitivo: è il Dio uno e trino, Padre e Figlio e Spirito Santo. Non deve essere trascurato questo richiamo alla Trinità, perché è successo troppo spesso di relegare questo mistero di salvezza fra le nozioni astratte della fede. Non è una nozione, un’idea, ma il Dio vivo e vero che ci salva.
1.d. La creazione punto di partenza
A partire allora da questo Dio non generico, ma specifico e cristianamente determinato, abbiamo la possibilità di rileggere, in modo unitario, tutta la storia della salvezza, a partire dalla creazione. Essa non è una verità preliminare, situata nella terra di nessuno tra filosofia e teologia, tra scienza e fede che se la contendono o la trascurano, ma è il primo capitolo della storia della salvezza. Infatti la creazione non è un concetto neutro, ma qualitativamente cristiano. E non è neanche il primo progetto di Dio, andato perduto a causa del peccato dell’umanità. E’ semplicemente il progetto di Dio, perché è addirittura subordinato alla nostra elezione in Cristo. Come è stato ricordato nel precedente capitolo, la creazione è una verità di fede. Forse può essere anche una verità filosofica, cosa piuttosto ardua da quel che vediamo dalla storia della filosofia, ma essa si trova a suo agio proprio in casa cristiana. Ed ancora, il significato della creazione lo troviamo veramente e pienamente in Cristo. Noi la storia la leggiamo dopo che è avvenuta; così la creazione la comprendiamo meglio dopo aver conosciuto il mistero di Cristo.
1.e. Il peccato non è la prima né l’ultima parola
Il peccato dell’umanità non è l’interruzione o il fallimento del piano di Dio, che così si vede costretto a riprendere da capo, ed in altro modo, la sua azione a favore dell’umanità. Se così fosse, il peccato sarebbe più forte della forza di Dio e questi sarebbe dipendente dal peccato, anche nella prospettiva della salvezza. Il peccato c’è ed è una cosa seria, ma non blocca l’azione di Dio, la ostacola, e in modo tale che esso non abbia l’ultima parola. Il progetto di Dio scorre unitario secondo la sapienza di Dio, anche se ora la sua realizzazione sarà più ardua, a causa della debolezza dell’umanità, debolezza che non è effetto del nostro essere creature, ma del nostro essere peccatori, anche se salvati e liberati dal peccato, che comunque sempre ci minaccia.
1.f. La verità delle cose è Cristo
In Cristo allora noi possiamo conoscere il senso cristiano della creazione, perché tutto è stato creato per mezzo di lui, Verbo di Dio che ha in sé la vita. La creazione, il creato, le cose che sono nel mondo, in specie le persone, le conosciamo in modo adeguato, quando le conosciamo a partire da Cristo. La conoscenza adeguata del mondo creato, dell’umanità avviene quando vengono letti e visti in Cristo, parola viva di Dio. Egli è veramente la parola che è in grado di esprimere la verità del creato. In questo senso, la verità del mondo ed anche l’unitarietà del progetto di Dio è data dal suo riferimento a Dio, mediante il Cristo e nell’amore santificante dello Spirito Santo.
Il testo paolino ci ricorda ancora che noi siamo stati scelti in Cristo per diventare figli adottivi. Questo aggiunge nuovo colore e vivacità al filo d’Arianna che scorre lungo tutta la storia della salvezza. L’essere figli adottivi, partecipare alla vita di Dio, mediante un amore che tutto avvolge, è la linea della fedeltà di Dio, del suo amore senza fine, appunto perché divino. Su questo punto occorrerà sfatare qualche mito e qualche equivoco. Si ha spesso l’impressione che essere chiamati a diventare figli di Dio sia una questione di cui si possono occupare coloro che hanno l’hobby della religione, ma che non è adatta né dignitosa per gli uomini del nostro tempo, che hanno problemi più seri ed importanti.
1.g. La scelta di fede è determinante per la vita in assoluto
Sarà forse la nostra scarsa capacità di farci capire o altre sfavorevoli occasioni, ma questo è veramente un grosso equivoco. L’essere chiamati a diventare figli di Dio non è altro se non essere chiamati a diventare uomini e donne, persone nel pieno senso del termine. E’ la condizione ‘normale’ dell’esistenza. Per cui quando parliamo del progetto di Dio, non parliamo di cose ormai superate, ma di questione della massima urgenza e di bruciante attualità. E’ il vero destino dell’umanità. Per questo si parla di progetto unitario ed originario, ed è tale perché si sposa con i desideri più profondi e veri del n ostro cuore, che non è privo di intelligenza. La fedeltà di Dio che si disvela nella realizzazione di questo progetto non è un accessorio, un sopramobile, ma il suo essere stesso pieno di amore e di ‘simpatia’ per le sue creature. Coloro che entrano in questo modo di vedere le cose e cominciano a viverle in modo naturale, non solo non perdono qualcosa, ma entrano nella pienezza della loro umanità, che in certo qual modo diventa ‘vangelo’ cioè annuncio di grazia e di salvezza.