II. DIO VUOLE SALVARE TUTTI GLI UOMINI E TUTTO L’UOMO
don Marino Qualizza
2. Incarnazione, redenzione e salvezza integrale
La fede cristiana si caratterizza per una verità di estrema ed insostituibile importanza: afferma l’incarnazione del Figlio di Dio, nel vangelo di Giovanni chiamato anche Verbo di Dio. E’ questo il dato veramente originale e costitutivo della fede cristiana. L’incarnazione afferma che il Figlio di Dio, unico Dio con il Padre e lo Spirito Santo, è diventato uomo. Per coloro che sono stati abituati a sentire da sempre questa affermazione e a non riflettere mai sul suo significato, la cosa non impressiona più di tanto. Dire che lascia indifferenti forse è troppo, ma poco ci manca. Ma coloro che cominciano veramente a domandarsi che cosa tutto ciò significhi, la cosa si presenta subito complicata e, al limite, incredibile.
2.a. L’incarnazione del Figlio di Dio non è un dato ovvio
Cerchiamo di capire le cose. Che il Dio infinito ed onnipotente si faccia finito e debole, limitato e soggetto alle debolezze umane, anche se escludiamo il peccato, non è la cosa più ovvia e semplice. Diciamo che è addirittura abbastanza incredibile. Ed è il caso di insistere su questo aspetto, se non vogliamo che tutto finisca nella banalità. Qui è importante quell’atteggiamento che troviamo all’origine o perlomeno come accompagnamento del sentimento religioso: la meraviglia. E’ meraviglioso che il Dio di Gesù Cristo si sia rivelato a noi e si sia donato a noi nel Figlio suo fatto uomo. Qui sta il punto: se noi consideriamo l’incarnazione ancora una volta come una verità astratta, allora la cosa ci lascia del tutto indifferenti. Ma se la vediamo nella luce del dono di Dio a noi, le cose assumono un altro significato e noi siamo direttamente interpellati. Non si tratta di un gioco intellettuale o mitico, ma della nostra stessa vita, della riuscita della nostra esistenza. Entriamo in gioco in prima persona. Dio entra nella nostra vita mirando a noi, alla nostra salvezza.
2.a. L’incarnazione del Figlio di Dio non è un dato ovvio
Cerchiamo di capire le cose. Che il Dio infinito ed onnipotente si faccia finito e debole, limitato e soggetto alle debolezze umane, anche se escludiamo il peccato, non è la cosa più ovvia e semplice. Diciamo che è addirittura abbastanza incredibile. Ed è il caso di insistere su questo aspetto, se non vogliamo che tutto finisca nella banalità. Qui è importante quell’atteggiamento che troviamo all’origine o perlomeno come accompagnamento del sentimento religioso: la meraviglia. E’ meraviglioso che il Dio di Gesù Cristo si sia rivelato a noi e si sia donato a noi nel Figlio suo fatto uomo. Qui sta il punto: se noi consideriamo l’incarnazione ancora una volta come una verità astratta, allora la cosa ci lascia del tutto indifferenti. Ma se la vediamo nella luce del dono di Dio a noi, le cose assumono un altro significato e noi siamo direttamente interpellati. Non si tratta di un gioco intellettuale o mitico, ma della nostra stessa vita, della riuscita della nostra esistenza. Entriamo in gioco in prima persona. Dio entra nella nostra vita mirando a noi, alla nostra salvezza.
2. c. Il peccato è perdizione
Tuttavia la redenzione ci richiama al fatto che la storia del mondo,per quanto dipende dagli uomini, non è storia di salvezza, ma di perdizione. E Dio, che da sempre è salvezza dell’uomo, entra nella storia degli uomini anche come redentore, del tutto immeritato e quindi del tutto gratuito; questa volta a titolo anche speciale. Redenzione infatti, in senso stretto significa che gli uomini hanno bisogno che qualcuno li tiri fuori da una situazione di perdizione. E questa non riguarda aspetti secondari o qualche episodio veniale; riguarda la possibilità stessa di una realizzazione umana, che in quanto tale non può essere confinata a questo tempo e a questo spazio. Se la redenzione fosse limitata a questa nostra esistenza e alla soluzione dei problemi che la caratterizzano normalmente: il mangiare, il bere, il vestirsi, il riprodursi, non ci sarebbe bisogno di scomodare Dio, anche se la soluzione di questi problemi quotidiani è tutto fuorché pacifica, proprio in questo nostro mondo. La FAO insegna.
2. d. La salvezza riguarda l’uomo nelle questioni fondamentali
Il problema diventa drammatico quando noi ci interroghiamo sulle questioni fondamentali dell’esistenza, non tanto in senso orizzontale quando nella dimensione verticale: da dove veniamo e dove andiamo? Sono domande che prima o poi a tutti si presentano ed alle quali non siamo in grado di rispondere, non in senso teorico, ma in quello pratico, che qui conta sommamente. E perché questo? Per una duplice ragione, che qui ricordiamo nuovamente, dopo averne già accennato nel primo capitolo. L’uomo è creatura che realizza la sua vita nel rapporto con Dio. L’uomo è peccatore e in quanto tale si trova nella condizione di non potersi realizzare, di non raggiungere lo scopo della sua vita, che è Dio, appunto perché con il peccato si è precluso a Dio. E per definizione non è in grado di raggiungere Dio senza di lui. Qui c’è il dramma della nostra umanità, ma anche l’intervento misericordioso di Dio, il Dio che salva e redime.
2. e. Dio è prima del peccato
Ma questo Dio è da sempre la salvezza dell’umanità. Questa non ha ‘bisogno’ di Dio perché è peccatrice, ma perché è creatura. La sua verità, la sua felicità è data dal rapporto con Dio. Il peccato è un ostacolo a questo rapporto creaturale con Dio, dunque un ostacolo alla realizzazione ‘normale’ dell’uomo. Qui dunque, avviene il fatto straordinario e doppiamente gratuito: Dio interviene a salvare l’umanità da questa condizione di peccato e di alienazione, perché possa ritrovare se stessa in Dio. Egli dunque non è un di più, doppiamente: in quanto creatore e in quanto redentore.
Tutto questo ha trovato la sua piena e concreta attuazione nella vita di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio fatto uomo. Ora la sua esistenza contiene in sé e opera qualcosa di straordinario e di semplice allo stesso tempo. Egli in sé, è pienezza di vita e di verità, come i testi del NT ci documentano, in particolare il prologo e il capitolo 14 del vangelo di Giovanni. E questa pienezza la dona a noi, perché diventiamo partecipi della sua vita, ricevendo da lui grazia su grazia. Gesù è l’uomo veramente realizzato e perfetto, l’uomo riuscito per la semplice ragione che è il Figlio di Dio, unito al Padre con un amore indissolubile ed eterno. E’ l’unione con il Padre, che egli vive in quanto Dio e in quanto uomo, la radice della sua perfezione. Che è quanto dire: in Dio si trova la piena realizzazione della nostra vita. Non che non essere ostacolo alla nostra piena umanità, ne è la radice stessa ed il compimento infinito, aldilà di ogni desiderio umano.
2. f. Gesù salvatore di tutto l’uomo
Da Gesù ci viene dunque la salvezza totale ed integrale. Essa si riferisce tanto all’anima che al corpo e non è limitata a qualche aspetto o episodio della vita, ma riguarda la vita in quanto tale e per sempre. C’è stato un tempo in cui si insisteva unilateralmente sulla salvezza dell’anima, magari con qualche citazione biblica adatta allo scopo:<<Che cosa giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? >> (Mc 8, 36). Questa non è l’unica traduzione possibile, ma è una traduzione che ha trovato stabile dimora fra i predicatori, con l’accentuazione di una salvezza che riguardava l’anima e non, come suggerisce il testo, letto in prospettiva più fedele, la vita. E’ della vita che si tratta, dell’uomo intero, della persona concreta, anima e corpo. Del resto questo è in linea con l’incarnazione. Non affermiamo che Gesù è un uomo a metà, e soprattutto, dopo con la risurrezione diciamo che è stato glorificato nella sua piena e integra umanità: corpo e anima.
2. g. Anima e corpo
La salvezza è dunque integrale, perché riguarda la verità dell’essere umano, ma è integrale anche per un altro aspetto, anch’esso degno della più grande attenzione. La salvezza che Dio ci dona in Cristo, nella grazia dello Spirito, riguarda il destino finale dell’uomo e quindi non un episodio della vita, e neanche l’ultimo istante della vita stessa. Ma si riferisce al valore della vita nel suo rapporto con Dio.ora questo non viene in questione solo quando si è giunti al traguardo fisico della vita. Questo riguarda tutta la vita ed in ogni tempo. San Tommaso d’Aquino ha espresso in una formula efficace la verità di questa vita che si vive nella fede, intesa come rapporto con Dio: la fede è l’inizio della vita eterna a cominciare da questa vita.
2. h. Nella vita e oltre la morte
In altri termini, la fede illumina tutti gli aspetti della vita, orientandoli al loro fine e dando agli uomini la possibilità di valutare, giudicare, scegliere, rinnovare, impegnarsi, avendo di mira non questioni secondarie, ma il bene assoluto. Da qui anche quella certa serenità che caratterizza la vita del credente, che lo aiuta a relativizzare ciò che va relativizzato e a dare importanza a ciò che veramente conta. Non bisogna tacere il fatto che la vita del credente può essere una vita felice, non necessariamente allegra, anche in mezzo alle difficoltà, che non sono proprietà privata dei credenti.