Formazione Religiosa

Sabato, 23 Luglio 2011 11:16

Secondo Marco, Matteo e Luca (Benoît Merlin)

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Questi tre Vangeli hanno degli schemi simili e comportano molti passi identici, perciò sono detti sinottici. Al di là della loro singolarità, ognuno di essi attesta la volontà del suo autore di trasmettere l’insegnamento del Cristo.

I primi tre Vangeli, detti sinottici, hanno molti passi in comune. Sono tuttavia stati scritti in momenti diversi e da autori diversi. La tradizione li ha attribuiti a Marco, Matteo e Luca, di cui portano il nome. Emergono tratti comuni della persona di Gesù, ma gli episodi della sua vita sono riferiti e ordinati secondo la personalità, la sensibilità degli evangelisti  e i destinatari dei Vangeli.
I Vangeli sono stati redatti nel I° secolo: intorno al 70 per Marco, e intorno all’80 per Matteo e Luca. A quale fonte hanno attinto gli evangelisti? Certamente la formazione dei libri è passata attraverso vari stadi. Gesù, un Ebreo che ha condotto una vita riservata a Nazareth fino ai trent’anni,  ha avuto una attività di predicatore ambulante soltanto per due o tre anni prima della morte. Molte persone lo hanno seguito nei suoi viaggi. Più tardi la visione della Chiesa si struttura intorno a dodici di essi, gli apostoli. Dopo la morte di Gesù, dagli anni 30, gli apostoli si disperdono  per annunciare la sua resurrezione e proclamare la memoria delle parole e dei gesti di colui che ormai è da loro riconosciuto come il Cristo. Gli evangelisti ereditano questa tradizione orale e tentano di fissarla e trasmetterla per edificare delle comunità di discepoli (le Chiese) dalle culture e sensibilità diverse. L’anteriorità del Vangelo di Marco rispetto agli altri due sinottici è un’ipotesi oggi generalmente ammessa, in quanto riunisce dei passi comuni ai tre e omette molti eventi propri a Luca e Matteo. La fonte “Q” (dal tedesco Quelle fonte), una sorta di antologia di parole di Gesù,  - oggi perduta – sarebbe servita a Matteo e a Luca per elaborare il  loro testo, oltre alle loro fonti e tradizioni personali.
Poiché hanno una portata più universale di altri testi, questi tre Vangeli sinottici, come anche quello di Giovanni (il quarto e ultimo)sono stati ben presto considerati come punti di riferimento per i credenti della grande maggioranza delle Chiese. Sono anche stati accettati da loro come i Vangeli canonici.
Gli altri scritti, oggi chiamati apocrifi, si rivolgevano ad ambienti più ristretti, e davano al Cristo una dimensione prodigiosa. Nei sinottici Gesù è prima di tutto il Messia, e suoi miracoli confermano la sua parola e sono segni proposti alla fede dei credenti.

Il Vangelo secondo Marco o la ricerca dell’identità di Gesù

Il Vangelo secondo Marco è attribuito a lui nel IV° secolo da Eusebio di Cesarea, il quale riferisce testimonianze che descrivono Marco come compagno dell’apostolo Pietro a Roma. Prima o poco dopo il martirio di Pietro, Marco avrebbe ritrascritto fedelmente il suo insegnamento. Il suo Vangelo si rivolge particolarmente alle popolazioni pagane romane. Il suo racconto è adattato ai catecumeni (persone che si preparano al battesimo) e risponde alla domanda: Chi è Gesù Cristo? Marco inizia il suo vangelo con: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). Ecco una affermazione che può sembrare enigmatica al  lettore. Il Vangelo si presenta come un itinerario capace di condurre il credente a scoprire chi è Gesù. Per due volte viene data una risposta sulla sua identità: al momento della professione di fede di Pietro, un Ebreo, che lo chiama “Messia” (Mc 8,29-30), poi con la confessione di fede di un pagano, il centurione romano ai piedi della croce, che lo chiama “figlio di Dio”. Il testo di Marco consente al lettore di vedere la conferma di tali affermazioni seguendo il cammino proprio dei discepoli. Tutto il racconto è centrato sul destino di Gesù, la cui finalità è la passione, la morte e l’annuncio della risurrezione. Esso non può essere compreso se non alla luce di questi ultimi eventi che, nello stato iniziale del Vangelo, determinano la sua finale.
Infatti, nella prima versione del Vangelo di Marco, Maria di Magdala, Maria e Salome trovano, spaventate, il sepolcro vuoto: e un giovane annuncia loro la resurrezione. L’ultimo capitolo che riferisce l’apparizione di Gesù risorto sarà aggiunto più tardi. Marco mette il lettore davanti a un mistero e dice l’emozione delle donne: Hanno paura e sono stupefatte. Ciò è in contrasto con i racconti di Matteo e di Luca nei quali esse corrono ad annunciare la buona notizia. Marco chiude il suo Vangelo sull’incomprensione dei contemporanei di Gesù di fronte al suo messianismo e alla sua passione, aspetto primordiale che costantemente sviluppa. Eppure fra la predicazione di Giovanni Battista, che apre il racconto, e la scoperta della tomba vuota, si succedono miracoli e insegnamenti, fra cui uno specialmente destinato ai discepoli. Negli episodi della tempesta sedata e del suo camminare sulle acque, Gesù mette alla prova la loro fede.
A ogni miracolo Gesù esorta i testimoni della scena a tacere: è quel che si chiama il “segreto messianico”. Esso può essere spiegato prima di tutto con lo scetticismo dei circostanti: Gesù non indica chiaramente la sua identità e non vuole offrire l’immagine di un guaritore o di un messia politico. Con questa frase ricorrente Marco indica al lettore un certo modo di percepire le guarigioni, al di là dei miracoli e delle metafore illustrate dalle parabole: Gesù, uomo, è il rappresentante del Padre, Dio. Il segreto messianico potrebbe trovare la sua origine anche nel contesto della redazione del Vangelo: Marco si rivolgerebbe alla comunità dei cristiani perseguitati, invitata a non trasmettere in un primo tempo la rivelazione cristiana che a coloro che si associano volontariamente.
La narrazione dell’ultima cena di Gesù e dei suoi discepoli ha come punto centrale l’istituzione dell’Eucaristia (Gesù vi benedice il pane, lo spezza e condivide una coppa di vino). Non soltanto è l’ultimo atto di Gesù prima della sua passione. ma alla sua luce l’evangelista rilegge la vita del Cristo: è il Figlio di Dio, tradito da Giuda e rinnegato da Pietro (i due passi inquadrano l’Eucaristia) che offre il suo corpo e il suo sangue. Inoltre il racconto di questa cena pasquale ha una vocazione liturgica: il vino, che raffigura il sangue di Cristo, versato per una alleanza nuova fra Dio e gli uomini, deve divenire una pratica cultuale per la comunità dei credenti, che perpetua così il sacrificio di Cristo.

Matteo: un racconto per cristiani di origine ebraica

Il Vangelo secondo Matteo è nato senza dubbio in comunità della Siria-Palestina, forse ad Antiochia. La tradizione cristiana dal II° secolo ha attribuito questo testo a Matteo. Insegnante, specialista ebreo della legge e dei profeti, Matteo è diventato cristiano. Il suo racconto è destinato a una comunità giudeo-cristiana, oscillante fra la continuità dell’eredità e la rottura determinata dalla novità rispetto alla legge mosaica (ereditata da Mosè). Le controversie con i  Farisei, per esempio, fanno notare le esitazioni dell’autore: una vita cristiana include la fedeltà alla Legge? Egli mette la sua conoscenza dell’Antico Testamento a servizio del messaggio di Gesù. Nei “Discorsi evangelici” di Gesù: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento" (Mt 5,17). Matteo enuncia precetti di vita alla maniera della pietà ebraica: fare l’elemosine, pregare in segreto (il Pater), digiunare…
Per Matteo l’autorità di Gesù supera quella dei profeti Mosè ed Elia (del Libro dei Re). Matteo fa di Gesù il nuovo Mosè, cioè il nuovo maestro della Legge. “Le Beatitudini” (Mt 5,1.13) o “Il discorso della montagna” raccontano come Gesù salì sulla montagna e vi si sedette per insegnare alla folla. Il luogo ha un alto valore simbolico: rimanda al Sinai di Mosè, luogo della rivelazione della volontà di Dio.. Ma Gesù è il sovrano interprete della Legge, mentre il profeta ebreo le deve fedeltà e sottomissione. Inoltre, proprio come Luca, racconta la prima infanzia di Gesù e le dà una dimensione particolare, mettendo in parallelo il destino di Mosè e quello di Gesù: ambedue vivono la fuga in Egitto, minacciati dell’infanticidio ordinato dal faraone per l’uno e da Erode per l’altro; per Matteo è la “Strage degli Innocenti”.
Il Vangelo di Matteo contiene molte più parole di quello di Marco. Matteo ha un interesse particolare per le prediche di Gesù riguardanti il suo destino. Egli articola il suo Vangelo intorno a cinque discorsi: evangelico, apostolico, parabolico, ecclesiastico ed escatologico. Questi sono inseriti nella narrazione, il discorso non prende senso se non integrato nel racconto della vita di Gesù. La sua esistenza è giustificata dalla predicazione. Attraverso i cinque discorsi Gesù pone le basi  di una istituzione ecclesiale: il discorso apostolico serve a perpetuare il messaggio di Cristo che manda i discepoli in missione, mentre il discorso ecclesiastico parla delle relazioni fra i membri della comunità.
Proprio come in Marco, la professione di fede di Pietro è un momento chiave nel racconto. Il discepolo è incaricato di vegliare alla trasmissione dell’insegnamento del Cristo e nell’adempiere questo dovere sarà il fondamento, la base solida della Chiesa. Dopo che ha riconosciuto Gesù come Cristo e Figlio di Dio, questi gli dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16,18).

Il Vangelo secondo Luca, un testo per i pagani

Ellenista colto, probabilmente di origine pagana, l’autore del Vangelo secondo san Luca destina il suo libro ai cristiani venuti dal paganesimo. Luca è anche l’autore degli Atti degli Apostoli; Vangelo e Atti costituiscono dunque un unico dittico, un'opera in due parti, con richiami da un testo all’altro. Fin dalla sua dedica iniziale a un certo Teofilo, tipica dei testi greci, Luca annuncia il suo progetto letterario. Il suo stile preciso e profondo è destinato a consolidare la fede del credente.
Come in Matteo, Gesù è il nuovo profeta; è un inviato di Dio, ma sottolinea la differenza, perché è un profeta, ma anche il Messia, il Figlio di Dio. Il racconto di Luca ha una dimensione etica. Spesso vi è presente la nozione di durata: il regno di Dio come la salvezza degli uomini non possono essere la faccenda di qualche anno. Gesù stesso vive questo cammino da Nazareth a Gerusalemme. Per Luca l’espansione della Buona Novella richiederà tempo, a misura della generazioni successive. Il Vangelo di Luca è redatto verso l’80, in un’epoca turbata dalle persecuzioni dei cristiani. La forma del suo testo potrebbe far comprendere che esse sono tappe necessarie nella loro storia, prima della venuta finale del Figlio dell’uomo.
Più che etico, il Vangelo di Luca è talvolta qualificato come sociale, poiché mette l’accento sulla compassione di Gesù verso i poveri, le donne o i peccatori. La nascita di Gesù è annunciata ai pastori e il racconto della sua infanzia è il più completo tra i i sinottici: vi è mostrata tutta l’umanità del Cristo. Dante Alighieri lo chiamerà “l’evangelista della tenerezza di Dio”. Gesù non condanna le ricchezze, ma le giudica incompatibili con la vita del credente (la parabola del ricco stolto: Lc 12,16-21). Egli insiste sulla condivisione con i poveri e anche sulla scelta fra Dio e il denaro (presentato come un idolo).
Egli è anche l’evangelista del perdono: Nei passi riguardanti la storia di uomini sviati (Zaccheo o il figlio prodigo), sottolinea l’amore di Dio per i suoi figli; Gesù aiuta ad accogliere la misericordia di Dio. Il perdono è gratuito, fino alla Croce, dove annuncia al buon ladrone la sua entrata nel paradiso. Luca si colloca in una prospettiva di continuità, il perdono resta valido, perché per il momento, Gesù lo dice lui stesso: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc23,34).
Scrivendo le parole e gli atti di Gesù, gli evangelisti confermano e trasmettono il suo insegnamento, attualizzandolo.
Ognuno dei Vangeli sinottici attesta, nella persona di Gesù Cristo, il compimento della speranza degli Ebrei dell’Antico Testamento. Il lettore è portato a riconoscere la presenza di Dio nella storia dell’uomo e l’avvento della sua liberazione. Dio si è fatto uomo per vincere il disordine e l’ingiustizia. Aderire alla parola di Cristo implica un modo di vita specifico, una rottura con le pratiche di prima. La fede che i discepoli diffonderanno è quella di una religione del cuore, che riconfigura la nozione del sacro.

Benoît Merlin

(da Le Monde des religions,  n. 14 - Dossier: Les Évangiles)

 


La guarigione della suocera di Simon Pietro

 

Marco 1,29-32

“E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli”.

 

 

Gesù è colui che rialza. La sua autorità è suggerita, egli è capace di rimettere in piedi coloro che sono malati.

Appena la donna è alzata avvengono due conseguenze. Prima di tutto la febbre la lascia e a quell’epoca la febbre non è considerata come un sintomo ma come una malattia, cioè come una forma estranea che si impadronirebbe del corpo. Poi la suocere la serve. “Li” designa Gesù e i discepoli: è una caratteristica di Marco che non li dissocia mai, mettendo l’accento sulla comunità di vita “con” Gesù.

 

Luca 4,38-39

“Uscito dalla sinagoga entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò. Levatasi all'istante, la donna cominciò a servirli”.

 

 

 

Luca vuole mettere in evidenza il potere di Gesù. Infatti fin dall’inizio aveva avvertito che Gesù era venuto con “la potenza dello Spirito” (Lc 4,14). La guarigione della suocera ne è una illustrazione. Il caso di possesso vi è implicito. Gesù minaccia la febbre quasi fosse una forza estranea. Non usa alcun gesto, la sua parola basta e ha un effetto immediato. Con “all’istante” Luca vuole insistere sulla esemplare reattività della donna: appena è liberata da quel che la asserviva essa serve. Per guarirla Gesù si china sopra di lei, manifestando così la benevolenza e la bontà della misericordia di Dio.

Matteo 8,14-16

“Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la suocera di lui che giaceva a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo.”

 

 

 

 

Il testo di Matteo è più sobrio, tende a presentare un Gesù vincitore delle malattie. Egli e la suocera sono visibilmente soli nella casa. È dunque lui che prende l’iniziativa della guarigione. Un gesto e l’effetto è immediato. Matteo vuole ricordare che il Cristo è colui che, secondo l’oracolo di Isaia “ha preso le nostre infermità e si è caricato della nostre malattie” (Mt 8,17). Spetta a lui di compiere le Scritture. La scena avviene nella casa di Pietro, nome che Matteo utilizza pochissimo nel resto del suo racconto. Usato qui, Pietro è sinonimo di Chiesa.Il passo ha una dimensione cristologia (per la guarigione e per il compimento dell’oracolo) ed ecclesiale (colui che è guarito deve entrare nella comunità dei credenti per servire).

 

 

Letto 8342 volte Ultima modifica il Sabato, 23 Luglio 2011 11:49
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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