Formazione Religiosa

Venerdì, 04 Luglio 2014 09:00

Spiegare o celebrare? (Riccardo Barile)

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Lo scopo delle monizioni è di «illustrare il significato del rito» e di «invitare il popolo a una partecipazione attiva e consapevole».

«I riti splendano per nobile semplicità; siano chiari per brevità ed evitino inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (Sacrosanctum Concilium [= SC] 34; cfr. anche 33).
«[...] Negli stessi riti siano previste, se sono necessarie, brevi didascalie (breves admonitiones)» (SC 35,3).

Ciò che nella SC era un progetto, ora è attuato, ma con le monizioni da lungo auspicate (1), sembra che i riti abbiano di nuovo bisogno di 'molte spiegazioni'. Fallimento della riforma?

1. Perché e quando spiegare?

«La migliore catechesi sull'eucaristia è la stessa eucaristia ben celebrata» (2). Il rito ha la forza di illuminare e rigenerare chi lo celebra e in questo senso non c'è bisogno di spiegare.
Ma al rito bisogna arrivarci. Infatti una celebrazione «è intessuta di segni e di simboli» e «il loro significato si radica nell'opera della creazione e nella cultura umana, si precisa negli eventi dell'antica alleanza e si rivela pienamente nella persona e nell'opera di Cristo» (Catechismo della Chiesa Cattolica [= CCC] 1145). Ciò significa che le azioni e i segni rituali «prendono significato» dalla sacra Scrittura (SC 24); significa ancora che chi partecipa a un rito deve essere in grado di saper passare «dal visibile all'invisibile, dal significante a ciò che è significato, dai 'sacramenti' ai 'misteri'» (CCC 1075). E la 'catechesi mistagogica', alla quale spetta di «interpretare i riti alla luce degli eventi salvifici, introdurre ai senso dei segni contenuti nei riti, mostrare il significato dei riti in relazione alla vita cristiana» (3).
Tutto questo esige la formazione liturgica dei fedeli, che è uno dei compiti della catechesi (4) e che non può avvenire nel rito, dove però sono possibili dei 'richiami': le monizioni.

2. Che cos'è una monizione?

Il verbo latino monere non sempre è reso con 'fare una monizione', ma in modo assai vario: ricordino, esortino (OGMR 282), ci dice (Proemio 2), sono esortati (OGMR 39), avverte (OGMR 150), invito (OGMR 239), indicazioni (OGMR 43), ecc. È poi interessante verificare nello stesso contesto la parola introdurre/introduzione, usata autonomamente o accostata a monizione (OGMR 31, 50, 71, 105, 124, 128, 177,197, 264; Ordo Lectionum Missae [= OLM] 15, 42).
Se passiamo a una descrizione delle monizioni, queste sono «interventi verbali fatti dall'animatore o altro ministro», «breve spiegazione, data dal celebrante principale o da un membro del gruppo liturgico», «appartengono al genere omiletico», ecc.
Lo scopo delle monizioni è di «illustrare il significato del rito» e di «invitare il popolo a una partecipazione attiva e consapevole» (5). Ogni monizione oscilla tra una spiegazione oggettiva e un invito a ravvivare la fede per entrare nel rito o nel messaggio, tanto che le descrizioni di cui sopra si chiarificano aggiungendo tale finalità: interventi e spiegazioni 'per' «introdurre, spiegare qualche formula o qualche rito», «guidare l'assemblea», «stimolare il desiderio per la Parola» (6).

3. In pratica che cosa fare e che cosa non fare?

Non anticipare sia nella parola (i contenuti delle letture) sia nel rito: «Non si tratta di spiegare 'come si svolge', ma di aprire al senso, di indicare, di mettere in cammino» (7). La monizione che anticipa e descrive toglie al rito la sua forza e la sua 'novità', insomma, è un po' come... i rapporti prematrimoniali!
Alludere e risvegliare. Il rito non sopporta un discorso complesso e strutturato, mentre integra bene allusioni a catechesi precedenti, ad altri riti, a situazioni di vita che fanno entrare nel rito stesso. E poi la monizione deve talvolta risvegliare l'attenzione e la fede.
a) Restare nella brevità. Tale è il vocabolario applicato alle monizioni «sobrie» (OLM51); «con poche parole» (OGMR 31); «breve/ brevemente» (5C35,3; OGMR 71, 105, 124, 138; OLM 15, 19); «molto breve» (OGMR 128); «brevissima» (OGMR 50); «con brevissime parole» (OGMR 31), ecc. Invece la lunghezza trasforma la monizione in un elemento a sé, perdendo così la funzione introduttoria al testo o al rito. La parola breve va poi pensata prima e talvolta scritta, poiché la parola spontanea spesso tende a strabordare.
b) Restare nella fedeltà. Le monizioni nella liturgia della Parola devono essere «fedeli al testo» (OLM 15); negli altri casi «il sacerdote faccia in modo di conservare sempre il senso della monizione proposta nel Messale» (OGMR 31). Le monizioni appartengono al genere della 'creatività su schema' che suppone di conoscere il senso di un testo o di un rito, oltre naturalmente la situazione dell'assemblea, altrimenti invece di trasmettere si tradisce.

4. Le monizioni nella messa: chi e quando?

Certe monizioni sono del presidente, come alla preghiera dei fedeli o al Padre nostro (OGMR 71, 138, 152, 237; OLM 43); il diacono può intervenire con «opportune monizioni», in particolare allo scambio della pace (OGMR 171, 239; OLM 42), e così il commentatore, ma non all'ambone (OGMR 105; OLM 57). In ogni caso «spetta al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell'assemblea radunata, formulare alcune monizioni» (OGMR 31; OLM 38, 42): ciò significa che le monizioni sono primariamente un compito presidenziale e in ogni caso devono avvenire in accordo e sotto la direzione di chi presiede. Seguendo le indicazioni dell'OGMR 31, il sacerdote può intervenire:
«Dopo il saluto iniziale e prima dell'atto penitenziale... con brevissime parole, per introdurre i fedeli alla messa del giorno», intervento possibile anche a un diacono o ad altro ministro laico (OGMR 50, 124) e che può consistere nell'adattare a monizione l'antifona di introito (OGMR 48), oppure nel richiamare il carisma del santo del giorno o le circostanze particolari di una celebrazione, di una certa assemblea, ecc.
«Alla liturgia della Parola, prima delle letture», intervento possibile al sacerdote, oppure al diacono o al commentatore (8) (OGMR 128; OLM 38, 42). Scopo è di aiutare all'ascolto «suscitando un atteggiamento di fede e di recettività volenterosa» (OLM 42). Genere letterario o qualifica è di essere «semplici, fedeli al testo, brevi, ben preparate e variamente intonate al testo» (OLM 15).
In concreto si può fare una monizione unitaria o alle singole letture e l'esperienza consiglia di attenersi a certi accorgimenti (9). Anzitutto non anticipare il contenuto del testo e prevedere una persona altra da chi farà la lettura per evitare che monizione e lettura vengano percepite come un tutt'uno e, in questa linea, l'ottimo è che la monizione non sia proferita all'ambone. Di fatto la monizione potrà consistere in: qualche indicazione sul contesto della lettura; posizionare una lettura in una data celebrazione; precisare il contesto storico (persona dell'agiografo poco noto, periodo, problemi dell'epoca); chiarire un'eventuale parola o espressione difficile; risvegliare l'attenzione a una domanda o a un problema anche nostro senza anticipare come il testo lo risolve (ci troviamo nell'ingiustizia, nella sofferenza... anche il profeta Amos, anche Giobbe vi si sono trovati... ascoltiamo lo Spirito che per mezzo loro ci illumina); riproporre, sviluppata di poco, la didascalia delle letture che si trova nel Lezionario.
Infine sono possibili anche «brevi monizioni che illustrino la scelta del salmo e del ritornello e la loro concordanza tematica con le letture» (OLM 19).
c) «Alla preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio, naturalmente mai nel corso della preghiera stessa», possibilità che aiuta fedeli e presidente a intrare in canonem. Può consistere nell'evocare qualche tratto della preghiera eucaristica, oppure nel ricordare che ognuno è stato battezzato e cresimato proprio per arrivare a questa preghiera che il presidente pronuncia al plurale a nome di tutti.
d) «Prima del congedo, per concludere l'intera azione sacra» (non sono gli avvisi). In certe circostanze festose può consistere nel rievocare e rilanciare la gioia della celebrazione che si sta 'compiendo'.
Naturalmente non sempre bisogna attuare tutto!
Vi sono poi altre celebrazioni più complesse come il Triduo pasquale, la domenica delle Palme, il mercoledì delle ceneri, il 2 febbraio, ecc.: in tali circostanze è meno opportuno discostarsi troppo dalle monizioni previste in quanto queste solennità plasmano il popolo - e il presidente - proprio con il ritorno degli stessi testi e degli stessi riti. Forse è preferibile un'introduzione all'inizio, riducendo a pochi e sobri gli interventi del commentatore.

5. Perché le monizioni ?

Le monizioni sono adattamenti in vista non solo del buon spirito liturgico, ma dell'efficacia pastorale (OGMR 23s.) e sono relative all'assemblea, tanto che si tralasciano nella messa «solitaria» (OGMR 254). La loro discreta presenza crea un clima dì famiglia e anche di comunicazione più personale tra il presidente e l'assemblea, altrimenti la celebrazione rischia di risultare asettica e anche decontestualizzata. Anzi, nelle monizioni «la voce deve corrispondere al genere del testo» (OGMR 38): più vicina al microfono, leggermente più bassa di tono, più confidenziale, ecc. per avviare poi al tono più oggettivo dell'eucologia e delle letture e all'armonia della gestualità rituale.

Riccardo Barile

1) II n. 13 del Proemio all'OGMR lega le monizioni a «certe prescrizioni del concilio di Trento che non erano state dovunque osservate», probabilmente la richiesta di esporre al popolo qualcosa «ex bis quae in missa leguntur» (D 1749).
2) Benedetto XVI, Esortazione postsinodale Sacramentum caritatis (22.02.2007) 64, in EV 24/181.
3) Ibid., in EV 24/182-184.
4) Cfr. SC 19; CCC 1095; Congregazione per il clero, Direttorio generale per la catechesi Concilium Vaticanum II (15.08.1997) 85, in EV 16/849.
5) Messale, domenica delle Palme. Cfr, analoga formula il 2 febbraio prima della benedizione delle candele.
6) V. Raffa, Liturgia eucaristica, C.L.V. - Edizioni Liturgiche, Roma 2003,31; Centro NAZIONALE DI PASTORALE LITURGICA - Parigi, Exultet, Queriniana, Brescia 2002, 485; J. Lebonin Aa.Vv., Assemblea santa, Dehoniane, Bologna 1990,368.
7) J.C. Crivelli in Aa.Vv., Assemblea santa, 360.
8) In questo caso «normalmente scritte e approvate in precedenza dal celebrante» (OLM 57).
9) Cfr. C. Duchesneau, Parola del Signore, Marietti, Casale M. 1983, 108s.; Id., Manuale del lettore, ElleDiCi, Leumann 1997, 26.

(tratto da Rivista di Pastorale Liturgica, 1/2011, pp. 44-49)

 

Letto 6992 volte Ultima modifica il Sabato, 05 Luglio 2014 09:22
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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