La Scrittura
ALCUNE RIFLESSIONI
SULLA PAROLA DI DIO FISSATA PER ISCRITTO
Nelle pagine della Bibbia, la Parola di Dio giunge a noi fissata per iscritto. Suscita un certo interesse riflettere su questo dato, per cercare di capire come Dio giunga fino a noi e come Egli continui a parlare, nel Suo Spirito, attraverso parole fissate per sempre e sempre nuove, nella insondabile e perenne attualità del Suo Spirito. L’esempio che offre il profeta Geremia si rivela a questo fine particolarmente significativo: conviene quindi fondare le nostre considerazioni da quanto viene detto in questo libro biblico, sulla fissazione per iscritto della sua profezia (1).
In Geremia il motivo dello «scrivere» e quello del «libro» sono assai frequentemente attestati (katab, scrivere: 19 volte; sefir, libro: 24 volte; si aggiunga anche il termine megillah, rotolo: 14 volte, tutte nel cap. 36). Fra queste numerose occorrenze ne evidenziamo tre che parlano dei tre «libri» scritti da Geremia (che riproducono la totalità del suo libro attuale).
1. Abbiamo anzitutto il libro di cui parla ampiamente il cap. 36, scritto - da Baruc sotto dettatura di Geremia (36,4.6.18.27); esso ha per contenuto fondamentale gli oracoli contro Giuda, e per questa ragione il re Ioiaqìm lo brucia (v. 23). Geremia ne detterà un altro a Baruc, con le stesse parole di prima e l'aggiunta di parole simili (v. 32). Queste annotazioni hanno indotto alcuni studiosi a tentare di ricostruire il contenuto del rotolo primitivo, il famoso «rotolo originario», di cui parlano tutte le Introduzioni al profeta Geremia.
2. Si parla in secondo luogo del libro che contiene gli oracoli contro le nazioni, a cui fa riferimento 25,13. Il versetto appare in verità un po' contorto (2); riferendosi a Babilonia dice: «Farò venire contro questo paese tutte le mie parole dette contro di esso, tutto quello che è scritto in questo libro che Geremia profetizzò contro tutte le nazioni». Possiamo pensare vi sia almeno un'allusione a 51,60, dove si dice che «Geremia scrisse in un libro tutte le sventure che dovevano venire su Babilonia»; in altre parole c'è un secondo scritto - diverso da quello contenente gli oracoli contro Giuda - che raccoglie le profezie contro Babilonia, e si è successivamente arricchito - delle parole contro le altre nazioni.
3. Un terzo libro è menzionato in 30,2; indirizzato probabilmente al popolo di Israele (e applicato quindi anche a Giuda), conteneva tutte le parole di consolazione che Geremia aveva rivolto al popolo sofferente per l'esilio. Questo scritto è simile alla «lettera» del cap. 29, inviata ai deportati (della prima deportazione del 597), e contenente anche parole di speranza (vv. 11-14).
In Geremia viene quindi ripetutamente ribadita la messa per iscritto di «tutte» le parole che egli riceve dal Signore (cfr. 30,2; 36,2; ed anche 25,13) e questo implica un modo particolare di intendere e di trasmettere la profezia. Consideriamo innanzitutto i soggetti implicati in questa particolare attività di parola e di comunicazione.
Il profeta, "messaggero" della Parola
La messa per iscritto conferisce una certa definitività alla parola pronunciata: si tratta di un processo di fissazione, di canonizzazione della parola profetica. Essa viene in tal modo riconosciuta valida, cioè veritiera, e riconosciuta per sempre come parola di Dio. L'attribuire a Geremia stesso l'atto dello scrivere significa attestare e comprovare, in un certo senso, la sua autorità o la sua firma personale (3) nelle tradizioni che a lui fanno riferimento (4).
Durante e subito dopo l'esilio di Israele avviene infatti il grande processo di fissazione sistematica delle tradizioni religiose racchiuse nella Tôrâh e nei Profeti (sia i profeti «anteriori», così definiti dalla tradizione ebraica, sia i profeti «posteriori», cioè gli scritti profetici). Tale operazione riconosce e significa che si è compiuto il tempo di una speciale rivelazione. Mettere per iscritto la Parola ricevuta, significa volerla fissare per le generazioni future, riconoscendone la validità al di là del compimento della propria storia personale.
Mettendo per iscritto le parole del Signore, il profeta dichiara e accetta la sua propria finitudine, la propria morte; la sua presenza fisica non è più necessaria per veicolare la Parola. Lo scritto è sempre un testamento (come per Dt 31-32) (5). In 36,5 si dice che Geremia scrive perché è «impedito» e non può recarsi al Tempio a proclamare la parola di Dio; tutto questo ci sembra detto con valore (anche) parabolico: il profeta dichiara che non può essere presente con il suo corpo, e allora si affida ad un altro corpo, al rotolo che è portatore della parola di Dio. La morte del profeta-locutore e l'avvento del profeta-scrittore aprono la via al tempo del lettore (6).
Il lettore, destinatario della Parola
Mediante lo scritto, la parola profetica non è più condizionata dallo spazio e dal tempo del profeta: essa attraversa i secoli, convocando in ogni epoca lettori da ogni parte della terra. Lo scritto dice così, in un certo modo, che la parola vale per sempre e per tutti (coloro che vogliono ascoltare). In se stesso, tuttavia, lo scritto è silenzioso; esso necessita l'atto della lettura (7), mediante il quale diventa strumento di comunicazione. Chi parla non è più il profeta, ma è il lettore, lo scriba che sa leggere e sa interpretare la parola profetica (cfr. 36,6). Lo scritto adduce il tempo dell'interpretazione. Come lo scritto (il rotolo) può essere alterato e distrutto (cfr. 36,23), così può essere mal letto e mal interpretato: la fedeltà alla profezia si gioca anche nella cura con cui lo scritto è trasmesso e nel rigore attraverso il quale è interpretato. Ma soprattutto è rilevante che, dopo la morte del profeta, la Parola risuona nella voce dell'interprete, il quale invera la parola antica proclamandola nell'oggi della sua storia. Il «compimento» della profezia si realizza in questo atto di lettura attualizzante.
NOTE
1. Attingiamo le note esplicative della fissazione per iscritto del libro di Geremia da P. BOVATI, Geremia 30-31. Il Libro della nuova Alleanza (Dispense ad uso degli studenti; Roma, PIB, 2000-2001), 50-54.
2. La discussione analitica dei vari problemi testuali esula dai fini di queste brevi considerazioni; per una loro presentazione e valutazione si rimanda ai commentari e agli studi di carattere tecnico, ad esempio quelli citati da BOVATI, Geremia, 6-13.
3. È verosimile che il Geremia storico abbia scritto dei testi servendosi della collaborazione del suo scriba Baruc; constatiamo però che il riferimento a tale operazione appare solo nelle parti redazionali del libro di Geremia, attribuite al deuteronomista. In ogni caso l'atto redazionale, che è quello della definitiva scrittura, è l'operazione mediante la quale un autore (sacro) viene “consacrato” scrittore.
4. La figura dello scriba Baruc, evidenziata nel cap. 36, è quindi emblematica: scrive “sotto dettatura”, e riproduce dunque fedelmente il messaggio del suo maestro-profeta.
5. Si ricordi che Mosè è dalla tradizione deuteronomica definito il più grande dei profeti (34,10; cfr. anche 18,15).
6. Altri testi della tradizione profetica introducono il tema del libro e il suo rapporto con il profeta; ricordiamo, ad esempio, Is 8,16-18 (il "memoriale" lasciato alla generazione seguente); 30,8-17 (il documento lasciato a perenne testimonianza); Ez 2, lss. (la vocazione vista come mangiare un libro); 24,2 (il profeta mette per iscritto la data della caduta di Gerusalemme); Ab 2,2 (il futuro è consegnato su una tavoletta); Zc 5, lss. (il libro della maledizione che vola). Naturalmente si deve anche ricordare la tradizione della Legge scritta, di cui il Decalogo è il principale testimone; ed anche il "Cantico di Mosé" (Dt 31-32) che viene presentato come il documento scritto attestante la trasgressione dell'alleanza e la necessità della divina punizione (è il primo rîb ad essere scritto).
7. Cf. le opere mirabili di P BEAUCHAMP, in particolare da L'un et l’autre Testament. Essai de lecture, Paris 1976; e L'un et l’autre Testament, tome II,: Accomplir les Ecritures, Paris 1990 (soprattutto 65-112), tradotto in italiano.
Il Signore, Principio e Autore della Parola
Abbiamo finora parlato del profeta, come fosse lui l'origine, la sorgente della Parola. Ma sappiamo che è proprio del profeta, del suo parlare veritiero, il fatto di riferire la sua stessa parola a Dio, il dire che non è lui a parlare, ma Dio in persona. E cosa significa questo in rapporto allo scritto? Significa che Dio s'impegna per sempre nella storia degli uomini; nella traccia scritta Egli lascia un segno perpetuo del suo parlare, come una caparra della sua promessa. Usando una metafora, il testo biblico dice che Dio «fa testamento», cioè fa alleanza, dice il suo volere (le sue «ultime» volontà), convocando il futuro per la realizzazione.
Ma ci sono due «scritture», ci sono due «testamenti», cioè due alleanze. La prima è collegata con Mosè e il monte Sinai/Horeb: consiste nella stesura delle dieci parole, incise dal dito stesso di Dio (Es 31,18; Dt 9,10) su tavole di pietra (Dt 5,22) - scritte (Es 24,4.12; Dt 4,13; 5,22;) e riscritte (Es 34,1.27; Dt 10,2.4) come segno di un'alleanza infranta e rinnovata - tavole collocate nell'arca così che potessero accompagnare Israele e dimorare sempre in mezzo al popolo (Dt 10,5). Inoltre Mosè, al termine della sua vira, scrive un cantico (Dt 31,22) che, concludendo la Torah, annuncia la fine d'Israele e l'esilio (Dt 32,21-25): la prima alleanza, con la voce di colui che ne è stato il mediatore, dichiara per iscritto, la sua conclusione (8). Ma in questo stesso cantico, viene annunciato anche un insperato futuro, nel quale YHWH si affermerà definitivamente come il Dio di Israele (Dt 32,26-43; ed anche 30,1-14).
Geremia ha dei tratti che lo fanno assomigliare a Mosè; questo rapporto di somiglianza è particolarmente significativo se suggerisce il riferimento alla fine della prima alleanza. E come se Geremia, con il suo «rotolo» (Ger 36), riattualizzasse il Cantico di Mosè (Dt 32). Geremia parla effettivamente della fine in tutti i suoi oracoli (cap. 1-25), motivandola con la constatazione di una totale e universale ribellione: infatti «il peccato di Giuda è scritto con uno stilo di ferro, con una punta di diamante è inciso sulla tavola del loro cuore» (Ger 17,1).
Ma Geremia ha un altro scritto, che parla di un'altra alleanza, e perciò di un'altra «scrittura» da parte di Dio. Il piccolo libro di Geremia (30,2) è l'esteriore testimonianza di un evento mirabile, il definitivo impegnarsi del Signore con il suo popolo. Uno scritto umano, quello profetico, è testimone di un patto divino, scritto nell'intimo dell'uomo, sulla tavola del cuore (31,33) (9): in esso si comunica il parlare «ultimo», cioè la rivelazione escatologica di Dio quale eterna alleanza.
Conclusione
L’esempio della fissazione per iscritto della Parola di Dio rivolta al profeta Geremia è quindi molto illuminante: consegnando a un rotolo il messaggio ricevuto da un Altro, fissandolo per le generazioni a venire, oltre la propria morte. Geremia oltre ad attestare l'autenticità di un annuncio accolto nella sua debolezza e trasmesso con una obbedienza che lo espone alla persecuzione e alla morte, diviene eloquente trasparenza non solo della mediazione profetica, ma del compito di autore sacro e della destinazione universale della rivelazione biblica.
La Parola di Dio giunge fino a noi solo attraverso una catena di tradenti, che ha riconosciuto nella rivelazione ricevuta per iscritto un valore superiore alla propria esistenza e al proprio momento storico. Quindi Dio, continua a parlare a noi oggi, grazie alla mediazione di generazioni e di generazioni di uomini, che hanno consegnato al futuro la parola e che hanno riconosciuto essere più grande di loro stessi, del loro tempo e della loro comprensione. Non esiste quindi alterità o soluzione di continuità tra Scrittura e Tradizione: non possiamo entrare in rapporto con Dio se non attraverso una mediazione storica: in altri termini, non possiamo ascoltare Dio se non attraverso la Chiesa.
(da Vita nostra)
NOTE
8. È un po’ come se Dio desse ad Israele il libro del ripudio, che attesta (indirettamente) che c'è stato un matrimonio proprio nel momento in cui lo si dichiara annullato (cfr.Ger 3,8).
9. Ricordiamo l'analogia con lo scritto redatto da Geremia al cap. 32, che documenta l'acquisto del campo di Anatot (tra l'altro questo documento ha una parte visibile e una sigillata: 32,11.14). Lo scritto di Geremia (l'atto notarile, così come tutta la sua profezia scritta) è in funzione di un evento futuro (il ritorno di Israele e la nuova alleanza) nel quale si realizzerà il senso di quanto è racchiuso (e come sigillato) nello scritto del profeta (32,15.36-44).