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Venerdì, 10 Giugno 2005 23:13

Quando la violenza comincia dalla teologia (Carlo Molari)

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Quando la violenza
comincia dalla teologia
di Carlo Molari




C'è un modo di insegnare religione che rende difficile o impedisce l'educazione alla pace. Non mi riferisco tanto agli insegnamenti morali, relativi ad es. alla guerra giusta o all'uccisione del tiranno (dottrine che devono essere certamente riviste), ma alle concezioni più generali che riguardano la funzione del cristianesimo nella storia, la missione della chiesa e la stessa concezione di Dio.
Tutta la teologia cattolica e quindi anche l'insegnamento della religione può ancora essere percorsa da dinamiche violente e discriminatorie. Spesso perciò con l'insegnamento della religione noi contribuiamo all'educazione di uomini violenti pur difendendo ideali di pace e proclamando il vangelo della fratellanza universale. È necessario rendersi conto di queste dinamiche per evitare ogni contraddizione che risulterebbe deleteria.
La pace è prima di tutto un processo culturale che richiede la revisione radicale dei modelli interpretativi e degli atteggiamenti spirituali che nel passato, spesso inconsapevolmente, hanno suscitato movimenti violenti. Vorrei portare alcuni esempi di insegnamenti correnti della teologia che contrastano con una educazione alla pace.


1. Concezione di Dio.

C'è molto infantilismo e antropomorfismo in formule relative a Dio usate abitualmente, ma soprattutto esse spesso rendono difficile una vera educazione alla pace.
Il Dio onnipotente, il Dio degli eserciti, il Dio che sconfigge i nemici, che ci può far prevalere su gli altri è un Dio violento e guerriero. Questa immagine di Dio riflette esperienze e culture di altri secoli, ma ha lasciato traccia in molte espressioni popolari.
Il Dio salvatore che il vangelo ci presenta non è colui che ci fa vincere, che è più forte dei nemici, ma colui che ci concede di vivere tutte le situazioni, anche la morte, in modo salvifico. È il Dio che anche quando siamo sconfitti ci offre di poter amare e perdonare.
Il Dio rivelato da Cristo è il Dio della pace e della fraternità, il Dio della resurrezione non della vittoria.

2. Teologia della forza fisica.

La forza fisica nella fase infantile e adolescenziale costituisce un ideale assoluto. È la reazione alla condizione di debolezza in cui l'uomo nasce. Per questo nella fase infantile dell'umanità la forza fisica venne sacralizzata: fu spesso considerata come espressione della benevolenza divina, comunicazione della energia della Natura, partecipazione della forza cosmica.
Una teologia della potenza o della forza fisica si esprimeva nella esaltazione degli eroi come incarnazione di Dio, nei miti della vittoria in guerra come decisione degli Dei ed espressione dei loro favori nel cosiddetto giudizio di Dio, secondo il quale chi superava una prova era dalla parte della giustizia.
La debolezza fisica, la malattia o la sconfitta in guerra venivano considerate come conseguenze dei peccati che avevano irritato Dio.
Questo modo di interpretare l'esistenza e la storia non è più corrente ma rimangono residui notevoli di questa fase culturale in espressioni, preghiere, formule di fede tradizionali.

3. Stato originale.

Anche nei racconto delle origini esistono elementi che possono favorire la violenza e la discriminazione. In primo luogo occorre superare la convinzione che la violenza del mondo sia esclusivamente la conseguenza del peccato. C'è una violenza legata alla stessa condizione imperfetta di creatura e alla necessità di crescita personale.
La concezione idilliaca della natura primitiva o dell'uomo uscito perfetto dalle mani di Dio è un mito da intendersi come simbolo della chiamata divina ad un futuro diverso, non come descrizione di una condizione del passato.
La pace non è mai esistita: è una vocazione per il futuro dell'uomo. Il progetto di pace che avvertiamo urgente non è un ritorno a forme primordiali di esistenza umana, ma è una novità assoluta che ci è affidata come sfida dalla storia.

4. Azione di Dio nella storia.


Molte di queste formule inadeguate dipendono da un errato concetto dell'azione di Dio. Ci sono diversi modelli con cui viene abitualmente interpretata l'azione di Dio nella creazione e nella storia.
C'è chi pensa a Dio secondo categorie magiche, come se la sua energia sia concentrata in parole, cose o persone particolari. C'è chi pensa a Dio come una creatura potentissima che può intervenire nella creazione e modificare le cose sostituirsi ad esse, introdurre energie nuove. Egli agirebbe come un buon artigiano che modifica gli oggetti sbagliati o come una madre che sorregge il figlio quando sta per cadere. Questi modi di pensare all'azione di Dio sono molto imperfetti e peccano di antropomorfismo: proiettano cioè in Dio atteggiamenti umani.
La teologia in questi ultimi decenni ha purificato i modelli per esprimere l'azione di Dio. Lo stimolo le è venuto dal confronto con le scienze della natura e in particolare con le ipotesi evoluzioniste.
Già il domenicano A. D. Sertillanges (1863-1948) lungo tutta la sua vita aveva messo a punto un concetto di creazione purificato da tutte le sovrastrutture predicamentali (1). Egli giustificava coerentemente l'affermazione di S. Tommaso: «La creazione non è un cambiamento. È la dipendenza stessa dell'essere creato in rapporto al suo principio» (2).
Anche Teilhard de Chardin (1881-1955) dagli anni successivi alla prima guerra mondiale fino alla sua morte ha riflettuto spesso sulle categorie scolastiche dell'azione di Dio nel mondo, per pervenire a formule che potessero esprimere in modo adeguato le conquiste della scienza o le diverse teorie scientifiche. A proposito della creazione scriveva: «La creazione così compresa non è una intrusione periodica della Causa prima: è un atto coestensivo a tutta la durata dell'universo» (3). «Là dove Dio opera, a noi è sempre possibile (restando a un certo livello) di non cogliere se non l'opera della natura... La causa prima non si mescola agli effetti: egli opera sulle nature individuali e sul movimento d'insieme. Dio propriamente parlando non fa: egli fa che le cose si facciano» (4).
La stessa affermazione viene fatta più tardi da K. Rahner (1904-1984) in un medesimo contesto culturale: «Sembra che dovunque si riscontra nel mondo un effetto, se ne debba postulare la causa nel mondo stesso e la si possa e debba cercare, appunto perché Dio, rettamente concepito, opera tutto mediante le cause seconde... (altrimenti) ... l'agire divino viene a collocarsi nel mondo accanto a quello delle creature, invece di essere il fondamento trascendente di tutto l'agire delle creature» (5). Dio, perciò «non opera qualcosa non operata dalla creatura, né si affianca all'agire della creatura: rende solo possibile alla creatura superare e trascendere il proprio agire» (6).
Utilizzando questo concetto di azione Dio appaiono in una luce diversa la preghiera dell'uomo, il valore della sua azione per la pace e l'influsso negativo della sua aggressività.
Pregare per la pace non serve per far intervenire Dio al nostro posto, ma per farci assumere atteggiamenti che ci consentano di realizzare la sua volontà. La preghiera non serve per far cambiare l'opinione di Dio nei nostri confronti o per farlo agire diversamente ma per modificare il cuore degli uomini.
Il futuro dell'uomo non cade dal cielo, non è un'irruzione improvvisa per un intervento di Dio, ma è la costruzione donata all'uomo dalla sua misericordia lungo tutta la storia.
D'altra parte il futuro, per il credente, non è semplice sviluppo del già dato ma è l'avvento di un presente non ancora accolto, di un Bene non amato, di una Verità non ancora conosciuta, di un Vita non ancora tradotta in umanità. Per questo è assolutamente necessario un atteggiamento di accoglienza che la preghiera rende possibile e sviluppa.
Non si richiede che l'uomo pregando ottenga una azione di Dio, ma che diventi capace di una fedeltà alla vita che conduce alla pace. La pace di Dio non può entrare nella storia degli uomini se questi non compiono scelte di pace.

5. Natura e soprannatura.

Anche la dottrina relativa all'ordine soprannaturale si è spesso prestata a concezioni discriminatorie. Si pensava che solo i cristiani, anzi solo coloro che erano in grazia potevano operare il bene e costruire il regno di Dio. Le altre azioni, anche se buone, erano prive di quelle carica vitale che veniva solamente dall'inserimento nell'ordine della grazia. Ciò conduceva al disprezzo di tutte le altre forme di religione, che spesso venivano anzi considerate frutto dell'azione demoniaca nella storia.
Il problema che alla teologia medioevale e alla teologia scolastica veniva posto dall'uso della categoria aristotelica di «natura», ora è praticamente scomparso. Non vi è alcuna necessità di parlare di due chiamate e di due fini proposti all'uomo: uno naturale ed uno soprannaturale. Non vi è alcun bisogno di ricorrere ad un ordine «superiore» per spiegare le azioni che consentono all'uomo di pervenire alla pienezza di vita.
Utilizzando la prospettiva dinamica (l'uomo diventa), storica (attraverso gli eventi) e sociale (nell'intreccio dei rapporti) non è difficile liberarsi da queste contrapposizioni.
L'azione di Dio fin dall'inizio ha una intenzionalità eterna ed una carica vitale trascendente. La creatura, tuttavia, non è in grado di cogliere tale offerta se non progressivamente, a frammenti, attraverso eventi storici successivi.
Per questo la storia di ogni persona come la storia umana registra una progressione di offerte divine fino ad una pienezza alla quale ogni uomo è chiamato.
Ciò non significa che la storia svolgendosi possa pervenire alla sua pienezza. Il passato infatti, non contiene i principi sufficienti per il futuro. Ogni giorno l'offerta creatrice di Dio diventa più ricca perché può essere accolta in modo sempre più perfetto. La stessa capacità di accoglienza è dono, frutto cioè dell'azione gratuita di Dio che sollecita la libertà e offre capacità di risposta.
Ma in questa avventura storica tutti gli uomini sì ritrovano fratelli e tutti i popoli contribuiscono con l'apporto della loro storia alla realizzazione di un'unica comunità umana.
Le differenze che esistono tra i vari popoli caratterizzano i diversi doni che essi devono offrire alla realizzazione dell'unità umana.

6. Rivelazione e segni dei tempi.

Anche la dottrina della rivelazione non deve essere presentata in modo esclusivo e discriminante. La rivelazione storica è unica e riguarda l'umanità intera. Certo, i profeti nelle diverse culture hanno avuto funzioni non identiche ed i loro apporti hanno segnato in modo differenziato la storia umana. Ma non si deve limitare l'ambito della rivelazione a un popolo solo, se essa è cominciata con la creazione ed ha avuto come spazio la storia umana (ricorda Gen 1-11).
Se la rivelazione, come chiarisce la Dei Verbum (n. 2), è una serie di eventi accompagnati da parole, non vi possono essere esclusioni di sorta nel possesso della rivelazione e nella sua interpretazione. La storia umana, infatti, è fatta da tutti, è aperta a tutti e la sua interpretazione dipende dagli sviluppi che la storia avrà nel futuro.
Per questo il concilio ha insistito sulla necessità di leggere i segni dei tempi (Gaudium et Spes 4), di ascoltare il linguaggio di tutti gli uomini e di ricorrere agli esperti del mondo «siano essi credenti che non credenti» per capire la verità rivelata ed approfondirla (cf GS 44). Non si tratta di attendere eventi speciali, che esprimano un'azione straordinaria di Dio o una sua nuova rivelazione. Tutti gli eventi storici, vissuti in fedeltà alle leggi della vita, contengono elementi che possono chiarire la rivelazione perché sono il tentativo che la vita fa per manifestarsi e quindi per tradurre in espressioni concrete le sue virtualità profonde.
Avvertire i segni dei tempi significa appunto cogliere «i segni della presenza è del disegno di Dio» (GS 11) negli eventi della storia. Ma siccome l'azione di Dio è trascendente e non «predicamentale», gli eventi debbono essere letti secondo le loro leggi intrinseche, secondo quindi i dati della scienza. Solo a questa condizione è possibile scorgere alla luce dell'esperienza di fede, le tensioni salvifiche che essi contengono. Se si scavalca la realtà per imporre un'interpretazione che si presume essere di fede, di fatto non si farà altro che imporre agli eventi la lettura che la comunità cristiana ha dato nel passato.
Leggere quindi i segni dei tempi significa cogliere il messaggio che tutti gli eventi della storia, interpretati secondo le loro dinamiche interne, contengono e manifestano a coloro che hanno gli occhi aperti dalla fede.

7. Storia e regno.


Allo stesso modo deve essere chiarito il rapporto tra impegno storico e realizzazione del regno di Dio. La costruzione del regno non è esclusiva di un popolo, ma richiede il contributo di tutti. Dio non può manifestare la sua misericordia e il suo amore nella storia se non quando essi diventano gesti di creatura. Costruire il regno perciò non significa sostituirsi a Dio o avere capacità autonome di vita eterna. Ma significa aprirsi completamente all'azione dello Spirito così da consentirgli di tradurre in forme umane l'amore misericordioso del Padre secondo le indicazioni che Cristo ci ha lasciato.
Le dimensioni eterne dell'esistenza umana non possono essere costruite dall'uomo. Ma neppure possono essere accolte improvvisamente alla fine della vita. L'uomo può solo accoglierle progressivamente attraverso i numerosi eventi storici che la misericordia di Dio gli consente di vivere e nell'intreccio dei rapporti che gli è possibile realizzare.
Nessun popolo perciò può presumere di potere costruire il regno, ma neppure può abbandonarsi a forme di passiva attesa, dato che la vita eterna gli è offerta ogni giorno attraverso la molteplicità dei rapporti che egli vive, e gli avvenimenti piccoli o grandi del suo percorso nella storia. Chi trascura queste offerte quotidiane, non potrà mai accogliere il dono definitivo del Padre, o il compimento della sua perfezione. Non si dà infatti compimento che di un'opera progressivamente maturata fino alla pienezza.
Se si è convinti che la pace si costruisce nella storia con esigenze sempre nuove, è urgente un ampio processo di conversione. Occorre cominciare dai bambini piccoli, e dagli adolescenti. Occorre presentare le guerre come gli errori umani più gravi. Occorre demitizzare gli eroi violenti (Cesare, Napoleone, Garibaldi), occorre allargare l'orizzonte delle conoscenze a tutti gli ambiti della storia umana, come l'unico tentativo dell'umanità di pervenire tra errori e barbarie ad una forma unitaria di esistenza.
La fraternità umana oggi passa attraverso l'abbattimento dei muri divisori che la presunzione dei popoli ha creato fra gli uni e gli altri. Anche la chiesa deve essere testimone di questa conversione che l'intera umanità sente l'urgenza di operare.

8. Qualità della pace.

La pace non deve essere perciò richiesta come urgenza per i disastri che potrebbe provocare una guerra atomica, ma come salto qualitativo dell'esistenza umana, come la dimensione spirituale delle attuali strutture di comunicazione, di industria, di commercio.
La sconfitta della violenza passa attraverso cambiamenti molto più radicali che la semplice distruzione delle armi. È un atteggiamento nuovo dello spirito: l'incontro fraterno con gli altri, l'uso maturo della sessualità, la considerazione sincera degli anziani, la vicinanza premurosa agli ammalati, la solidarietà con gli emarginati, la condivisione con i più poveri.

9. Conclusione.

Per il cammino futuro della pace è necessaria una presentazione della religione e dei contenuti della fede in Dio, purificata da tutti gli elementi di violenza e di assolutismo che spesso le sono collegati.
In particolare è necessario evitare ogni dualismo e contrapposizione: azione di Dio-azione dell'uomo, grazia-natura, storia-regno.
Così è necessario evitare l'assolutismo della religione e le rivendicazioni di superiorità nei confronti degli altri.
Dio è uno solo, e la forza della vita è consegnata a tutti. Ogni religione deve liberarsi dalla presunzione di essere la risposta unica e definitiva di Dio agli uomini.
Ciò richiede da parte degli insegnanti una particolare sensibilità nella presentazione della dottrina relativa:
- alla rivelazione
- alla salvezza
- alla grazia
- all'azione di Dio nella storia.
L'insegnamento religioso del passato non è sufficiente alla attuale richiesta di pace. Esso riflette una teologia percorsa da dinamiche violente e discriminatorie. L'educazione alla pace non può essere costruita senza il rinnovamento dell'intero insegnamento della religione.


1. A. D. Sertillange, L'idée de création et ses retentissements en philosophie, Aubier, Paris 1945.
2. Il Contra Gentiles, c. 18
3. P. Teilhard de Chardin, La transformation créatrice, in Comment je crois, Seuil, Paris 1969, p 31.
4. Id., Note sur les modes de l'action divine dans l'univers, in ib. p. 38. Cf un'affermazione analoga in Comment se pose aujourd'hui la question du transformisme, in «Etudes», 5-12 juin 1921, ora in La vision du passé, Seuil, Paris 1957, p. 39.
5. K. Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia 1969, p. 96.
6. Id., ib., p. 99.


(da Religione e scuola, XIII (1984), n. 6, pp. 271-275).
Letto 2770 volte Ultima modifica il Mercoledì, 02 Novembre 2005 00:57
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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