Superare la teologia della guerra giusta
di Emmanuel C. Mac Carthy *
Per gran parte della mia vita, certamente gli anni in cui indossavo l’uniforme di generale dell’esercito, pensavo in modo diametralmente opposto a quanto ora esporrò.
Il presupposto di queste riflessioni è che Cristo ha qualcosa d’importante da dirci sul modo di vivere la vita cristiana. Lo scopo è di ricercare la verità di Cristo, con la comunità dei cristiani e all’interno di essa. È un testo serio perché il problema è serio: si tratta della guerra e di ciò che Cristo attende nei suoi confronti da coloro che lo seguono. Non procede da uno spirito ostile verso qualcuno nella comunità cristiana. Ma vi sono fatti terribili e spiacevoli nella storia cristiana e nella vita cristiana di oggi, che dobbiamo esaminare. Abbiamo 1.600 anni di cristianità postcostantiniana che hanno giustificato la guerra e la violenza. Ogni secolo ha visto un crescendo di brutalità e di vittime della guerra. Una percentuale impressionante di queste distruzioni disumane può essere attribuita a coloro che si confessano cristiani, discepoli del Principe della pace.
Ma non fu sempre così. Durante i primi tre secoli del cristianesimo, la chiesa era nonviolenta. Poi, all’inizio del quarto secolo, accettò di collaborare, cioè di partecipare alla guerra e alla violenza del dittatore di Roma, allora non cristiano, Costantino; iniziò la costantinizzazione della chiesa.
Alla fine del ventesimo secolo, i cristiani continuano a uccidere e a costruire strumenti di morte, giustificando il tutto con la morale e la teologia, nel nome di Cristo. Ma è davvero questo che Gesù pensava per i suoi discepoli? Se non è così, come può la chiesa approvare che i cristiani accettino questo sistema?
IL COMANDAMENTO DI CRISTO
Certo sarebbe più confortevole per la comunità di Cristo, specie per chi esercita un ruolo di guida, dedicarsi solo ai problemi di giurisdizione episcopale. Ma questi non sembrano così pressanti come quello della giustificazione cristiana della violenza e della guerra in un mondo di distruzione tecnologica avanzata. Proclamare il Vangelo, ma facendo eccezione quando tocca le questioni centrali del nostro tempo, è tradirlo.
Il nemico di una nazione non è nemico di Dio. Il nemico di una persona o di un gruppo, chiunque esso sia, è un figlio di Dio, che dev’essere amato come Gesù lo ama. Gesù è Dio incarnato, è l’immagine del Dio invisibile. Non è solo una dimensione della vita cristiana: è la norma ultima per tutto l’agire del cristiano. E ha esplicitamente chiesto ai suoi seguaci di "osservare tutto quello che ha comandato" e di "amare come lui ha amato".
Il comandamento di Gesù "amate i vostri nemici" è sempre all’imperativo, al plurale e non conosce eccezioni. L’amore dei nemici, con Gesù per modello, è il contrario della morale comune. Si può dire con certezza, secondo gli esperti biblici, che l’espressione è dovuta a Gesù stesso. Risulta anche che è la più citata nei primi due secoli del cristianesimo. Non è dunque possibile sbagliarci: l’amore incarnato in Gesù, che i cristiani sono chiamati a condividere e ad imitare, è l’amore nonviolento verso tutti, nemici compresi.
Se Gesù Cristo è la norma ultima della condotta cristiana, risulta chiaro che vi sono degli assoluti etici nei comportamenti del discepolo cristiano. Per esempio, a chi deve cercare di "vivere Gesù Cristo", non è lecito l’omicidio di massa, cioè la guerra. Vi sono attività alle quali il cristiano non può partecipare, perché contrarie alla volontà di Dio rivelata da Cristo.
Osservo che non si tratta della sola guerra nucleare, ma del rigetto totale e senza equivoci, teorico e pratico, di ogni guerra. Nella vita e nell’insegnamento di Gesù non c’è nulla che possa far pensare che, mentre non è lecito incenerire un popolo con testate nucleari, sarebbe lecito incenerirlo con il napalm. È la guerra che il cristiano mette in questione, non solo la guerra nucleare.
IL MONDO HA BISOGNO DI VERI DISCEPOLI DI CRISTO
L’equilibrio del terrore è una morale che Cristo non ha mai insegnato. L’etica delle stragi di massa non c’è nell’insegnamento di Gesù. La storia della giustificazione della guerra è un continuo sfoggio di eufemismi: la strage di massa è chiamata "dimostrazione di forza" o "azione cautelare". Con questo tipo di linguaggio, il Principe della menzogna è invitato a nozze. Nella dottrina della guerra giusta, Gesù Cristo, che è il tutto della vita cristiana, è spiazzato. Potrebbe benissimo non essere mai esistito. La dottrina della guerra giusta non ha niente a che fare con la sua persona e il suo insegnamento.
Siamo chiari. Tagliare in quattro un capello a proposito della moralità dei tipi di strumenti usati ai fini della strage di massa, non è ciò di cui il mondo ha bisogno, da parte della chiesa. Ha invece bisogno della presenza di cristiani disposti a pagare di persona insieme a Cristo. Il mondo ha bisogno di cristiani che proclamino: "Il discepolo di Gesù non può partecipare alla strage di massa; deve amare come Cristo ha amato, vivere come Cristo è vissuto e, se necessario, morire come Cristo è morto, amando il proprio nemico".
Alcuni cercano di far apparire l’insegnamento di Gesù sulla nonviolenza ingenuo e ridicolo: come se la nonviolenza cristiana fosse un’interpretazione di Gesù e del suo insegnamento teologicamente semplicista, assurda e impraticabile. Cristiani con simili idee sembrano oggi essere la maggioranza nelle chiese. L’autentica nonviolenza cristiana viene raramente messa alla portata della comunità cristiana. Quando in chiesa, o in scuola o in seminario si presenta l’occasione di riflettere sull’amore nonviolento, lo si fa normalmente in termini così vaghi e superficiali da far pensare che nessuno, neppure Cristo in persona, saprebbe difendere una tale posizione.
LA CHIESA DEI PRIMI SECOLI
Eppure, durante i primi 300 anni, la chiesa ebbe dovunque una visione di Gesù e del suo insegnamento come nonviolenti. La chiesa insegnò questa etica di fronte ad almeno tre tentativi dello stato di liquidarla, nonostante i rischi di torture e di morte. Se mai c’è stato motivo di rappresaglie giustificate e di uccisioni difensive, nella forma di dottrina della guerra giusta oppure di rivoluzione violenta giusta, fu allora: le élites economiche e politiche di Roma miravano ad una politica di sterminio della comunità cristiana. Invece la chiesa insisteva senza riserve sul fatto che, disarmando l’apostolo Pietro, Gesù aveva disarmato tutti i cristiani. Questi continuavano a credere che Cristo era, come dice un’antica liturgia, "la loro fortezza e la loro forza", e poiché Cristo era tutto ciò di cui avevano bisogno in fatto di difesa e di sicurezza, non avrebbero cercato altro.
Quando venivano offerte ai cristiani delle occasioni di ammansire lo stato romano unendosi ai suoi eserciti, le respingevano, perché la chiesa primitiva vedeva un’incompatibilità totale tra l’amare come Cristo ama e l’uccidere. Il Dio della comunità cristiana non era Marte, ma Cristo. Era dunque Cristo, non Marte, a determinare il modo di vedere e di vivere del cristiano. Era Cristo, non Marte, che dava la sicurezza e la pace. Durante questi 300 anni, la chiesa continuava a diffondersi. Sopravvisse senza mai ricorrere alla guerra e alla violenza.
Nella chiesa primitiva nonviolenta nessuno disse che i cristiani dovessero ignorare il male o "lasciar correre". Il cristiano sapeva di dover lottare contro il male: ma doveva vincere il male con il bene; se fosse stato necessario, doveva persino "dare la sua vita" in questa lotta. Per la chiesa primitiva, il martirio era un’attività sociale vera e propria, al massimo livello.
LA "RESPONSABILITÀ SOCIALE" DEI PRIMI CRISTIANI
"Deporre la propria vita" (e non uccidere un’altra), rispondendo al male con il bene, era considerato atto supremo di responsabilità sociale. Si riteneva che il modo più efficace di essere socialmente responsabili era di rifiutare la collaborazione con il male sociale, la guerra e la strage di massa. E non era sufficiente opporsi al male a parole: era ritenuta condizione essenziale, nel proprio concreto, amare come Cristo ha amato, a costo anche di gravi pene, anche della vita.
Questa spiritualità cristiana primitiva, consistente nel parlare chiaro e nel pagare di persona, dista anni luce dall’etica ambigua di chi con le parole dice di essere contrario alla guerra, ma poi vi partecipa, in attesa che tutti siano d’accordo di non più parteciparvi. I nostri padri dei primi tre secoli sapevano che Gesù, loro Dio e Signore, non permetteva a nessuno dei suoi discepoli di sostituire la violenza all’amore; e allora parlavano e agivano con coerenza, da cristiani socialmente responsabili.
In concreto, la nonviolenza cristiana non era un ingenuo e sterile ricorso a un idealismo irrealistico. La nonviolenza cristiana è la volontà di Dio rivelata nella vita e insegnamento di Gesù Cristo. Le utopie sono sogni umani, l’insegnamento di Gesù è, invece, un mandato divino, al quale tutti i cristiani sono tenuti a prestare fede totale. Quando Dio parla, un’obbedienza incondizionata è la sola risposta giusta, perché la parola di Dio è potenza e saggezza. Obbedire alla volontà di Dio significa essere realisti e pragmatici. Mentre il rifiuto di obbedirgli è il colmo dell’ingenuità: è il non fidarsi della sua saggezza ad essere irrazionale. Adorare Cristo in pubblico, mentre in segreto si giudica come irrealistica la sua dottrina della nonviolenza, è aberrante.
C’è chi ritiene che Gesù abbia bisogno delle loro rettifiche, perché incapace di esprimersi a riguardo della violenza e dei nemici. Per loro il martirio come attività socialmente responsabile non ha senso, quando si hanno le possibilità di eliminare il nemico: ecco la dinamica operativa dell’etica che giustifica l’omicidio. Per i cristiani vicini a Gesù, invece, combattere la guerra con la guerra è partecipare al male e accrescerlo.
Siamo onesti: la ricerca di un Vangelo con delle scappatoie non ha senso. Non è la verità a motivare tale ricerca. È la paura; è lo spavento dinnanzi alla morte; è il rifiuto di credere che Cristo è risorto, e questo proprio attraverso la sua morte.
"RIVESTITEVI DI CRISTO"
A rendere il comandamento "amatevi come vi ho amato" possibile e ragionevole è la coscienza che Gesù è in mezzo a noi. La risurrezione di Cristo e la sua presenza tra noi confermano la verità e la forza del suo amore. Senza conversione alla fede nella persona di Cristo, la fede nell’etica di vita che egli proclama è insostenibile. Senza la risurrezione della sua persona, la fede nell’etica della sua croce di amore nonviolento è vuota. Ma se Cristo è risuscitato, allora questa croce dell’amore nonviolento è davvero la Via e la Verità.
Sapendo quante altre logiche cercano di imporsi, S. Paolo richiama al cristiano la necessità di "pregare senza sosta". Se si è uniti a Cristo nella preghiera, non si riesce più a giustificare la violenza e la guerra, come invece non dispiace a una certa teologia. Una continua coscienza della realtà di Dio come Amore è fondamentale in Gesù. È a questa coscienza che la preghiera ci converte, "rivestendoci del pensiero di Cristo".
Lo spirito di Cristo non è primariamente centrato sul rifiuto della violenza, ma sull’amore. Il centro di questo amore è la comunità di amore che abita dentro di noi, la Trinità. Una spiritualità veramente cristiana ci conduce a una presa di coscienza crescente del totale coinvolgimento della nostra persona e di tutta la creazione nella comunione d’amore che è la Trinità. Chi è impegnato a "rivestirsi del pensiero di Cristo", a vivere alla presenza del Dio-Amore, compassionevole, è inconcepibile che possa arrivare a giustificare la guerra e la violenza, tantomeno a parteciparvi.
La dottrina della guerra giusta è un tentativo di giustificare moralmente la strage di massa, che Gesù ha esplicitamente escluso dalla sua logica. È un cristianesimo senza Cristo. Giustificare la logica di Marte come compatibile con la sequela di Cristo è un abominio idolatrico, che continuerà a spargere caos e tragedie.
La scelta è tra il "rivestirsi del pensiero di Cristo" o no. Impossibile rimanere neutrali. Non è facile "rivestirsi del pensiero di Cristo", richiede conversione. Ma è il prezzo della pace sulla terra. Se non si accetta di pagare il prezzo della pace, si pagherà il prezzo della guerra. Se non si vuole assumere la "santa violenza" (o ascesi) di una vita di preghiera incessante, con la quale impossessarsi del Regno dei Cieli, si dovrebbe almeno avere l’onestà di non giustificare come cristiana la violenza, da cui i regni di questo mondo sono inevitabilmente condotti alla distruzione.
Da 1.600 anni il popolo di Dio è stato bloccato dalle giustificazioni cristiane al massacro di vite umane. Questo deve finire. La partecipazione cristiana alle barbarie della strage di massa è la negazione del Vangelo. La chiesa deve interdirsi di giustificare delle rappresentazioni false e grottesche di Cristo e della sua dottrina, in contraddizione con i suoi insegnamenti più chiari. Non c’è passo del Vangelo in cui Cristo dica che i suoi discepoli sono esenti dal seguirlo quando temono certe conseguenze. La sequela di Cristo include la fedeltà ai modi di agire di Cristo. Il suo cammino è quello della croce, è l’amore nonviolento, sempre.
Siamo chiamati dal Principe della pace a essere un popolo di pace. Dobbiamo essere testimoni pacifici della risurrezione, contenti di pregare senza tregua, di amare alla maniera di Cristo. Non si pretende nulla di più da noi. Non c’è bisogno d’altro da parte nostra.
* Sacerdote statunitense ed ex generale dell'esercito
(Centro per la nonviolenza cristiana di Baxter - USA. Pasqua 1982)