I Dossier

Domenica, 22 Agosto 2004 14:48

Il mio «spero» la visione di un futuro migliore

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 di Hans Küng

Chi ha dietro di sé sessant'anni si chiede con maggiore curiosità di prima quali delle sue attese possono ancora realizzarsi. E con maggiore serietà di prima egli è altresì interessato a che sopravviva alla propria persona ciò per cui egli ha studiato e lottato, lavorato e sofferto (...). Di fronte alla possibilità di una lenta e improvvisa autodistruzione dell'umanità, conservo, nonostante tutto, il mio «spero», il mio sperare personale, che certo si fonda sul mio credo, sul mio credere di origine giudaico-cristiana. Si tratta di uno spero, che per me si è continuamente dilatato nel corso dei decenni: dalla chiesa alle religioni e, infine, alle nazioni.

Ad primum

Durante tutta la mia vita di teologo mi sono impegnato per il rinnovamento della chiesa e della teologia cattolica, ma anche per un'intesa ecumenica tra le chiese cristiane. Ho potuto vedere dei risultati, soprattutto sotto papa Giovanni XXIII e durante il Concilio Vaticano II. Molte cose che per secoli nel mondo cattolico sono state ritenute impossibili, si sono realizzate «dall'oggi al domani»: rivalutazione della Bibbia e della predicazione, dei carismi e del laicato, lingua nazionale nella liturgia e calice ai laici, facilitazioni nelle questioni dei matrimoni misti e dell'istruzione religiosa, collaborazione delle chiese cristiane in molti campi della società e della cultura, formazione di commissioni ecumeniche per la soluzione di questioni che ancora dividono le chiese...

Ma ho dovuto anche subire dei contraccolpi - soprattutto sotto i papi degli anni Settanta e Ottanta. L'euforia ecumenica si è arenata, molte iniziative si sono impantanate, impegnati documenti di consenso sono scomparsi nei cassetti del Vaticano. Invece di «aggiornamento» restaurazione. Invece di realizzazioni ecumeniche, frasi ecumeniche e arresti poco ecumenici. Invece di collegialità, di nuovo il vecchio autoritarismo. Invece di dialogo, abbastanza spesso l'arroganza del potere e la censura di concezioni diverse. Alle donne, in particolare, si continua a negare la parità di diritti, mentre i teologi sempre più vengono tenuti lontani o successivamente allontanati dalle cattedre di nuovo controllate dall'autorità ecclesiastica; solo luogotenenti fedeli alla linea romana vengono nominati vescovi. Si diffonde un clima di stagnazione. Ero consapevole fin dall'inizio che sarebbero state forti le resistenze dei detentori del potere a Roma, e non di rado anche in altre chiese, nei confronti di un mutamento delle strutture ecclesiali secondo il criterio del Vangelo stesso e le istanze del tempo.

Comunque, spero contra spem, spero contro ogni speranza. Nonostante tutto, non cesso di sperare: un'ecumene tra le confessioni cristiane è possibile, anzi necessaria. I dogmi creati dagli uomini, che dividono le chiese, scompariranno di fronte alla verità di Dio; le strutture medievali e premoderne, che trattano gli uomini, ma soprattutto le donne, come esseri inferiori, si dissolveranno; le presuntuose autorità ecclesiastiche, che nel corso dei secoli si sono arrogate tutti i diritti, verranno ricondotte a proporzioni umane.

Un giorno verranno superati tutti i privilegi e le pretese medievali e premoderne della chiesa cattolica nei confronti delle altre chiese cristiane, dei loro ministeri e delle loro celebrazioni liturgiche; il papismo infallibilistico e l'idolatria pseudocristiana per il papa scompariranno a favore di un ministero petrino a servizio dell'intera cristianità e nel quadro di strutture sinodali e conciliari. Sul modello di papa Giovanni XXIII, verrà un Giovanni XXIV.

Ma anche il provincialismo regionale e il fondamentalismo biblicistico di provenienza protestante verranno respinti a fa­ore di una chiesa responsabile del mondo, ma anche a favore dell'illuminata «libertà cristiana», che non presenta né un'autosufficienza moralistica né un'intolleranza dogmatica.

Verranno poi superati anche il tradizionalismo e il liturgismo ortodossi. Saranno trasformati a vantaggio di un cristianesimo che ha più considerazione per le proprie origini ed è insieme più attento al presente, un cristianesimo che può poi esercitare, non da ultimo a partire dalla liturgia, una funzione di fermento anche nella trasformazione politica e sociale nei paesi dell'Europa dell'Est.

Questa è la mia speranza: no, non una chiesa unita nell'uniformità. Il profilo confessionale, regionale, anche nazionale delle chiese cristiane non verrà liquidato. Ma un'unità ecumenica tra le chiese cristiane: un conciliarsi nella diversità. Uno sperare idiota e stravagante? No, una visione realistica la cui realizzazione è già cominciata nella base delle chiese.

Ad secundum

Come teologo cristiano sempre più mi sono impegnato perché cambiasse l'atteggiamento delle chiese cristiane verso le religioni mondiali non cristiane. Ho potuto vedere dei risultati: nei decreti del Concilio Vaticano II sulla libertà di coscienza e di religione, nelle dichiarazioni sull'ebraismo, sull'islamismo e sulle altre religioni mondiali. E poi, dopo il Concilio, tutti i numerosi incontri tra uomini di diverse religioni; tutto l'impegno comune in favore delle donne e dei diritti umani al di là dei confini religiosi; tutto l'incremento dello studio sulle altre tradizioni tra teologi, studiosi delle religioni, filosofi di tutto il mondo; tutto lo sforzo per un autentico incontro nella meditazione e nell'azione, nel dialogo leale.

Ma neppure qui sono mancati i contraccolpi: sul nostro globo continuano ancora le guerre sostenute o legittimate anche dalle religioni; esistono ancora pregiudizi e rifiuto, anzi ostilità e odio tra i fedeli delle diverse religioni; anche molti cristiani continuano a credere, orgogliosamente, nell'incondizionata superiorità e nella pretesa di assolutezza della propria religione; si continua a sospettare l'intesa ecumenica di sincretismo, relativismo e annacquamento della fede. Ero consapevole fin dall'inizio che in tutte le religioni esistono strutture di potere che non hanno alcun interesse a un'apertura ecumenica, a un'informazione e trasformazione reciproca degli uomini, e il cui sforzo è rivolto alla delimitazione, all'apologia, alla svalutazione degli altri.

Comunque, spero con tra spem, spero contro ogni speranza. Nonostante tutto, non cesso di sperare: un'ecumene tra le religioni di questa terra è possibile, è necessaria. Infatti, non pace tra le nazioni senza la pace tra le religioni, ma non è pace tra le religioni senza il dialogo tra le religioni:

Sempre più si comprenderà che le tre grandi religioni profetiche – ebraismo, cristianesimo e islamismo - rappresentano una prima unitaria corrente religiosa scaturita dalla sorgente semitica del Vicino Oriente, nella quale gli uomini riconoscono tutti l'unico Dio di Abramo, che crea e porta a compimento questo mondo, credono in un corso della storia orientato verso il futuro e in un ethos fondamentale di un'umanità elementare (dieci comandamenti).

Sempre più però impareremo, nello spirito ecumenico della riconciliazione, che possiamo lasciarci arricchire anche dalla seconda grande corrente, di origine mistico-indiana (soprattutto induismo e buddhismo), e dalla terza, di carattere sinosapienziale (confucianesimo, taoismo): dai loro valori spirituali, dalla loro profondità mistica, dalla loro visione del mondo e dell'uomo, che ha attraversato i secoli.

Sempre più le tre religioni profetiche arricchiranno le altre religioni mediante la loro immensa eredità spirituale, culturale - senza alcuna forma di colonizzazione religiosa, di superiorità trionfalistica, di disprezzo o di annessione spirituale.

Questa è la mia speranza: no, non un'unità delle religioni, non una religione unitaria, un piatto unico religioso o un miscuglio sincretistico. Ma, una pace ecumenica tra le religioni mondiali. E cioè una coesistenza pacifica, una crescente convergenza e una «pro-esistenza» creativa delle religioni - nella comune ricerca della verità che è sempre più grande e del mistero dell'unico vero Dio, che si rivelerà soltanto nell'eschaton. Vuota utopia? No, una visione realistica, la cui realizzazione è già cominciata nella base delle religioni.

Ad tertium

Ho alle spalle quarant'anni buoni di rapporti teologici internazionali. Ho potuto imparare a conoscere la chiesa come comunità di fede globale, differenza tra tutte le nazioni e razze. Sempre più ho affrontato la teologia come compito da svolgere in una prospettiva globale, internazionale. Da numerosi viaggi per il mondo e da innumerevoli ore di studio silenzioso ho imparato giorno e notte che la teologia deve dare il suo contributo a un'intesa tra le nazioni. I risultati di una tale intesa sono visibili: «inimicizie ereditarie» vecchie di secoli (Germania-Francia) sono superate; il processo di formazione di una comunità degli Stati nell'Europa occidentale va avanti nonostante tutte le difficoltà e tutti gli ostacoli: un grande miglioramento dei rapporti tra Est e Ovest è innegabile; colloqui sul disarmo e una cultura della fiducia portano finalmente a risultati concreti; il processo di comprensione internazionale, di cooperazione economica e culturale sembra necessario alla sopravvivenza e, perciò, irreversibile...

Non sono però mancati neppure i contraccolpi: al processo d'integrazione in Europa e all'avvio di una comprensione tra Est e Ovest si contrappone un processo di crescente spaccatura tra Nord e Sud. La distanza tra nazioni ricche e nazioni povere cresce continuamente; i popoli di questa terra sono economicamente (debito internazionale), socialmente ed ecologicamente più che mai divisi. Il processo di sfruttamento delle risorse naturali, di inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo con veleni e rifiuti ha raggiunto livelli terrificanti. Ero consapevole fin dall'inizio che in questo mondo ci sono cartelli di potere, che hanno un interesse a continuare tale processo di sfruttamento specialmente nel Terzo e Quarto Mondo, e cercano di ostacolare la creazione di un ordine mondiale giusto.

Comunque, spero con tra spem, spero contro ogni speranza. Nonostante tutto, non cesso di sperare: un'ecumene tra le nazioni è possibile, è necessaria. Le religioni, al riguardo, potrebbero interpretare in maniera totalmente nuova - al Nord e al Sud, a Est e a Ovest - e con largo respiro ecumenico, la loro corresponsabilità morale:

-    per la pace e, quindi, per la pacificazione della terra;

-    per la giustizia e, quindi, per l'eliminazione di strutture sociali e politiche ingiuste;

-    per la salvaguardia della creazione e, quindi, per l'abitabilità della terra in un ambiente vivibile.

Questa è la mia speranza: no, non un governo o una burocrazia onnipotenti; neppure una sovranità nel nome di una religione: non vecchie o nuove costrizioni fisiche e psicologiche nel segno del giuridismo, dogmatismo o moralismo religiosi, non l'esercizio autoritario del potere da parte di gerarchi e bonzi, ajatollah e guru. Al contrario, libertà per e solidarietà anche con i non credenti e i molti dubbiosi tra fede e incredulità. Quindi una comunità ecumenica tra i popoli, «nazioni veramente unite»: e al loro servizio una religione e una religiosità, le cui profonde intenzioni umane - la salvezza dell'uomo intero e di tutti gli uomini! - saranno riconosciute e realizzate dagli uomini stessi. Tutto ciò è un'illusoria fata morgana? No, una visione realistica, la cui realizzazione è già cominciata nella base delle nazioni.

In summa

Spero unitatem ecclesiarum: spero nell'unità delle chiese.

Spero pacem religionum: spero nella pace tra le religioni.

Spero communitatem nationum: spero nella comunità tra le nazioni.

Da dove proviene la forza del mio sperare? Per me personalmente (come per milioni di persone religiose ovunque nel mondo) la base del mio sperare è quella fiducia del tutto ragionevole che si chiama fede: «In Te, Domine, speravi; non confundar in aeternum» - «In Te, o Signore, ho riposto la mia speranza; non rimarrò deluso in eterno».

 

 

 

 

Letto 4574 volte Ultima modifica il Sabato, 17 Settembre 2011 12:29
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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