Educare a servire la pace
di Jennifer Schwarz
Ostinarsi nella ricerca di soluzioni. Mentre a Gaza la guerra infuria e i civili muoiono sotto le bombe in Francia, due campi inconciliabili - pro e anti-israeliani – affilano le loro armi, prolungando sotto i nostri cieli il confronto estenuante e sterile che da oltre mezzo secolo rovina il Medio Oriente. Laurent Klein dirige una scuola elementare, in Rue de Tanger, nel XIX arrondissement di Parigi. Egli è ebreo. Mehrézia Labidi-Maiza, che è stata a lungo a capo dell'associazione degli studenti della scuola, è musulmana e porta il velo. Al di là delle loro differenze di origine, sono convinti che per promuovere la pace, anche se il problema è principalmente politico, la diaspora degli arabo-musulmani e degli ebrei deve, più di chiunque altro, prendere l'iniziativa per un ravvicinamento. Entrambi hanno, dunque, aderito alla Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, un'associazione che, sullo sfondo della mobilitazione a favore o contro la guerra a Gaza, si è distinta a metà gennaio, per l'organizzazione di una “consultazione" di tre giorni tra quattro giovani israeliani e quattro giovani palestinesi.
«Imparare ad ascoltare»
Questa iniziativa - che, purtroppo, non ha attirato la comunità dei media - è stata almeno improntata d’umiltà, poiché essa ha sostenuto, ovviamente, di non risolvere il conflitto in corso. L’ambizione era altrove: si trattava di piantare un seme nella mente di questi giovani leader, che un giorno avranno un ruolo da svolgere. "Essi imparano ad ascoltare”, ha detto Mehrézia, perché il dovere di un credente non può trascurare una semplice domanda: cosa significa essere testimone della propria fede davanti agli altri? "Dobbiamo lavorare per costruire qualcosa con gli altri. Il dialogo è un lavoro interiore che ha bisogno di impegnarsi per l’altro, soprattutto in un momento di crisi, quando quest’altro si ritrova nel campo avversario”. Per condurre questa riflessione, Mehrézia s’è nutrita delle esperienze delle donne aderenti alla rete mondiale della sua associazione. Queste Africane che hanno vissuto conflitti d’una violenza senza nome e che sono ancora armate d’una volontà estrema di riconciliare il loro popolo. O, ancora, quei buddisti impressionanti nella loro capacità di sentire la sofferenza degli altri.
Impegnato nell’associazione da più di tre anni, Laurent sta conducendo una campagna al loro fianco per difendere l'idea che "non esiste conflitto che non sia inevitabile". Al posto dei grandi discorsi, ci vogliono atti modesti. Come questo libro scritto nel 2003, Abramo risvegliati, i tuoi figli sono diventati folli! (L'Atelier, 2004) o la storia di un insegnante di storia "laicista" sfidato da due studenti, un ebreo ed un arabo. Un saggio sull’apertura, la condivisione che egli mette in pratica scegliendo la "scuola pubblica" piuttosto che una scuola religiosa molto di moda nella sua comunità. "Io avevo, come individuo, bisogno di mescolanza, dello sguardo dell’altro”. È Mehrézia che lo ha convinto a partecipare alla Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace. Per sentirsi "meno solo", come afferma Laurent e per condurre dei progetti concreti. Entrambi sanno quanto se ne soffra. Quello che bisogna ardentemente intraprendere si riassume in una parola: educare. Educare a servire la pace.
A scuola, questo impegno passa naturalmente attraverso un'immagine dell’altro mediata dai libri di testo ma, secondo Laurent, non è sufficiente: "Le persone qui vivono le une accanto alle altre, ma non si vedono: questo è il XIX arrondissement [di Parigi]. Mi piacerebbe che l'idea dell’altro apparisse da qualche parte, che la scuola integrasse tra i suoi insegnamenti l’educazione religiosa”. Egli s’impegna anche per favorire i rapporti di fiducia tra la scuola ed i genitori. "È molto difficile farlo capire agli insegnanti, quando l'istituzione stessa si rifiuta di farlo”. Mehrézia è pienamente d’accordo: "Nella scuola pubblica, si applica la laicità all'eccesso. Tra la neutralità e la neutralizzazione dell’identità religiosa, è stata superata una soglia".
«Nessuna interpretazione unica»
Ma chi, qui in Francia, è in grado di rispondere al bisogno di cultura religiosa? Chi, se non la scuola? Azab Lama è giovane, intelligente e precoce. Come Laurent e Mehrézia, ella crede fermamente che la scuola, dove tutti i bambini imparano a vivere insieme, è in grado di fornire una conoscenza oggettiva delle religioni, attraverso il confronto, la definizione dei punti comuni e delle differenze. Questa egiziana di religione musulmana ha anch’essa aderito alla Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, che al momento non conta che due giovani in tutta la Francia, rispetto alle centinaia in molti altri paesi europei. Ella crede in particolare nelle azioni concrete a livello locale, che permettono di uscire dal dialogo tradizionale inter-religioso, "troppo consensuale" per i suoi gusti, "per farne uscire qualcosa". Ogni settimana Lama si reca così alla scuola privata Charles Péguy. Un istituto cattolico dell’XI arrondissement di Parigi, dove questa studentessa universitaria di lingue fornisce, sotto l’impulso dell'istituto, un insegnamento religioso per gli studenti musulmani che lo desiderano e contribuisce alla realizzazione, tre volte l'anno, agli incontri inter-religiosi tra gli studenti. "E' un lavoro quotidiano che ha un senso, uno scopo educativo. Si tratta d'un approccio ai testi, insistendo sul fatto che non esiste un'unica interpretazione”.
Attraverso questi dialoghi, i giovani prima di tutto imparano a meglio situare se stessi: "Questo mi obbliga a dire quello che penso, e quindi ad approfondire la mia fede nell'Islam, ad esserne orgogliosa”, dice Lilia, studentessa liceale del primo anno. Samuel, un compagno di religione ebraica, mostra un sorriso di soddisfazione: "Lilia ha ragione. Direi in più che lei ha un buon ascolto tra di noi. Questo ci permette di distruggere alcuni tabù, di sentirci vicini”. Vale a dire, tenersi al corrente delle feste religiose dei compagni, che siano cristiani, ebrei e musulmani, socializzare intorno alla mensa, in una sorta di "bozzolo". "Perché si è imparato a non scontrarsi, si è meno violenti che in pubblico", analizza Quentin, un giovane cattolico, dimenticando un passaggio: la scrematura sociale non c’è per niente… Laurent, Mehrézia, Lama, Samuel, Quentin, Lilia ... In sostanza, tutti s’applicano a pensare per se stessi, in un dialogo aperto dove, come ha riassunto il teologo ortodosso Olivier Clément, "non prevalga né l’indifferenza né la dominazione".
(da Le monde des religions, n. 34, 2009, pp. 18-19. Traduzione dal francese a cura di Fausto Ferrari)