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Mercoledì, 25 Agosto 2004 22:59

Il mondo, luogo della non-pace?

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di Ermis Segatti

In questi tempi di apparente crisi dei movimenti palesi e delle ampie mobilitazioni per la pace, un interrogativo mi ritorna spesso alla mente. Me lo pongo mentre sto riflettendo su discorsi ricorrenti che, forse provocatoriamente, definiscono «muta» (speechless) la particolare condizione in cui la pace sembrerebbe oggi versare. L'interrogativo nasce dalle parole di Gesù: «Vi lascio la pace, vi dò la mia pace non la pace che dà il mondo». Che senso hanno queste parole? Il mondo è irrimediabilmente il luogo della non-pace?

Esprimono semplicemente una rassicurazione, una garanzia per i suoi discepoli, che non saranno scossi dalle insidie mondane, dalle insidie e mistificazioni della pace stessa, quando fosse priva della Sua presenza? Oppure, senza riferimenti polemici ai tentativi di costruire pace al di fuori della fede, queste parole alludono invece a un «tesoro nascosto», a una «sorgente inestinguibile» della pace, che comunque sarebbe insito nella fede, a cui il mondo, la nostra storia potrebbe attingere nei momenti di arsura, di esaurimento delle prospettive della pace, quando le si levano contro barriere invalicabili in ogni direzione?

Credo che il momento in cui stiamo vivendo ci renda plausibili entrambe le interpretazioni, le renda eloquenti e nello stesso tempo provocatorie. Non tutto, certo, dipende dalla responsabilità dei credenti e meno che meno dei credenti in Gesù, quando si tratta di decidere le sorti della pace.

Stando, tuttavia, a chi crede, una insidia radicale oggi penetra all'interno di alcune componenti delle maggiori tradizioni religiose: declinare se stesse in termini di guerra assoluta, con la conseguente inettitudine ad accogliere percorsi rigorosi e coerenti di pace. Le proprie ragioni sembrano autorizzare una appropriazione definitiva e unilaterale del diritto, della verità. E l'insidia che, anche in nome della giustizia e della pace, appiattisce l'Assoluto su questo mondo, sulla propria giustizia, su un libro fossilizzato alla lettera, su una guida, su un'umanità a due sole tinte.

Quando, per cause gravi certamente, si entra in questa logica, pare proprio che la fede / le fedi si identifichino con quel sistema, con quella visione globale che, nelle parole di Gesù, sono chiamate «mondo». Resta l'involucro ideale e religioso, ma la trascendenza dell'Assoluto rispetto alla logica mondana è perduta.

È motivo di sofferenza e anche di apprensione constatare che si tratta di un fenomeno montante in diverse parti del pianeta terra e all'interno di non poche correnti spirituali e religiose. Si tratta per lo più di loro minoranze, ma esse sono non di rado le meglio attrezzate, in quanto spesso puntano alla logica, appunto, tutta mondana dell'egemonia, della rappresentanza esclusiva del loro credo, cioè del potere.

Su questo versante, da sempre latente nel patrimonio religioso dell'umanità, la pace, come dice Gesù, non potrà mai sorgere.

Si può, tuttavia, prospettare che queste stesse parole si aprano per i credenti anche all'altra possibilità, che esse indichino proprio all'interno della esperienza religiosa e, nel caso, del cristianesimo e di chi vuole seguire fedelmente Gesù, una riserva ultima di spe­ranza dove e quando nella nostra ricerca di pace parrebbe, invece, spegnersi ogni speranza.

Quella «pace che il mondo non può dare» suggerisce che anche le situazioni storiche nelle quali davvero si costruiscono barriere invalicabili, escludendo vie di pacifica soluzione, potrebbero non diventare o restare tali per pura fatalità. Infatti, la parola di Gesù evidenzia quella che è la suprema risorsa strategica di pace (o di guerra), cioè l'uomo in sé e la sua attitudine a rendersi disponibile o no, a farsi un mondo invalicabile o percorribile.

La fede, soprattutto, non ci sottrae alla fondamentale verità della presenza autonoma e attiva di Dio della storia e alla consapevolezza ancora più radicale che «nulla è impossibile a Dio». Come dire, che esiste un appello alla fede e della fede, quando urge un bisogno radicale a fronte di una inettitudine umana altrettanto radicale.

È la resa della presunzione religiosa di fronte a un Dio che renda umile e non ipocrita la preghiera. E la predisponga all'ascolto non supponente.

Qui si potrebbe scoprire senza vergogna che la pace non è esclusivamente pretesa e diritto, ma anche bisogno, la cui voce propria è anche implorazione.

Facendo eco alla parola ferma e rassicurante di Gesù, mi pare oggi urgente per il credente costruttore di pace che riattivi la relazione con l'Assoluto di Dio in una condizione di kenosi non esposta al vuoto e alla tracotanza.

 

 

 

 

Letto 1911 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Settembre 2011 18:42
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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