I Dossier

Mercoledì, 25 Agosto 2004 23:08

Ostinatamente pace

Vota questo articolo
(0 Voti)

di Tonio Dell'Oglio

La globalizzazione è un processo nel senso che non siamo di fronte a un fenomeno statico, apparso per germinazione naturale, frutto del caso... ma a un meccanismo (economico, politico e culturale) che investe pervasivamente tutti gli aspetti della vita umana (personale e collettiva), al punto da trasformarli e unificarli in un unico modello.

Questo è possibile, grazie alla:

  • velocità, quantità e facilità delle comunicazioni che attraversano il globo;
  • convergenza del potere politico (governo unipolare) nelle mani di un gruppo di nazioni ricche (G8);
  • concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi "fortunati".

Il punto di partenza dei credenti deve essere il "sogno di Dio" per l'uomo. Dobbiamo chiederci, allora, come il suo amore ha pensato il mondo e l'umanità.

Il sogno di Dio

Nel libro della Genesi, abbiamo almeno due riferimenti precisi, che ci indicano il modo di Dio di pensare l'uomo e le sue relazioni: "E Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza"" (1,26) e, ancora: "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" (2, 15). Siamo consapevoli di trovarci di fronte a un progetto di interazione feconda tra l'uomo e il suo creatore, tra l'uomo e le creature, tra l'uomo e il mondo.

Innanzitutto, viene definita una relazione privilegiata con Dio, che crea l'uomo a sua immagine, elevandone la dignità al di sopra di ogni altro soggetto della creazione. In secondo luogo, non è descritta una relazione di sottomissione o sfruttamento; al contrario, i verbi che indicano il motivo e la modalità dell'essere dell'uomo nel mondo sono di preservazione, garanzia, tenerezza, accompagnamento fedele, rispetto. L'uomo sa bene che questo mondo non gli appartiene e che gli viene concesso in comodato gratuito da Dio. Non può sentirsene possessore e dominatore, semmai servitore. Gli viene consegnato un compito che è un impegno di fedeltà nei confronti del creato, delle generazioni future e del creatore.

Non è forse questa la radice ultima (o prima?) della passione con cui i cristiani devono partecipare del sogno di Dio e non dormire sonni tranquilli, fino a quando una sola persona che abita la terra vede calpestata o non riconosciuta la propria dignità? Noi che siamo creati a immagine del creatore potremo sopportare che la somiglianza a Dio venga tradita, offuscata, degradata? In questo senso, la visione dell'economia che fa perno sulla competizione non può ragionevolmente trovare l'appoggio o la simpatia dei cristiani. Nel sogno di Dio vi è la solidarietà del cooperare e non l'antagonismo del competere, che riduce gli spazi della fraternità a vantaggio delle logiche di sfruttamento e prevaricazione.

Tant'è che, al primo atto di ribellione di Adamo ed Eva contro Dio, succede quello di Caino contro il fratello. E Dio riserva a Caino la medesima pena dell'allontanamento da quella terra, quasi ad indicare che il "reato" commesso è dello stesso tipo e gravità del precedente.

E... una torre

"Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'Oriente, gli uomini capitarono in una pianura, nel paese di Sennaar, e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco'' Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo, dunque, e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro!". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra" (Gen, 11,1-9).

Ci troviamo di fronte al tentativo degli uomini di costruire un modello perfetto di globalizzazione, in cui si parla la stessa lingua. Potremmo dire che era in atto un processo di omologazione politica, culturale ed economica. Un pensiero unico, insomma.

Accanto a questo, c'è la promotion del "facciamoci un nome!". Il pensiero fisso di quella generazione era di costruire una torre che arrivasse fino al cielo, tanto che per salire fino in cima (come narra il midrash della torre) occorreva un anno intero. Talmente fisso ed importante erano diventati quel pensiero e quel progetto, che "agli occhi dei costruttori un mattone divenne allora più prezioso di un essere umano; se un uomo precipitava e moriva nessuno vi badava, ma se cadeva un mattone tutti piangevano perchè per sostituirlo sarebbe occorso un anno" (L. GINZBERG, Le leggende degli ebrei, vol. I, Milano 1995, p. 170). Dio interviene e li disperde su tutta la terra, confondendo le loro lingue. Non una punizione, ma una restituzione dell'umanità al sogno di Dio, che risiede nella diversità e non nell'omologazione. L'intento di Dio è di disseminare l'umanità su tutta la terra e non di raccoglierla in un unico villaggio (pur globale che sia.).

Davvero suggestiva e interessante l'interpretazione che dell'episodio fornisce l'anima poetica di Erri De Luca: "La specie umana si muove dalla valle di Scin'ar per brulicare nel pianeta e diventare così inestirpabile. Nessun diluvio o epidemia la spazzerà via, perché da qualche parte essa resisterà. Non bisognava salire fino al cielo per sopravvivere, non bisognava arroccarsi in una difesa, ma lanciarsi all'avventura del mondo. Dio segna qui che la specie umana è forte quanto più è varia e quanto più si mette alla prova. Ogni tentativo di darle un solo sangue, un solo cibo, una sola medicina va nella direzione sbagliata. E anche un solo Dio: perché deve piacergli l'infinita varietà con cui le creature, bestie comprese, lo chiamano vicino" (E. DE LUCA, Nocciolo d'olivo, Padova 2002, pp.60-61).

Dio dice NO a una sola lingua, cultura, potere, religione...

Dio rifiuta l'unicità e l'altezza, moltiplicando invece le lingue e dando varietà al mondo (che è bello perché vario!).

Da notare che gli ebrei, esuli in Babilonia, ben conoscevano le ziggurat, ma pongono la tenda come abitazione di Dio. Il progetto di Dio è "l'anti-babele" e già in Abramo vi è l'inizio di un progetto globale antibabelico. La pentecoste è, dunque, la realizzazione piena del progetto-sogno di Dio: parlare le lingue della terra, per annunciare la felicità degli esseri viventi.

Per queste ragioni fondamentali, non può esservi modello o proposta di globalizzazione intesa come "riduzione ad uno", che possa vedere il consenso di un cristiano che vuole stare nel sogno di Dio per l'umanità. Tanto più, poi, per una globalizzazione che ha divinizzato il mercato, come a Babele si erano piegati al mattone.

Per una spiritualità della nonviolenza

Non è tanto importante offrire gli elementi o lo strumentario o la ricetta per un intervento nonviolento, in un'epoca come la nostra, fortemente segnata dalla violenza nei rapporti tra i popoli e all'interno dei popoli; potremmo parlare di "Corpi civili di pace" o di "Difesa popolare nonviolenta", di "Caschi bianchi" accanto ai "Caschi blu", di "Diplomazia popolare" e di "Cooperazione preventiva"... È fondamentale, invece, riuscire a far comprendere che la nonviolenza sgorga come esigenza, feconda e primaria, direttamente dal vangelo di Gesù Cristo e non da scelte storiche occasionali o da prospettive ideali di gruppi minoritari.

Amicizia tra i popoli, conoscenza, solidarietà convivialità (convivium) delle differenze da costruire (punto di arrivo). L'amico è colui che ci arricchisce con la sua differenza. Di qui, l'importanza di un'educazione all'alterità, all'accoglienza, al riconoscimento della ricchezza dell'altro. Educazione preventiva e non guerra preventiva. Da Zaccheo alla samaritana, al buon samaritano... il vangelo è un racconto di incontri, soprattutto con "extracomunitari". L'altro non è il nemico e non rappresenta la minaccia, ma un kairòs, un'occasione favorevole.

Martin Buber e Levinas ci parlano dell'"etica del volto", che significa riconoscere l'altro nell'abisso del suo mistero, ben oltre il pur importante riconoscimento della dignità. È la sacralità dell'altro, ribaltamento dell'etica del nemico. Il paradosso della non-violenza è proprio qui, nel riconoscimento della sacralità della vita dell'altro. Ciò si oppone sia all'idea del nemico, che a quella dell'omologazione, che non mi fa riconoscere l'unicità delle persone.

Nell'episodio della Genesi che riguarda l'uccisione di Abele, il Signore mette in guardia: "Guai a chi tocca Caino!".

La debolezza della croce. L'esperienza religiosa dei campi di concentramento non è quella di un Dio onnipotente, ma di un Dio debole, solidale perché debole con le vittime, come ogni "confitto, ma non sconfitto". Dal di dentro di quel limite, riesce a far emergere e manifestare la forza dell'amore, che spesso il mondo vive come segno di debolezza ed invece è il punto massimo di forza. Questa debolezza Dio deve viverla fino al grado più infimo, per poter redimere, riscattare e liberare gli uomini.

Di fronte al mito della potenza, esaltato nella peggiore retorica della guerra come l'atto più elevato della vita di un popolo, la croce dice quanto basso sia quel punto... Le parate militari e l'accoglienza di un capo di stato con il "presentat-arm" sono segno che la guerra è ancora presente nella nostra coscienza.

La signoria di Dio, nostro unico Signore: una signoria molto contesa, compromessa. Ma oggi è molto prostituita, anche da una pretesa signoria della chiesa. La guerra si inserisce in questi interstizi di deficit di presenza di Dio. Pensiamo all'esperienza spirituale di Charles De Foucauld, di Francesco di Assisi ("Mio Dio e mio tutto"). Se riconosco la mia povertà e quella dell'umanità, posso riconoscere la signoria di Dio nella mia vita.

Anche la preghiera si comprende in questa ottica, se non è mero esercizio. La preghiera è la forza dei poveri.

Porgere l’altra guancia. Nel vangelo, è capitato a Gesù di ricevere uno schiaffo, ma egli ha risposto provocando nell'interlocutore una riflessione. Non ha subito, non è rimasto inerte; al contrario, ha risposto a partire dal gesto per farlo divenire seme di nuove risposte che interpellavano la coscienza. Ha innescato un processo, un percorso umano che pone l'uomo di fronte a se stesso, alla propria coscienza... con un tema molto grande che riguarda la verità. Non è assolutamente un caso che Gandhi sia giunto alla definizione della nonviolenza attiva come Satyagraha, "forza della verità".

(da Amico, gennaio 2004)

 

 

 

Letto 1892 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Settembre 2011 18:51
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search