No, è il viso di mia figlia di 9 anni nel sentire dalla televisione che probabilmente ci sarà una guerra e la conseguente mia banale e cinica spiegazione che tanto si tratta di una guerra lontana e che non potrà arrivare fin qui. Che cazzata che ho detto!
Probabilmente nessuno di noi poveri mortali è pronto a reagire nella maniera "giusta" di fronte a situazioni del genere. Forse ci manca la cultura o l’esperienza "giusta" per sapere quale è il modo migliore di interpretare i fatti che accadono o stanno per accadere.
E se invece stessimo sbagliando tutto? E se invece di cercare grandi risposte a questi grandi quesiti, come è d’altronde il quesito del perché ci deve essere una guerra, è più utile cercare di risolvere quesiti forse più piccoli, ma sicuramente più vicini a noi?
Noi uomini e donne di buona volontà viviamo il nostro tempo con il perenne disagio di non riuscire a contare più di tanto, di non avere i mezzi sufficienti per far sentire la nostra voce, di essere praticamente inermi di fronte a quanto ci succede attorno. Ed infatti, tutto ci accade, o ci facciamo capitare, in una sorta di passiva consapevolezza, quasi come se volessimo farci del male, un’accettazione masochistica del movimento "naturale" della storia.
La mia generazione è cresciuta con l’ideale di voler e poter cambiare il mondo. Siamo praticamente cresciuti con l’attenzione verso i grandi sistemi, verso quello che è il mondo esterno, nella sua globalità.
Per essere stati attenti al bosco intero, abbiamo però perso di vista il singolo albero, forse proprio quello che vicino a noi si sta ammalando.
Certo, quando si parla di pace si parla sempre di pace nel mondo, di pace tra gli Stati, tra i popoli.
Ma con quale coraggio parliamo di pace globale, quando quella più vicina a noi, nel nostro quotidiano, non si riesce a concretizzare?
Il pacifismo è una bella moda, molto comoda ed utile in certi "salotti".
In nome della "pace" si smuovono le masse, le coscienze, le opinioni (probabilmente sempre meno rispetto a come si smuovono per gli eventi sportivi, soprattutto per il calcio!).
Ma in nome della "pace" si armano gli eserciti, si fanno gli ultimatum, si fa la voce grossa. Capito come vanno le cose? Probabilmente è l’effetto della perenne gara tra la follia e l’idiozia umana, ma lo sappiamo tutti, per queste reazioni non c’è limite!
E poi, non mi sembra che ci sia la stessa attenzione, la stessa premura, quando si tratta di risolvere le nostre tensioni quotidiane.
Quanto siamo pacifici quando subiamo qualche torto nel nostro posto di lavoro?
Quanto siamo pacifici quando discutiamo con il nostro partner o quando addirittura scopriamo un tradimento?
Quanto siamo pacifici quando scopriamo che qualcuno ci ha graffiato la carrozzeria dell’auto?
Quanto siamo pacifici quando ci accorgiamo che un condomino ha sporcato l’androne del palazzo?
Diceva Gandhi che la nonviolenza, come la carità, deve cominciare a casa propria. Non si può essere nonviolenti in un’attività e violenti in un’altra.
Ma diceva anche che questo mondo è tenuto insieme da vincoli di amore. La storia non registra i quotidiani episodi d’amore e di dedizione. Registra solo quelli di conflitto e guerra. In realtà, comunque, gli atti d’amore e di generosità, a questo mondo, sono molto più frequenti dei conflitti e delle dispute... Se così non fosse, sarebbero sopravvissute soltanto le minoranze più feroci...
Ecco, forse con questo mio sfogo cerco di capire che il valore della pace passa attraverso la nostra vita quotidiana, i nostri gesti, i nostri singoli rapporti.
Belle parole, ma mi resta sempre un dubbio: avrò mai il coraggio di invitare a cena il mio nemico?
Il libro "Lettere di pace", per il quale ha collaborato l'autore del presente contributo, può essere acquistato presso l'editore Di Salvo sul seguente indirizzo http://www.disalvoeditore.it/lettere.shtml. I fondi raccolti dalla vendita del libro vanno a favore di Emergency.