I Dossier

Domenica, 29 Agosto 2004 21:53

Una riflessione sulla responsabilità dei cristiani per la pace

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Comunità S. Egidio

Le tante guerre

I cristiani debbono sentirsi impegnati nella costruzione della pace in modo del tutto particolare, ed è impegno di sempre. Infatti, non possiamo dimenticare le tante altre guerre sparse nel mondo che continuano a mietere vittime innocenti. Dalla Terra Santa a quelle del Medio Oriente, a quelle africane o asiatiche, che dividono i paesi, che tengono in ostaggio intere popolazioni, che impediscono un futuro dignitoso a tanta gente. E poi la grande minaccia del terrorismo, con la sua violenza cieca e con la sua potenza capace di colpire in maniera drammatica.

Che possono fare i cristiani? Come affermare la pace in questo tempo pieno di guerre? Sono domande che bisogna farsi, anche se la risposta non è facile. Ci si sente, infatti, terribilmente irrilevanti e impotenti di fronte alle guerre in corso. L'impotenza e il pessimismo prendono il sopravvento e spingono a ripiegarsi nelle proprie comunità, nelle proprie Chiese, estraniandosi da un mondo troppo grande, in cui si può fare poco. il ripiegamento all'interno dei propri mondi (piccoli o grandi, parrocchie, diocesi, Chiese) è un atteggiamento che diviene sempre più comune. Ma questo denuncia una mancanza di speranza, che viene inesorabilmente erosa dal pessimismo, dall'impotenza, dal ripiegamento, dall'impegno ad occuparsi degli affari propri, del proprio denaro, di se stessi. L'individualismo dei comportamenti personali corrisponde al ripiegamento nelle istituzioni: è facile che le stesse comunità cristiane si lascino prendere da un'eccessiva autoreferenzialità. La rassegnazione porta ad abituarsi ad una vita senza grandi sogni e senza la speranza di poter costruire un futuro di pace tra i popoli, cosi è facile scivolare verso la rassegnazione e la guerra, per realismo.

La preghiera per la pace

Di fronte alle guerre il problema della fede è decisivo. Dice Gesù ai discepoli: "Abbiate fede in Dio! In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Levati e gettati in mare, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato" (Mc 10, 22). La fede dei credenti può spostare le montagne. Spesso i cristiani restano ai piedi delle montagne, come intimiditi dalla loro altezza e dalla propria impotenza: si rinuncia cosi a lottare per la pace, anche di fronte alle montagne di odio e di armamenti; si rinuncia a guardare oltre le montagne massicce che sembrano chiudere l'orizzonte ad ogni speranza.

Non è il coraggio che fa superare la cultura della paura e il senso di impotenza. E' la fede che porta al di là delle ristrette frontiere delle impotenze, dei timori, delle intimidazioni. I cristiani che entrano in questo secolo sono chiamati a ritrovare la forza debole della preghiera. La preghiera è una grande arma nelle mani dei credenti. Ed è un segreto per i discepoli di Gesù, ma anche per tutti i credenti. E' questo il segreto degli incontri promossi dal Papa tra i responsabili delle grandi religioni ad Assisi per pregare per la pace. Nel 1986 non era certo la prima volta che la Chiesa si impegnava nella preghiera per la pace, ma in quell'occasione si mostrava plasticamente il raccordo tra preghiera e pace. La preghiera si mostrava come la 'forza debole" capace di sconfiggere il male, la guerra. Nel suo discorso conclusivo sulla piazza di Assisi, il Papa affermava: "Forse mai come ora nella storia dell 'umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace..., la preghiera è già in se stessa azione".

Il Vangelo della pace

Nella comunità cristiana c'è un'eredità di pace che il Signore ha lasciato ai suoi discepoli: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da il mondo io la do a voi" (Gv 14, 27). E' il Vangelo della pace, quel Vangelo che spesso viene umiliato dagli stessi discepoli quando soccombono alla paura, o alla violenza, o ai disegni di guerra, o alle sapienze strategiche di questo mondo. La pace di cui parla il Vangelo, è qualcosa di profondo, perché Dio stesso è l'autore della pace: "Egli infatti è la nostra pace..." (Ef 2, 14).

La pace, per i cristiani, non è anzitutto una scelta politica, è piuttosto una dimensione personale, del proprio cuore, della vita, delle relazioni con gli altri. E' prima di tutto la pace con Dio, che viene dal suo perdono, dalla sua presenza, della sua vicinanza, dal nostro voler bene ai suoi figli e nostri fratelli. La pace è quella che Cristo risorto dona ai suoi discepoli in un tempo di crisi, almeno per loro, all'inizio difficile del loro cammino nella storia. La pace è quel mare in tempesta che si calma, grazie alla Parola di Gesù. Per questo dono, il cristiano è, nel profondo, un uomo pacifico. Se non lo è, vuol dire che si è allontanato dallo stesso Vangelo.

Come uomo pacificato, diviene necessariamente anche pacificatore. Il Signore è mite e umile di cuore; non odia chi lo perseguita, chi congiura contro di lui, chi lo tradisce. Non accetta di essere difeso con la spada in un momento in cui la difesa sarebbe legittima. Il cristiano è chiamato ad essere un pacifico, anche in una situazione difficile, di povertà, di guerra, d'ingiustizia, di persecuzione.

La resistenza alla violenza, alla guerra, all'odio, si radicano nel profondo della stessa identità del cristiano: per questo i discepoli di Gesù, come uomini e donne, sono operatori e quindi comunicatori di pace. La custodia della pace è decisiva in questo inizio di secolo, perché tutto sembra concorrere a lasciarsi travolgere dalle passioni; dagli etnicismi, dai nazionalismi, dai bellicismi, sprecando miseramente e tragicamente il grande dono della pace. L'essere cristiani non immunizza dall'intossicazione di queste passioni. Molto spesso anche i cristiani sono prigionieri della paura, delle passioni, di ragionamenti che mettono all'ultimo posto la testimonianza di pace. Quanto i cristiani sono educati a considerare la pace come qualcosa di sostanziale per la loro vita, come qualcosa di imprescindibile nel loro comportamento, come qualcosa a cui non possono rinunciare?

La custodia della pace

Le comunità cristiane sono chiamate ad essere fraternità di uomini non anzitutto pacifisti, ma pacifici. Essi sono chiamati ad essere pacifici e a vivere da pacificatori, cioè innanzitutto ad avere un senso generoso della propria vita. In un mondo ove tutto si calcola, la generosità, l'amore, possono apparire inutili, soprattutto se non connessi ad un progetto. Essere uomini e donne di pace vuol dire vivere con amore e generosità la vita di ogni giorno, logorando quel senso di contrapposizione, di odio, di rancore, che è nei meccanismi della comune vita sociale. San Francesco, in un mondo ruvido e bellicoso nei rapporti sociali, insegnò il valore della "cortesia". L'uomo pacifico vive in maniera generosa i rapporti con tutti, anche quelli più casuali, ed in particolare quelli verso i poveri, coloro che non hanno niente da dare in cambio. L'amicizia coi poveri è un segno di pace con quelli a cui la società fa la guerra. L'amicizia con i poveri crea e custodisce la pace, la fa crescere in società indurite nei cuori. L'amore per i poveri semina, anche misteriosamente, al di là della logica del dare e avere, una pace profonda.

Una missione in un mondo senza pace

I cristiani, in un mondo come questo, non debbono lasciarsi intossicare dalle passioni o dalla violenza. Per questo il Vangelo della pace non è una moda, ma si radica nel cuore di ogni discepolo e nei fondamenti della stessa comunità cristiana. La Chiesa è un luogo di pace e i suoi figli sono quei sapienti che accrescono la pace del mondo, e le comunità cristiane costituiscono uno spazio di aria pulita, non intossicata dall'odio, in questo mondo contemporaneo dove si respira un'atmosfera pesante e bellicosa. il Vangelo custodisce il segreto della pace, e ogni volta che viene comunicato un cuore si apre alle ragioni della pace. Le comunità cristiane sono una spazio in cui non ci si può rassegnare all'inevitabilità della guerra e delle sue conseguenze.

La pace, pertanto, non è riservata ai politici. E' una realtà troppo seria per essere riservata ai politici o ai diplomatici. La pace appartiene a tutti, particolarmente ai cristiani: è la loro missione. C'è un bisogno estremo di pace, e questo bisogno riguarda anzitutto i cristiani. Si potrebbe dire che è bisogno che l'uomo ha di Dio, sete di Dio, del suo regno e della sua giustizia. I cristiani nel mondo di oggi debbono tessere come una rete che raccoglie e custodisce il dono della pace, pregando per la pace; ingegnandosi a realizzarla tra gli uomini. In un mondo segnato da possibili scontri di civiltà, in un universo marcato dalle lotte di religione, in società intossicate dalle passioni, essere cristiani significherà sempre essere uomini pacifici e uomini pacificatori. E la pace si comunica con più forza quando i cristiani sono tra loro uniti. il male - lo insegna la storia - ha sempre approfittato della divisione fra i cristiani per introdurre i suoi veleni di violenza e di menzogna. Non è la fede cristiana che si riduce a pacifismo; ma è la vita evangelica che, più consapevole di sé, sprigiona una forza di pace.

 

 

 

 

Letto 3240 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Settembre 2011 19:39
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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