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Domenica, 29 Agosto 2004 22:02

Parole di pace, dottrina di guerra

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di Massimo Toschi

Per comprendere la posizione di Giovanni Paolo II bisogna saper distinguere tra impianto dottrinale e gesti profetici che contengono sempre un elemento di novità e di freschezza evangelica.

Sul piano della dottrina è necessario prendere atto che, con il Pontificato del papa polacco, c'è una ripresa esplicita della teologia della guerra-giusta. Già la discussione sulla deterrenza all'inizio degli anni '80 e poi la formulazione della teologia dell’ingerenza umanitaria rappresentano passi significativi in questa direzione, ma con il capitolo sulla legittima difesa e sulla guerra giusta nel catechismo della Chiesa universale si ha una piena legittimazione dottrinale di questa ripresa.

La stessa formula di "guerra giusta", che non si ritrova in nessun modo nella Gaudium et spes è ripresa nel catechismo in modo consapevole e voluto, con un'operazione assolutamente sorprendente.

Nel momento in cui la qualità della guerra è assolutamente cambiata con il massacro deliberato di civili, avviene questa riesumazione di una antica teologia, nata in un altro tipo di guerra, che oggi non esiste più e che, peraltro, considerava immorale l'uccisione deliberata di civili.

Questa ripresa della teologia della guerra si colloca nel recupero della dottrina sociale e della pretesa di influenzare la politica e le scelte degli Stati attraverso categorie comprensibili dagli Stati stessi.

Anche l'attuale condanna della guerra preventiva risente di questo orizzonte, perché si legittima solo la risposta di difesa ad una offesa e si riconosce la legittimità di una guerra solamente nel momento in cui è autorizzata dall'autorità internazionale e cioè dall'Onu.

A proposito della prima guerra del Golfo nel 1991, il papa parla di "avventura senza ritorno". Dichiara: "le esigenze di umanità ci chiedono oggi di andare risolutamente verso l'assoluta proscrizione della guerra e di coltivare la pace come bene supremo, al quale tutti i programmi e tutte le strategie devono essere subordinate".

Non ci sono i sottili distinguo di una teologia astuta, la condanna è netta e senza equivoci. I fatti hanno poi mostrato la giustezza di quella posizione. La guerra è stata inutile. Il costo di vite innocenti, assolutamente devastante.

Durante la guerra in Kosovo, nel 1999, ancora la parola del papa ha un altro timbro rispetto a quella di numerosi vescovi, molto segnati da interessi politici. Qualcuno ha definito la Nato il buon samaritano.

Giovanni Paolo II al Consiglio d'Europa dice: "una violenza che risponde ad un'altra violenza non è mai una via per uscire dalla crisi. Conviene dunque sospendere gli atti di vendetta per impegnarsi in negoziati".

Anche in questo caso la guerra ha lasciato aperti tutti i problemi e forse li ha complicati. Si è fermata una pulizia etnica e se ne e permessa un'altra. La stessa caduta di Milosevic poteva essere conseguita in ben altro modo. Al solito: la guerra come extrema ratio di una politica pigra e incapace di guardare lontano.

Anche dopo l'11 settembre 2001, le parole del papa sono con grande forza parole di pace. Già il 12 settembre, egli dice: "imploriamo il Signore perché non prevalga la spirale dell'odio e della violenza".

E all'ambasciatore americano, ricevuto in Vaticano, egli chiede che non prevalgano la "vendetta" e lo "spirito di ritorsione". Le cose, come sappiamo, sono andate in ben altro modo, ma anche in Afghanistan la guerra ha mostrato tutta la sua inutilità nel combattere il terrorismo e nel risolvere i veri problemi di quel Paese.

C'è un altro livello, non meno importante, di intervento sulla pace di Giovanni Paolo II. Sono le sue iniziative di preghiera: la preghiera di Assisi nel 1986, la preghiera per la ex-Jugoslavia del 1999, l'esperienza del digiuno con i musulmani dopo la guerra in Afghanistan. Sono gesti che portano la pace ad evitare catture politiche e a trovare il suo vero alimento nella forza spirituale.

È questa forza spirituale che spinge Giovanni Paolo II a liberarsi delle angustie della teologia della guerra, per trovare al cuore dei conflitti la parresia evangelica della pace.

In questo lo aiuta la sua storia di uomo e di credente, che ha visto in faccia la guerra in tutto il suo potere di tragedia e di distruzione. Il suo no alla guerra nasce dall'esperienza della seconda guerra mondiale, che lo spinge a comprendere meglio l'Evangelo.

Anche in queste settimane di drammatico avvicinamento alla guerra in Iraq si è percepito il timbro diverso del papa nella lettura degli eventi. Se talora i documenti non convincono, le sue parole sembrano spesso liberarsi dalla prigione della giustificazione della guerra, per diventare eco del Vangelo della pace.

(Adista, 5 aprile 2003)

 

 

 

 

Letto 2383 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Settembre 2011 19:46
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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