Questa parabola potrebbe essere riassunta in una frase di san Giovanni della Croce: "alla fine della nostra vita, saremo giudicati in base all'amore". La parabola non intende descrivere quello che sarà il giudizio finale, ma vuole centrare l'attenzione su un solo tema, la necessità dell'amore e di un amore di gesti concreti per gli emarginati della storia: "avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere...." (vv. 35-36.42-43). Verremo giudicati in base a questo amore operoso perché Cristo ha voluto identificarsi con i più piccoli: "tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me" (vv. 40.45).
Così come in un altro punto del Vangelo, di fronte alla domanda di alcuni discepoli, Gesù insegna che colui che aspira ad essere il più grande deve identificarsi con Cristo servitore che dà la vita fino alla morte, in questo testo ci viene detto che Cristo risuscitato, che è presente, è colui che si fa solidale identificandosi con i suoi fratelli quando questi soffrono grave miseria, frutto dell'ingiustizia economica, sociale, culturale e religiosa. Fratelli che, agli occhi del mondo, appaiono come i meno importanti. E questa identificazione è allo stesso tempo piena e misteriosa, perché né i benedetti né i maledetti hanno saputo quando hanno servito Cristo "quand'è che ti abbiamo visto...?" (vv. 37-39.44). Il testo evidenzia la centralità del servizio e dell'identificazione messianica con le persone escluse, che desta sorpresa in sede di giudizio.
Ma la dinamica del giudizio è quotidiana. Il giudizio del Re avviene oggi, ora, perché si fa realtà nel servizio quotidiano. E per questo motivo è anche fonte di speranza. Oltre ai grandi progetti, abbiamo bisogno di opzioni e impegni etici quotidiani, che aiutino a superare le necessità e a trasformare le strutture. Abbiamo bisogno di strategie di ricostruzione della dignità. Queste strategie costruiscono speranza in tutte le persone che partecipano ad esse. L'identificazione di Cristo con i poveri è una delle strategie indicate dal testo per alimentare la speranza delle persone che soffrono e di quelle che sono solidali con esse.
C'è nel testo una logica del Regno e della giustizia di Dio che non è la nostra. Già a partire dall'antichità, nella cultura greco-latina, si è cercato di definire cos’è la giustizia. E abbiamo adottato una definizione che è ormai classica: "dare a ciascuno il suo”. Con questa bella definizione la giustizia è rimasta esposta alle arbitrarietà dei più forti. Invece la giustizia evangelica sovverte i valori sociali elaborati per mantenere i privilegi di una minoranza oppressiva, ed esige una vita buona per tutte le persone.
La giustizia di Dio si scontra con quella del mondo: la giustizia del neoliberismo globalizzato fa sì che i piccoli soffrano l'ingiustizia. Ma la giustizia di Dio mette in discussione e combatte le cause della miseria con atteggiamento di vigilanza rispetto ai poteri istituiti e di denuncia rispetto ai loro abusi.
Il testo è di monito. Tutti saremo giudicati in base alla solidarietà. Alcuni risulteranno benedetti, altri avranno perso l'occasione, forse troppo preoccupati delle cose che devono fare e risolvere.
Ma il testo è anche fonte di un potere trasformatore che aiuta a vivere il giudizio quotidiano di Dio in modo sereno, senza paura, con speranza, facendoci persone adatte e gratuitamente pronte all'amore.
Virginia Santamaria *
* Argentina, docente di teologia, si dedica all’insegnamento e alla formazione degli operatori pastorali e catechisti. Il suo principale ambito di studio e di lavoro è quello delle sacre scritture.
(in Adista n. 79, XXXVI - 2002, p.15)