Religioso Marista
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Un saggio teologico sulla penitenza nelle Chiese Ortodosse
La prassi orientale della confessione
di Mauro Pizzighini
26 dicembre 2004, ore 00.58: uno tsunami, un'onda anomala prodotta da un fortissimo terremoto sottomarino verificatosi a largo delle coste indonesiane provoca morte e distruzione su una vasta area del sud-est asiatico. Si stimano oltre 300.000 morti ed 10.000 dispersi, numeri purtroppo destinati ad aumentare col passare del tempo.
1054-2004. Dove siamo oggi?
di Vladimir Zelinskij
Raramente si possono incontrare persone che pensano ancora che la rottura fra Roma e Costantinopoli fu un atto davvero giusto e salvifico per l'ortodossia; tranne qualche strambo, credo che non ci siano nel mondo cattolico ammiratori della scomunica dei greci. Se per il mondo protestante, la Riforma è una felice data di nascita, dunque una festa, per l'ortodossia e il cattolicesimo il loro scisma rimane un trauma - per alcuni, forse, un'operazione chirurgica inevitabile, ma dolorosa in ogni caso. Insomma non è un anniversario da festeggiare. Ma da ricordare di sicuro.
Se i cattolici credono che si può respirare con due polmoni, anche se uno è separato da secoli, tanti ortodossi non sospettano nemmeno che l’altro polmone esista. A volte, però, anche il dente tolto ci fa male e il polmone che non respira più fa soffrire. Non parlo dell'acuta nostalgia ecumenica - di cui davvero pochi sono trafitti nell'emisfero ortodosso - intendo piuttosto le nostre infermità interiori, di cui soffriamo senza accorgersi. Nel 1054 qualche legato che rappresentava la Sede di Roma (modesta e vacante in quel momento) ha rotto col patriarca della Grande Chiesa di Costantinopoli; nel mondo attuale esistono decine e decine di giurisdizioni ortodosse canoniche e non canoniche (negli Stati Uniti, in Europa, in Italia...) che sono, infatti, chiuse nei loro ghetti nazionali, nel loro star bene da sole, nella solennità della loro solitudine. I loro teologi, se svegliati la notte, vi spiegheranno in un batter di ciglia tutte le eresie del papismo, senza pensare per un attimo che possa esistere anche un'eresia dell'autosufficienza. Le forze che ci uniscono, aldilà dell’enorme e ricchissimo tesoro della fede comune, sono più che deboli. Sì, al Patriarca di Costantinopoli spetta ancora il primato d'onore, ma quell'onore ha significato piuttosto liturgico e simbolico.
Le Chiese ortodosse, però, possono facilmente accontentarsi di questo innocuo simbolismo. Il vero primato appartiene, infatti, alla Tradizione e una "T" maiuscola, forse, non basta per esprimere la pienezza del concetto. Tradizione è prima di tutto il cammino dello Spirito Santo fra gli uomini e tutte le impronte lasciate da Lui nella storia: i dogmi, i sacramenti, i riti, i canoni, le vite dei santi, ecc. Anche la Parola di Dio fa parte della Tradizione o almeno non può essere tagliata da essa, perché la Parola è inseparabile dalla sua percezione, dal nostro essere davanti a Dio che è anche il frutto dello Spirito. Tanti problemi delle altre Chiese che devono fare i conti con la modernità, in pratica, non esistono per gli ortodossi. A volte non sono neanche formulati. Per condannare l'aborto, l'eutanasia o il matrimonio omosessuale, la Chiesa d'Oriente non ha bisogno dell'intervento del Sommo Pontefice. Basta respirare da ortodosso.
Se la Tradizione nell'ortodossia fa sentire il peso del passato che è quasi sempre sacro e intoccabile, nel cattolicesimo la Tradizione si esprime in prevalenza tramite la bocca del papa. Il papa deve fare tutto ed essere dappertutto, su tutti gli schermi e in tutti i paesi, su tutte labbra, in tutti cuori… Giovanni Paolo II, un uomo dal carisma eccezionale, ha portato la sua grandezza come un destino, l’obbligo di superare ogni giorno le forze umane, perché la sua vocazione è stata quella di essere un'icona sempre vivente e rinnovata di tutto ciò che é la fede. Il papa, da Pietro, deve guidare la sua barca attraverso il mare in burrasca, senza di lui essa potrebbe perdere il corso giusto.
La nave ortodossa, invece, sembra stare all’ancora nel mare profondo e tranquillo; tutto può succedere nella storia, ma con la fede, niente; il suo deposito rimane trasparente, riempito di luce che proviene dal suo fondo apostolico, dal mondo che verrà. Sembra che l’ortodossia non si accorga della storia: essa si lascia facilmente possedere dall’esterno, ma il mondo che passa non entra mai nel Regno che è dentro di noi.
Dunque, dove siamo 950 anni dopo la rottura? Non siamo più felici di essere "la Chiesa", l'una contro l'altra; è già una grande vittoria dell’ecumenismo. Ma il vero problema fra noi è che ci muoviamo in tempi diversi. L'ortodossia vive nel suo passato, ma anche di più nel futuro escatologico (il suo presente storico lascia sempre a desiderare), il cattolicesimo lavora proprio con la storia attuale. Se per la prima i Padri della Chiesa sono molto più importanti di tutti i patriarchi viventi, per il secondo il papa in carica manda inevitabilmente in ombra tutti i suoi predecessori. Forse, la strada verso l’unità passa anche attraverso lo scambio dei tempi, dei modi di servizio?
Una volta trovata la strada verso quello scambio, troveremo - chi sa? - anche le soluzioni per gli altri punti nevralgici della discordia.
Quello che segue vuol essere un breve elenco di donne musulmane (arabe e non arabe) che si distinguono per il loro impegno personale o per responsabilità di governo nella difesa e promozione della condizione femminile.
Maria di Magdala
di Carla Ricci
Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: "Donna, perché piangi?". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto". Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo". Gesù le disse: "Maria!". Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: "Rabbuni!", che significa: Maestro! Gesù le disse: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro". Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: "Ho visto il Signore" e anche ciò che le aveva detto. (Giovanni 20,11-18)
"Maria chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni" (Lc 8,2) è la prima donna del gruppo delle discepole itineranti con Gesù ad essere nominata nel Vangelo di Luca. Sempre prima la ritroviamo nella lista dei sinottici quando viene descritta la crocifissione e si nomina la presenza del gruppo delle donne, fedeli seguaci del Nazareno fin dalla predicazione sulle strade della Galilea, mentre assiste alla passione (Mc 15,40; Mt 27,56; Lc 23,49-55; 24,10).
Nel racconto giovanneo la troviamo menzionata sotto la croce con la "madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa" (Gv 19,25). Se nelle altre liste ha il privilegio di essere la prima, qui ha quello di essere associata al gruppo delle parenti strette. Già dalla lettura di questi primi testi biblici emergono elementi che indicano un primato di Maria di Magdala nel gruppo. Essa è il solo nome ad essere comune a tutte le liste: le altre donne ricordate cambiano, lei sola è presente in tutte le fonti. Che questi dati suppongano anche un rapporto particolare e privilegiato con Gesù è confermato dal seguito delle narrazioni evangeliche.
Discepola prediletta
Secondo i sinottici, dopo aver assistito alla sepoltura (Mc 15,47; Mt 27,62; Lc 23,55-56), il gruppo delle discepole si raccoglie attorno a Maria Maddalena e all'alba si reca al sepolcro (Lc 24,1-10; Mt 28,1; Mc 16,1-2); Giovanni invece narra di Maria di Magdala sola che va alla tomba "di buon mattino, quand'era ancora buio" (Gv 20,1).
L'intensa partecipazione della discepola prediletta al dramma della morte è ben espressa dall'ampia narrazione che segue. Molte delle annotazioni rimandano alla profondità del rapporto che Gesù aveva realizzato con lei. Ella non può attendere la luce del giorno e va al sepolcro quando è ancora notte, trovatolo vuoto corre da Simon Pietro e da Giovanni per condividere con loro quanto sta accadendo. La scomparsa del corpo del Signore la sconvolge e non può contenere in se le emozioni che la pervadono. Ritorna coi discepoli alla tomba, ma quelli, dopo aver constatato che è vuota, tornano a casa. Maria Maddalena, invece, non può allontanarsi dal posto che aveva accolto il corpo dell' Amato. Non va con loro per consolarsi insieme della perdita, ma resta vicina all'ultimo luogo dove è giaciuto il corpo di Gesù, non può allontanarsi e si abbandona al dolore e al pianto. Non sono lacrime momentanee, ma un pianto intenso e continuo tanto che sia gli angeli prima, sia Gesù poi, le chiedono il perché delle sue lacrime. La gravità della perdita, che dice la profondità del legame nei confronti del Maestro, spinge tutto il suo essere a cercare.
Il Risorto si lascia trovare, si lascia raggiungere, si lascia riconoscere e si manifesta a lei pronunciandone il nome: "Maria!" cui viene risposto prontamente: "Maestro mio!". Il lasciarsi i riconoscere dal Cristo nel dire il nome di Maria raccoglie una indicazione suggestiva della comunicazione esistente; nel sentirsi chiamata la donna trova insieme la voce che conosce, la voce dell'altro, e qui poi dell'Altro, e trova se stessa, la percezione, la consapevolezza del proprio essere profondo. La relazione, questo contemporaneo duplice incontro dell'altro e di se, in cui sono presenti alterità e identità, questa unità che comprende dualità, poteva essere tale compiutamente solo nella manifestazione del Risorto a una donna, in armonia con la creazione di Dio di un essere umano, l'adam dai due volti: l'uomo e la donna.
"Io ho qualcosa da dire ma nessuno a cui dirlo!"
È un antico ágraphon che sottolinea la sofferenza di Maria Maddalena come determinante per il rivelarsi del Risorto.
"lo (...) non sono apparso a te
finché non ho visto le tue lacrime e il tuo dolore (...) per me.
Getta via la tua tristezza
e compi questo servizio,
sii il mio messaggero per gli orf[ani] [sm]arriti.
Affrettati a gioire e va' dagli undici.
Li troverai riuniti sulla riva del Giordano.
Il traditore li ha pèrsuasi ad essere pescatori
come prima
e a gettare le loro reti,
con le quali conquistarono uomini alla vita.
Di’ loro: Su, andiamo, vostro fratello vi chiama.
Se disdegnano la mia fraternità,
di’ loro:
È il vostro maestro.
Se trascurano la mia autorità di maestro,
di’ loro: È il vostro Signore.
Usa ogni arte ed intelligenza
finché tu non abbia condotto il gregge al pastore.
Se vedrai che si sono turbati per te
prendi Simon Pietro con te;
digli: Ricorda cosa ho detto tra te e me.
Ricordati che cosa ho detto, tra te e me,
sul Monte degli Olivi;
lo ho qualcosa da dire,
ma non ho nessuno a cui dirlo!".
L'invio di Maria Maddalena ad annunciare la risurrezione è confermato dal seguito del racconto di Giovanni. "Gesù le disse: "... va' dai miei fratelli e di' loro: lo salgo al Padre mio e al Padre vostro, Dio mio e Dio vostro". Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: "Ho visto il Signore" e anche ciò che le aveva detto" (Gv 20,17-18). Forse l'ágraphon sopra riportato apre uno squarcio di maggior luce su quanto altro il Risorto "le aveva detto" e anche in quel testo, come in Giovanni, la risposta di Maria è descritta come pronta, totale e intensa. "Rabbi, mio maestro, io servirò il tuo comandamento nella gioia del mio cuore intero. Non darò riposo al mio cuore, non darò sonno ai miei occhi. Non darò riposo ai miei piedi finché non abbia portato il gregge all'ovile". È di grande rilevanza che in un tempo nel quale la testimonianza delle donne, e quindi la loro parola, non aveva valore giuridico, il Cristo affidi il messaggio di risurrezione a Maria di Magdala, facendo di lei la prima mediatrice della Parola, del Logos incarnato, rendendola apostola degli apostoli.
La "durezza di cuore" degli apostoli
È significativo rilevare come nell'antico testo copto venga attribuita a Gesù la sollecitazione a Maria di Magdala di ricordare a Pietro parole che già lei gli aveva rivolto: "lo ho qualcosa da dire ma non ho nessuno a cui dirlo!". Nessuno; cioè capace di riconoscere e accogliere il valore delle parole di una donna, nessuno capace di questo ascolto profondo al di là delle limitazioni culturali e giuridiche del tempo.
Ampia testimonianza riportano i Vangeli canonici della difficoltà degli apostoli a prestar fede a quanto riferito dalle discepole: "Alcune donne, delle nostre... son venute adirci..." (Lc 22,22): "Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse" (Lc 24,11).
Nella finale del Vangelo di Marco si racconta proprio di Maria di Magdala che andò ad annunziare ai suoi seguaci la risurrezione. "Ma essi, udito che (Gesù) era vivo ed era stato visto da lei non v-ollero credere" (Mc 16,11) e Gesù poi apparendo infine agli Undici, "li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore" (Mc 16,14).
Forse questa "incredulità e durezza di cuore", evidenziata dalle parole del Risorto, si è protratta nello sviluppo della comunità cristiana ed è divenuta nella storia dell'esegesi biblica un travisamento dell'identità di Maria di Magdala che, invece di emergere per la predilezione di discepola fedele e amata, è stata confusa con la peccatrice di cui il Vangelo di Luca racconta il pentimento e il perdono da parte di Gesù. È stata resa una prostituta e dopo secoli di omelie, raffigurazioni artistiche, letterature le più varie, il suo nome, o meglio il suo soprannome, Maddalena riferito alla città di provenienza, ha assunto il significato di donna traviata e penitente.
Quale distanza dalla scelta di Gesù che proprio del nome Maria fa la chiave di apertura per la rivelazione e il riconoscimento dell'essere risorto, dell'essere Alterità incarnata. Logos relazionante in se il divino e l'umano, Luogo di incontro di finito ed infinito, di morte e vita inesauribile.
Il travisamento esegetico di cui è stata vittima Maria di Magdala ha avuto tanto larga eco perché ha trovato fertile terreno in una millenaria concezione della donna limitata e schiacciata all'interno di una sovrapposizione della sua realtà con quella di una sessualità intesa per lo più negativamente.
La sordità e la "durezza di cuore", la incapacità di aprire la propria mente e il proprio animo le realtà più interiori ed autentiche del femminile, contrassegnano purtroppo ambiti di culture e tempi ben più ampi del discepolato di Gesù.
Restituire a Maria di Magdala la sua identità e riscoprire il significato profondo rapporto che Gesù aveva con lei porterà nuova luce nella ricerca della pienezza della verità.
Occorre smettere di costruire torri e torrioni inseguendo il vano sogno di una artificiosa umanità unitaria. Il pluralismo è alla radice delle cose; nessuna verità, ideologia o religione può avanzare una pretesa totale sull'Uomo, e le lingue sono state giustamente confuse
Occorre smettere di costruire torri e torrioni inseguendo il vano sogno di una artificiosa umanità unitaria. Il pluralismo è alla radice delle cose; nessuna verità, ideologia o religione può avanzare una pretesa totale sull'Uomo, e le lingue sono state giustamente confuse.
Occorre smettere di costruire torri e torrioni inseguendo il vano sogno di una artificiosa umanità unitaria. Il pluralismo è alla radice delle cose; nessuna verità, ideologia o religione può avanzare una pretesa totale sull'Uomo, e le lingue sono state giustamente confuse.
Dialogo impossibile?
di Giuseppe Scattolin
Il dogma dell'Immacolata Concezione non trova molto spazio nella circolazione delle idee ecumeniche del nostro paese. Occorrerà perciò tenere presente le interpretazioni maturate prima del Concilio Vaticano II...