Vita nello Spirito

Martedì, 15 Novembre 2005 01:14

Il Sé. La dimora di Dio ( YséTardan Masquelier)

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Le religioni sono molto preoccupate di preservare il mistero del divino, la sua grandezza incommensurabile. E tuttavia, cercando Dio nella sua alterità assoluta, il credente lo scopre anche in se stesso. L’esistenza gli appare passeggera come un sogno, nebulosa come la giornata di un cieco, ma qualche cosa brilla ostinatamente al centro della sua coscienza.

 

Il Sé
La dimora di Dio

di YséTardan Masquelier

Le religioni sono molto preoccupate di preservare il mistero del divino, la sua grandezza incommensurabile. E tuttavia, cercando Dio nella sua alterità assoluta, il credente lo scopre anche in se stesso. L’esistenza gli appare passeggera come un sogno, nebulosa come la giornata di un cieco, ma qualche cosa brilla ostinatamente al centro della sua coscienza.

L’Essere supremo che supera ogni realtà abita il cuore umano: è questa l’esperienza che gli adepti di tutte le tradizioni hanno fatto.

Per gli antichi saggi dell’India, quelli che hanno composto le Upanishad, il divino si rivela attraverso una profondissima introspezione che attraversa tutti gli strati dell’intelligenza e dell’immaginazione fino a un punto di pura presenza che chiamano atman, Sé. “Più tenue dell’atomo, più vasto dell’immenso, il Sé è nascosto nel segreto degli esseri”. Come un’eco, il filosofo stoico Epitteto proclama: “Tu, tu sei una fine di per sé; tu hai in te una parte di Dio”.

Questo movimento di interiorizzazione non si oppone all'affermazione della trascendenza divina. Nel giudaismo il culmine della vita spirituale consiste in un “faccia a faccia” intimo con il Dio, di cui pure non si può vedere il volto senza morire. Lo stesso nel cristianesimo; Agostino afferma: “Entrai nel più segreto della mia anima sotto la tua guida” e dopo di lui i mistici cristiani, da Bernardo di Chiaravalle a Maestro Eckhart e a Teresa d'Avila renderanno grazie per questi altissimi gradi di unione che fanno della loro anima la “dimora” in cui il Dio supremo si degna discendere e lasciarsi conoscere.

Anche l'islam, particolarmente attento a non associare la trascendenza a concetti e immagini sensibili, non ignora il valore eminente dell'esperienza del Dio intimo.

Questa intuizione, non si limita certo agli antichi, ma attraversa i secoli per illuminare delle vite contemporanee, come quella di Etty Hillesum, morta ad Auchswitz nel 1943: “C'è in me un pozzo assai profondo. E in questo pozzo c'è Dio” scriveva in una sua lettera dal campo di concentramento.

La via aperta da questa scoperta è piena di insidie. Una prima tentazione consiste nel ridurre l'essenza interiore a concetti e immagini che finiscono con il rinchiuderla in un rigido sistema di verità. Un altro ostacolo porterebbe a fare del Sé una specie di “super-io”, una personalità totale, o, come nel caso del presidente Schreber studiato da Freud, a prendersi per Dio. Senza andare tanto oltre, il godimento procurato dell'intimo contatto con il divino può portare con sé un ritiro dalla vita sensibile e un certo disinteresse per le preoccupazioni del mondo e per i dolori degli altri.

Di fronte a questi tranelli la maggioranza degli insegnamenti religiosi prendono con forza le loro distanze. Il Buddismo avverte che il nirvana, il puro vuoto della coscienza risvegliata, sfugge a ogni presa, e che cercare di definirlo è perdere un tempo che sarebbe meglio utilizzato nel trasformarsi e purificarsi. In Giovanni della Croce, il Dio interiore non può essere raggiunto se non attraverso la dolorosa notte dello spirito. I maestri cristiani insistono senza stancarsi sull'umiltà: solo dalla porta stretta della propria indegnità, dalla confessione della propria fragilità il cristiano è autorizzato a provare il sentimento di essere abitato dal divino. Né d'altra parte può ritenersene responsabile: a Dio solo spetta l'iniziativa di questa “divinizzazione” dell'uomo. Ma certamente la cosa più importante è che l'interiorizzazione della presenza divina si esteriorizza in uno slancio d'amore per l'altro, chiunque esso sia. Ed è questo che fa i santi, non la virtù.

(in Le monde des réligions, n°10, p. 54)

Letto 1259 volte Ultima modifica il Giovedì, 23 Settembre 2010 22:35
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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