CULTURA I LE RELIGIONI AFRO-AMERICANE IN ITALIA
QUANDO IL SACRO DANZA
E’ da un po’ di tempo che a Milano si possono osservare, agli incroci delle strade o vicino alle porte delle banche, grandi vassoi di terracotta, al cui interno sono sistemate, con garbo e arte, cibi, foglie e, a volte, addirittura parti di pollo. Il passante, stupito o incuriosito, forse non sa che si tratta di offerte alle divinità afro-americane (orixàs) . I fedeli del candomblé (la più conosciuta fra le religioni afro-brasiliane) o della santeria (religione afro-cubana) offrono cibo e fiori alle loro divinità e li depongono, a seconda del dio a cui chiedono aiuto, agli incroci delle strade, ai piedi di un albero o sulle rive dei fiumi o del mare.
La santeria e il candomblé sono giunti in Italia ormai da anni (il secondo da almeno 15-20) e vengono seguiti non solo dai loro devoti immigrati, ma anche da tanti italiani affascinati dalla bellezza dei riti e dal messaggio festoso di vita che trasmettono. Esistono comunità religiose di candomblé pure in Portogallo e in Francia.
Inizialmente, solo chi frequentava i corsi di danza afro-brasiliana sapeva della loro esistenza, attraverso qualche raro racconto degli insegnanti, che mostravano i passi delle coreografie rituali. Anche i libri di Jorge Amado hanno contribuito alla conoscenza di queste religioni. I suoi racconti sulla vita di Bahia e sulle sue divinità sono conosciuti in tutto il mondo.
RELIGIONI INIZIATICHE
Il messaggio più importante del candomblé è che il dolore può essere trasformato in forza vitale e che la vita va vissuta nel miglior modo possibile, poiché si vive qui e ora. Altro elemento fondamentale è l’accoglienza incondizionata: qualsiasi persona è bene accetta, indipendentemente dal suo stato sociale.
Il candomblé e la santeria sono religioni iniziatiche e sono definite terapeutiche poiché, spesso, i fedeli vi arrivano in seguito a una malattia fisica o mentale, curata nel lungo percorso rituale che porta l’individuo a diventare “sacerdote”. La liturgia è affidata alla musica e all’arte: nel rito, danza, canto, musica e scenografia trasmettono messaggi all’animo umano in modo più profondo che non un discorso razionale. Quindi, nelle comunità di candomblé non si ricrea solo la fede negli antenati africani (che trasmettono l’energia vitale), ma si “riorganizza l’ori” (la testa). Si cerca, cioè, di appianare le ansie e di rasserenare le parti negative, dando forza a quelle attive e positive. Si assiste, così, a un doppio movimento: da un lato, il fedele acquista più forza e volontà, dall’altro, viene inserito nella comunità religiosa che lo sosterrà nei momenti di bisogno.
Sono varie le modalità di provenienza delle religioni afro-brasiliane in Italia. All’inizio, arrivarono con i transessuali, giunti soprattutto dal sud del Brasile e, quindi, seguaci dell’umbanda (o macumba, com’è conosciuta a Rio). In questa religione vi sono, accanto ai numerosi orixàs, anche le pombagiras, spiriti di donne defunte che in vita avevano praticato la prostituzione o erano state zingare. C’è, poi, soprattutto Exu. Nel candomblé, questa divinità adempie a più funzioni: è il dio delle possibilità, dell’equilibrio e, quindi, della comunicazione, cioè dell’armoniosa relazione che deve esistere tra le varie parti che compongono l’essere umano e tra la persona e gli dei. Nell’umbanda, invece, Exu non è una sola divinità: diventa più spiriti o personaggi, che agiscono di notte in cerca di avventure, sono dediti ai sotterfugi, ma sono anche grandi conoscitori della vita. In Brasile, le pombagiras e gli exu dell’umbanda spesso sono classificati come entità di second’ordine e sono venerate per ottenere, più che altro, favori in amore e protezione. L’umbanda è seguita soprattutto dai transessuali e dalle prostitute, forse per ottenere protezione, per richiamare clienti e per le cerimonie di limpeza, cioè di purificazione dalle energie negative.
LE ORIGINI
Il candomblé, invece, è stato portato in Italia dai brasiliani che sono venuti per lavorare e trovare una qualità migliore di vita o per fuggire dalla violenza delle grandi città, e anche da alcuni italiani che, dopo aver assistito in Brasile ai suoi bellissimi riti, ne erano rimasti affascinati. Tra i suoi fedeli non mancano connazionali che già praticavano vari tipi di magia e hanno cercato di apprendere e conoscere queste religioni, il più delle volte snaturalizzandole e proponendole solo per il loro aspetto magico, con una serie di rituali di dubbia provenienza e utilità.
Racconta Simona, un’italiana vissuta vari anni in Brasile e divenuta una fedele del candomblé: «Ho intravisto in esso qualcosa di vero, che cercavo da sempre. Mi ha colpito la dolcezza delle sacerdotesse, la loro immediata empatia e la loro umanità. Purtroppo, in Italia avevo più volte sperimentato la freddezza e la rigidità della gente, anche da parte di chi, per lavoro e scelta vocazionale, non dovrebbe esserlo. In Brasile, invece le mães-do-santo m’hanno dato fiducia, dicendomi di seguire la mia intuizione, di fidarmi di me. Cosa che raramente facevo».
Che vuoi dire “fidarmi di me”? «Nei candomblé - ma, in generale, nella cultura popolare brasiliana - c’è una profonda spinta a credere nella propria intuizione, a fidarsi del proprio “sentire”. Quindi, una persona sensibile intuitiva è valorizzata e non è percepita come irrazionale. Per “sentire” correttamente, però, uno deve essere equilibrato e sgombro da tutti i pensieri tipici della mente occidentale. Questo mi ha affascinata. Come nella meditazione orientale e nello yoga, anche nel candomblé c’è la proposta dell’essere umano come un tutto, dotato di corpo e spirito uniti e in collaborazione. Per questo, la persona sente, percepisce, vede non solo con gli occhi, ma con tutto il corpo».
Ludovico, che ha conosciuto in Italia il candomblé (esiste una comunità in Piemonte e un’altra, più piccola, a Roma), racconta: «Ciò che mi ha attirato di questa religione, oltre alla conferma di possedere una certa sensibilità e di poterla valorizzare, è il fatto di essere entrato in una comunità che si costituiva come una famiglia. Per la prima volta mi sono sentito accettato». E spiega la differenza fra gli italiani devoti e i brasiliani: «Noi, in genere, cerchiamo un’affettività che non abbiamo ricevuto in famiglia. Vogliamo ristabilire, probabilmente a livello inconscio, un equilibrio con le parti affettive più squilibrate. A mio avviso, in noi non esiste una vera ricerca dell’esperienza religiosa. Ho sempre vissuto il discorso religioso - e, di conseguenza, anche l’argomento Dio - come qualcosa di lontano, che non comunicava con il mio quotidiano. Per i brasiliani è diverso. Sono abituati alla comunicazione del sacro nel quotidiano. Per loro, anche il vento può essere messaggero del divino. Poi, secondo me, i brasiliani ricercano soprattutto un avvicinamento alle proprie radici, qualcosa che ricordi loro la loro terra e la loro fede».
L’ASPETTO MAGICO
E la magia? «Sicuramente c’è nel candomblé. Ma dipende da chi e da come la si cerca. Ci sono state persone nel terreiro (luogo sacro) che la “compravano”, come si fa al supermercato. Credo che la magia esista e che si manifesti nella pratica quotidiana, nella ricerca del proprio equilibrio e attraverso lo sforzo individuale. I riti servono a purificare il devoto dalle negatività della vita e a dare forza. Senza lo sforzo del singolo, non succede niente».
Elvira è la sacerdotessa di un terreiro. Mi dice: «Ho conosciuto il candomblé in Brasile e ne sono rimasta subito affascinata. Ho sempre creduto che esista un mondo parallelo a quello usuale, nel quale vivono gli spiriti dei morti, che noi viventi possiamo incontrare per farci da loro aiutare e consigliare. E’ per questo che mi sono avvicinata al candomblé. Per me gli orixàs sono gli spiriti dei morti. E’ stato in un festival latino-americano che ho conosciuto un pãe-de-santo. Organizzava alcune feste di candomblé a Milano. In una di queste, ho incontrato un altro fedele italiano. Così, a poco a poco, sono entrata anch’io nel gruppo».
Dirceu è brasiliano e vive da 20 anni in Italia. Mi confida che, durante i primi tempi, non riusciva a capire «perché gli italiani stessero male». Spiega: «Avevano cibo, lavoro, assistenza sanitaria... Con il tempo, però, ho compreso e visto molte persone depresse e senza modelli di riferimento. Ho capito che in Italia c’è un grande malessere psicologico a cui le persone rispondono come possono. C’è molta gente repressa, che non riesce a uscire dal suo tran tran, che non riesce a lasciarsi andare. La cultura europea ha ucciso la sensibilità e, quindi, il corpo. Io sento con il corpo: sento e capisco cosa mi circonda. Come i bambini, dobbiamo imparare “muovendoci”. La danza sacra è la manifestazione dell’esperienza mistica. È la divinità in movimento. È la vita. E il suo muoversi e aprirsi al mondo. Dove trovi questo in Italia?».
LA FINE DEL SACRO?
Riemerge anche da queste parole il tema della secolarizzazione, che fa riferimento, soprattutto, alla crisi della religione.
Molti sostengono la presunta fine del sacro o una sua eclissi. In realtà, si sta sempre più assistendo a un abuso del termine “spiritualità” e al diffondersi di proposte di corsi e stage che divulgano incontri di meditazione, danze curative attraverso la trance, ritiri spirituali che si basano sulle tradizioni più varie, dalle religioni sciamaniche a quelle africane. E un susseguirsi di offerte per allontanare lo stress, per ritrovare sé stessi e per ricuperare un contatto con il sacro - spesso percepito come qualcosa di magico - che all’improvviso si manifesta e ci salva. Al contrario di quanto si pensi, l’uomo contemporaneo ha bisogno di magia, di credere in qualcosa e di riappropriarsi del “sacro , del “meraviglioso”.
L’estrema razionalizzazione della nostra cultura - e, quindi, anche della religione - ha fatto sì che si perdessero, forse, anche quelle forme “magiche di consolazione” o quella ritualità più appariscente, colorata, musicale, che aiuta i fedeli a concentrarsi su sé stessi per vivere al meglio il loro quotidiano.
La figura del prete di campagna, consigliere e un po’ psicologo, che dialogava con le famiglie, ormai non esiste più. Al suo posto si ritrovano numerose figure professionali, che cercano nella freddezza dei loro studi di dare un senso alla frammentazione dell’essere umano nelle nostre caotiche città.
E così, molti oggi ricercano un incontro più profondo con sé stessi, con il sacro, con la meditazione e con la magia in senso lato, per ridare un senso alle proprie esistenze e per colmare un vuoto che ci appartiene culturalmente.
di Susanna Barbara
Nigrizia/Novembre 2006