DON SALVATORE BUSSU: LE COPPIE DI FATTO SONO GIÀ UN FATTO. E UN DIRITTO INELUDIBILE
NUORO. "Sono maturi i tempi per una legge sui diritti delle persone che formano le coppie di fatto". Ad affermarlo, don Salvatore Bussu, direttore per quasi 25 anni dell'Ortobene (il settimanale della diocesi di Nuoro), che, in un articolo comparso sul numero del 21 gennaio ("Una sensibilità solidarista non può ignorare le coppie di fatto"), affronta la questione delle unioni di fatto a partire dai diritti individuali, sanciti dalla nostra Costituzione, entrando così nel vivo di una discussione fortemente condizionata dalla chiusura della gerarchia ecclesiastica. "Nella chiesa di Dio - scrive Bussu - esiste un'opinione pubblica (Pio XII) e quindi la possibilità di esprimere opinioni diverse (non sempre in sintonia con i cattolici di sicura fede [!] che scrivono sui nostri giornali), quando si parla di cose che non riguardano ‘la fede e i costumi'". Fatta questa premessa, don Salvatore aggiunge che "in uno Stato laico, dove si incontrano culture diverse, nel rispetto delle identità di ciascuna, credenti e non credenti devono cercare piste concrete per realizzare il maggior bene comune possibile, consapevoli delle necessarie mediazioni da compiere".
Del resto, rileva l'ex direttore dell'Ortobene, chi ritiene che una legge che regolamenti le unioni civili sia "un attentato alla famiglia fondata sul matrimonio" dovrebbe dare "un'occhiata al nostro ordinamento giuridico". Scoprirebbe che "la convivenza di fatto, qua e là, viene già riconosciuta": "L'articolo 572 del codice penale, per esempio, considera il convivente una persona della famiglia e lo tutela in caso di maltrattamenti fisici o morali; l'articolo 30 dell'ordinamento penitenziario (L. 354/1975) ammette la possibilità per il detenuto di avere permessi che gli consentano di fare visita non solo al familiare, ma anche al convivente in caso di pericolo di vita; l'articolo 199 del codice di procedura penale, poi, prevede la facoltà di non testimoniare per chi ‘pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso'; infine – prosegue don Salvatore - la legge sull'adozione prevede l'affidamento del minore, ‘temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, ad un'altra famiglia sia legittima sia naturale'". Ma ciò che desta sconcerto nel dibattito attorno alle unioni di fatto, è l'omissione da parte dei politici dell'esistenza di una normativa, vigente da una decina d'anni e inerente al sistema pensionistico, che permette, "oltre che ai conviventi dei giornalisti, anche a quelli dei parlamentari, benefici assistenziali – tipo una cassa mutua – che derivano dal contratto di lavoro, e ne traggono vantaggio pure quelli che si oppongono alle coppie di fatto. Ne usufruisce un deputato su quattro". Oltre ad offrire un quadro puntuale della normativa vigente, don Bussu invita a ripartire dalla nostra Costituzione: "Se è vero che la Costituzione riconosce un plusvalore alla famiglia fondata sul matrimonio (art. 29), è pur vero che essa ‘riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale'" (art. 2).
L'intervento di don Bussu, che prima di essere pubblicato su l'Ortobene aveva già trovato ospitalità sul quotidiano La Nuova Sardegna, è stato pubblicato anche su Settimana di Bologna (la rivista dei dehoniani rivolta agli operatori pastorali), sulla Voce del logudoro, settimanale diocesano di Ozieri, e sul Nostro tempo, settimanale cattolico di Torino e Milano. Segno che nelle Chiese locali la disponibilità al confronto sul tema delle coppie di fatto è più ampia di quanto non appaia dalle posizioni del papa e dei vescovi.
Partendo dallo stesso presupposto "costituzionale" dell'articolo di don Bussu, anche padre Bartolomeo Sorge, nel numero di febbraio di Aggiornamenti Sociali, invita a guardare alla Costituzione anche se in essa non c'è esplicito riferimento al Patto sociale di solidarietà. Secondo Sorge, "l'ignoranza delle unioni di fatto della Carta repubblicana non esime lo Stato dal dovere - esso pure costituzionalmente garantito - di riconoscere e tutelare i diritti inalienabili di ogni cittadino". Cita ancora l'art. 2, padre Sorge, in riferimento ad un pronunciamento della Corte costituzionale sulle "altre formazioni sociali": "un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare, anche a sommaria indagine, costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (sentenza n.237/1986)".
Invitando lo Stato a riconoscere i "diritti individuali inalienabili" padre Bartolomeo Sorge rivolge ai cattolici una raccomandazione: " i cristiani difenderanno la famiglia fondata sul matrimonio, non solo usando tutti gli strumenti democratici di cui dispongono come cittadini, ma soprattutto testimoniandone il valore con la parola e con la vita".
da Adista notizie n°10 del 10 Febbraio 2007