IL CORAGGIO DELLA PENTECOSTE
Una teologia che parte dall’ascolto in una Chiesa sempre più partecipativa e laicale. Una religione che rifiuta ogni forma di fondamentalismo per rispondere alle esigenze dell’oggi. Piste per una “Spiritualità di un altro mondo possibile”.
Il Forum sociale mondiale, che si è tenuto a Nairobi lo scorso gennaio, è stato come la punta degli iceberg; si vede solo la cima e non i corposi tre quarti del ghiaccio sott’acqua. Lo stesso vale per il Forum sociale. I cinque giorni in cui si è svolto l’evento non rendono giustizia al lunghissimo processo di preparazione, sia nella nazione ospitante sia negli altri continenti da dove i partecipanti provengono. Per poter presentare l’esperienza del servizio sociale che un gruppo intende condividere al Forum in forma narrativa, per scritto, fotografie, striscioni, proclami, cd, dvd è necessario un estenuante lavoro di concettualizzazione, di visualizzazione e di rifinitura del linguaggio. Tutto ciò arricchisce i partecipanti al Forum, ma prima di tutto chi prepara il materiale.
Quelli che criticano il Social forum perché le conseguenze sono irrilevanti, oppure sostenendo che i soldi dovrebbero essere spesi in modo diverso, non sono ovviamente in sintonia con quello che Paolo Freire chiama il circolo della prassi: cioè l’azione deve essere seguita dalla riflessione, per poter essere arricchita e purificata e crescere in incidenza e perfezionata a livello metodologico. I partecipanti al Forum sono in grandissima parte coinvolti in migliaia di iniziative. La loro principale difficoltà è proprio trovare il tempo di riflessione e condivisione con altri che affrontano le stesse sfide in diverse nazioni e continenti. Il Forum offre l’occasione sia per la riflessione sia per la condivisione e lo scambio.
Sono stato testimone del processo di preparazione di uno dei frutti del Social forum: il Forum teologico organizzato per la prima volta a Porto Alegre nel 2005 e nel 2007 a Nairobi, dal 16 al 19 gennaio. Durante i 12 mesi di preparazione ho visto una vera evoluzione fra i teologi cattolici e protestanti, uomini e donne coinvolti nel processo, che muovono verso una teologia molto più vicina alla gente, sia per gli argomenti sia per il linguaggio. Ritengo che questa sia una delle conseguenze maggiormente positive del Forum sociale, a cui forse nessuno ha mai prestato attenzione: una decisa influenza sulla teologia, rimasta per secoli anchilosata, elitaria e prigioniera delle biblioteche
Verso una teologia popolare e dinamica
Il tema del Forum teologico era: Spiritualità per un altro mondo possibile. A Porto Alegre la gente aveva protestato perché questo Forum era stato un fenomeno di élite, per addetti ai lavori, dove il gergo era da iniziati e quindi lontano dalla spontaneità e condivisione accessibile a tutti, che costituisce la caratteristica basilare del Forum sociale. I teologi si erano riuniti due giorni prima a porte chiuse, nella loro qualità di “esperti”. Lo stile era più simile al Forum economico mondiale dei magnati della finanza a Davos, in Svizzera, che al Forum mondiale sociale.
Tale metodologia è chiamata da Freire “metodo del distributore di benzina”. Il teologo è il benzinaio con tutto lo scibile e il popolo è il serbatoio vuoto. Il teologo fa da benzinaio versando nella gente la sua benzina. L’insegnamento, in tale visione, è solo l’atto di versare in persone passive, quindi è un insegnamento manipolativo e generatore di dipendenza intellettuale e operativa. La gente è passiva e quindi manipolabile; è vista come ignorante, come un perfetto “nessuno”, solo oggetto di attenzione e non soggetto di pensiero e decisione. Il popolo è considerato incapace di andare al di là del lavoro manuale, mentre chi conosce è il maestro! Il mondo della teologia, soprattutto quella insegnata nei seminari per futuri preti, è molto infetta da tale approccio, che contraddice la logica del Forum sociale, partendo dal presupposto che la gente ha conoscenza ed energie enormi, mentre ciò che spesso manca è l’occasione di manifestarle ed esprimerle.
Alla luce di questa visione, veramente rivoluzionaria in una Chiesa ancora molto verticista e sproporzionatamente gerarchica, il popolo di Porto Alegre (Social forum, 2005) criticò i teologi, suggerendo che il loro incontro avrebbe dovuto precedere il Forum sociale a Nairobi e avrebbe dovuto operare con la logica del Social forum, mettendo quindi al centro la gente, con il riconoscimento della sua esperienza di vita, di sofferenza, di fede, che devono essere verbalizzate ed espresse alla stregua di una grande ricchezza teologica. Fu implicito l’invito ai teologi a ripensare e ridefinire la loro identità in un mondo che diventa
Da “maestro” a “facilitatore”
Qual è l’emergente identità del teologo in questa nuova prospettiva? Viene in mente un detto di Mao Tse Tung sul maestro: «Il maestro è colui che restituisce al popolo in modo sistematico e operativo ciò che il popolo stesso gli ha comunicato in modo sperimentale e confuso». Quindi, l’enfasi è prima di tutto sull’ascolto, sul lasciar parlare la gente, sull’aiutare il popolo a testimoniare l’esperienza, i sogni, le attese, le paure, le frustrazioni, le speranze, le sofferenze. Il maestro deve scendere dalla cattedra e farsi alunno.
Si tratta di una vera conversione, molto difficile da “digerire” ai molti che considerano il titolo “professore”, “maestro”, “dottore”, come status e prestigio costruito con sudore durante gli anni dell’università e la gavetta dell’inizio. Una concezione complessa e plurima di cui, tuttavia, non tutti sono convinti. Durante il processo di preparazione del Forum teologico, tale atteggiamento è stato oggetto di non pochi dibattiti e tensioni. All’inizio si pensò a un classico congresso a numero chiuso, destinato ai soli teologi. Poi, il messaggio di Porto Alegre è rimbalzato come una sfida, che non poteva essere ignorata. Poi, la crescente esposizione agli obiettivi e soprattutto alla logica e metodologia del Social forum cominciava a fare presa sul comitato organizzativo.
Solo gradualmente, interagendo, informandosi di più su che cosa fosse il Social forum, includendo gente che vi aveva partecipato fin dall’inizio, interagendo pure con l’ideatore del Social forum mondiale, Chico Whitaker, ci si è resi conto che anche il convegno teologico avrebbe dovuto entrare nella logica del Social forum, staccandosi, quindi, dal modello delle solite conferenze dove la gente, al massimo, può fare qualche obiezione; quindi si è riformulata una metodologia, in cui la maggior parte del tempo sarebbe stata destinata ai gruppi “sotto le tende”; dove i partecipanti, divisi in gruppi di esperienze e di interesse, condividono la loro vita e i teologi sono presenti in mezzo alla gente, per dare un contributo di organizzazione scientifica e anche di aiuto a illuminare le esperienze stesse, con agganci biblici e con la storia e la dottrina sociale della chiesa.
A dire il vero alcuni teologi – anche famosi – sono rimasti molto sorpresi e si sono sentiti quasi sminuiti nel loro ruolo; infatti, non erano abituati a sedersi in mezzo alla gente, ma di fronte a essa. Da certe affermazioni provenienti dai teologi stessi, non è facile entrare in questa identità nuova, che sfida la visione verticistica di un modo di essere chiesa, di vedere la società in un’ottica dove sia sempre presente il capo, il maestro, mentre la gente sta sempre in basso; in fondo il popolo viene costantemente sollecitato da qualcuno, sia che porti la croce oppure nel nome di un partito. Cambiano solo il simbolo e magari la professione... ma lo stile è lo stesso
Una Chiesa dal basso
È il passaggio dal popolo visto come oggetto dell’attenzione del pastore, del vescovo, del maestro, del politico, al popolo soggetto capace di dare un contributo essenziale alla sua storia, alle decisioni da prendere, all’interpretazione del messaggio di fede. Per usare il linguaggio di Freire, il popolo non più come serbatoio vuoto, ma come produttore di benzina
Lo stile partecipativo sta sfidando sia le gerarchie religiose sia quelle politiche, soprattutto in Africa dove l’approccio dall’alto ci è stato lasciato in eredità sia dal colonialismo sia dagli anni delle dittature, dei partiti unici e dei regimi autocratici. Se la chiesa con la sua gerarchia, rappresentata in modo particolare dal ministero ordinato, viene considerata depositaria sia dell’autorità decisionale sia della verità ultima, essa dovrà confrontarsi seriamente se non vorrà essere causa di una crisi profondissima tra i membri che la compongono, parliamo di uno scarso 1%, e il resto del popolo di Dio, cioè il rimanente 99%. Il simbolo biblico del pastore deve essere liberato dai condizionamenti culturali di mondi obsoleti e va interpretato e calato nel mondo di oggi. Il patriarcato e il clericalismo sono stati stigmatizzati sia nel Forum teologico sia in quello Sociale. Un grande protagonismo femminile e laicale ha dominato i due forum.
Che tipo di religione?
Un altro mondo è possibile è stato l’atto di fede ripetuto migliaia di volte sia nel Forum teologico sia in quello Sociale. Ma nel primo, una domanda è emersa il secondo giorno: le religioni, che all’inizio di questo terzo millennio sembrano godere di una nuova primavera soprattutto in Africa, rappresentano un punto di forza o un tallone di Achille, in vista della costruzione di questo mondo diverso a cui tutti aspiriamo? Le religioni sono un fatto liberatorio in vista di un altro mondo possibile, oppure no? Domande inquietanti.
Per quanto riguarda l’Africa, la risposta è stata affidata al teologo ugandese John Marie Waliggo, impossibilitato a partecipare, ma che ha fatto pervenire il suo contributo. La ricerca si è basata soprattutto su quello che è avvenuto in Uganda negli ultimi 20 anni, segnati da fatti di una violenza mai conosciuta prima e giustificati sempre da motivazioni religiose; nel nord dell’Uganda prima, negli anni ’90, con la profetessa Lakwena e poi, negli ultimi dieci anni, con Kony. Ambedue si sono rifatti all’importanza dei dieci comandamenti e alla presenza e azione dello Spirito Santo (Lord’s resistance Army).
Due movimenti che in nome della religione hanno destabilizzato metà Uganda, causando migliaia di morti, milioni di rifugiati, due generazioni di bambini traumatizzati da violenze subite e viste; migliaia di bambini soldato abituati a uccidere prima di arrivare ai dieci anni. Nel sud dell’Uganda il movimento Restoration of the Ten Commandaments ha visto i capi accaparrarsi prima le proprietà terriere degli adepti, per poi sterminarli tutti in un grande rogo, durante un’importante assemblea religiosa.
Walliggo ne trae tre conclusioni. Primo: la religione è stata usata per spogliare il popolo delle proprietà materiali e impoverirlo; secondo: la religione ha giustificato violenza, eccidi, terrorismo; terzo: il popolo si è rivelato molto fragile e vulnerabile di fronte ai mistificatori che agivano in nome della religione.
In Uganda, ma sembra così in tutta l’Africa, il popolo si mostra indifeso di fronte a chi si presenta in nome di Dio. L’Africa sta diventando il paradiso delle crociate, dove molti, soprattutto predicatori americani, vengono per manipolare la gente, creare false speranze e spillare denaro.
Così non si costruisce un nuovo mondo! Già Marx due secoli fa affermava che la religione è l’oppio dei popoli. E oggi sperimentiamo che può essere così. Cosa fare per aiutare la gente a discernere? Lo stato? Le chiese? È urgente la creazione di un Centro di riflessione che informi il popolo al di sopra di tutte le religioni e movimenti religiosi. Non solo Waliggo ma anche Michel Dandala, segretario generale del Consiglio delle Chiese di tutta l’Africa, ha insistito per la creazione di un centro di ricerca sui fenomeni religiosi, che offra alla gente i criteri per discernere fra un movimento religioso e un altro.
Altra strada consigliabile è quella di affrontare la lettura della Bibbia e altri libri sacri in modo non fondamentalista, ma con l’aiuto della critica storica, che eviti il fondamentalismo generatore di violenza e seme prolifico, dove c’è ignoranza e pregiudizio religioso. È emerso chiaramente che il rifiorire delle religioni presenta lati positivi ma anche molte ambiguità. La religione non è automaticamente foriera di quel nuovo mondo possibile che si vorrebbe costruire all’inizio del nuovo millennio. Ci si è anche chiesti se sia utile l’intervento dello stato, ma la risposta è negativa. E le chiese, non potrebbero pensarci loro? L’atteggiamento seguito generalmente è quello apologetico: difendere se stessi davanti agli altri e provando loro che sono nel torto!
Tratti per una spiritualità e prassi
Viene da chiedersi, quindi, quale strada sia giusto seguire per poter aiutare la gente nel processo di realizzazione di un altro possibile modo di vivere. Innanzitutto, le religioni devono essere profondamente trasformate. Prassi e spiritualità dovranno agire sinergicamente; una spiritualità non incarnata in un’azione storica è alienazione e una prassi senza spiritualità, non solo non produce un altro mondo possibile, ma distrugge anche quello che già esiste e calpesta la dignità della maggioranza delle persone, come sta facendo il neoliberismo. Durante l’incontro sono emerse alcune proposte.
Sarebbe importante dare impulso ai Centri di ricerca affinché aiutino la gente a leggere i nuovi fenomeni religiosi. In particolare, a distinguere quelli che creano comunione rispetto a quelli che, invece, producono alienazione e violenza.
Nell’interreligiosità – ovvero esporsi al prossimo attraverso un atteggiamento di dialogo – le altre religioni devono essere colte non come concorrenti, bensì come opportunità. Questo è un tema che sfida il concetto tradizionale di missione, come iniziativa volta a eliminare tutte le religioni imponendo quella cristiana, intendendo, cioè, che tutto quanto è diverso da ciò in cui crediamo debba essere scartato.
La teologa keniana Philomena Mwaura ha ricordato che il cristianesimo è arrivato in Africa profondamente frammentato. Per arrivare a essere elementi liberatori in vista di un altro possibile mondo, le varie espressioni cristiane devono sdoganarsi dalle ripercussioni derivanti da tale frammentazione e, quindi, dall’antagonismo di fondo presente negli elementi di differenza che lo caratterizzano, interrompendo così l’abitudine di affermare “noi non siamo come loro”.
La religione tradizionale africana come quelle tradizionali in America Latina e in Asia, ha una carica di spiritualità che deve essere recuperata, particolarmente negli elementi che riguardano il contatto con il mistero di Dio nella natura, la riconciliazione e la solidarietà, e la liberazione da ogni tipo di male attraverso l’esorcismo. I martiri sono coloro che hanno difeso il diritto alla libertà di espressione contro ogni forma di totalitarismo e devono essere visti come grandi campioni in difesa del diritto della libertà.
Infine, si deve camminare verso un pluralismo di spiritualità: la diversità è parte integrante della creazione, anche a livello religioso
I TESTIMONI
Desmond Tutu: protagonista dei lunghi anni di lotta non violenta contro l’apartheid e della profonda esperienza di solidarietà che il Sudafrica sperimenta con il resto del mondo.
Jon Sobrino a El Salvador: nel 1989 quattro gesuiti e due donne vennero uccisi dai militari. Egli testimonia l’invincibilità della croce e delle vittime per un mondo nuovo
Sergio Torres: il coraggio della fede ai tempi di Pinochet in Cile e di altre dittature in America Latina
François Houtart e la sua quarantennale lotta contro il liberalismo e il neo liberismo.
Vuiyani Velle e il martirio in Sri Lanka
Marcelo Barros: l’esperienza mistica della presenza dello Spirito nelle espressioni religiose
Eunice Santana: il Costa Rica vede il martirio nell’affermazione del ruolo femminile che ha portato e porta con sé ancora tanta sofferenza ed emarginazione
Desmond Tutu: “Dio vuole un mondo più giusto”
Nella cattedrale cattolica di Nairobi, poco prima dell’apertura ufficiale del Sociale forum, si è tenuta una celebrazione ecumenica presieduta da Desmond Tutu (nella foto), premio Nobel per la pace ed ex arcivescovo di Città del Capo. Tutu ha detto: «Dio piange e ci dice: “Chi mi aiuterà perché possiamo avere un mondo diverso, un mondo in cui i ricchi sappiano che molto è stato dato loro affinché possano condividere e aiutare gli altri? Una creazione che era molto buona e oggi ‘è diventata un incubo”».
Tutu ricorda che «legge fondamentale del nostro essere» è che «siamo tutti legati gli uni agli altri», per cui «la sola via che possiamo percorrere è insieme, noi tutti». Soltanto insieme possiamo essere liberi, salvi e sicuri. Il premio Nobel ricorda che questa regola si applica anche alla politica. È chiaro il riferimento alla guerra al terrorismo: «Non è possibile vincere la guerra contro il terrore finché persistono le condizioni che spingono la gente alla disperazione. Nessuno potrà vincere la guerra contro il terrore finché, ai quattro angoli del mondo, ci sarà gente che vive in condizioni che la incitano a commettere atti disperati, a causa della povertà, della malattia e dell’ignoranza.»
Il leader sudafricano insiste: «Nessun paese, per potente che sia, può vivere nell’isolamento. Nessun paese, per progredito che sia, può sopravvivere da solo». Ha aggiunto che le chiese intendono difendere il ricorso a mezzi migliori per lottare contro la povertà, l’Hiv/Aids, la distruzione dell’ambiente e l’ingiustizia economica. E, infine, Tutu ha esortato gli africani a essere fieri della propria eredità. «Non siamo figliastri di Dio» ha detto, ricordando che fu un africano ad aiutare Gesù a portare la sua croce, e africani furono anche i primi dottori della
di Francesco Pirli
Nigrizia marzo 2007