GESÙ DI NAZARETH E PAOLO DI TARSO A CONFRONTO NELLA RICOSTRUZIONE STORICA DI GIUSEPPE BARBAGLIO
ROMA. Dopo Gesù ebreo di Galilea e Il pensare dell'apostolo Paolo, il confronto tra i due grandi personaggi della storia del cristianesimo è al centro dell'ultimo libro del biblista Giuseppe Barbaglio: Gesù di Nazaret e Paolo di Tarso. Confronto storico (Dehoniane, Bologna, 2006, pp. 312, 25 euro). L'intento dell'autore è quello di mettere in risalto, a partire dalle diversità che li contraddistingue, la valenza storica e religiosa che entrambi hanno avuto nel cristianesimo.
Dalla ricostruzione e dall'analisi storica, scaturisce una riflessione teorica che evidenzia la reciprocità del 'fondatore del cristianesimo' e dell''apostolo delle genti' . Infatti, malgrado abbiano vissuto nello stesso periodo storico, Gesù e Paolo sembrano essere tanto diversi quanto speculari. La distanza culturale, sociale e teologica che li differenzia è inversamente proporzionale a quella cronologica: l'uno vive nei villaggi, l'altro abita le metropoli; uno parla aramaico, l'altro usa il greco; Gesù esprime la cultura orale, Paolo dà inizio alla letteratura cristiana. Vissuti in ambienti geografici, linguistici e culturali diversi, Gesù e Paolo assurgono a funzioni e ruoli reciproci per la nascita e la diffusione del cristianesimo. Il primo missionario nella piccola Galilea, il secondo, nel cuore dell'impero romano, animato da un'incrollabile fede nel crocifisso e proteso alla conquista spirituale. L'approccio che ha guidato il lavoro è rigorosamente storico, come spiega lo stesso Barbaglio nell'introduzione: "studio critico delle fonti antiche, per Gesù in primis le testimonianze evangeliche canoniche e apocrife, per Paolo le sue lettere autentiche, ma anche l'ascolto attento delle voci giudaiche e greco-romane di quel tempo lontano che ci fanno conoscere il mondo in cui essi hanno vissuto, senza disdegnare la ricca letteratura secondaria degli studiosi moderni". Per approfondire i temi affrontati nel libro, Adista ha intervistato l'autore.
D: Per la prima volta tenti di ricostruire in un dittico la vicenda di queste due grandi figure neotestamentarie delle quali ti sei occupato altrove, soprattutto nei due volumi paralleli del 2005: "Gesù ebreo di Galilea" e "Il pensare dell'apostolo Paolo"; e il sottotitolo ribadisce che non miri ad un confronto qualsiasi, ma ad un confronto storico. Cosa ti proponevi di chiarire, dopo tanta fatica spesa negli studi precedenti? Sei soddisfatto del risultato?
R: Dopo avere dedicato impegno e passione allo studio di Gesù e di Paolo, era praticamente scontato confrontarli, tanto più che da due secoli circa la ricerca biblica si era impegnata a metterli a confronto, o per contrapporli o per equipararli. E i progressi registrati ultimamente negli studi su Gesù e su Paolo giustificano i nuovi tentativi di andare oltre le semplicistiche soluzioni del passato: Paolo vero fondatore del cristianesimo o vero discepolo di Gesù. Di proposito si tratta di un confronto storico nella consapevolezza dei suoi limiti e delle sue risorse. In concreto non si paragonano due grandezze oggettive, Gesù e Paolo, bensì due loro immagini soggettive, non arbitrarie però, ‘costruite' dallo storico che studia il passato con occhio attento al presente. E il risultato nuovo di questo studio è un bilancio degli aspetti di continuità e di novità che li ha legati.
D: Ti sembra che il tuo approccio a queste due icone delle origini muova dalla ricostruzione del contesto alla identificazione del personaggio, o non piuttosto viceversa? In che misura sono presenti in sinergia i due punti di vista?
R: Mi sembra che i due approcci debbano essere complementari: Gesù e Paolo si sono qualificati anzitutto per l'ambiente in cui sono vissuti, il nazareno integrato nella campagna di Galilea, l'apostolo nelle città mediterranee, il primo caratterizzato dalla cultura ebraica, il secondo qualificato dalla lingua ellenica. Ma non si possono definire semplicemente come puri e semplici prodotti di ciò che li circondava: Gesù era di gran lunga definito dalla sua personalità e Paolo in modo originale era animato dalla straordinaria passione per l'unità del genere umano che Dio in modo indiscriminato vuole portare a salvezza mediante Gesù.
D: Il tuo saggio evidenzia la profonda diversità della vicenda e del ruolo di Gesù e di Paolo nella storia della salvezza. Non è paradossale che (a differenza del Battista) qui all'annunciante tocchi in sorte di venire al mondo dopo l'annunciato, tardivamente unendosi alla comunità dei testimoni della resurrezione dopo la visione di Damasco? Che ruolo gioca l'elemento-Chiesa nella discontinuità/continuità tra Gesù e Paolo?
R: Se il Battista ha aperto la strada a Gesù, Paolo è stato l'apostolo mandato da Dio e da Cristo risorto a ‘universalizzare' il messaggio ‘provinciale' del nazareno, superando gli angusti confini etnocentrici del mosaismo della legge e della circoncisione. Certo anche nel giudaismo si riteneva che Dio voleva la salvezza di tutti, ma non su piede di parità; i gentili devono farsi ebrei, accettando la circoncisione e sottomettendosi al giogo della legge mosaica. Non per nulla, per l'aposto-lo, Cristo è il nuovo Adam, il prototipo della nuova umanità (Rom 5,12ss). Loisy ha ben evidenziato il passaggio epocale da Gesù a Paolo: "Gesù annunciava il regno ed è venuta la chiesa". Eppure una continuità sostanziale li unisce: Gesù e Paolo hanno manifestato la stessa immagine di un Dio includente, per Gesù, osservanti della legge e trasgressivi e, per Paolo, giudei e gentili.
da Adista Notizie n°19 del 10 Marzo 2007