Immaginate….. una città senza condomini rumorosi e litigiosi, dove ogni famiglia ha la sua propria villetta isolata acusticamente e visivamente dalle altre in modo che nessun vicino possa dar fastidio all’altro; dove i pochi grattacieli rimasti sono costruiti in modo da evitare ogni incontro lungo le scale o nei pianerottoli; dove, negli uffici e nei posti di lavoro si comunica solo via mail o, per le decisioni più delicate, via Skype; dove tutti gli spazi una volta comuni sono stati lottizzati e privatizzati, dalle piazze ai quartieri, e ciascuno difende e controlla il suo pezzettino di città; dove con una semplice mail possiamo ordinare la spesa che ci viene recapitata a casa senza bisogno di uscire e perdere del prezioso tempo; dove i media sono diventati così sofisticati e interattivi da farci sentire tutto il giorno in compagnia di tanti, pur trascorrendo sempre più ore da soli davanti a pc e tivù; anche le lezioni universitarie ci vengono recapitate a casa via Internet, con docenti virtuali preparatissimi che ci seguono personalmente da qualunque parte del mondo, senza alcun bisogno di incontri faccia a faccia.
Una città «ideale»: i conflitti sono stati infatti eliminati perché è venuta meno la pre-condizione stessa del conflitto, insistere cioè su una terra comune, su di una communitas. Vi piacerebbe vivere in una tale città? Vi auguro di sì, poiché questa scena stilizzata è molto vicina a quella reale che si sta profilando nelle città che oggi stiamo immaginando e progettando nelle nostre società di mercato. Mercato, sì: perché il mercato e la sua logica è proprio ciò che più sta determinando questo scenario. Questo libro vorrebbe offrire qualche spiegazione del perché si sta profilando un quadro simile, e magari offrire qualche spunto di riflessione a chi (come me) è molto preoccupato da una tale prospettiva. Ci sono un’ immagine e un’intuizione all‘origine di questo testo: il «combattimento di Giacobbe con l’angelo» narrato dalla Genesi (l’immagine), e l’indissolubile legame presente in ogni autentico rapporto umano tra «ferita» e «benedizione» (l’intuizione).
Prima o poi ogni persona fa una esperienza, che segna l’inizio della sua piena maturità: capisce nella propria carne e intelligenza che se vuole sperimentare la benedizione legata al rapporto con l’altro/a, deve accettarne la ferita. Comprende, cioè, che non c’è vita buona senza passare attraverso il territorio buio e pericoloso dell’altro, e che qualunque via di fuga da questo combattimento e da questa agonia conduce inevitabilmente verso una condizione umana senza gioia. In un certo senso è tutta qui l’idea che ha originato il percorso di questo libro, il quale racchiude un tentativo di far dialogare l’economia con questo «combattimento»,con la ferita e con la benedizione dell’altro. Perché tentare questo dialogo?
La scienza economica, con la sua promessa di una «vita in comune senza sacrificio», rappresenta nella tarda modernità una grande via di fuga dal contagio della relazione personale con l’altro, e proprio per questa ragione l’umanesimo dell’economia di mercato, che pure ha prodotto grandi frutti di civiltà, è oggi tra i grandi responsabili (sebbene non l’unico: un altro grande protagonista è la tecnologia) della deriva triste e solitaria delle moderne società di mercato, una condizione umana senza gioia anche per aver creduto alla grande illusione che il mercato, o l’impresa burocratica e gerarchica, ci potesse regalare una buona convivenza senza dolore, ci facesse incontrare un'altra che non ci ferisse, che non combattesse ma semplicemente scambiasse innocuamente con noi. E in effetti ci stiamo sempre più «incontrando» in questo modo negli anonimi mercati post-moderni. Ma forse stiamo uscendo dal territorio dell’umano, se è vero che l’umano inizia con la gratuità, che è sempre un’esperienza di relazione interumana rischiosa e quindi potenzialmente dolorosa. (...)
Questo innocuo incontro con l’altro senza ferita è anche un incontro senza gioia, che non porta ad una vita pienamente umana, per la persona e per la società, come i contemporanei studi sui «paradossi della felicità» ci dicono con sempre maggiore forza, come avremo modo di vedere nell’ultima parte di questo saggio. Questa grande illusione della modernità oggi la stiamo pagando infatti con la moneta della felicità, ed è ora che qualcuno chiami il bluff. (..)
Questo libro, però,non è scritto da un pessimista o da un nemico dei mercati e della società contemporanea, o da un nostalgico di antiche comunità pre-moderne. Lo sguardo con il quale guardo il mondo che cerco di descrivere vuole essere in realtà largo, positivo, uno sguardo di chi è solidale compagno di viaggio dei protagonisti (economisti compresi) delle storie che racconta. Le pagine che seguono sono solo un tentativo per comprendere qualche dinamica meno visibile delle cause della crisi epocale che stiamo attraversando (che è una crisi essenzialmente relazionale), e imbastire un ragionamento che renda ragione della speranza, che vorrei fosse la vera nota dominante di tutto il saggio.
Una riflessione a tutto tondo sulle relazioni umane, soprattutto su quelle orizzontali faccia a faccia (...), è dunque il filo conduttore del saggio. Sulla vasta gamma della relazionalità umana, come vedremo, l’economia si è concentrata essenzialmente su una sola forma, quella assimilabile all’eros,
trascurando la philia (amicizia), emarginando totalmente l’‘agape, la relazionalità improntata a gratuità, per la carica che l’agape ha di potenziale sofferenza dovuta alla mancanza di controllo pieno su di essa. La classica tripartizione dell’amore umano in eros, philia e agape sarà, non a caso, un altro tema dominante, e chiave di lettura, presente nelle pagine che seguono. Voglio poi specificare subito che questo libro non contiene nessun appello a combattere i mercati o a costruire una società libera dai mercati. Il tentativo che invece si nasconde in questo libricino è tentare di addurre alcune buone ragioni a sostegno dell’importanza e dell’urgenza di incontrare il mistero drammatico dell’altro e della communitas, senza però tornare in un mondo pre-moderno e senza mercati o uscire in una delle tante forme di comunitarismo di oggi. La storia umana ci mostra, infatti, che dove non arriva il mercato non è normalmente l’amore scambievole a prendere il suo posto; soprattutto nelle grandi comunità, il vuoto del contratto è spesso riempito da rapporti di potere, dove il più forte sfrutta il più debole. Anche nel mercato ritroviamo forti e deboli, ma spesso sappiamo riconoscerli e vogliamo superare le asimmetrie. Sono convinto che un mondo senza mercati e contratti non è una società decente; ma una società che ricorre solo a mercati e contratti per regolare i rapporti umani lo è ancor meno. Molta parte del discorso che svolgeremo in questo saggio si muove sul terreno compreso tra «solo» e «senza».
Il mercato, questa «zona franca» dove possiamo incontrarci senza sacrificio, in modo mediato e mutuamente vantaggioso, è una conquista della civiltà e uno strumento di civiltà che, qualche volta, può anche allearsi con la gratuità, e diventare mezzo per una convivenza umana più libera e addirittura più fraterna. Le tante esperienze di economia sociale, civile, di comunione, di ieri e di oggi, ci dicono esattamente questo: il mercato può diventare luogo di vero incontro con l’altro e di benedizione, purché si apra alla gratuità, purché non fugga dalla ferita dell’altro.
Infine (…)non occorre dimenticare il ruolo potenzialmente civile delle mediazioni: anche la protezione dalla ferita dell’altro, assicurata dal sistema mediato e decentrato dei prezzi e dalla mediazione della legge, può svolgere una funzione positiva e civilizzante, soprattutto in quelle società dove il mercato è sottosviluppato, e le esperienze dell’uguaglianza e della libertà sono sempre minacciate. Esiste però un punto critico, una soglia, oltrepassata la quale la relazione anonima dei mercati produce anomia, solitudine e smarrimento dei legami identitari: è mia impressione che le opulente società occidentali abbiano già oltrepassato questa soglia, che delimita anche il territorio dell’umano.
di Luigino Bruni
Docente di Economia politica Università Bicocca - Milano
MM/10/07