L’attacco del governo alle istituzioni del Welfare non può avere come unica risposta la cancellazione della legge 133 e l’onda anomala non si ferma alla sola contestazione. «Siamo l’onda che autoriforma l’università» era scritto sullo striscione calato dai ponti di Roma durante il grande corteo del 7 novembre che ha bloccato la città. Migliaia di studenti universitari e medi hanno costruito in modo autonomo un appuntamento comune a tutte le città italiane. Generalizzazione dello sciopero e auto-riforma dell’università costituiscono il pieno della cooperazione che dall’inizio dell’autunno vive nelle università italiane e costruisce l’agenda di movimento.
Non c’è alcuna nostalgia per le macerie dell’università pubblica: non vogliamo né tornare indietro, né difendere un’accademia fatiscente e parassitaria. Su questo è necessario fare chiarezza. Non difendiamo l’esistente, né speriamo in un’altra università possibile. Esiste già e siamo noi: studenti, ricercatori e dottorandi che producono sapere vivo e condividono conoscenze e relazioni.
In questo mese la grande mareggiata ha costruito un’intelligenza collettiva che ha tutta la forza e la capacità di costruire un’università autonoma. Lo abbiamo detto più volte e non ci stancheremo mai di ripeterlo: l’onda anomala è un movimento irrapresentabile, non ci sono né sindacati né partiti che possono parlare per lei o con lei. Non abbiamo bisogno di alcuna rappresentanza che parli per noi, né tantomeno siamo vittime di qualcuno. La grande forza di questo movimento è il protagonismo degli studenti che, al di là e contro ogni delega, inventa nuove forme di conflitto e costruisce un discorso comune.
È un movimento gioioso e senza paura che di fronte alla repressione del governo grida «siamo l’onda che vi travolge», che non accetta le mediazioni al ribasso dell’esecutivo, ma dà vita a un processo di nuova costituzione dell’università basato su un lessico comune e un progetto condiviso.
Il corpo vivo dell’università, studenti, ricercatori e dottorandi, pone alcune questioni centrali che riguardano il nostro presente, senza nostalgia del passato o vittimismo per il futuro. A queste domande il governo e gli organi accademici dovranno dare risposta. Attraverso i workshop e i seminari di autoformazione, abbiamo costruito tre punti di discussione che articolano la nostra proposta di autoriforma su cui si confronteranno le università in mobilitazione durante l’assemblea nazionale del 15 e 16 novembre, dopo il corteo nazionale del 14, a Roma. In questo spazio, cercheremo di dare vita non solo a un’assemblea programmatica, ma a un momento costituente, uno spazio di discussione comune in cui definire un nuovo modello di università.
Innanzitutto la discussione muove dal completo fallimento della riforma del cosiddetto «3+2», dal processo di de-qualificazione del sapere e della compressione dei tempi di studio. La questione dell’accesso è centrale all’interno della discussione generale sulla «governance» universitaria: gli sbarramenti tra il 3 e il 2, tra lauree magistrali, dottorati e scuole di specializzazioni, tra accademie e poli d’eccellenza non sono strumenti d’esclusione, anzi, la corsa agli iscritti è diffusa in tutte le università.
Piuttosto, costituiscono quel dispositivo di «inclusione differenziale», un sistema di «filtri» all’interno del percorso formativo, che è la piena articolazione della governance accademica.
In secondo luogo daremo vita ad una discussione adeguata al problema della crisi sia finanziaria che dell’università: continueremo a opporci a una logica che ci vuole vedere indebitati per poter accedere alla formazione universitaria, anzi, rivendichiamo denaro per poter decidere del nostro presente.
La richiesta di reddito diretto costituisce un punto centrale all’interno del progetto di autoriforma dell’università: sono la misura di quell’autonomia soggettiva che ci libera dal ricatto del lavoro precario. Vogliamo usufruire di servizi fondamentali come la casa, le borse di studio, l’accesso alla cultura e ai trasporti, oltre alla retribuzione degli stage.
Infine affronteremo il problema della ricerca, che vogliamo autonoma e svincolata da ogni clientela baronale, rifiutando in primo luogo ogni divisione fra didattica e ricerca che, già in Francia e nei paesi anglosassoni, costruisce gerarchie definendo docenti di serie A e serie B.
Insomma, l’autoriforma è il modo per continuare ad agire all’altezza e oltre la crisi, per costruire un campo nuovo di possibilità dentro e fuori le università, per continuare a propagare e a organizzare le onde. La grande mareggiata non si ferma, anzi, questo è ancora l’inizio.