Simon Ntamwana è l'arcivescovo di Gitega, la seconda città del Burundi. È anche l'attuale presidente dell'Associazione delle conferenze episcopali dell'Africa centrale.
Il suo paese ha vissuto la guerra civile dal 1993 fino a dicembre 2008, quando l'ultimo gruppo ribelle ha firmato gli accordi di pace. Ma quest'anno affronterà una seconda avventura elettorale. Non senza preoccupazione. Guardando la storia del Burundi,inoltre,si osservano periodici massacri tra la popolazione, fin dall'indipendenza, proclamata ufficialmente nel 1962.
La zona dei cosiddetti Grandi Laghi africani, e in particolare Rwanda, Burundi e Est Repubblica democratica del Congo (Rdc), sono tuttora in equilibrio instabile.
In Rdc,ad Est,continuano la caccia ai ribelli hutu responsabili dei massacri nel 1993 con scontri e incursioni dell'esercito rwandese. Monsignor Ntamwana si spende da anni per la riconciliazione nel suo paese. Lo abbiamo incontrato al margine del sinodo per l'Africa a Roma.
Riconciliazione: pensando al Burundi, come metterla in pratica?
Siamo felici che il sinodo per l'Africa abbia affrontato questo tema. In Burundi, da 4 anni, stiamo realizzando dei sinodi diocesani e ancora prima avevamo cominciato altre iniziative, che portassero alla riconciliazione. Ci sono 3 diocesi che hanno terminato questi incontri, aspettiamo le altre 5 diocesi, in modo da arrivare in 1 o 2 anni alle conclusioni pratiche, e nel contempo arrivi l'esortazione postsinodale di questo sinodo (messaggio del Papa, ndr).
Io spero già che il frutto di questi sinodi diocesani ci stia aiutando.
Perché tutte le strade per la riconciliazione le abbiamo davvero percorse e abbiamo tentato di far avanzare questo carro per il quale i burundesi sentono una chiamata particolarmente forte.
Io penso che ci sia la volontà della gente. Molti di loro vogliono riconciliarsi, partendo dal vangelo. È una prassi che non dovrebbe durare troppo tempo, perché il Signore ci dice di riconciliarci quanto prima e non aspettare a buttarsi in questa battaglia del perdono chiesto e concesso o del perdono offerto semplicemente anche quando non è chiesto.
Lo abbiamo visto e pensiamo che a poco a poco entreremo in questo movimento della riconciliazione.
Io sono particolarmente toccato perché ho un'opera apostolica che ho fondato «Vita nuova per la riconciliazione» che va spesso incontro alla gioventù studentesca o rurale,ai politici, alla popolazione,a colline che hanno conosciuto drammatiche vicende di separazione. Vedo veramente che c'è una volontà di riprendere un cammino che sia più pacifico di quanto dal 1961 abbiamo conosciuto Io spero che i burundesi approfitteranno di questo sinodo giacché hanno cominciato questo sforzo tramite i sinodi diocesani.
Parlando di leader politici, questi hanno avuto un ruolo determinante, anche nei massacri. Come può la chiesa favorire la conversione dei politici?
Ogni conversione parte dall'ascolto della parola di Dio. La prima cosa da fare è invitare i nostri politici ad entrare meglio e più in profondità nella parola, e sentire come il Signore è il pastore del suo popolo.
Anche se di fronte a loro hanno un mucchio di gente che li segue,devono capire che hanno questo ruolo di condurre il popolo a nome di Dio.
La seconda cosa è rimanere vicino a questi politici per ascoltarli, per scambiare con loro, essere loro abbastanza vicini quando necessitano di un consiglio o un parere.
Penso che andando verso la democrazia, chi governa dovrebbe ascoltare. Non penso che la democrazia di tipo francese sia la migliore, dove il presidente fa quello che vuole, anche se scelto democraticamente. Il processo democratico non si espleta solo nel momento delle elezioni, ma anche durante l'esecuzione, nelle scelte politiche. Questi leader ne fanno di continuo e hanno bisogno che non vengano solo da loro stessi, ma da un confronto.
Anche se le istituzioni parlamentari operano in questo senso, mi pare che non basti. Perché i parlamenti camminano secondo i partiti,e il partito al potere può benissimo essere troppo favorevole al suo capo e non riflette abbastanza sulla non convenienza di una data misura.
Una terza possibilità di aiutare i nostri politici a governare bene è una scelta di leggi giuste. Non solo leggi che obbediscano all'opinione mondiale, di chi forse, non ha gli stessi problemi di fronte. Leggi di chi non crede di rappresentare solo un partito che l'ha scelto, ma anche, in un certo senso, di Dio. Per cui deve stare attento a questa arte di guidare, di governare.
Nel messaggio finale del sinodo avete scritto che i politici cattolici che non ascoltano l'insegnamento della chiesa, devono pentirsi oppure allontanarsi dall'amministrazione della cosa pubblica.
La nostra severità non consiste nel cacciare qualcuno. Vogliamo solo che i governanti si migliorino, tengano conto del bene comune,e questo possa condurre delle persone responsabili ad atti migliori possibili.
Non possiamo raggiungere l'ottimo, ma vogliamo che il bene sia ricercato e raggiunto se possibile. Non vogliamo fare colpi di stato nei confronti di chi si comporta male, ma vogliamo che la persona in questione possa raggiungere un certo miglioramento. Un ravvedimento su quello che gli segnaliamo.
Dando uno sguardo sulla Rdc, vediamo che il paese è enorme e problematico, e causa instabilità in tutta la regione. A che punto è la riconciliazione?
Penso che la riconciliazione in Rdc, soprattutto nelle zone che conoscono ancora la violenza deve cominciare con la cessazione delle ostilità e dei combattimenti,altrimenti non si può nemmeno parlare di riconciliarsi nell'immediato.
Penso inoltre che il Congo nella sua immensità ha bisogno anche di una coesione non solo ecclesiale. Quest'ultima esiste, l'ho vista e sperimentata: tutti i vescovi si impegnano nel rifiutare la violenza,combattere le ingiustizie e farla finita con questo sfruttamento delle risorse naturali, che causa molti nervosismi all'interno del paese.
Ma io mi auguro che anche il potere politico sia più coerente, unito, abbia davvero un influsso verace e un amore per la popolazione che finora non abbiamo visto. Ecco quello che manca a quel paese.
Nel frattempo lo sforzo di poter riconciliare quella zona tarda molto a potersi verificare concretamente. Soprattutto nel Kivu Nord e Sud (province ad Est del paese).
Intanto abbiamo ancora molti profughi del Kivu in Burundi e in Rwanda: questo rientra nel peso enorme che le popolazioni del Congo stanno ancora portando.
Come può essere fermato lo sfruttamento massiccio delle risorse naturali da parte di multinazionali e stati esteri?
La responsabilità primaria è quella dello stato, che dovrebbe essere in grado di difendere da questo sfruttamento disordinato e criminale delle proprie risorse. Ma la chiesa deve essere sempre allerta e rendere la comunità cristiana attenta a questo fenomeno, per cui il nostro ministero è quello di vedere che nessun bene venga preso ingiustamente, come da un ladro che entra in una casa e piglia quello che raggiunge.
Questo ministero di vigilanza e coscientizzazione mi sembra sia quello della chiesa.
Non solo per la Rdc, paese ricco di materie prime. Parlo anche per Burundi e Rwanda dove queste risorse non sono conosciute. Credo che in questi tre paesi noi cristiani dobbiamo avere gli occhi aperti su questi beni che devono far progredire la popolazione. Nessuno deve prenderli come sua proprietà oppure come bene privato. E’ un patrimonio di tutta la popolazione, che pertanto deve essere difeso. Più di quello non possiamo. Stiamo attenti a chi ci sta derubando.
Messaggio rivolto ai politici ma anche alla gente,a tutto il popolo di Dio. Anche a noi stessi vescovi che dobbiamo essere più vigilanti e attenti. Fino ai nostri bambini che devono essere testimoni del vangelo di Gesù.
Le donne nella chiesa africana reclamano il loro ruolo, anche dal punto di vista del potere decisionale. Lei cosa ne pensa?
Penso che il posto della donna nella chiesa dei Grandi Laghi è molto significativo, ma vorrei ancora impegnarla di più nei ruoli di decisione. Affinché possa portare quella saggezza intuitiva nella chiesa,nella parrocchia, nei consigli diocesani.
Possa contribuire con quanto ha visto e capito, ma anche facendo e facendo fare.
Il Secam, Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar, ovvero una struttura continentale che deve promuovere la visione africana dentro la chiesa, sembra avere qualche rallentamento.
Il Secam si è addormentato un pochino. Durante il sinodo per l'Africa si è tentato di risvegliare tutti i vescovi intorno ad esso. Per me il Secam sta facendo una siesta,e non possiamo andare avanti così. E’ una struttura utile,espressione di comunione ecclesiale nella quale io credo, e mi trovo personalmente come membro. Tento di rivederne la missione, e la struttura che si potrebbe dare per rilanciarlo. C'è un impegno dei vescovi africani su questo.
di Marco Bello
MC Febbraio 2010