Maglia nera in Europa per la disoccupazione giovanile. L’indossa l’Italia, con quasi 2 milioni di giovani tra i 25 e i 34 anni senza lavoro e il più alto tasso di inattività in questa fascia d’età (25,9% a fronte a una media Ue del 15,7%). L’allarme arriva oggi dall’ufficio studi di Confartigianato, nello stesso giorno dell’entrata in vigore della riforma dell’apprendistato voluta dal ministro Sacconi. La situazione peggiora decisamente al Mezzogiorno (oltre un milione dei giovani senza lavoro, infatti, risiede nelle regioni del Sud) e per le donne, la metà del totale. Panorama.it ne ha parlato con Carlo Dell’Aringa, professore di Economia politica all’Università Cattolica e collaboratore de La voce.info.
Professore, quanto ci devono preoccupare questi dati?
In Italia la disoccupazione giovanile è sempre stata alta e non è certo un fenomeno recente. Nell’ultimo decennio eravamo riusciti a recuperare qualcosa, ma con la crisi la situazione è peggiorata di molto. Per essere precisi, dovremmo contare circa 900 mila disoccupati “veri” e oltre 1 milione di ragazzi e ragazze che non studiano e non cercano lavoro, i cosiddetti “né, né”.
Ma sono tutti davvero senza lavoro?
Le statistiche dicono che esiste un numero consistente di giovani che va a gonfiare il numero degli “inattivi” e che in verità lavora in nero o svolge mansioni occasionali che non vengono però conteggiate.
Come si può uscire da questa situazione?
Molto dipende dalla fase di passaggio dalla scuola al lavoro. All’estero scuola e università funzionano meglio anche nell’orientamento al mercato del lavoro e in alcuni casi nell’erogazione di un reddito di sostegno durante il periodo di interruzione degli studi fino alla prima occupazione. In Italia invece grava tutto sulle famiglie.
Secondo Confartigianato, però, a Milano le aziende artigiane contano di assumere 49.350 giovani under 30 entro la fine dell’anno. Questo dimostra che nonostante la crisi è ancora possibile trovare un posto “sicuro” in alcuni settori, spesso nei lavori manuali. Forse i giovani si rifiutano di fare lavori più umili?
Certamente c’è anche questo aspetto: se si adattassero a lavorare nelle fonderie, a raccogliere mele e pomodori o a lavorare nell’edilizia, le percentuali sulla disoccupazione giovanile diminuirebbero. Ma non parlerei di rifiuto: questi lavori ormai non soddisfano più l’aspettativa di molti giovani italiani, che evidentemente preferiscono starsene a casa ed aspettare.
Oggi è entrato in vigore il nuovo apprendistato, che prevede la decontribuzione per gli apprendisti. Le piace?
L’apprendistato è un buon istituto, ma oltre all’offerta ci vuole anche la domanda affinché le cose funzionino. Ben venga, quindi, l’apprendistato, purché le aziende poi lo utilizzino. La tendenza, invece, negli ultimi anni è quella di assumere stagisti, senza nemmeno pagarli.
Massimo Morici
Panorama
Martedì 25 Ottobre 2011