Mondo Oggi

Venerdì, 11 Novembre 2011 12:24

Liberiamoci dalla schiavitù del breve periodo

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Per uno sviluppo sostenibile e per evitare il collasso abbiamo bisogno di imprese libere dalla schiavitù dei risultati a breve

 

Se ci dotassero tutti di apparecchi in grado di misurare momento per momento i nostri battiti cardiaci sono sicuro che diventeremmo tutti cardiopatici. Scoprire la minima piccola irregolarità ci darebbe una tale ansia ed agitazione da avverare i nostri scenari più negativi.

Se il gradimento dei contadini tra la semina e il raccolto fosse misurato in tempo reale dai mercati finanziari, basterebbe un momento di depressione o di cattivo umore dei mercati per far precipitare il loro gradimento e costringerli alle dimissioni. Nessuno di loro arriverebbe al raccolto.

Se Pep Guardiola, l’allenatore del Barcellona che pratica il miglior calcio d’Europa e vince trofei a raffica avesse allenato il Barcellona in Italia perdendo le prime tre partite sarebbe stato cacciato e non avrebbe potuto portare a termine il progetto i cui risultati conosciamo.

Non ce ne siamo accorti ma siamo progressivamente diventati schiavi del brevissimo periodo, ovvero di un luogo tipicamente dominato dagli umori più imprevedibili e non dalla razionalità, in un circolo vizioso dove il momento di debolezza diventa immediatamente notizia e viene rilanciato ed amplificato dai mezzi di comunicazione.

In economia le imprese quotate rischiano grosso ad ogni più piccolo starnuto della borsa. In politica essere affetti da questa sindrome è ancora meno giustificato perché i sondaggi non sono “liquidi” e il gradimento in tempo reale del politico non ha effetti devastanti se non al momento delle elezioni effettive (anche se le scadenze regionali e locali sono molte e ravvicinate). Nonostante ciò i politici si comportano come se l’avesse e si guardano bene dal fare cose magari impopolari a breve ma fruttuose a lunga che possono solo fargli temere di perdere terreno nei sondaggi. O non hanno abbastanza carisma e capacità politiche per spiegare questo ai loro elettori in modo da non perdere terreno anche nel gradimento oggi. In questa corsa verso il basso in cui umori repentini, valore in borsa istantaneo e audience televisiva precipitano pericolosamente la società verso i nostri istinti peggiori e la rendono sensibile ad ogni stormir di fronda, le vittime sono quei valori fondamentali su cui un’economia sostenibile si dovrebbe reggere: fiducia, solidità, investimento che matura lentamente i suoi frutti nel tempo. In economia l’obiezione alla critica dello shortermismo è sempre stata che i prezzi sono i risultati di aspettative razionali, di un uso efficiente dell’informazione che è diffusa tra gli investitori. Dunque se una società quotata sacrifica il risultato di breve per un risultato più stabile e duraturo nel tempo (e non stressa i profitti di breve nascondendo il rischio sotto il tappeto) dovrebbe essere premiata perché agenti razionali scontano il valore futuro maggiore creato. Questa obiezione parla di un mondo che (abbiamo constatato) non esiste, trascura il ruolo fondamentale dell’impazienza o tasso di sconto soggettivo (anche per operatori perfettamente razionali ed onniscienti) che è una variabile fondamentale dei prezzi azionari (se il domani per me vale poco una gallina oggi può valere molto di più delle uova di domani) e dimentica che i prezzi in tempo reale sono vittime di rincorse tra graficisti, fondamentalisti con informazioni incomplete in situazioni sempre più complesse, nessuno scevro dalle umane debolezze che possono generare panico ed irrazionalità in momenti di stress.

E’ un fatto che in Italia le conseguenze più pericolose della crisi per gli intermediari finanziari sono state disinnescate proprio liberandosi con un colpo d’accetta della schiavitù dello shortermismo che ci imponeva di utilizzare il valore di mercato per prezzare i titoli spazzatura che i nostri intermediari finanziari (meno per fortuna di quelli anglosassoni) detenevano in portafoglio. Per uno sviluppo sostenibile e per evitare il collasso abbiamo bisogno di imprese libere dalla schiavitù dei risultati a breve (non per questo non trasparenti ed accountable) che possano sviluppare i loro progetti di ricerca ed innovazione nel giusto orizzonte temporale, di politici in grado di accettare momenti di impopolarità per varare iniziative che non danno risultati a breve ma differiti nel tempo (non è un caso che è più facile fare politica nelle amministrazioni locali dove lo shortermismo e la valutazione in tempo reale degli umori della gente è meno diffusa). Di media che sappiano valorizzare chi lavora con pazienza ed intelligenza anche se lontano dai riflettori e dai fuochi d’artificio. Riportando alla ribalta i valori della qualità, della fiducia, della sostenibilità e della solidità contro le pericolose chimere dell’effimero.

Ci sono una serie di regole semplici per riportare la finanza al suo ruolo ed uscire dalla schiavitù del breve periodo, della produzione di ansia a mezzo di ansia: tassare le transazioni finanziarie, regolamentare i mercati OTC, abbassare i limiti di indebitamento delle grandi banche d’affari, imporre limiti all’utilizzo dei derivati non per operazioni di copertura. E’ evidente che dobbiamo anche cogliere il momento di crisi per rafforzare quelle politiche virtuose che tutti speriamo siano realizzate (politica fiscale europea unica, disciplina di bilancio e rilancio della crescita) ma non pensiamo che basti per placare l’ansia dei mercati.  Per placare quell’ansia dobbiamo avere il coraggio di intervenire sui mercati stessi così come i paesi emergenti (solo 20 anni fa preda della crisi ed oggi invocati al nostro capezzale) hanno avuto il coraggio di fare.

di Leonardo Becchetti • 05-Nov-11

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