Camminare con Cristo (1)
di Giovanni Vannucci
Stando alla pagina di Lc 9, 51-62, nessuno può entrare in quella nuova dimensione che Cristo ha portato alla coscienza degli uomini, se si volta indietro, se si sofferma su posizioni ormai sorpassate, se preferisce il saluto a coloro che deve abbandonare prima di seguire decisamente Cristo.
Vicino a Cristo, il passato, il dietro, il superato, non hanno posto.
Egli è il Figlio dell’Uomo.
Su questo passo noi dobbiamo ritmare il nostro cammino personale.
Egli non ha un posto dove posare il capo, nè un nido dove soffermarsi per la notte (cfr. Lc 9, 58): è sempre in cammino, è l’eterno pellegrino. E così dobbiamo essere noi.
Quando i discepoli giungono nel villaggio della Samaria e si sentono rifiutata l’ospitalità per il semplice fatto di essere Ebrei e di andare verso Gerusalemme, vanno da Cristo e gli dicono:
«Signore, vuoi che facciamo cadere dal cielo un fulmine che stermini tutta questa gente?».
Il Cristo dice: «Non sapete con che spirito parlate», e li rimprovera severamente (cfr. Lc 9, 54-55).
I discepoli non erano passati attraverso la novità del Vangelo. Erano ancora nell’economia del Vecchio Testamento: «Dente per dente, occhio per occhio. A chi ti toglie un dente, togli un dente; a chi ti toglie un occhio, togli un occhio; a chi non ti ospita, fai cadere un fulmine dal cielo perché bruci la sua casa» (cfr. Dt 19, 21). Per Cristo questo è il passato. Soffermarsi al passato è non seguirlo.
Si apriva, si apre con Cristo una nuova realtà. Le contingenze della terra, di accettazione o di rifiuto, di rispetto o di disprezzo, non hanno nessun senso per colui che segue Cristo. Egli deve compiere il suo cammino sempre in avanti. E a quell’ignoto che gli chiede di seguirlo, Cristo, leggendo nel suo cuore, dice: «Vedi, il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo. È sempre in cammino in avanti» (cfr. Lc 9, 58).
Quel tale non lo accetta, perché probabilmente aveva visto, aveva sentito la forte personalità di Cristo e cercava un rifugio vicino a Cristo: un grande padre che lo coprisse e che gli desse sicurezza. E Cristo gli dice: «II Figlio dell’Uomo, l’Uomo, l’Uomo vero, l’Uomo maturo non si sofferma neppure all’ombra di una grande paternità o di una grande maternità: va sempre avanti, solitario e pellegrino nella sua strada».
E all’altro, al quale Cristo dice: «Seguimi», e che gli chiede di andare a seppellire suo padre, Cristo dice: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Lc 9, 59-60). Il morto è un essere che ormai ha compiuto il suo ciclo, e attardarsi per compiere anche quelli che per noi sono atti di pietà e di amore che vanno compiuti, è un non seguire il Cristo.
E all’altro che dice: «Ti seguirò. Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa» (Lc 9, 61), Cristo risponde: «No, Cristo è sempre avanti; seguimi».
Questa è la grande consegna che Cristo ci dà e che noi dobbiamo vivere pienamente: essere con Lui sempre, oltre tutti i margini che costruiamo, oltre tutti i limiti di civiltà, di cultura che costruiamo, perché Cristo è sempre avanti. Quando poi pensiamo di essere riusciti a dare alla nostra società una forma perfettamente cristiana e guardiamo la nostra società e poi guardiamo Cristo, vediamo che Cristo è avanti. E allora dobbiamo lasciare le belle costruzioni che abbiamo innalzato, le meravigliose strutture che siamo riusciti a edificare, per seguire Cristo che è sempre avanti e sempre oltre.
Attorno a Cristo non c’è niente di morto, attorno a Cristo non c’è niente di passato, attorno a Cristo c’è il presente, ma il presente che è mosso e fermentato da una speranza che ci proietta nel futuro.
E con tutto l’essere noi dobbiamo riuscire a seguire Cristo: con tutto l’essere, con la nostra mente, con il nostro cuore, con il nostro sentimento, con la nostra vita, con le nostre mani, pronte a distruggere quello che dobbiamo distruggere perché ormai è soffocante per la coscienza cristiana, è soffocante per Cristo che è in noi.
Ecco, c’è un punto sul quale noi dobbiamo tenere sempre vigilante la nostra attenzione: che il nostro cammino sia compiuto non da noi, ma da noi con Cristo, o «in Cristo», come dicevano gli antichi cristiani, nello spazio di Cristo.
La nostra Chiesa è in un momento di grande crisi, come tutta la società; noi sentiamo sulle spalle il peso di tutta una tradizione che è invecchiata, ce la vogliamo scrollare di dosso, non con le nostre velleità, con i nostri capricci, con le nostre stranezze, con le nostre stravaganze, ma ce lo dobbiamo scrollare dalle spalle con Cristo.
E se rinunciamo a una bellezza che non sentiamo più affascinante, dobbiamo rinunciarvi in nome di un’altra bellezza. Se rinunciamo a un canto che ora non esprime più il nostro sentire, la nostra sensibilità del sacro, lo dobbiamo fare in nome di un canto che esprima perfettamente e compiutamente e in perfetta bellezza quello che sentiamo del mistero di Cristo. Ciò non significa far delle cose brutte, delle cose superficiali, affrettate e più caduche di quelle che abbandoniamo per rinnovarci nel Cristo. Ma rinnovarci in Cristo significa muoverci con tutte le nostre facoltà creative di bellezza, di amore, di libertà, di grandezza umana.
Allora, camminiamo con Cristo. Adesso, se guardiamo la storia delle nostre Chiese, di tutta la cristianità, vediamo che c’è un continuo movimento. E questo movimento è sempre stato accompagnato da manifestazioni di bellezza, di libertà, di verità. A un certo momento c’è stata una chiusura e, anche dentro la Chiesa, abbiamo prodotto delle cose opprimenti, brutte, squallide, penose, perché la cristianità ha pensato di dare una definizione totale e perfetta di Cristo. E Cristo invece era al di fuori.
Allora la bellezza è nata al di fuori, la libertà è nata al di fuori, la ricerca della verità è nata al di fuori di questa struttura che si è chiusa. Ora noi sentiamo tutto il peso di questa chiusura che è avvenuta secoli fa. E come dobbiamo liberarcene? Camminando con Cristo.
Camminare con Cristo significa disseminare i nostri passi di crescente bellezza, di canto sempre più avvincente e più nostalgico della vita divina, di libertà sempre maggiore e più profondamente rispettosa dell’uomo, creando delle strutture talmente fragili che accompagnino il nostro cammino di pellegrinaggio come una tenda, che oggi stabiliamo in un posto, domani in un posto più avanzato.
Di questo dobbiamo persuaderci: attorno a Cristo non ci sono né cose brutte, né cose passate, né vecchi fermenti, né cose morte, ma c’è un rinnovamento continuo di vita. Ora, nel rinnovamento della vita, se noi partiamo dalla nostra piccolezza umana, creiamo sempre delle cose sbagliate, delle cose opprimenti, delle cose che non ci liberano. Se invece partiamo da quest’asse centrale che è nel nostro essere e che è Cristo, allora anche le nostre costruzioni saranno vere, saranno apportatrici di bellezza, di libertà, di amore, di respiro a tutti gli uomini.
Credo che seguire Cristo, oggi, imponga a noi una più profonda conoscenza della realtà di Cristo, un amore più appassionato di quello che è Cristo, non delle figure che la storia umana ha dato di Cristo, ma di quello che è Cristo nella sua purezza e nella sua essenza. E dopo dobbiamo muoverci, con questa ricchezza, con questo accrescimento di vita nel cuore, sicuri che tutto ciò che faremo sarà fatto in nome di Cristo e nella presenza di Cristo. E poi costruire sempre, ma costruire pensando al domani e non all’oggi, pensando di dare al nostro canto una latitudine che abbracci le generazioni che seguiranno, di dare alla nostra bellezza un tale respiro che possa essere comprensibile e illuminante anche per le generazioni che verranno dopo di noi.
Dobbiamo muoverci nello spazio di Cristo, e lo spazio di Cristo è l’infinito tempo, l’infinito orizzonte, il «sempre oltre». Il sempre oltre al presente, il sempre oltre a tutte le realizzazioni che noi uomini possiamo compiere anche nel suo nome. Allora le cose che facciamo avranno sicuramente, anche se legate al tempo e allo spazio, il profumo dell’eternità e avranno il profumo del non spazio, perché nascono da questa nostra comunione profonda con il mistero di vita che è il Cristo, che è nel nostro cuore. E dal cuore dobbiamo riuscire a trarre tutte le nostre ispirazioni e tutte le nostre raffigurazioni di ciò che vogliamo compiere nel nome di Cristo.
(1) Omelia pronunciata domenica 27 giugno 1977 durante il rito eucaristico pomeridiano delle ore 19 nell’eremo di San Pietro alle Stinche - Greve in Chianti, FI). In La Vita senza fine, 1a ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1985; 13a domenica del tempo ordinario: «Camminare con Cristo». Anno C. Pag. 145-149.