Il nono gradino
Il monaco frena la lingua dal parlare e mantenendosi fedele al silenzio non parla finché non sia interrogato (RB 7,56).
Nell'effluvio di parole, di rumori, di immagini, di carta stampata, caratteristico del nostro tempo, sembra strano, anacronistico parlare di silenzio. Nella voglia di mettersi in mostra, di farsi protagonisti, di produrre autobiografie più o meno strabilianti, sembra riduttivo e autodistruttivo invitare a farsi da parte, a tacere.
Vediamo quanto oggi si parla, ma per dire che cosa? radio, televisione, telefonini, chiacchiere senza fine, quando non pettegolezzi e maldicenze.
E san Benedetto cita il salmo 140 (versetto 12, secondo la Vulgata): “L'uomo dalle molte chiacchiere va senza direzione sulla terra”.
Se ci perdiamo nella molteplicità delle parole rischiamo di perdere l'orientamento, non troviamo più il verso giusto per andare alla meta, i cartelli indicatori perdono visibilità, non ci dicono più nulla.
“Non parla finché non sia interrogato”. Silenzio non è mutismo, non è scortesia, non disinteresse o abulia, ma custodia di sé e del proprio parlare, essenzialità nella comunicazione, attenzione vera all'altro, capacità di ascolto.
La regola monastica vuole che terminata l'ultima preghiera corale, il monaco si ritiri in silenzio nella sua cella e che non parli più fino alla fine della preghiera del mattino successivo: un tempo di riposo ma anche di riscoperta della sua vocazione con tutte le esigenze che essa implica, un tempo di intimità con il suo Signore al quale ha consacrato tutta la sua vita.
Se umiltà è verità, l'uomo umile che cerca e ama la verità si ritrae dal troppo parlare per ritrovare il significato della sua vita, la realtà del suo essere e soprattutto la presenza di Colui che dà senso alla sua vita e che può, solo, consentirgli di realizzarla in pienezza.
Allora il silenzio diventa riposo e gioia, ambiente fecondo di verità e di pace. L'uomo può ritrovare la sua dimensione autentica, può valutare la povertà degli pseudovalori che vanno di moda e che sono strombazzati dai media odierni, può riscoprire la sua situazione di creatura di fronte al Creatore, la sua piccolezza e la sua vera grandezza: a che serve mettersi in mostra, fare sfoggio di saggezza, di informazione, di arguzia o di beffardaggine? Molto meglio rifugiarsi nel silenzio in cui è possibile udire la voce dello Spirito che prega in noi “con gemiti inenarrabili“, che grida: “Abbà, Padre”, che ci introduce nell'adozione a figli di quel Padre celeste che nel suo grande silenzio dice una sola parola: il suo Verbo eterno, il nostro Signore Gesù.
sr. Francesca osb